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La nonviolenza e' in cammino. 638
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 638
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 10 Aug 2003 02:25:41 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 638 del 10 agosto 2003 Sommario di questo numero: 1. A Gubbio 2. Il "Cos in rete" di agosto 3. Luisa Morgantini: Daniel Barenboim a Ramallah 4. Arrigo Quattrocchi: Daniel Barenboim a Ramallah 5. Emmanuel Levinas: rivelazione 6. Etty Hillesum: un ardore elementare 7. Benito D'Ippolito: Franz Jaegerstaetter, nel sessantesimo anniversario della morte 8. Iris Marion Young: dell'Europa e del mondo 9. Ida Dominijanni: il colonialismo che non passa 10. I pensierini di Persicone: 4 novembre 11. Riletture: Virginia Vacca (a cura di), Vite e detti di santi musulmani 12. Riletture: Martin Buber, I racconti dei Chassidim 13. Riletture: Hans Magnus Enzensberger, Colloqui con Marx e Engels 14. Riletture: Adrienne Rich, Esplorando il relitto 15. La "Carta" del Movimento Nonviolento 16. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. A GUBBIO La camminata da Assisi a Gubbio che si svolgera' il 4 e 5 settembre, e il convegno delle persone amiche della nonviolenza che a Gubbio si terra' il 6 e il 7 settembre, saranno un'occasione importante di incontro e di riflessione: un incontro e una riflessione la cui necessita' e urgenza e' a tutti evidente. Poiche' la guerra e' tornata ad essere orrore quotidiano e pensiero egemone, e poiche' il pur vasto movimento che alla guerra si oppone ha estremo bisogno di illimpidirsi recando ancora profonde e penosissime le tracce di una grave e greve subalternita' alla cultura della guerra e del dominio, maschilista, autoritaria e fin totalitaria, che lo rende per piu' versi suddito e complice di cio' contro cui afferma di volersi pur impegnare. La scelta della nonviolenza e' la "riforma morale e intellettuale" che occorre; la scelta della nonviolenza e' il passo decisivo che il movimento pacifista, le persone di volonta' buona, deve, devono fare; la scelta della nonviolenza e' quella "aggiunta" indispensabile per inverare, rendere concrete e cogenti, le aspirazioni a quel che con troppo banale e insufficiente e ambigua formula viene da molti detto "un altro mondo possibile". Ma la scelta della nonviolenza richiede una capacita' di ereditare e criticare a un tempo molte e diverse esperienze e tradizioni, longeve e complesse e contraddittorie, tutto salvando e tutto trasformando. La scelta della nonviolenza richiede una capacita' di ascolto grande e difficile, da parte di tutti e massime dai figli del privilegio, la cui piu' utile parola e' forse oggi il silenzio che medita e cerca; e una ancor piu' difficile e grande capacita' di presa di parola da parte di chi fino a qui ha avuto la voce sopraffatta e finanche la lingua mozzata. Fermare la guerra, contrastare l'ingiustizia, opporsi alla violenza (a quella dispiegata ed a quella cristallizzata, negli atti e nei pensieri); e costruire nel vivo della lotta e nel concreto dell'esistenza qui e a adesso, nella coerenza e nella compresenza dei mezzi e dei fini, una societa' e un convivere di persone libere, eguali, solidali: e' impegno non dappoco, e cammino lungo e arduo. Questo impegno, questo cammino, noi diciamo nonviolenza. Da Assisi a Gubbio si dovra', si potra', come gia' in quella giornata del 2000 da Perugia ad Assisi, fare ancora un tentativo per parlare all'intero popolo della pace e chiamarlo tutto a una piu' salda e persuasa riflessione e azione. Per ogni informazione sulla camminata Assisi-Gubbio, si sa, si puo' far riferimento al Movimento Nonviolento, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org 2. INFORMAZIONE. IL "COS IN RETE" DI AGOSTO [Dall'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per contatti: e-mail: capitini at tiscalinet.it; sito: www.cosinrete.it) riceviamo e diffondiamo. Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.cosinrete.it] Vi segnaliamo nell'ultimo aggiornamento di agosto 2003 del "C.O.S. in rete" (sito: www.cosinrete.it) una selezione critica di alcuni riferimenti trovati sulla stampa italiana ai temi capitiniani: nonviolenza, difesa della pace, partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta, educazione aperta, antifascismo; tra cui: I cristiani e la guerra; Educati ad uccidere; Chi controlla Archimede; L'antietica della lotteria; Le carceri pacificate; Il fiume carsico; Chi tocca i fili, muore; Il potere teocratico; Il 25 aprile di Tremaglia; Mai dire quattro; Il cammino del consenso; Il professore preoccupato; I bonifici pro mafia; ecc. Piu' scritti di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale sugli stessi temi. Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al "C.O.S. in rete" e' libera e aperta a tutti. 3. INIZIATIVE. LUISA MORGANTINI: DANIEL BARENBOIM A RAMALLAH [Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 agosto 2003. Il seguente profilo di Luisa Morgantini abbiamo ripreso dal sito www.luisamorgantini.net: "Luisa Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5 novembre 1940. Dal 1960 al 1966 ha lavorato presso l'istituto Nazionale di Assistenza a Bologna occupandosi di servizi sociali e previdenziali. Dal 1967 al 1968 ha frequentato in Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove ha studiato sociologia, relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971 ha lavorato presso la societa' Umanitaria di Milano nel settore dell'educazione degli adulti. Dal 1970 e fino al 1999 ha fatto la sindacalista nei metalmeccanici nel sindacato unitario della Flm. Eletta nella segreteria di Milano - prima donna nella storia del sindacato metalmeccanico - ha seguito la formazione sindacale e la contrattazione per il settore delle telecomunicazioni, impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata responsabile del dipartimento relazioni internazionali del sindacato metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha rappresentato il sindacato italiano nell'esecutivo della Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) e nel Consiglio della Federazione sindacale mondiale dei metalmeccanici (Fism). Dal novembre del 1980 al settembre del 1981, in seguito al terremoto in Irpinia, in rappresentanza del sindacato, ha vissuto a Teora contribuendo alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha fondato con un gruppo di donne di Teora una cooperativa di produzione, "La meta' del cielo", che e' tuttora esistente. Dal 1979 ha seguito molti progetti di solidarieta' e cooperazione non governativa con vari paesi, tra cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa, Mozambico, Eritrea, Palestina, Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata in luoghi di conflitto entro e oltre i confini, praticando in ogni luogo anche la specificita' dell' essere donna, nel riconoscimento dei diritti di ciascun essere umano: nelle rivendicazioni sindacali, con le donne contro la mafia, contro l'apartheid in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e israeliane per il diritto dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza con lo stato israeliano, con il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la guerra e i bombardamenti della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo all'autonomia, per la cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra. Attiva nel campo dei diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in Cina, Vietnam e Siria, e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si occupa di questioni riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del conflitto Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di relazioni e networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare con associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino del Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo, eletta come indipendente nelle liste del Prc e aderente al gruppo Gue-Ngl. Presiede la delegazione parlamentare per i rapporti con il consiglio legislativo palestinese, oltre ad essere membro titolare nella commissioni diritti della donna e pari opportunita' ed in quella per lo sviluppo e la cooperazione, membro della delegazione per le relazioni con il Sud Asia e membro sostituto della commissione industria, commercio esterno, ricerca ed energia. In Italia continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione per la pace"] "Bella figlia dell'amore, schiavo son dei vezzi tuoi", la parafrasi di Franz Liszt sul quartetto del Rigoletto di Giuseppe Verdi ha chiuso il concerto del pianista Daniel Barenboim a Ramallah, nella Palestina ancora militarmente occupata dall'esercito israeliano. La sala era traboccante di palestinesi accorsi non soltanto in virtu' di un generico amore per la musica, ma grazie all'evento rappresentato dalla performance volontaria di un pianista e direttore d'orchestra d'eccezione, argentino di nascita e cittadino israeliano per scelta. La storia della musica non accoglie tra le sue pagine il grande Barenboim solo per le sue capacita' interpretative ma per la sua inclinazione, piu' volte realizzata, a usare la musica come viatico per superare barriere e confini: "la musica - ha avuto occasione di dire - costruisce ponti", e lui appena puo' li attraversa. Cittadino del mondo, Barenboim ha cominciato a cinque anni a suonare il pianoforte, prima con la madre e poi sotto la direzione del padre. Aveva sette anni quando, a Buenos Aires, si esibi' nel suo primo concerto ufficiale. Il padre condusse il piccolo Daniel a Salisburgo dove ebbe modo di esibire le sue doti davanti a Wilhelm Furtwaengler, che a seguito di quell'incontro scrisse una lettera in cui parlava del "fenomeno" di undici anni che gli era capitato di ascoltare. Al pianoforte Barenboim affianco' la direzione d'orchestra, passando dalla English Chamber alla New Philharmonia, all'orchestra di Parigi, alla Chicago Symphony e ancora alla Deutsche Staatsoper di Berlino della quale e' stato nominato direttore a vita. Per anni, con la moglie Jacqueline Du Pre', morta dopo una lunghissima e tormentosa malattia, ha formato una coppia musicale celeberrima, che ha dato vita a diversi libri e persino a un film. Quello di sabato non e' stato il primo concerto a Ramallah: gia' nel '99 era venuto insieme allo storico della letteratura Edward Said, con il quale fin dal 1990 aveva stretto una relazione intensa, dopo l'incontro casuale nell'atrio di un hotel londinese: un incontro che diede vita a lunghe conversazioni, durante le quali argomentarono una visione concorde della questione palestinese-israeliana e gettarono le basi per una futura cooperazione. Allora, sia Edward Said che Barenboim tornavano in Palestina per la prima volta, e il musicista ebbe occasione di compiacersi "per i talenti musicali incontrati, per la conoscenza e l'amore riservati alla musica occidentale", considerazioni che ha ripetuto sabato, nell'intervallo del suo concerto. Insieme a Edward Said Barenboim fondo' il West-Eastern Divan Workshop, dove giovani talenti musicali tra i 14 e i 25 anni, provenienti sia da alcuni paesi arabi che da Israele, si incontrano a lavorano insieme in luogo neutrale: la prima volta fu a Weimar e poi a Siviglia. Quando Barenboim si esibi', nel '99, all'universita' di Birzeit, la seconda Intifada non era ancora cominciata, ma come racconta la composistrice palestinese Rima Tarazi, "la situazione era gia' molto tesa per l'ostinazione di Israele a costruire insediamenti. E la presenza di Barenboim di certo funziono' ad alimentare una ventata di emozione e di nuova speranza". Il concerto di sabato segna la quarta tappa delle peregrinazioni di Barenboim in Palestina, dopo divieti delle autorita' israeliane, superati i quali gli riusci' di ascoltare i giovani palestinesi del conservatorio diretto con coraggio da Suhail Khouri, compositore