La nonviolenza e' in cammino. 626



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 626 del 29 luglio 2003

Sommario di questo numero:
1. Enrico Peyretti: il trionfo impudico della morte
2. Resoconto dell'incontro del Movimento Nonviolento del 29 giugno a Verona
3. Un campo estivo lillipuziano
4. Franca Ongaro Basaglia: a vent'anni dalla legge 180
5. Mariantonietta Saracino: Doris Lessing tra passato e futuro
6. Dal 12 al 21 settembre lungo il Danubio l'Europa s'incontra
7. "Concilium"
8. "Humanitas"
9. "Rivista di teologia morale"
10. "Segno"
11. Riletture: Ernst Bloch, Il principio speranza
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: IL TRIONFO IMPUDICO DELLA MORTE
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per
questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica
(ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua
fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica
delle lotte nonarmate  e nonviolente]
Molte opinioni sono state espresse sull'ammazzamento esibizionista e festoso
dei due figli di Saddam. Ma forse qualcosa resta da dire.
La guerra e' morte, usata, maneggiata, studiata, esibita, vantata, e'
aggiunta crudele e artificiale alla mortalita' umana. Nessuna possibile
oscenita' puo' peggiorare l'oscenita' della guerra. Chi ritiene la guerra
necessaria e giustificata dovrebbe rivestirla di pudore e vergogna, come le
necessita' corporali puzzolenti e disgustose. Esibire la macellazione
impudica del nemico pone al di sotto di ogni elementare senso umano. Il
potere mortale sull'altro e' ontologicamente impudico, pornografico. Un pene
eretto non lo vediamo sui quotidiani, ma e' cosa umana, di cui non si
vergognano civilta' dette primitive, non e' osceno come la canna di un
cannone, come un fucile puntato, che vediamo in continua abbondanza, e si
vedeva (e' cessata l'usanza?) persino in piazza san Pietro, in onore al
papa. Regna nei palazzi la pazzia nuda.
Comprare il nemico vivo o morto a suon di molto denaro e' trattare umani,
per quanto criminali, come animali da preda e da mercato. E' gia' male con
gli animali. Uccidere a freddo l'assassino rende assassini come lui e, se si
e' piu' armati di lui, peggiori di lui. Solo l'altezza umana e la grandezza
d'animo liberano dall'omicidio, altrimenti contagioso, prigione senza
uscita. Far morto il nemico o il delinquente quando potrebbe essere preso
vivo per processarlo valutando motivi e colpe sue, e magari nostre,
significa volere anzitutto il suo silenzio, perche' non riveli la nostra
probabile complicita'. Nel caso dell'Iraq, la complicita' dell'Occidente e
degli Stati Uniti e' cosa certa.
Il cadavere umano e' umano, qualunque sia stata la sua vita. Lo scempio e'
male sempre. Anche lo scempio fatto su Mussolini, il peggiore delinquente
della intera storia italiana, fu orrore ingiustificabile. Dobbiamo anche
mantenere almeno il dubbio che ucciderlo sia stata vera necessita',
piuttosto che arrestarlo e  processarlo.
Per Gian Battista Vico un indice di civilta' e' il rispetto per i morti,
nell'eta' degli uomini, "nella quale tutti si riconobbero essere uguali in
natura umana", superiore all'eta' degli eroi, quella dei signori e dei
servi. Il progresso diventa regresso quando gli uomini "impazzano in
istrapazzar di sostanze". Parlava delle statistiche attuali su quantita' e
distribuzione dei consumi tra i popoli.
Un tanto al giorno, gli iracheni ribelli all'occupazione uccidono ragazzi
americani, poveracci ignoranti andati per soldo a calpestargli la terra. Non
sanno far di meglio. Non hanno maestri migliori.
La guerra di occupazione si chiama liberazione. La guerriglia di liberazione
si chiama vile agguato. Ogni senso e' perduto.
La festa a Baghdad, gli spari in aria (32 morti come risultato), sono una
cosa levantina: possono avere il significato vantato o quello opposto, mi
dice un iracheno.
La festa alla Casa Bianca ha un solo significato: vantata barbarie da Far
West, stato di natura hobbesiano.
Dentro la guerra e' possibile ogni delitto aggiunto a delitto. Fuori dalla
guerra comincia ogni possibile riscatto.
Quando sara' preso Saddam, se non svanisce come Bin Laden, la festa barbara
sara' all'acme. Tout se tient. La guerra al terrorismo e' terrorismo.
L'impero e' dittatura sulle dittature. I poveri, i miti, i buoni, reggono
tutto sulle loro spalle, fragili e fortissime. Solo per questo il mondo non
crolla ancora.

2. INCONTRI. RESOCONTO DELL'INCONTRO DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO DEL 29 GIUGNO
A VERONA
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riportiamo la
sintesi dell'incontro del coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento
svoltosi il 29 giugno 2003 a Verona]
La definizione dell'iniziativa "In cammino per la nonviolenza", con la
camminata da Assisi a Gubbio del 4-5 settembre e, nei due giorni successivi,
il convegno a Gubbio "Al posto della guerra. Un'Europa disarmata" e la festa
al teatro romano, e' stato il tema portante della riunione di coordinamento
che si e' svolta a Verona, presso la Casa della nonviolenza, il 29 giugno
scorso.
Accanto all'attenzione per i dettagli organizzativi si e' ribadito l'impegno
ad esprimere la massima apertura verso quanti siano interessati al tema
della scelta nonviolenta, e questo sia in ambito locale (i gruppi eugubini e
umbri in generale) che nazionale (gruppi di base, associazioni, reti,
singoli impegnati).
La suddivisione di impegni e tematiche all'interno del coordinamento
nazionale ha reso possibile la partecipazione attiva del Movimento
Nonviolento a numerose iniziative nazionali nei mesi di maggio e giugno, e
un tempo adeguato all'interno dell'incontro e' stato dedicato alla
condivisione di esperienze e riflessioni. Ricordiamo l'assemblea nazionale
della Rete Lilliput (23-25 maggio), la giornata di boicottaggio delle
automobili (31 maggio), l'Arena di pace (primo giugno), il Forum nazionale
sui Corpi civili di pace (6-8 giugno) e, in prospettiva, Euromediterranea
(1-6 luglio), la manifestazione annuale organizzata a Bolzano dalla
Fondazione Langer che quest'anno affronta il tema "Pace e guerre".
La giornata di boicottaggio delle automobili e' sembrata a tutti
un'iniziativa da valorizzare e riproporre in futuro, anche per il legame che
sottolinea tra l'evidenza delle guerre e le loro cause strutturali, che
affondano le radici nelle scelte e nei comportamenti quotidiani di ognuno di
noi.
