[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
LA PACEM IN TERRIS E IL POPOLO DELLA PACE
- Subject: LA PACEM IN TERRIS E IL POPOLO DELLA PACE
- From: "Missione Oggi" <missioneoggi at saveriani.bs.it> (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>)
- Date: Wed, 30 Jul 2003 16:48:04 +0200
Fonte: Missione Oggi agosto/settembre 2003 LA PACEM IN TERRIS E IL POPOLO DELLA PACE Potremmo dire che il popolo della pace, che ha percorso le strade di Firenze e le capitali di tutto il mondo, è il popolo della Pacem in terris di papa Giovanni. È singolare la sintonia tra le intuizioni di Roncalli, così come ci sono state consegnate dal suo ministero di vescovo di Roma e dal suo testamento spirituale che è la Pacem in terris, e le idee più forti e vigorose espresse dal movimento della pace. Potremmo coglierne tre: - la pace come valore assoluto; - il primato delle vittime; - la fine definitiva dell'equazione guerra-giustizia. Si è molto discusso in questi anni sul legame tra pace e giustizia. È noto il luogo comune di pace giusta, che riprende in una accezione sociologizzante e deviante il versetto di Isaia "opera della giustizia è la pace" (Is 32,17). In questo modo si è collocato la pace come effetto della giustizia, ma un attimo dopo si affermava che per realizzare la giustizia erano necessarie le armi e la guerra e dunque si tornava da capo: per fare la pace è necessaria la guerra. LA PACE COME VALORE ASSOLUTO Ogni volta che si è collocato un aggettivo accanto alla parola pace, è sempre stato per giustificare la guerra, mentre quando abbiamo messo degli aggettivi accanto alla parola guerra (giusta, chirurgica, umanitaria, uso proporzionato della forza), lo si è fatto per rendere credibile la guerra stessa, velandone ipocritamente la violenza senza fine. Roncalli coglie, al contrario, la pace come la questione assoluta, da cui dipende il futuro dell'umanità e il luogo della confessione della fede dalla parte della chiesa. Già nel radiomessaggio, il giorno dopo l'elezione, egli tocca la questione della pace. Rivolgendosi ai governanti dice: "Volgete lo sguardo ai popoli che vi sono affidati e ascoltate la loro voce. Che cosa vi chiedono, che cosa vi supplicano? Non chiedono quei mostruosi ordigni bellici, scoperti nel nostro tempo, che possono causare stragi fratricide e universale eccidio, ma la pace, quella pace in virtù della quale l'umana famiglia può liberamente vivere, fiorire, prosperare". Dunque il tema della pace è posto con assoluta nettezza e forza: i popoli chiedono innanzitutto e soprattutto la pace. È la voce dei popoli che la chiesa vuole assumere e fare sua. Nella prima enciclica, del 29 giugno 1959, Ad Petri cathedram egli insiste: "Se ci diciamo fratelli, se siamo chiamati ad una medesima sorte nella vita presente e nella vita futura, come è mai possibile che alcuni trattino gli altri da avversari e da nemici? Perché invidiare gli altri e rivolgere armi micidiali contro i fratelli? Abbastanza si è già combattuto tra gli uomini. Troppi giovani nel fiore dell'età hanno versato il loro sangue. Già troppi cimiteri di caduti esistono e ci ammoniscono con voce severa, a raggiungere una buona volta la concordia, l'unità, una giusta pace. Pensi quindi ognuno non a ciò che divide gli animi, ma a ciò che li può unire nella mutua comprensione". È in ordine al valore assoluto della pace che elabora il principio del cercare ciò che unisce rispetto a quello che divide: non per un irenismo di comodo, ma perché la pace è più importante di ogni altra cosa. Tra l'altro egli lega il concilio alla pace. Nel radiomessaggio dell'11 settembre 1962 dice: "Il concilio ecumenico sta per adunarsi a 17 anni dalla fine della seconda guerra mondiale. Per la prima volta nella