di musiche per bambini. In quell'occasione - ha raccontato in un intermezzo del concerto - si rinforzo' in lui la gratitudine per quel che gli veniva dai giovani musicisti che ascoltava; in particolare, gli rimase nelle orecchie la voce di una giovana donna che gli si avvicino' per chiedergli l'autografo, e gli disse la sua felicita' di vederlo la', davanti a lei: "e' la prima cosa che vedo di Israele che non siano soldati o carri armati". Criticato aspramente da molti israeliani per avere infranto l'interdetto che copriva la musica di Wagner, Barenboim ha risposto che nelle partiture del grande compositore tedesco non trova note antisemite, bensi' soltanto la genialita' di una nuova idea del tempo e dello spazio: "Se la sua musica e' stata usata male non per cio' deve soffrirne il suo valore, indipendentemente dal fatto che - com'e' noto - le conversazioni tra lui e la moglie Cosima contenessero giudizi negativi e parodie degli ebrei". Sebbene Barenboim non ami parlare nelle pause dei concerti, tuttavia sabato scorso ha detto di non potere fingere che questa fosse un'occasione come le altre: tutti i presenti erano consapevoli di quanto quel concerto trainasse con se' un significato che andava oltre i confini musicali: percio' - ha detto - "sebbene io non sia qui come un politico, tuttavia mi sembra necessario esprimermi per ricordare come gli ebrei, durante i secoli, pur non avendo avuto una capitale reale, tuttavia ne avevano conquistato una morale; ma anch'essa e' andata distrutta, grazie alla politica di oppressione e di occupazione militare del governo israeliano, a partire dal 1967". E, ancora, Barenboim ha ricordato come la musica sia "espressione della creativita' umana fatta non solo di suoni ma di una visione della vita, che necessita di opporre alla edificazione di blocchi e di muri la costruzione di ponti. A tutti coloro che vorrebbero separare i palestinesi dagli israreliani noi rispondiamo nel nome della musica, che e' armonia. Non ci sono soluzioni militari che tengano, ne' da un punto di vista morale, ne' strategico. Solo arrivando a capirlo si potra' mettere fine all'occupazione e dare inizio alla pace e a una coesistenza tra palestinesi e israeliani, sulla base di due popoli e due stati. Ma noi non possiamo aspettare gli accordi di pace, per questo sono qui oggi, per agire subito". La sala gremita ha applaudito a lungo, l'emozione era sui volti di tutti: Mustapha Barghouti, fondatore del movimento Mubadara, insieme a Tania Nasser, una soprano palestinese a lungo profuga e rientrata dopo gli accordi di Oslo, si sono scambiati i ringraziamenti con Barenboim. Emozionata anche Hanan Ashrawi, che ha commentato "l'umanita di Barenboim e il suo avere infranto molti tabu', come un grande regalo per i palestinesi e per l'umanita' intera". D'altronde, l'impegno di Barenboim a favore della Palestina non si interrompe qui: ha dichiarato, infatti, di volere lavorare per mettere insieme in cinque anni una orchestra per giovani palestinesi, lasciando intanto al Conservatorio di Ramallah un altro dono: il magnifico Steinway, d'ora in avanti stabilmente piazzato sul disadorno palco della Friends School, ancora segnata dall'incursione dell'esercito israeliano. "Non e' stato facile superare le barriere e fare arrivare il pianoforte a Ramallah, ma l'ingiustizia fa ancora roca la voce". 4. INIZIATIVE. ARRIGO QUATTROCCHI: DANIEL BARENBOIM A RAMALLAH [Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 agosto 2003. Arrigo Quattrocchi e' un noto e apprezzato musicologo] L'impegno civile di Daniel Barenboim viene da lontano, dalla storia stessa di questo musicista abituato a girare il mondo per suonare e far musica fin da quando era bambino. Ebreo di famiglia russa, nato in Argentina durante la seconda guerra mondiale - ha compiuto sessant'anni lo scorso novembre - si e' trasferito con la famiglia in Israele nel 1952, dove ha preso la cittadinanza, che tuttora conserva. A Buenos Aires, Barenboim conobbe molti musicisti fuggiti dalla dittatura nazista, come il violinista Adolf Busch, e piu' tardi a Salisburgo ebbe modo di incontrare il direttore Wilhelm Furtwaengler, la cui decisione di rimanere in Germania durante il Reich, in nome dell'autonomia della musica dalla politica, aveva dato origine a roventi polemiche. Proprio grazie alla lettera di presentazione di Furtwaengler si dischiusero a Barenboim molte porte. A differenza di tanti altri artisti di origine ebraica - come il violinista Isaac Stern, che rifiuto' sistematicamente di suonare in Germania dopo la guerra - Barenboim ha sempre attribuito alla sua attivita' musicale il significato di una comunicazione senza barriere, nel segno di un umanesimo nutrito di una cultura laica e cosmopolita. In Germania, dal 1964 e' regolarmente ospite dei Filarmonici di Berlino, prima come pianista e poi anche come direttore d'orchestra, e nel 1992 divento' "direttore musicale generale" del piu' prestigioso dei tre teatri d'opera berlinesi, la Staatsoper "Unter den Linden". Nessun dubbio pero' che in questa linea di riconciliazione l'evento principale sia la collaborazione con il Festival di Bayreuth, dove ha debuttato nel 1981 ed e' tornato quasi ogni anno. Negli anni Trenta, Bayreuth aveva trasformato la musica di Wagner in una macchina di propaganda del Reich, ma Barenboim si e' sempre saggiamente battuto per combattere ogni identificazione fra il teatro del musicista tedesco e il nazismo. Di qui anche la decisione di eseguire Wagner in Israele, dove lo si vorrebbe bandito per rispetto verso le vittime della Shoah. Nel 1981 il direttore indiano Zubin Mehta, grande amico di Barenboim, aveva appena dato avvio all'esecuzione del preludio di Tristano e Isotta, quando dovette interrompersi: un superstite era salito sul podio, aprendosi la camicia e mostrando le ferite ricevute nel campo di concentramento in cui era stato recluso. Lo stesso Barenboim fu costretto a cancellare l'esecuzione