Rispetto alle bandiere della pace e della nonviolenza, al centro
dell'incontro del primo giugno all'Arena di Verona, e' stata condivisa la
sensazione di "sospensione" per una campagna cosi' popolare e ora difficile
da raccogliere. Probabilmente, si e' detto, non avrebbe senso risolvere in
una proposta unica l'adesione spontanea di tanti singoli.
Una prosecuzione possibile, un radicamento dell'impegno, e' suggerito dalla
campagna "Scelgo la nonviolenza", promossa da Movimento Nonviolento, Mir e
Rete di Lilliput. Il Movimento Nonviolento, grazie alla generosita' e
disponibilita' di Luciano Capitini, sta esprimendo un notevole impegno nella
sua diffusione. E se ancora le dichiarazioni di obiezione tardano ad
arrivare, forse anche per la complessita' della campagna, sono stati
moltissimi gli incontri nei quali decine e decine di gruppi si ritrovano per
parlare di nonviolenza.
Un modo per mantenere contatti successivi e far conoscere la proposta del
Movimento Nonviolento resta l'abbonamento ad "Azione nonviolenta", la
rivista che in questi quarant'anni ha rappresentato la voce del movimento.
E' stato presentato il network nascente "Addio alle armi", verso il quale il
Movimento Nonviolento ha un forte interesse, che potra' concretizzarsi nei
prossimi mesi, con una maggiore definizione della proposta di lavoro e in
base alle energie che e' possibile spendere.
Come si vede, il lavoro da svolgere e' molto e tanto di piu' potrebbe essere
fatto con maggiori energie e maggiore solidita' economica, sufficiente
almeno a garantire la presenza di una persona impegnata a tempo pieno per il
Movimento Nonviolento. In questo senso si ribadisce l'invito a singoli e
gruppi per finanziare, anche modestamente, l'attivita' nazionale.
Un primo aiuto potrebbe arrivare dal febbraio 2004 con il progetto di
servizio civile, che prevede 4 volontari per 25 ore settimanali. Ragazzi e
ragazze interessati possono trovare informazioni al riguardo sul sito
www.nonviolenti.org o scrivendo un'e-mail a azionenonviolenta at sis.it

3. INCONTRI. UN CAMPO ESTIVO LILLIPUZIANO
[Dal gruppo di lavoro su "nonviolenza e conflitti" della Rete di Lilliput
(per contatti: glt-nonviolenza at retelilliput.org) riceviamo e diffondiamo]
Il gruppo di lavoro su "nonviolenza e conflitti" della Rete di Lilliput, con
l'intento di contribuire a far si' che la nonviolenza, che e' dichiarata
essere al centro delle strategie di azione lillipuziana, diventi veramente
patrimonio condiviso dei singoli e associazioni che aderiscono alla Rete,
superando la semplice idea di "assenza di violenza", ma apprendendo le
potenzialita' e le implicazioni costruttive della metodologia, propone un
"campo di formazione" di una settimana immersa nel verde della Toscana per
far crescere la cultura della nonviolenza.
La metodologia sara' quella del training nonviolento, modalita' di
partecipazione attiva apprendendo dall'esperienza e dalla sua
rielaborazione. Il lavoro verra' distribuito in due sessioni quotidiane di 3
ore ciascuna, mattina e pomeriggio, per un totale di circa 42 ore. Le serate
saranno dedicate a momenti di convivialita', musica, danze, chiacchierate.
I temi trattati: violenza/nonviolenza (riflessione/approfondimento); chiavi
di lettura del conflitto (potere, assertivita', comunicazione, empatia,
interessi e bisogni, fiducia); l gruppo (io/noi, dinamiche, leadership) e la
facilitazione; gestione del conflitto micro (intra/interpersonale) e meso
(negoziato, mediazione); vivere la nonviolenza nel quotidiano; etodo del
consenso e modelli decisionali; l'azione diretta nonviolenta e il progetto
dei Gruppi di azione nonviolenta (elementi).
Il corso si rivolge a tutti i lillipuziani e non, che vogliano conoscere,
approfondire, sperimentare, scoprire, confrontarsi sulla nonviolenza, le sue
premesse, le sue forme espressione e le sue modalita'.
Non si tratta di formare dei nuovi formatori, ma di ragionare insieme su
come applicare concretamente questi temi, e quali strumenti ci possono
essere utili nel quotidiano. Inoltre vorremmo approfondire e
"familiarizzare" il metodo decisionale consensuale e la facilitazione,
strumenti utili ad applicare la nonviolenza anche nella gestione degli
incontri del nostro impegno sociale.
Le iscrizioni aperte fino al 5 agosto 2003; il luogo e' Montevaso
(www.montevaso.it), in Toscana, in una tenuta agroforestale; il costo e' di
220 euro: in questa quota sono compresi vitto e alloggio per partecipanti e
formatori i quali presteranno il loro lavoro in forma gratuita; il campo si
terra' dalla cena di sabato 23 agosto al pranzo di sabato 30.
Per richieste di iscrizioni e/o informazioni: e-mail: sper.anto at libero.it,
tel. 3474859042.

4. MAESTRE. FRANCA ONGARO BASAGLIA: A VENT'ANNI DALLA LEGGE 180
[Dal sito di "Psychiatry on line" (www.pol-it.org) riprendiamo questo
intervento di Franca Ongaro Basaglia scritto nel 1998 in occasione dei
vent'anni dalla legge 180 del 1978. Franca Ongaro Basaglia, intellettuale
italiana di straordinario impegno civile, insieme al marito Franco Basaglia
(1924-1980) e' stata, ed e' tuttora, tra i protagonisti del movimento di
psichiatria democratica. E' stata anche parlamentare. Opere di Franca Ongaro
Basaglia: tra i suoi libri segnaliamo particolarmente: Salute/malattia,
Einaudi, Torino 1982; Manicomio perche'?, Emme Edizioni, Milano 1982; Una
voce: riflessioni sulla donna, Il Saggiatore, Milano 1982; in collaborazione
con Franco Basaglia ha scritto La maggioranza deviante, Crimini di pace,
Morire di classe, tutti presso Einaudi; ha collaborato anche a L'istituzione
negata e Che cos'e' la psichiatria e a molti altri volumi collettivi. Ha
curato l'edizione degli Scritti di Franco Basaglia]
Nello scorso mese di maggio si e' celebrato il ventennale della legge 180.
Non si e' trattato di una celebrazione formale ma dell'occasione per un
ulteriore impegno di tutti nell'attuazione di cio' che, in questi vent'anni,
doveva essere fatto e in troppi luoghi non e' stato fatto.
Pur riconoscendo - anche nei suoi limiti di legge quadro - l'importanza
della "legge 180" quale punto forte nella conferma della necessita' e della
possibilita' di una psichiatria senza manicomio, siamo consapevoli delle
difficolta' vissute in questi anni da malati e famigliari, a causa della
totale assenza di governo della riforma. E' stato infatti approvato solo nel
1994 il progetto per la tutela della salute mentale che prevede gli
strumenti necessari alla realizzazione della riforma, controlli sulla
creazione dei servizi e sul reale superamento dei manicomi.
Non si e' trattato, dunque, di celebrare il ventennale di una riforma in
parte abortita, quanto di riconoscere che dopo quasi trent'anni hanno vinto
le esperienze pratiche che, da Trieste in poi, hanno continuato nel tempo a
dimostrare la possibilita' concreta di rispondere alla sofferenza mentale
senza ricorrere all'internamento, alla violenza implicita nella sua logica e
senza abbandono dei malati. La testimonianza di tali esperienze sempre piu'
numerose ha impedito che la "180" fosse cancellata, favorendo anche
l'orientamento della maggior parte delle associazioni dei famigliari dei
malati, verso la richiesta di servizi adeguati ai problemi, anziche'
prolungare le astratte discussioni - che si protraevano da piu' di quindici
anni - sulla modifica della legge. In tal senso possiamo dire di celebrare
una data molto importante perche' si e' resa esplicita ed ufficialmente
riconosciuta la validita' di queste realta', confermandone uno dei punti di
forza: il primato della pratica.
*
E' questo infatti il nodo problematico dal quale poter leggere il perche'
della sopravvivenza della lotta al manicomio, anche in tempi in cui si sono
chiusi sempre piu' gli spazi di espressione sia del soggetto individuale che
di quello collettivo.
Primato di una pratica intesa non solo come mero fare, ma come produttrice
di altre realta' e di altra cultura, quando ci si trovi ad agire
contemporaneamente sulla struttura materiale dell'istituzione, sul
pregiudizio sociale rispetto al malato mentale, sul pregiudizio scientifico
rispetto alla malattia. Non si e' dunque trattato di un semplice cambio di
teoria interpretativa, rimpiazzabile con una nuova ideologia di ricambio che
facilmente lascia inalterata la situazione di base, ma della demolizione
pratica di una cultura, possibile solo se contemporaneamente costruisci
altro: altro sostegno, altro supporto, altro concetto di salute e di
malattia, di normalita' e di follia. Possibile, cioe', se insieme allo
smantellamento dei vecchi ospedali, non ci si e' limitati ad organizzare
semplici servizi ambulatoriali, ma si e' creata, per i vecchi e i nuovi
malati, la possibilita' di vivere e condividere in modo diverso la propria
sofferenza, vista come il prodotto di un insieme di fattori e non solo come
segno di pericolosita' sociale da reprimere. A questa sofferenza, che
risulta piu' complessa e insieme piu' semplice, occorre cioe' rispondere con
strutture e servizi che, oltre a garantire cura e assistenza, siano insieme
luoghi di vita, di stimolo, di confronto, di opportunita', di rapporti
interpersonali e collettivi diversi, puntando ad un cambio di cultura e di
politica prima sociali che sanitarie.
Si tratta, tuttavia, di una conquista culturale e sociale che, come ben
sappiamo, non si impone per legge. La cultura della popolazione, degli
utenti reali e potenziali dei servizi, cosi' come delle loro famiglie, puo'
mutare solo se la qualita' delle risposte e' capace di produrre, insieme,
cura assistenza qualita' di rapporti e progetti di vita tali da modificare
anche la qualita' delle domande individuali e sociali. Tali, quindi, da
promuovere una diversa normalita'.
*
Potremmo incominciare a dire che cio' che e' avvenuto nelle prime esperienze
fin dall'inizio degli anni '60, a Gorizia e successivamente a Trieste, e che
sara' poi fondamento della legge 180, e' stato essenzialmente lo spostamento
della responsabilita' professionale e istituzionale dalla tutela della
societa' dalla presunta o reale pericolosita' della malattia, alla tutela
del malato nella societa'. Questo spostamento richiedeva e richiede tuttora
un dovere professionale qualitativamente e quantitativamente diverso nei
confronti della persona sofferente, un diverso ruolo di responsabilita' che
si sostituisce al ruolo di potere, di forza, di dominio, di manipolazione
tradizionalmente implicito nell'esercizio delle discipline deputate a tali
problemi.
Non sempre questa assunzione di responsabilita' si e' verificata. Ma dove
c'e' stata la presa in carico complessiva della persona sofferente, c'e'
stato il mutamento culturale che ha prodotto altra realta', altro tipo di
cura, di sostegno, di assistenza. Quindi un altro tipo di tutela che non si
appropria piu' dei corpi ma che ne stimola l'autonomia e la
responsabilizzazione.
Parlo, dunque, di servizi aperti 24 ore su 24, tutti i giorni della
settimana, diversificati sulla base dei bisogni; servizi che non abbiano un
carattere strettamente ospedaliero dato che, superato il momento della
crisi, raramente un disturbato psichico ha bisogno di un letto d'ospedale,
visto che l'organizzazione ospedaliera agisce sempre in funzione della
malattia e non di progetti di vita.
Il punto di partenza e' stato comunque duplice: da un lato l'indignazione
provocata dalle condizioni disumane in cui erano trattati gli internati nei
manicomi (accettare quella situazione significava esserne complici);
dall'altro la necessita', se si voleva incominciare a capire i bisogni reali
delle persone, di accettare il conflitto che ogni soggetto produce, senza
difendersi dietro schemi interpretativi diventati ormai dogmi.
*
Si e' trattato e si tratta di un processo di liberazione contemporaneo per
il malato e per l'operatore.
Il primo nell'uscire dalla prigionia della irrecuperabilita' della malattia
data per scontata, dalla violenza dell'istituzione, nella conquista di
diritti perduti o mai avuti; il secondo, nell'uscire dalla prigione del
pregiudizio scientifico, riconoscendo la necessita' di una ricomposizione di
tutti gli elementi (biologici, psicologici e sociali) presenti non tanto
nella malattia di cui l'operatore continua a riconoscere solo i sintomi,
quanto nel malato, cioe' nella persona che si pretende di curare.
Ricomposizione, dunque, di bisogni negati anche dalla parcellizzazione delle
discipline. Accettando il rischio della liberta' del malato e assumendosene
la responsabilita' attraverso il sostegno del gruppo, diventa allora
possibile reggere la sofferenza, accettarne ogni espressione, per spostare
il conflitto ad un livello diverso. Conflitto di potere e di interesse fra
l'istituzione e l'assistito, fra il medico e il paziente, ma anche fra il
paziente e la famiglia, fra l'adulto e il giovane, il docente e lo scolaro,
l'uomo e la donna, l'individuo e la societa'. Se il conflitto scompare o e'
appiattito e' sempre il piu' debole a soccombere.
*
Il processo necessario a questa trasformazione culturale non e' dunque
semplice e richiede una formazione degli operatori che tenga conto di tutti
gli elementi emersi nelle pratiche di questi anni. Una formazione capace di
misurarsi e confrontarsi con questa complessita', riconoscendo che se il
manicomio ha risposto ad un'esigenza della societa' nell'espellere gli
elementi di disturbo (i piu' deboli, i piu' svantaggiati, i piu' poveri
perche' solo questi erano internati), la psichiatria l'ha avallata e
confermata scientificamente. E' dunque con questo fallimento che deve
misurare i propri paradigmi, mentre nella formazione degli psichiatri e
degli psicologi - salvo rarissime eccezioni - non c'e' finora traccia di
quanto e' avvenuto nel settore in questi trent'anni ed il silenzio si fa
sempre piu' paradossale.
Da parte nostra, intendo da parte di chi ha creduto e operato secondo questa
linea, si puo' dire che a vent'anni di distanza dalla riforma, la cultura va
mutando soprattutto nelle esperienze che sono passate attraverso il
superamento del manicomio: il che significa dove si e' vissuta la passione
civile, etica e politica del cambiamento e la convinzione forte della
disumanita' e inutilita' dell'internamento, di fronte alla trasformazione di
persone in precedenza annientate da una logica di controllo sostenuta solo
dalla forza e dalla sopraffazione. Restano, certo, sofferenza, disagi,
inadeguatezze (non e' stata mai negata questa sofferenza), ma con un aspetto
umano che ponendo altre domande, richiede altre risposte e ricevendo altre
risposte pone altre domande.
*
Chi non conosce direttamente il potere di trasformazione della liberazione
che vale tanto per il malato quanto per l'operatore, penso difficilmente
possa rompere la logica in cui e' stato formato e la funzione che per
tradizione gli compete. Per questo e' utile continuare a parlare di
manicomio, non solo perche' di fatto ancora esiste, ma anche perche' non ci
sono sufficienti strumenti culturali e sociali per non ricostruirlo.
L'operazione di smantellamento di mura reali e metaforiche, di grate e di
rigide codificazioni ha infatti richiesto il rispetto dei diritti della
persona, sana o malata, e un confronto della propria disciplina con questi
diritti: il che a sua volta esige la capacita' di reggere il conflitto che
questo confronto produce, senza cancellarlo. Nell'accettazione dell'altro e
nel conflitto che ne deriva c'e' sempre il rischio di una perdita di se'
quando il ruolo non ti difende, non ti ripara. Ma e' questa uscita dal ruolo
pur giocandolo che consente di passare ad un livello piu' alto, piu'
comprensibile, piu' condivisibile per entrambi i poli dell'incontro: che
consente dunque di passare da una domanda all'apertura di un'altra domanda
qualitativamente diversa.
Per queste ragioni, ora che il superamento del manicomio e' dato per
accettato anche se non concretamente ovunque attuato, in un momento in cui
disoccupazione, impoverimento materiale e culturale di fasce sempre piu'
vaste di popolazione possono alimentare nuove forme di disagio e di
sofferenza, quindi di esclusione ed emarginazione, si fa piu' acuta la
necessita' di riprendere alcuni elementi problematici delle prime
esperienze, di riprendere a domandarci se il rapporto fra discipline,
individui e collettivi non richieda una messa in discussione piu' profonda
di queste discipline, in nome della necessita' di una formazione degli
operatori piu' adeguata ad una realta' che ormai corre su altri binari.

5. PROFILI. MARIANTONIETTA SARACINO: DORIS LESSING TRA PASSATO E FUTURO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 maggio 2003. L'occasione dell'articolo
(titolo originale: L'altro sguardo di Doris Lessing) era il festival
internazionale delle letterature alla Basilica di Massenzio a Roma che
sarebbe stato inaugurato quella sera da Doris Lessing. Mariantonietta
Saracino, docente all'Universita' La Sapienza di Roma, ha tradotto alcuni
libri di Doris Lessing, della cui opera e' profonda conoscitrice. Doris
Lessing, come e' noto, e' una delle piu' grandi scrittrici contemporanee]
Per un Festival delle letterature che si intitola "Past into Future" - dal
passato al futuro - appare singolarmente appropriato che a inaugurarne
l'apertura siano le parole di Doris Lessing, classe 1919, considerata suo
malgrado - avendo al contrario la scrittrice, nella sua lunga esistenza,
prediletto atteggiamenti forti e trasgressivi - "la signora della
letteratura inglese"; e suo malgrado divenuta autrice di culto, icona di un
rigore intellettuale perseguito con tenacia e intransigenza.
Scrittrice da sempre al centro di una  popolarita' che rasenta la devozione,
da lei peraltro mai incoraggiata e alla quale reagisce con malcelato
fastidio, Doris Lessing e' brusca con chi cerca di intervistarla, per nulla
tentata dalla socialita' o dalla promozione di se', risentita con chi si
arroga il diritto di raccontare eventi della sua vita privata.
Da anni vive nella scrittura e per la scrittura, ai lettori chiedendo che a
questa, e a questa sola, si pongano domande, e non a lei come persona. E
cosi' quando, alcuni anni addietro, si rese conto che a dispetto del gran
numero di romanzi, saggi e racconti, scritti in decenni di inesausta
produttivita', attorno alla sua figura fiorivano biografie non autorizzate,
si arrabbio'. Con un repentino cambiamento di rotta, dichiaro' che lei
soltanto aveva il diritto di scrivere di se', e spiazzando tutti comincio' a
farlo, spudoratamente consegnando a due corposi volumi autobiografici ogni
piu' piccolo dettaglio di una esistenza: per narrare la quale partiva da
lontano, da circa due secoli prima della sua stessa venuta al mondo. Perche'
non c'e' presente, ne' speranza di futuro - Lessing caparbiamente ripete -
che non affondino saldamente le radici nel passato.
Non c'e' evento attuale che da una riflessione sul passato si illuda di
poter prescindere. Il presente, l'oggi, altro non e' che l'attimo tra un
passato del quale l'umanita' non riesce o non vuole raccogliere la lezione,
e un futuro, anche prossimo, per narrare il quale, tuttavia, il solo
linguaggio utilizzabile appare quello della fantascienza. Di questo
fuggevole presente, momento per momento, da oltre mezzo secolo Doris Lessing
racconta le contraddizioni, i linguaggi del conflitto.
E poiche' i meccanismi che tali linguaggi attivano, perversamente
ripropongono se stessi, ecco Lessing negli anni, con sfiducia crescente
nella capacita' degli uomini di creare armonia intorno a loro, fissare la
salda presa di narratrice su alcuni nodi tematici forti: colonialismo,
nascita e morte delle ideologie, contraddizioni e paure della condizione
femminile, terrorismo, rifiuto della diversita'; e poi la guerra, la
stupidita' della guerra e dell'inesausto bisogno degli umani di uccidere:
questo si', tema trasversale, che quasi ovunque si rintraccia, a apertura di
libro.
*
Doris Lessing e', singolarmente, anche uno dei pochi scrittori contemporanei
a tornare - fin dai romanzi d'esordio - sul grande rimosso del secolo che si
e' appena chiuso, la cosiddetta Grande Guerra, vero spartiacque di un'epoca
e di un modo di concepire il conflitto: quello nel quale l'individuo
esisteva, il nemico lo si guardava in faccia, e l'orrore che si vedeva
riflesso nel suo sguardo poteva risultare insostenibile, troppo forte,
troppo grande, per non consentire lo spazio del dubbio; o viceversa, perche'
l'umanita' non si adoperasse a escogitare modalita' di distruzione umana
nelle quali l'altro, il nemico, si potesse annientare senza doverlo vedere.
Perche' lo si potesse distruggere con facilita' proprio per il fatto di non
doverlo guardare negli occhi.
Della inutilita', e al tempo stesso apparente ineluttabilita' del conflitto,
Lessing porta le tracce nella memoria dell'infanzia, nel fallimento della
vita del padre, invalido della grande guerra, e per questo costretto
all'espatrio, in Africa australe; nello sguardo avvilito della madre che con
la guerra aveva seppellito ogni speranza di felicita' e realizzazione
individuale.
"Nascere nel 1919, anno in cui mezza Europa era un cimitero e la gente
moriva a milioni, e' stato importante. E come poteva essere altrimenti?",
scrive, alla soglia degli ottant'anni, in Sotto la pelle, primo volume della
sua autobiografia, che tradussi nel 1997 per Feltrinelli. "Quella guerra -
scriveva - la prima guerra mondiale e' stata una mattanza. Vite non vissute.
Figli non nati. Con quanto impegno abbiamo tutti dimenticato il danno che
quella guerra ha causato all'Europa, anche se ancora ne subiamo le
conseguenze (...) La guerra civile americana, mezzo secolo prima, aveva
dimostrato che genere di carneficina fossero in grado di fare le armi di
recente invenzione, ma da quella guerra non avevamo imparato niente (...) Se
siamo una razza incapace di imparare, che cosa ne sara' di noi? Con gente
stupida come noi, che cosa possiamo sperare che succeda? (...) Siamo tutti
un prodotto della guerra, deformati e distorti, eppure sembra che ce ne
dimentichiamo".
Ancora, il rifiuto della guerra torna nelle pagine del Sogno piu' dolce, un
intenso romanzo del 2001 (Feltrinelli, traduzione di Monica Pareschi) tutto
incentrato sul tema della perdita delle illusioni, in gran parte politiche.
Alla protagonista, infatti, Lessing mette in bocca queste parole: "Non e'
possibile passare attraverso due orribili guerre e poi dire: E' finita,
adesso si torna alla normalita'. Si sono accartocciati, i nostri figli, sono
figli della guerra". Figli della guerra proprio come lo e' lei, che
ironicamente ripete che e' la guerra ad averla fatta nascere, e ad averle
dato quel bisogno smodato e scalpitante di fuggire, una avversione nervosa
verso il luogo nel quale si trovava fino a un attimo prima, la sensazione di
essere sempre sull'orlo di un baratro, unita alla irresistibile tentazione
di guardarci dentro, e raccontarne. E di abissi sui quali affacciarsi, la
vita gliene ha offerti numerosi, reali e metaforici. Tempi e luoghi
raggiunti dai tentacoli della Storia: dalla emigrazione britannica in
Rhodesia, negli anni Venti, alla nascita dell'apartheid, dalla Grande
Depressione ai movimenti di liberazione, all'Europa del secondo dopoguerra.
E gli abissi della mente, piu' attraenti degli altri.
*
Anni addietro, in un precedente viaggio a Roma, in occasione della
pubblicazione del Diario di Jane Somers (Feltrinelli, traduzione di Franca
Castellenghi Piazza), davanti a una affollata platea di studenti
dell'universita' La Sapienza, racconto' di essere stata a lungo tentata
dalla follia, e di avere "cercato di entrarci dentro" - servendosi di
allucinogeni come la mescalina, e del digiuno, chiudendosi a lungo in una
stanza buia oppure forzandosi per giorni a non dormire - convinta che uno
stato di alterazione mentale, indotto dal puro desiderio di farne
esperienza, potesse essere attivato e controllato. Che la follia si potesse
costruire a tavolino e che si potesse entrarci dentro e poi uscirne.
Esperienza da non ripetere, raccontava, perche' della follia ci si puo'
innamorare.
Della follia degli uomini - ha sempre detto Doris Lessing - si puo', anzi si
deve parlare, perche' lo scrittore e' innanzitutto testimone del suo tempo.
E sul filo sottile della testimonianza, si muove, in un discorso che corre
parallelo a quello narrativo, la penna della Lessing saggista. Che del
conflitto si fa testimone oculare. Nel 1957 torna in quella Rhodesia dalla
quale era uscita nel 1949 portando sotto braccio il manoscritto dell'Erba
canta (da me tradotto per La Tartaruga nel 1987), e ne emerge con un volume
di saggi, Going Home, che le procura l'espulsione, come indesiderata, da
parte del governo razzista di Ian Smith. Per potere tornare nel paese della
sua giovinezza, quello nel quale erano rimasti a vivere due dei suoi tre
figli, avrebbe dovuto aspettare l'indipendenza, nell'81, con la presa del
potere di Robert Mugabe.
*
Nel 1987, Doris Lessing e' in Afghanistan e poi in Pakistan, al seguito di
una organizzazione internazionale che porta aiuti umanitari alle vittime
della guerra. Vuole capire. Intervista combattenti e mujaidin, visita i
campi dei rifugiati e racconta di un paese un tempo bellissimo ridotto a un
deserto, nel quale la gente e' costretta dalla follia degli uomini a vivere
come all'eta' della pietra. Ne parla in un volume dal titolo The Wind Blows
Away Our Words (Il vento soffia via le nostre parole), non tradotto in
italiano. Sottotitolo: testimonianze della resistenza afgana. Un popolo
dimenticato - scrive Lessing con intuizione quasi profetica - del quale non
si parla piu': una popolazione vittima di uno dei tanti voltafaccia della
Storia. Come fa l'Occidente a non accorgersene? E di questo Occidente nel
quale "la gente puo' vivere una vita intera senza mai mettere in discussione
una immagine di autocompiacimento, e di conseguenza finisce per essere
esposta a ogni forma di pressione al conformismo e all'omologazione", lei si
fa critica severa quanto inascoltata. Forte di uno strumento infallibile,
che e' la letteratura. "Gli scrittori parlano della condizione umana, ne
parlano in continuazione. E' questo il nostro campo. La letteratura e' uno
dei modi migliori che abbiamo per assumere quell'altro sguardo", quel modo
distaccato di vederci; un altro modo e' la storia, scrive in un piccolo
libro del 1986, Prisons We Choose to Live Inside, apparso in italiano nel
1998 presso Minum Fax, nella traduzione di Maria Baiocchi, con il titolo Le
prigioni che abbiamo dentro. Cinque lezioni sulla liberta', e ingiustamente
passato sotto silenzio. Perche' queste cinque conferenze, che Lessing tiene
all'Universita' di Toronto, sono una sorta di declaratoria sulla condizione
umana vista attraverso la lente che la letteratura e la sua ricca esperienza
di vita le mettono a disposizione, anche se a tratti il suo discorso assume
i toni accesi dell'insofferenza.
"E' spaventoso vivere in un'epoca come la nostra in cui e' difficile pensare
all'essere umano come a una creatura raziocinante" - scrive. "Dovunque ci
volgiamo vediamo brutalita', stupidita', tanto che sembra non ci sia altro
che questo... ma e' proprio perche' le cose sono cosi' spaventose che ne
restiamo ipnotizzati, e non registriamo, o se registriamo, minimizziamo, le
forze altrettanto potenti che muovono nella direzione opposta, cioe' in
quella della ragione, della saggezza e della civilta'".
*
Non stupisce che la capacita' visionaria che da sempre accompagna la
riflessione di Doris Lessing, a un certo momento del suo percorso imbocchi i
sentieri della fantascienza, intesa come utopia, nella tradizione di Morris
e di Butler, o incroci i sentieri del misticismo, nel suo caso quelli del
sufismo di Idris Shah, dal quale sarebbero scaturiti corposi romanzi di
science fiction; oppure opere che attingono a generi diversi: autobiografia,
realismo e fantastico, come e' nel caso di Memorie di una sopravvissuta, del
1974, che l'editore Fanucci pubblica oggi, nella traduzione di Cristiana
Mennella e con una postfazione di Oriana Palusci. Un testo narrativo nel
quale passato e presente trasmutano l'uno nell'altro senza apparente
soluzione di continuita', tenuti insieme dallo sguardo di un'io narrante,
femminile, cui spetta la memoria lontana e la capacita' di vedere oltre le
cose e le persone, oltre gli oggetti materiali e le pareti che la
circondano. Un io narrante che a tratti ha la voce di Doris bambina, gia'
incontrata nelle autobiografie e in vari altri romanzi: una voce che grida
tutto il suo furore nei confronti della condizione di impotenza
dell'infanzia, la sua infanzia, che torna a chiedere di essere ascoltata:
"Qui vigeva la tirannia delle cose senza importanza e senza ragione.
Claustrofobia, mancanza d'aria, l'asfissia del pensiero, delle aspirazioni.
E tutto all'infinito, perche' quella era l'infanzia...".
E si comprende come all'origine di una produzione narrativa tra le piu'
ricche della letteratura inglese ci sia il continuo bisogno di acquietare
quei ricordi lontani, intensi e terribili. Ricordi di un mondo che non e'
mai a misura di bambino, nel quale la realta' esterna viene vissuta come
gigantesca e implacabile. E' li', in quello spazio del ricordo, che nascono
la ribellione, l'ostilita', il bisogno di muoversi, di andare. E la
capacita' di giudicare il mondo.
*
Questa sera a Massenzio, a inaugurare una serie di testimonianze letterarie
sul binomio passato/futuro, Doris Lessing promette che leggera' un estratto
dal romanzo Mara and Dann, del 1999, che l'editore Fanucci pubblichera' nei
prossimi mesi, nella traduzione di Cristiana Mennella; e poi una breve ma
intensa "Dichiarazione sullo stato del mondo", una sorta di lettera aperta
all'Occidente, ossia a quella parte del mondo che non vuole capire, ne'
vedere, un mondo che sembra andare a ritroso verso la barbarie. E per
raccontare il quale, forse, tra breve non bastera' nemmeno piu' il
linguaggio della fantascienza. Forse ci vorra' il silenzio, o il grido
strozzato dell'Urlo di Munch. Altri alfabeti, per dar voce ai quali Doris
Lessing, in barba ai suoi quasi ottantaquattro anni, si direbbe si stia gia'
attrezzando.

6. INCONTRI. DAL 12 AL 21 SETTEMBRE LUNGO IL DANUBIO L'EUROPA S'INCONTRA
[Ringraziamo Michele Nardelli (per contatti: sol.tn at tin.it) per averci
inviato il programma (di cui riportiamo una parte) dell'iniziativa promossa
dall'Osservatorio sui Balcani che dal 12 al 21 settembre unira' Vienna a
Belgrado, lungo il Danubio, e che da' seguito all'appello "L'Europa oltre i
confini" presentato lo scorso anno a Sarajevo. Al viaggio lungo il Danubio
ci si puo' iscrivere contattando l'Osservatorio sui Balcani (sito:
www.osservatoriobalcani.org, e-mail: segreteria at osservatoriobalcani.org,
tel. 0464424230)]
L'Osservatorio sui Balcani e l'Ics,
- con il patrocinio del Segretario Generale del Consiglio d'Europa Walter
Schwimmer,
- in collaborazione con: Citizens' Pact for South Eastern Europe, Novi Sad;
Center for Antiwar Action, Belgrado; Civic Initiative, Belgrado; Belgrade
Centre for European Integration, Belgrado; Cedeum Center for Drama in
Education and Art, Belgrado; Rec Regional Environmental Center for Central
and Eastern Europe, Szentendre; Arcs Arci Cultura e Sviluppo, Novi Sad;
Associazione delle Agenzie della Democrazia Locale, Strasburgo; Legambiente,
Roma; Comitato Italiano per il Contratto Mondiale sull'Acqua;
OneWorld/Unimondo,
- con il supporto o il patrocinio di: Comune di Vukovar, Croazia; Comune di
Novi Sad, Serbia & Montenegro; Eurocities East West Committe, Bruxelles;
Regione Lombardia; Regione Autonoma Trentino Alto Adige/Suedtirol; Consiglio
Regionale della Lombardia; Provincia Autonoma di Trento; Provincia di Lodi;
Comune di Roma,
-e con l'adesione di: Comune di Firenze; Tavola della Pace; Associazione per
la Pace; Associazione Libera,
promuovono l'iniziativa: "Danubio. L'Europa si incontra. Da Vienna a
Belgrado per un'Europa oltre i confini"
*
"L'Europa dal basso" e "L'Europa oltre i confini": origini
"L'Europa oltre i confini" nasce come appello nel maggio 2001 a Padova,
all'interno della Conferenza internazionale di Civitas, la fiera
dell'economia sociale, e viene ufficialmente presentato a Roma il 24
settembre 2001. Nell'ottobre 2001, nel quadro delle iniziative della marcia
per la pace Perugia-Assisi, a partire dall'appello viene proposta la nascita
di un network di societa' civili e amministrazioni locali europee e
dell'Europa sud orientale, con l'intento di promuovere una rapida
integrazione dell'intera regione nell'Unione Europea.
L'appello "L'Europa oltre i confini" viene poi presentato a Sarajevo il 6
aprile 2002, alla presenza del Presidente della Commissione Europea Romano
Prodi, in occasione del decimo anniversario dell'assedio della citta' e con
la partecipazione di centinaia di rappresentanti di associazioni e gruppi
dell'Europa occidentale e sud orientale.
In quegli stessi giorni si tiene a Sarajevo il primo incontro del network
Europe from below - L'Europa dal basso, che riafferma l'idea di impegno per
la pace, la cooperazione e l'integrazione dell'Europa sud orientale in
un'Unione Europea aperta e solidale. Per questo si costituisce un network
euro-balcanico di associazioni, organizzazioni sociali, ong ed enti locali,
che insieme affermano una diversa visione di Europa, fondata sui diritti di
cittadinanza e sull'inclusione sociale, un'Europa non piu' dimezzata,
considerando l'area del Sud Est Europa come storicamente, culturalmente e
socialmente parte della comune casa europea.
*
Perche' "Belgrado 2003"?
Nello spirito di Sarajevo, stiamo organizzando a Belgrado per settembre 2003
il secondo incontro de "L'Europa dal basso". Dal 2001 molte cose sono
cambiate a livello internazionale, europeo e balcanico. Due anni fa
l'integrazione di questa area nell'Unione Europea era piu' una suggestione
che un obiettivo politico immediato.
Ma se il Sud Est Europa ha bisogno dell'Unione Europea per fluidificare le
contraddizioni che ne hanno segnato la storia piu' recente, oggi e' la
stessa Unione Europea a doversi immaginare davvero unita se intende giocare
un ruolo politicamente e culturalmente  rilevante a livello planetario. E di
un'Europa allargata al suo sud est c'e' quanto mai bisogno, per riaprire una
dialettica democratica sulla scena internazionale.
In questo senso il meeting di Belgrado intende andare oltre l'appello
lanciato a Sarajevo, inserendo nell'agenda politica comunitaria il tema
dell'integrazione del Sud Est Europa nell'Unione Europea, anche attraverso
azioni concrete e condivise di affermazione di una comune cittadinanza.
L'incontro viene organizzato collegando simbolicamente una citta'
dell'Europa occidentale, Vienna, con una del sud est, Belgrado, lungo una
crociera sul Danubio, che ha rappresentato per secoli il ponte naturale tra
le due parti di Europa.
*
I temi in discussione
Tra i molti temi che intrecciano il processo di allargamento dell'Unione
Europea, ne abbiamo scelti alcuni che riteniamo di particolare importanza
per il Sud Est Europa e su cui pensiamo di poter contribuire con originali
pensieri "dal basso", proponendo riflessioni costituitesi attraverso
l'esperienza, nonche' esempi e indicazioni di carattere operativo.
A Szentendre, in Ungheria, si parlera' di ambiente nel seminario "Questione
ambientale e gestione delle risorse idriche nel laboratorio civile
dell'Europa dei venticinque". Pensiamo che l'ambiente sia oggi piu' che mai
un tema cruciale e delicato per l'intera Europa, che tocca indifferentemente
la vita degli individui e delle organizzazioni, oltre confini e status
istituzionali. E che, per la sua natura politica, la questione ambientale
non possa essere trattata disgiuntamente dall'urgente questione della
democratizzazione del Sud Est Europa all'interno della nuova Europa.
A Vukovar, in Croazia, si affrontera' il tema della comunicazione con il
seminario "I media nel processo di integrazione europea". Il sistema
mediatico e' stato profondamente e drammaticamente implicato nei conflitti
che hanno caratterizzato gli anni '90 nel Sud Est Europa, manifestando stili
e comportamenti diversi, dal sostegno all'ondata nazionalista all'essere
oggetto di durissima repressione. A partire da quanto accaduto nel recente
passato, crediamo che il diritto alla liberta' di espressione, da un lato, e
il potere dei media di costruire realta' sociale, dall'altro, svolgano un
ruolo fondamentale nell'attuale processo di democratizzazione nel Sud Est
Europa e di integrazione del Sud Est Europa nell'Unione Europea. E che
pertanto sul terreno della comunicazione e dell'informazione si giochi una
delle sfide ineludibili nella costruzione dell'identita' europea.
A Novi Sad, in Serbia e Montenegro, ci si interroghera' sul ruolo delle
comunita' locali nel promuovere percorsi di sviluppo e di pace. Il seminario
"Le comunita' locali d'Europa: il ruolo delle citta' e dei cittadini nella
costruzione di una nuova Europa" trattera' di sviluppo locale e di
cooperazione internazionale decentrata come ambiti e strumenti di azione
politica delle autorita' e comunita' locali e come vie privilegiate per il
rafforzamento delle relazioni tra cittadini e istituzioni e il
consolidamento del senso civico. Pensiamo che un'Europa dei cittadini e
delle autorita' locali sia parte di quell'Europa dal basso, che dovrebbe
accompagnare la costruzione di un'Europa allargata.
Nella conferenza finale a Belgrado, "Europa dal basso, Europa senza
confini", oltre a presentare i risultati degli incontri precedenti, avranno
luogo tre seminari, dedicati ad altrettanti temi diversi, al nostro sguardo
imprescindibili per il futuro del Sud Est Europa come parte dell'Unione
Europea. Nel primo, dal titolo "Diritti di cittadinanza in un'Europa senza
confini", si discutera' "dal punto di vista della societa' civile" dei
diritti europei e della Convenzione Europea verso una comune cittadinanza.
Il secondo, "La modernita' dell'economia del Sud Est Europa", focalizzera'
l'attenzione, nel quadro della globalizzazione economica, sui modelli e
sugli strumenti tradizionali e istituzionali di sviluppo economico, con
l'intenzione di esplorare approcci alternativi. Il terzo, "Costruendo una
nuova Europa: attori istituzionali e 'attori dal basso'", evidenziera'
prospettive di sviluppo e sinergie tra gli approcci integrati e alternativi
promossi dalla societa' civile e le politiche istituzionali, in relazione
all'integrazione del sud est Europa nell'Unione Europea.
*
Chi, dove, cosa
L'iniziativa intende coinvolgere, nei seminari e nei gruppi di lavoro, circa
500 rappresentanti di associazioni, movimenti sociali e istituzioni locali
provenienti dalle regioni dell'Europa occidentale e sud orientale.
Rappresentanti delle comunita' locali e la popolazione delle citta' tappa
della crociera (Vienna, Bratislava, Budapest, Vukovar, Novi Sad),
soprattutto giovani, in eventi culturali come concerti o rappresentazioni
teatrali.
A Belgrado la popolazione sara' coinvolta in diversi eventi pubblici come
concerti, rappresentazioni teatrali, presentazioni di libri, e le cosiddette
piazze tematiche in cui verranno presentati in modo interattivo i temi della
conferenza.
La conferenza finale prevede la presenza di circa 200 rappresentanti di
associazioni, movimenti sociali e istituzioni locali.
Il momento istituzionale conclusivo prevede la presenza delle piu' alte
cariche cittadine, nazionali e federali, oltre che dell'Unione Europea.
Negli stessi giorni il Centro culturale di Belgrado organizza la "Seconda
conferenza internazionale danubiana di arte e cultura". In considerazione
degli argomenti affrontati e delle interessanti sinergie da valorizzare, gli
organizzatori di entrambe le conferenze si sono accordati per programmare
momenti di scambio, sia per i contenuti sia per gli eventi artistici. I
partecipanti delle due conferenze avranno cosi' l'opportunita' di
frequentare alcune sessioni di interesse in entrambe le conferenze, di
condividere discussioni e risultati, e di partecipare ad eventi culturali e
artistici congiunti.
*
Ruolo ed attivita' dei soggetti coinvolti nel progetto
L'Osservatorio sui Balcani e' il principale promotore ed organizzatore del
progetto. Partecipera' pertanto, nelle diverse localita', ai tavoli di
lavoro per la preparazione organizzativa e logistica delle iniziative
previste ed ai gruppi di lavoro tematici. Fungera' inoltre da supervisore e
coordinatore dell'intero evento.
Il Consorzio italiano di Solidarieta' - Ics, network di oltre cento
associazioni e gruppi locali italiani, sara' responsabile per l'attivazione
delle organizzazioni e di alcune istituzioni locali italiane. Inoltre,
attraverso i suoi uffici ed il personale nel Sud Est Europa, sosterra' lo
sviluppo e le attivita' successive della rete Europe from below.
In ogni tappa della crociera si stanno costituendo dei tavoli locali di
lavoro per la preparazione organizzativa, con il coinvolgimento dei comuni e
delle organizzazioni locali ed internazionali. I partecipanti a tali tavoli
contribuiranno a diffondere l'iniziativa attraverso i propri canali
informativi, a gestire gli aspetti organizzativi degli incontri ed in alcuni
casi interverranno sui contenuti dei seminari e sulla raccolta fondi.
L'Associazione delle Agenzie della Democrazia Locale - Alda, sara'
responsabile del coinvolgimento dei propri membri locali ed internazionali,
sia a livello istituzionale che non governativo. Attraverso i suoi membri
europei, inoltre, Alda promuovera' il progetto nei paesi dell'Unione Europea
e manterra' i contatti con il Consiglio d'Europa e con il Congresso dei
Poteri Locali e Regionali d'Europa. L'Agenzia della Democrazia Locale di
Vukovar e Osijek assicurera' la gestione logistica del seminario di Vukovar.
La pubblicazione su web sara' curata in italiano dall'Osservatorio sui
Balcani e nelle lingue del sud est Europa, oltre che in inglese, dal portale
South East Europe - See di Oneworld. Il progetto See Radio, con la sua rete
di 89 radio, assicurera' la copertura delle tematiche sociali con testi e
file audio disponibili su web a un largo numero di radio e ong partner. Il
progetto See di Oneworld contribuira' attivamente anche all'organizzazione
del seminario di Vukovar.
Legambiente e il Comitato Italiano per il Contratto Mondiale sull'Acqua
cureranno i contenuti del seminario di Szentendre, espressamente dedicato ai
temi ambientali ed in particolare all'acqua. La loro lunga esperienza sul
campo ed i molti contatti italiani ed internazionali di cui dispongono,
offrono un'ampia garanzia sulla riuscita della giornata. Essi inoltre si
appoggeranno anche alle strutture e alle conoscenze degli esperti del Rec -
Regional Environmental Center for Central and Eastern Europe, struttura
inter-governativa dedicata ai temi dell'ambiente nel Centro ed Est Europa,
che ha sede proprio a Szentendre.
Infine la Provincia di Lodi si occupera' della presentazione e diffusione in
Italia dei risultati delle conferenze, nell'ambito di una giornata
espressamente dedicata dal Consiglio Provinciale alle tematiche della nuova
Europa, della Costituzione Europea e del processo di allargamento
dell'Unione.
*
Il programma provvisorio, gia' assai dettagliato e di stradinaria ampiezza e
rilevanza, puo' essere richiesto all'Osservatorio sui Balcani, sito:
www.osservatoriobalcani.org, e-mail: segreteria at osservatoriobalcani.org,
tel. 0464424230.

7. RIVISTE: "CONCILUM"
"Concilium", rivista internazionale di teologia, abbonamento 2003: euro
38,20, fascicolo singolo: euro 10,33. Il n. 3/2003 e' sul tema "I movimenti
nella Chiesa". Per informazioni e richieste: via Ferri 75, 25123 Brescia,
tel. 0302306925, e-mail: redazione at queriniana.it, sito: www.queriniana.it

8. RIVISTE: "HUMANITAS"
"Humanitas", nuova seria, anno LVIII, n. 3/2003, pp. 192, euro 10,50. Questo
volume ha per tema "L'uomo nel cosmo". Per informazioni e richieste:
Editrice Morcelliana, via G. Rosa 71, 25121 Brescia, tel. 03046451, fax:
0302400605, sito: www.morcelliana.com

9. RIVISTE: "RIVISTA DI TEOLOGIA MORALE"
"Rivista di teologia morale", trimestrale, anno XXXV, n. 138, aprile-giugno
2002. In questo volume un forum su "La giustizia penale e la teologia
morale". Per informazioni e richieste: Centro editoriale dehoniano, via
Nosadella 6, 40123 Bologna, tel. 051330301, fax: 051331354, e-mail:
rtm at dehoniane.it, sito: www.dehoniane.it

10. RIVISTE: "SEGNO"
"Segno", mensile, Palermo, anno XXIX, n. 246, giugno 2003, pp. 120. Tutta da
leggere, come sempre, la bella rivista diretta da padre Nino Fasullo.
Abbonamento annuo ordinario: euro 44; sostenitore: 100; estero: 50; un
numero: euro 7; arretrato: il doppio. Per informazioni e richieste: c. p.
565, 90100 Palermo, tel. 091228317, e-mail: rivistasegno at libero.it

11. RILETTURE. ERNST BLOCH: IL PRINCIPIO SPERANZA
Ernst Bloch, Il principio speranza, Garzanti, Milano 1994, 3 voll. per
complessive pp. XXXVIII + 1628, lire 96.000. Il capolavoro del filosofo
dell'utopia concreta.

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 626 del 29 luglio 2003