storia i padri del concilio apparterranno in realtà a tutti i popoli e nazioni e ciascuno recherà contributi di intelligenza e di esperienza a guarire e a sanare le cicatrici dei due conflitti, che hanno profondamente mutato il volto di tutti i paesi". Dunque, il concilio come il contributo della chiesa a sanare e guarire le cicatrici delle due guerre. Nel Natale del 1962, dopo la drammatica crisi di Cuba, egli marca il primato della pace: "Della terra la ricchezza più preziosa è la pace. Non cantiamo, infatti: pax in terra hominibus bonae voluntatis. Fra tutti i beni della vita e della storia, delle famiglie e dei popoli, la pace è veramente il più importante e prezioso. La presenza, lo studium pacis, è la sicurezza della tranquillità del mondo. Ad essa però si congiunge come condizione la buona volontà di tutti e di ciascuno, perché ove questa manchi è vano sperare letizia e benedizione". Tutto questo viene espresso in modo sintetico nella Pacem in terris. Il 9 aprile 1963, nel firmarla, Roncalli dichiara: "Sulla fronte dell'enciclica batte la luce della divina rivelazione, che è la sostanza viva del pensiero. Ma le linee dottrinali scaturiscono altresì da esigenze intime della natura umana e rientrano per lo più nella sfera del diritto naturale. Ciò spiega un 'innovazione propria di questo documento, indirizzato non solo all' episcopato della chiesa e ai fedeli di tutto il mondo, ma anche a tutti gli uomini di buona volontà. La pace universale è un bene che interessa tutti, indistintamente; a tutti quindi abbiamo aperto l'animo nostro". Qualche giorno dopo, il 24 aprile il papa ritorna sull'argomento: "Abbiamo voluto indirizzare l'enciclica a tutti gli uomini, perché la pace è un bene che interessa tutti, senza distinzione. E proprio a questo fine, abbiamo dato alla Pacem in terris la data del giovedì santo, il giorno in cui il Redentore, sul punto di concludere la sua vita pubblica, confidò in testamento ai suoi discepoli quelle parole soavissime: vi lascio la pace, vi dò la mia pace. In quel giorno il Redentore fece brillare sul mondo la grande luce, che gli apostoli del Vangelo hanno poi diffuso su tutta la terra. Siate sempre degli itineranti della pace". IL PRIMATO DELLE VITTIME La pace è il valore assoluto perché esso contiene il diritto delle vittime e degli innocenti, il diritto dei popoli alla pace. Roncalli aveva intuito questo, quando nel corso del suo pontificato aveva abbandonato le secche della vecchia teologia della guerra, per condurre la chiesa a diventare voce degli innocenti, dei bambini, delle donne, degli anziani, di coloro che erano i primi obiettivi di un'azione militare che aveva la sua epifania nello scontro nucleare. Oggi tutto questo è diventato consapevolezza collettiva di molti ed è uno dei punti decisivi di quella nuova cultura della pace, che il movimento della pace ha prodotto in questi mesi. Sono le vittime che giudicano la terra, che rivelano l'inconsistenza di un certo pensiero formale, capace di far digerire un'azione militare con il gioco ipocrita degli aggettivi, per cui il principio umanitario è servito per coprire e rendere credibile all'opinione pubblica interventi che obbedivano a ben altre logiche e interessi. Le vittime impongono a tutti di misurarsi con il vero volto della guerra, piuttosto che nascondersi dietro un pensiero di comodo, che ha il limite radicale di velare la vera realtà della guerra. L'EQUAZIONE GUERRA-GIUSTIZIA Questa equazione ha funzionato per molti secoli. La guerra moderna l'ha spazzata via, anche se in questo tempo è stata utilizzata per dare un' immagine decente, prima alla guerra in Kosovo, poi alla guerra in Afghanistan e poi nell'ultima vicenda dell'Iraq. In realtà, come aveva intuito papa