di una pagina della Walkiria per le proteste suscitate. Ma il 7 luglio del 2001 ruppe il tabu' Wagner a Gerusalemme, proponendo come bis di un concerto il preludio e morte d'Isotta dal Tristano; spiego' al pubblico, prima dell'esecuzione, i motivi della sua scelta, invitando chi non avesse gradito a uscire dalla sala: se ne andarono una trentina di persone su tremila. Gia' da qualche anno, comunque, Barenboim aveva affidato alla musica un messaggio politico; l'incontro con Edward Said - scrittore e docente presso la Columbia University - aveva dato origine a una stretta amicizia, e dunque a un seminario intitolato Divano occidentale-orientale, in omaggio a Goethe: un gruppo di giovani musicisti, fra i 14 e i 25 anni, provenienti da Egitto, Siria, Libano, Giordania, Tunisia e Israele, venne selezionato per creare una orchestra arabo-israeliana, riunita a Weimar nell'estate 1999 e 2000, poi a Chicago nel 2001 e a Siviglia nel 2002. Come docenti del seminario furono chiamati prestigiosi artisti internazionali, come il violoncellista Yo-Yo. Era ovvio, dunque, che Barenboim si proponesse di tornare in Cisgiordania: l'opposizione dell'esercito israeliano, nel marzo del 2002, lo costrinse a rinunciare, ma ci riusci' in settembre, con l'aiuto di una scorta diplomatica tedesca. Il ritorno a Ramallah, per suonare nella Friends School, e' particolarmente significativo e il programma scelto fra i piu' godibili: di Beethoven ha suonato la Patetica e insieme al figlio diciassettenne, Michael, ha eseguito musiche di Brahms oltre a un duetto con un pianista palestinese di 26 anni, Salim Abboud. La proposta fatta da Barenboim in occasione del concerto di sabato, ovvero la costituzione di una orchestra giovanile palestinese, e' un gesto di sapore inequivocabilmente politico, che ricorda quello di Toscanini, venuto nel 1936 in Palestina per fondare l'Orchestra Filarmonica d'Israele, composta di musicisti fuggiti dall'Europa nazista. 5. MAESTRI. EMMANUEL LEVINAS: RIVELAZIONE [Da Emmanuel Levinas, Trascendenza e intelligibilita', Marietti, Genova 1990, p. 36. Emmanuel Levinas e' nato a Kaunas in Lituania il 30 dicembre 1905 ovvero il 12 gennaio 1906 (per la nota discrasia tra i calendari giuliano e gregoriano). "La Bibbia ebraica fin dalla piu' giovane eta' in Lituania, Puskin e Tolstoj, la rivoluzione russa del '17 vissuta a undici anni in Ucraina. Dal 1923, l'Universita' di Strasburgo, in cui insegnavano allora Charles Blondel, Halbwachs, Pradines, Carteron e, piu' tardi, Gueroult. L'amicizia di Maurice Blanchot e, attraverso i maestri che erano stati adolescenti al tempo dell'affaire Dreyfus, la visione, abbagliante per un nuovo venuto, di un popolo che eguaglia l'umanita' e d'una nazione cui ci si puo' legare nello spirito e nel cuore tanto fortemente che per le radici. Soggiorno nel 1928-1929 a Friburgo e iniziazione alla fenomenologia gia' cominciata un anno prima con Jean Hering. Alla Sorbona, Leon Brunschvicg. L'avanguardia filosofica alle serate del sabato da Gabriel Marcel. L'affinamento intellettuale - e anti-intellettualistico - di Jean Wahl e la sua generosa amicizia ritrovata dopo una lunga prigionia in Germania; dal 1947 conferenze regolari al Collegio filosofico che Wahl aveva fondato e di cui era animatore. Direzione della centenaria Scuola Normale Israelita Orientale, luogo di formazione dei maestri di francese per le scuole dell'Alleanza Israelita Universale del Bacino Mediterraneo. Comunita' di vita quotidiana con il dottor Henri Nerson, frequentazione di M. Chouchani, maestro prestigioso - e impietoso - di esegesi e di Talmud. Conferenze annuali, dal 1957, sui testi talmudici, ai Colloqui degli intellettuali ebrei di Francia. Tesi di dottorato in lettere nel 1961. Docenza all'Universita' di Poitiers, poi dal 1967 all'Universita' di Parigi-Nanterre, e dal 1973 alla Sorbona. Questa disparato inventario e' una biografia. Essa e' dominata dal presentimento e dal ricordo dell'orrore nazista..." (Levinas, Signature, in Difficile liberte'). E' scomparso a Parigi il 25 dicembre 1995. Tra i massimi filosofi contemporanei, la sua riflessione etica particolarmente sul tema dell'altro e' di decisiva importanza. Opere di Emmanuel Levinas: segnaliamo in particolare En decouvrant l'existence avec Husserl et Heidegger (tr. it. Cortina); Totalite' et infini (tr. it. Jaca Book); Difficile liberte' (tr. it. parziale, La Scuola); Quatre lectures talmudiques (tr. it. Il Melangolo); Humanisme de l'autre homme; Autrement qu'etre ou au-dela' de l'essence (tr. it. Jaca Book); Noms propres (tr. it. Marietti); De Dieu qui vient a' l'idee (tr. it. Jaca Book); Ethique et infini (tr. it. Citta' Nuova); Transcendance et intelligibilite' (tr. it. Marietti); Entre-nous (tr. it. Jaca Book). Per una rapida introduzione e' adatta la conversazione con Philippe Nemo stampata col titolo Ethique et infini. Opere su Emmanuel Levinas: Per la bibliografia: Roger Burggraeve, Emmanuel Levinas. Une bibliographie premiere et secondaire (1929-1985), Peeters, Leuven 1986. Monografie: S. Petrosino, La verita' nomade, Jaca Book, Milano 1980; G. Mura, Emmanuel Levinas, ermeneutica e separazione, Citta' Nuova, Roma 1982; E. Baccarini, Levinas. Soggettivita' e infinito, Studium, Roma 1985; S. Malka, Leggere Levinas, Queriniana, Brescia 1986; Battista Borsato, L'alterita' come etica, Edb, Bologna 1995; Giovanni Ferretti, La filosofia di Levinas, Rosenberg & Sellier, Torino 1996; Gianluca De Gennaro, Emmanuel Levinas profeta della modernita', Edizioni Lavoro, Roma 2001; Francesca Salvarezza, Emmanuel Levinas, Bruno Mondadori, Milano 2003. Tra i saggi, ovviamente non si puo' non fare riferimento ai vari di Maurice Blanchot e di Jacques Derrida (di quest'ultimo cfr. il grande saggio su Levinas, Violence et metaphysique, in L'ecriture et la difference, Editions du Seuil, Parigi 1967). In francese cfr. anche Marie-Anne Lescourret, Emmanuel Levinas, Flammarion, 1994, 1996; Francois Poirie', Emmanuel Levinas, La manufacture, 1987, Babel - Actes Sud, Arles 1996] La Legge di Dio e' Rivelazione poiche' in essa si enuncia: "non uccidere". 6. MAESTRE. ETTY HILLESUM: UN ARDORE ELEMENTARE [Da Etty Hillesum, Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001, pp. 114-115; e' un passo di una lettera scritta dal campo di Westerbork a Maria Tuinzing il 7-8 agosto 1943. Etty Hillesum e' nata nel 1914 e deceduta ad Auschwitz nel 1943, il suo diario e le sue lettere costituiscono documenti di altissimo valore e in questi ultimi anni sempre di piu' la sua figura e la sua meditazione diventano oggetto di studio e punto di riferimento per la riflessione. Opere di Etty Hillesum: Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, 1996; Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001. Opere su Etty Hillesum: AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, fascicolo di "Alfazeta", n. 60, novembre-dicembre 1996, Parma. Piu' recentemente: Nadia Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori Editore, Milano 1999; Pascal Dreyer, Etty Hillesum. Una testimone del Novecento, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Sylvie Germain, Etty Hillesum. Una coscienza ispirata, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002; Maria Pia Mazziotti, Gerrit Van Oord (a cura di), Etty Hillesum. Diario 1941-1943. Un mondo "altro" e' possibile, Apeiron, Sant'Oreste (Rm) 2002 (catalogo della mostra svoltasi a Roma nel 2002)] ... ho dovuto ripetutamente constatare in me stessa che non esiste alcun nesso causale fra il comportamento delle persone e l'amore che si prova per loro. Questo amore del prossimo e' come un ardore elementare che alimenta la vita. 7. MEMORIA. BENITO D'IPPOLITO: FRANZ JAEGERSTAETTER, NEL SESSANTESIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE [Ricorrendo il 9 agosto il sessantesimo anniversario del martirio di Franz Jaegerstaetter, il nostro collaboratore Benito D'Ippolito ha scritto e ci ha messo a disposizione la seguente epigrafe. Franz Jaegerstaetter, contadino cattolico, condannato a morte ed ucciso il 9 agosto 1943 per essersi rifiutato di prestare servizio militare nell'esercito nazista. Opere su Franz Jaegerstaetter: Gordon Zahn, Il testimone solitario. Vita e morte di Franz Jaegerstaetter, Gribaudi, Torino 1968; Erna Putz, Franz Jaegerstaetter. Un contadino contro Hitler, Berti Piacenza, 2000; segnaliamo anche l'articolo di Enrico Peyretti riprodotto sul notiziario di ieri, articolo che segnalava anche i seguenti materiali: Alfons Riedl, Josef Schwabeneder (Hg), Franz Jaegerstaetter - Christlicher Glaube und politisches Gewissen [Fede cristiana e coscienza politica], Verlag Taur, 1997; videocassetta Franz Jaegerstaetter: un contadino contro Hitler, (27 minuti, in vhs) prodotta dall'Associazione Franz Jaegerstaetter, via Endrici 27, 38100 Trento (tel. 0461233777, oppure 810441); il capitolo Un nemico dello Stato (pp. 76-86), in Thomas Merton, Fede e violenza, prefazione di Ernesto Balducci, Morcelliana, Brescia 1965; una nota di Paolo Giuntella in "Adista", n. 11, 13 febbraio 1993, pp. 9-10] Molte sono le vie ed una sola e' l'arte del ben morire. Preferire essere ucciso piuttosto che uccidere. In faccia al potere assassino dire no. Amare la vita di tutti. Salvare per quanto e' in te l'umanita' intera. 8. RIFLESSIONE. IRIS MARION YOUNG: DELL'EUROPA E DEL MONDO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 agosto 2003. Iris Marion Young, docente all'universita' di Chicago, e' una delle piu' influenti filosofe femministe americane; tra le sue opere: Le politiche della differenza, Feltrinelli, Milano 1996). Juergen Habermas, sociologo e filosofo tedesco, nato nel 1929, e' attualmente tra i più influenti pensatori contemporanei. Opere di Juergen Habermas: nella sua enorme produzione segnaliamo almeno Conoscenza e interesse (1968, tr. it. Laterza); Teoria dell'agire comunicativo (1981, tr. it. Il Mulino); Etica del discorso (1983, tr. it. Laterza); Il discorso filosofico della modernita' (1984, tr. it. Laterza). Opere su Juergen Habermas: un'agile introduzione e' il volumetto di Walter Privitera, Il luogo della critica. Per leggere Habermas, Rubbettino, Soveria Mannelli 1996; la piu' recente monografia complessiva di taglio introduttivo e' quella di Stefano Petrucciani, Introduzione a Habermas, Laterza, Roma-Bari 2000 (che vivamente raccomandiamo). Jacques Derrida, nato a El Biar, in Algeria, nel 1930, e' uno dei piu' grandi filosofi francesi viventi. Tra le sue opere segnaliamo particolarmente: Della grammatologia, Jaca Book, Milano 1989; La scrittura e la differenza, Einaudi, Torino 1990; La voce e il fenomeno, Jaca Book, Milano 1984; La disseminazione, Jaca Book, Milano 1989; Posizioni, Bertani, Verona 1975; Il fattore della verita', Adelphi, Milano 1978] In un importante appello cofirmato da Jacques Derrida e apparso sulla "Frankfurter Allgemeine Zeitung" il 31 maggio 2003, Juergen Habermas invita gli stati e i cittadini europei a elaborare una politica estera comune per controbilanciare il potere egemonico degli Stati uniti. Gli europei dovrebbero elaborare un'identita' politica comune capace di resistere a tale potere egemonico: un'identita' che sia aperta a idee di democrazia cosmopolita. Sono grata a questi filosofi dotati di senso civico per il loro invito a una pubblica assunzione di responsabilita', in un momento storico in cui Usa e Regno Unito sembrano intenzionati a occupare l'Iraq a tempo indefinito e gli Usa minacciano altri stati. Apprezzo l'invito, rivolto all'Europa, ad essere piu' indipendente degli Stati Uniti nel valutare i suoi stessi interessi e gli interessi del mondo, e sono d'accordo che un atteggiamento unitario e diverso da parte dell'Europa potrebbe temperare l'arroganza della politica estera americana. Mi chiedo pero' quanto sia cosmopolita la posizione assunta nel documento. Dal punto di vista del resto del mondo, e in particolare degli stati e delle popolazioni del Sud del mondo, l'appello dei filosofi puo' sembrare piu' un ricentramento dell'Europa che non l'invocazione di una democrazia globale includente. Habermas inizia citando il 15 febbraio 2003 come una data storica. Essa potrebbe "passare alla storia come segno della nascita di una sfera pubblica europea". Quel giorno, egli osserva, milioni di persone hanno sfilato per opporsi alla guerra contro l'Iraq in tante citta' d'Europa tra cui Londra, Roma, Madrid, Barcellona, Berlino, Parigi. La simultaneita' coordinata di queste dimostrazioni, suggerisce Habermas, prefigura una sfera pubblica europea. Ma tale interpretazione distorce i fatti storici. In quello stesso week-end si sono tenute dimostrazioni di massa anche in tutti gli altri continenti: a Sidney, Tokyo, Seoul, Manila, Vancouver, Toronto, Citta' del Messico, Tegucigalpa, San Paolo, Lagos, Johannesburg, Nairobi, Tel Aviv, il Cairo, Istanbul, Varsavia, Mosca e in centinaia di altre citta', e molte anche in America. Secondo le persone con cui ho parlato, il coordinamento mondiale di queste dimostrazioni e' stato pianificato al terzo meeting del World Social Forum a Porto Alegre nel gennaio 2003. Il coordinamento a livello mondiale di queste dimostrazioni puo' cosi' segnalare l'emergere di una sfera pubblica globale, di cui l'Europa fa parte, ma il cui cuore potrebbe trovarsi nell'emisfero meridionale. L'appello dei filosofi suggerisce l'idea che in questo momento storico l'Europa debba promuovere in modo particolare la pace e la giustizia mediante il diritto internazionale, contro una politica Usa che ostenta tale internazionalismo. L'Europa deve essere una "locomotiva" in grado di trainare i cittadini del mondo nel loro viaggio verso la democrazia cosmopolita. Usando le istituzioni internazionali delle Nazioni Unite, i summit economici come le riunioni del G8, il Wto, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, gli stati chiave dell'Europa "dovrebbero esercitare la (loro) influenza nel delineare una democrazia globale ventura". Certamente l'Europa dovrebbe esercitare la sua influenza, specialmente contro gli sforzi degli Stati Uniti di bypassare o recidere i fili sottili che le politiche internazionali hanno intessuto negli ultimi cinquant'anni. L'immagine che ricavo da questo invito a usare i consessi pubblici dell'Onu, del Wto, del Fondo monetario internazionale e i summit economici evoca comunque incontri di stati industriali avanzati dell'emisfero settentrionale in contrasto l'uno con l'altro. In questa immagine, la gran parte della popolazione mondiale osserva i rivali di Nord America ed Europa discutere tra loro; qualche altro paese entra nella discussione temporaneamente, da una parte o dall'altra. Dal punto di vista della popolazione mondiale, cioe', il confronto tra Europa e Stati Uniti puo' apparire come una rivalita' tra fratelli. Se l'egemonia degli Stati Uniti fosse contrastata e se si resistesse ad essa, e bisognerebbe che cio' avvenisse, perche' non elencare sin dall'inizio gli sforzi delle popolazioni di Africa, Asia e America latina, oltre a quelli dell'Europa? Affinche' l'Europa possa compiere la sua missione globale come motore del treno cosmopolita, secondo Habermas gli europei devono elaborare un'identita' europea piu' forte, che trascenda il campanilismo dell'identita' nazionale. Molte delle istituzioni e molti dei valori che hanno avuto origine in Europa - come la cristianita', il capitalismo, la scienza, la democrazia, i diritti umani - egli dice, si sono sviluppati al di la' dell'Europa. Un'identita' europea per l'oggi puo' scaturire dal caratteristico modo riflessivo in cui le societa' europee hanno risposto ai problemi generati dalla modernita', dal nazionalismo, dall'espansione capitalistica. Con il welfare state gli europei hanno dato una risposta alle ineguaglianze generate dal capitalismo, e gli stati europei sono riusciti a mantenere i loro standard di welfare nonostante le forti pressioni economiche dovute alla globalizzazione. Gli europei inoltre, istituendo l'Unione Europea, hanno gia' cominciato a lasciarsi alle spalle i pericoli del nazionalismo. Questi successi possono e debbono servire da modelli per il mondo. Comunque, un'identita' europea non puo' esistere senza differenziarsi da altre. L'invito ad abbracciare un'identita' europea particolarista, allora, significa costruire una nuova distinzione tra insiders e outsiders. La principale preoccupazione di Habermas e' distinguere un'identita' europea rispetto a quella americana. "Per noi e' difficile immaginare un presidente che inizi la giornata pregando e associ le sue decisioni importanti a una missione divina". Altri, ad Est e a Sud, restano in ombra e si accalcano ai bordi di questo campo da gioco dove i piu' grandi si chiamano per nome. E che ne e' dell'altro, all'interno dell'Europa? L'identita' europea e' abbastanza ampia da includere i milioni di bambini di origini asiatiche e africane i cui genitori e i cui nonni migrarono nelle metropoli? Come molti americani, cosi' anche molti europei hanno reagito ai recenti conflitti globali prendendo le distanze da quelli che identificano come stranieri. Sicuramente invocare un'identita' europea riduce la tolleranza verso chi si trova in Europa e la solidarieta' con chi e' lontano. Qui temo che Habermas possa riproporre per l'Europa la logica dello stato-nazione, piuttosto che trascenderla. In The Invention of America, Enrique Dussel ripercorre la storia della modernita' in quanto basata sul progetto coloniale europeo. Avendo speso secoli a combattere i musulmani e a spingerli verso est, e avendo scoperto i tesori, la potenza e l'innovazione tecnica degli imperi nell'Estremo Oriente, l'Europa si trovava ai confini del mondo. L'immaginazione europea invento' l'America, sostiene Dussel, per potersi ricollocare al centro. L'appello dei filosofi non sembra forse un tentativo di ri-centrare l'Europa? L'Europa si frapporra' tra il potere degli Stati Uniti e gli interessi di un ordine globale includente, temperando il primo e offrendo leadership per il secondo. Sono d'accordo che l'egemonia degli Stati Uniti dovrebbe essere contrastata e si dovrebbe resistere ad essa; gli ultimi mesi hanno dimostrato che la popolazione e gli stati europei, uniti in questa resistenza, hanno il potenziale per portare piu' equilibrio al potere. Comunque l'Europa non puo' e non deve cimentarsi in un simile confronto per conto della popolazione mondiale, ma con essa. L'appello per una politica estera europea termina con un riferimento a una relazione tra i paesi europei e il Sud del mondo che ricorda il passato imperiale europeo. Cento anni fa le grandi nazioni europee vissero la "fioritura" del potere imperiale. Da allora il loro potere e' declinato e gli europei hanno conosciuto la "perdita" dell'impero. Questa esperienza di declino, dice Habermas, ha permesso agli europei di diventare riflessivi. "Essi potrebbero imparare dalla prospettiva degli sconfitti a percepire se stessi nel dubbio ruolo di vincitori che vengono chiamati a rispondere della violenza di un processo di modernizzazione forzoso e sradicante". In questa riflessione sento Habermas invitare il suo pubblico ad assumere idealmente la prospettiva di altri ex colonizzati e ad imparare a guardare all'Europa e agli europei da quella prospettiva. Certamente cimentarsi in un simile esercizio e' meglio che essere assorbiti da se', come lo sono gli Usa e molti americani. Ma non sarebbe meglio discutere veramente su basi paritarie con persone e stati del Sud e dell'Est, che potrebbero dire agli europei (e agli americani) cose che forse essi non hanno voglia di sentire sui loro pregiudizi e i loro doveri? Dov'e' la forma che l'Europa ha adottato per assumersi le sue responsabilita'? Riferirsi al colonialismo e all'imperialismo come un "processo di modernizzazione sradicante" fa apparire il colonialismo come uno sfortunato prodotto secondario dell'altrimenti universalistico e illuminato progetto con cui l'Europa intendeva radicare i principi dei diritti umani, del primat o della legge, e di una maggiore produttivita'. Il colonialismo non e' stato solo un processo di modernizzazione perverso, ma anche un sistema di schiavitu' e di sfruttamento del lavoro. Cosa dimostra che la popolazione europea e gli stati europei abbiano accolto l'invito a rispondere delle proprie azioni con gesti di contrizione e riparazione? Come americani, io e altri come me abbiamo il preciso dovere di resistere alle politiche unilaterali del governo Usa e di premere per un cambiamento positivo. I cittadini degli stati europei hanno le loro responsabilita' in relazione ai loro stati e alle politiche dell'Unione europea. Comunque, piuttosto che riposizionare l'Europa come giocatore mediano nella politica globale, il progetto progressista dovrebbe consistere, secondo le parole di Dipesh Chakabarty, nel provincializzare l'Europa (oltre che gli Usa). Per lavorare alle soluzioni dei problemi globali i popoli di tutto il globo, e specialmente di quelle zone i cui abitanti sono maggiormente esclusi e dominati dai processi capitalistici guidati dall'America e dall'Europa, dovrebbero relazionarsi tra loro in modo paritario e nel riconoscimento della particolarita' di ciascuno. Gli organismi su cui, secondo Habermas, l'Europa potrebbe esercitare la sua influenza contro l'attuale, pericolosa spinta unilateralista della politica estera statunitense tendono tutti a privilegiare il Nord del mondo e a dominare il Sud. La struttura del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite privilegia i cinque membri permanenti. Il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale danno piu' potere e influenza ai paese ricchi che a quelli poveri. Molti popoli dell'emisfero meridionale soffrono le conseguenze di un debito schiacciante e della coercizione micro-economica imposta da alcune di queste istituzioni internazionali, nel nome della responsabilita' fiscale e della stabilizzazione dei mercati valutari. Il progetto della democrazia cosmopolita non dovrebbe forse sollevare la questione della riforma o dell'abolizione di tali istituzioni? Le ineguaglianze globali non sono meramente un'eredita' del colonialismo, ma sono dovute anche a perduranti processi strutturali che giorno dopo giorno allargano il divario tra chi non ha nulla e chi vive in una privilegiata opulenza. Anche nel paese piu' povero ci sono i ricchi, e nei paesi ricchi ci sono i poveri, ma la maggior parte di coloro che possono contare su uno stile di vita basato sul benessere vivono in Nord America e in Europa. Senza dubbio i paesi europei riescono meglio degli Stati Uniti a correggere queste ineguaglianze, ma persino la generosita' dell'Europa a questo riguardo e' penosamente ridotta, e insieme a quella degli Stati Uniti dal 1990 ha cominciato a diminuire. I privilegi della ricchezza, l'ordine sociale, il comfort per i consumatori, le infrastrutture ben sviluppate, una forte capacita' di finanziare l'attivita' del governo, una cultura solidaristica, mettono gli stati e i cittadini europei nella posizione ideale per assumere la leadership del progetto di rafforzamento del diritto internazionale e della risoluzione pacifica dei conflitti, e per attivare meccanismi di redistribuzione globale. Certamente essi dovrebbero fare pressione sugli Stati Uniti e sui suoi cittadini, criticarli e incoraggiarli a unirsi al progetto. Comunque noi non avremo fatto alcun passo verso la democrazia cosmopolita fintantoche' gli altri popoli del mondo non potranno sedere a un tavolo in cui i potenti debbano rispondere ai poveri, un tavolo che consenta una influenza reale alle regioni meno ricche. Il week-end del 15 febbraio 2003 ha segnalato una sfera pubblica globale che esisteva gia' prima di allora e che dura tuttora. Molti partecipanti europei e nord-americani della societa' civile globale guardano agli attivisti del Brasile o del Kenya o dell'India o dello Sri Lanka per acume e leadership. Una politica estera europea democratica ascolterebbe attraverso un centro vuoto quelle ed altre voci del Sud del mondo in un cerchio di eguaglianza. 9. RIFLESSIONE. IDA DOMINIJANNI: IL COLONIALISMO CHE NON PASSA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 agosto 2003. Ida Dominijanni (per contatti: idomini at ilmanifesto.it), giornalista e saggista, e' una prestigiosa intellettuale femminista] Il 31 maggio scorso, durante la fase finale di stesura della bozza di Costituzione europea, Juergen Habermas si fece promotore di un'iniziativa di mobilitazione degli intellettuali e dell'opinione pubblica del vecchio continente attorno all'idea di Europa. Il filosofo tedesco scrisse (e Jacques Derrida cofirmo') per la "Frankfurter Allgemeine" un denso articolo sullo stato e sul futuro dell'Unione, e chiese a Umberto Eco, Gianni Vattimo, Fernando Savater, Adolf Muschg e Richard Rorty di fare altrettanto, lo stesso giorno, su altri quotidiani europei, si' da mostrare all'opera quell'idea di "sfera pubblica europea" che notoriamente Habermas considera la premessa necessaria della nascita dell'Europa istituzionale. L'iniziativa aveva un intento politico duplice e connesso: quello immediato di pronunciarsi a favore di una struttura comunitaria e autonoma, e non intergovernativa e subalterna agli Usa, dell'Unione; e quello strategico di rilanciare il dibattito sull'identita' europea, in rapporto alle sfide del mondo globale dopo le grandi cesure dell'89, dell'11 settembre e della guerra in Iraq. Con l'articolo che pubblichiamo oggi [e' l'articolo riprodotto qui sopra, ndr], la filosofa americana Iris Marion Young riparte da quell'iniziativa per interrogare Habermas sui punti salienti della sua proposta e in particolare su un nodo cruciale dell'intero dibattito europeista: quello della rivendicazione dell'identita' europea nel contesto di una globalizzazione che riconfigura il rapporto fra identita' e differenze, fra universalismo e appartenenze, fra democrazia cosmopolita e tentazioni egemoniche occidentali. E' un nodo delicato e ambivalente. Perche' per un verso la rivendicazione dell'identita' europea e del patrimonio storico, culturale e politico che la sorregge serve a Habermas e altri per delineare un'Europa in grado di fare da contrappeso all'egemonismo statunitense e alla deriva di autodistruzione dei valori occidentali che ne consegue. Ma per l'altro verso la rivendicazione identitaria puo' scivolare a sua volta nella ripetizione di una politica di potenza contrapposta negli obiettivi ma simile nella forma a quella americana; e non meno escludente di quest'ultima nei confronti di altre latitudini, altri interessi e altre culture del pianeta globale. In sostanza: una riedizione dell'eurocentrismo che diede i natali al colonialismo, fatta in nome della lotta alle pretese imperiali americane; un conflitto di potenza tutto interno all'Occidente, e tutto a spese dei paesi che reclamano una "democrazia globale" finalmente non subordinata alla centralita' occidentale, americana o europea che sia. Chi conosce il lavoro di Iris Marion Young non restera' stupito dalle sue argomentazioni. Docente all'universita' di Chicago, autrice nel '90 di un importante testo su Justice and the Politics of Difference (Le politiche della differenza, Feltrinelli '96), fautrice di una democrazia radicale imperniata sul riconoscimento delle differenze, Young e' una delle filosofe femministe americane che meglio ha sviluppato la critica della "reductio ad unum" immanente alla logica identitaria, e che in un ruvido confronto con Rawls ha piu' duramente criticato il paradigma redistributivo della giustizia, svelando le sotterranee complicita' fra le sue promesse di imparzialita' e la forma di razionalita' dell'imperialismo culturale americano e occidentale. Le sue preoccupazioni sui rischi di una riedizione dell'eurocentrismo suonano come un campanello d'allarme verso l'ottimismo talvolta troppo facile del discorso europeista. 10. I PENSIERINI DI PERSICONE: 4 NOVEMBRE [Persicone, chi non lo sa, e' il povero illuso di una commedia giovanile di Eduardo Scarpetta] Ho sempre trovato ripugnante che ogni anno il 4 novembre nel nostro paese a rendere omaggio alle persone uccise dalle guerre, cioe' dalle armi e dagli eserciti, si rechino, ipocriti e sprezzanti, comandi e truppe militari in armi. Il 4 novembre, se vuol essere momento di memoria per le vittime, deve essere altresi' momento di impegno per la pace, per il disarmo, per la completa smilitarizzazione. Che divenga il 4 novembre la celebrazione non delle forze armate ma dell'abolizione delle forze armate, solo allora sara' atto di reverente omaggio a tutte le vittime di tutte le guerre. 11. RILETTURE. VIRGINIA VACCA (A CURA DI): VITE E DETTI DI SANTI MUSULMANI Virginia Vacca (a cura di), Vite e detti di santi musulmani, Utet, Torino 1968, Tea, Milano 1988, pp. 416, lire 12.000. Un'ampia silloge della classica opera di Sha'rani di cinque secoli fa. 12. RILETTURE. MARTIN BUBER: I RACCONTI DEI CHASSIDIM Martin Buber, I racconti dei Chassidim, Longanesi, Milano 1962, 1978, Garzanti, Milano 1979, pp. XXII + 658. Una lettura per molti motivi indispensabile. 13. RILETTURE. HANS MAGNUS ENZENSBERGER: COLLOQUI CON MARX E ENGELS Hans Magnus Enzensberger, Colloqui con Marx e Engels, Einaudi, Torino 1977, pp. VIII + 598. Una raccolta di testimonianze sulle vite di Marx ed Engels, da leggere. 14. RILETTURE. ADRIENNE RICH: ESPLORANDO IL RELITTO Adrienne Rich, Esplorando il relitto, Savelli, Milano 1979, pp. 128. La straordinaria poesia esistenziale e politica della grande poetessa e saggista autrice di Nato di donna. 15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 16. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 638 del 10 agosto 2003
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