Giovanni nella Pacem in terris, questa equazione, con la guerra moderna, con la guerra cioè che punta al massacro deliberato dei civili, non regge più, proprio perché il pensiero della guerra giusta esclude e condanna in modo netto e irrevocabile la scelta di fare degli innocenti il vero obiettivo della guerra. Non ci sono più guerre giuste, ma solamente guerre che uccidono in larghissima misura i civili e in primo luogo i bambini. È impressionante che i fautori della guerra giusta non si misurino con questo problema semplice, che spazza via l'ipocrisia di un pensiero tutto ripiegato sulla sua coerenza formale, e per questo incapace di chinarsi sul dolore delle vittime. Oggi non c'è giustizia che possa giustificare la guerra, perché con la guerra ogni giustizia è distrutta. E il principio di giustizia non può essere usato come un idolo a cui sacrificare vittime innocenti. Non c'è alcuna giustizia che valga la vita di un bambino. LA SFIDA DEL PERDONO C'è oggi una grande sfida culturale che domanda un salto di qualità al movimento della pace: il movimento della pace gioca la sua identità e il suo futuro non tanto in termini di vittoria politica sul partito della guerra, quanto nella capacità di rendere concreta e politicamente praticabile una cultura della riconciliazione e del perdono. L'esperienza del Sudafrica di Mandela, con la Commissione verità e riconciliazione, ha mostrato che questo è possibile, anche in una situazione di totale drammaticità. Oggi siamo interpellati a elaborare una giustizia, come ha scritto Zagrebelsky, "orientata alla riconciliazione, alla reciproca accettazione, al riconoscimento l'uno dell'altro e dell'umanità delle persone, per farla riemergere, quando questa è umiliata dal crimine non solo patito, ma anche commesso. Una giustizia come generale disponibilità al perdono, in nome di qualcosa di più grande della vendetta, la concordia". Proprio la durezza di vicende come quelle dei Balcani, dell'Afghanistan, dell'Iraq fino ad arrivare alla tragedia israelo-palestinese, impone paradossalmente questo orizzonte e questa prospettiva. La parola debole e mite della riconciliazione e del perdono è resa drammaticamente urgente proprio da quella violenza e da quella guerra che prepara la catastrofe. Non si tratta di pii pensieri, ma di una sfida oltre la quale c'è l'abisso. Roncalli aveva intuito questo, quando il 10 maggio 1963, venti giorni prima della morte, ricevendo il premio Balzan, dice: "La pace è una casa, la casa di tutti. Essa è l'arco che unisce la terra al cielo. Ma per elevarsi così in alto essa ha bisogno di posarsi su quattro solidi pilastri. Infine per tutti l'ora della misericordia. Non l'ora della vendetta, della rivincita, delle rivalità sanguinose; non più l'ora di un nuovo ricorso alla forza, che l'umanità rifiuta, che la coscienza cristiana respinge con orrore. Obbedienza e pace: pace e Vangelo. Vangelo dell'obbedienza a Dio, del perdono e della misericordia. Ecco il programma che l'umile servo dei servi di Dio propone oggi a tutti gli uomini di buona volontà". Al di là dei fraintendimenti e delle omissioni, di cui siamo stati spettatori nei confronti della Pacem in terris, noi oggi comprendiamo meglio queste parole, che indicano il futuro di una nuova cultura di pace, senza la quale il tempo della guerra non avrà fine. Questo è il compito delle persone di buona volontà e di tutto il movimento della pace. MASSIMO TOSCHI
- Prev by Date: [REPORT] da baghdad - 30 luglio 2003 - manifestazione disoccupati
- Next by Date: Editoriale Missione Oggi - agosto/settembre 2003
- Previous by thread: [REPORT] da baghdad - 30 luglio 2003 - manifestazione disoccupati
- Next by thread: Editoriale Missione Oggi - agosto/settembre 2003
- Indice: