La nonviolenza e' in cammino. 621



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 621 del 24 luglio 2003

Sommario di questo numero:
1. Lidia Menapace: un profumo di Nora
2. Missionari comboniani: un decalogo per aiutare gli immigrati oggi
3. Fiamma Lolli intervista Vandana Shiva
4. Ileana Montini: rumori, odori, diritti, sentimenti
5. Amnesty International: porre fine al "limbo legale" di Guantanamo
6. Un appello per l'immediato ritiro dei militari italiani dall'Iraq
7. Giovanni Mandorino: ci sta a cuore
8. Serena Fuart: un incontro a Milano sull'esperienza delle Donne in nero
9. Adriana Zarri: vittime innocenti
10. Riletture: Bela Balasz, Il film
11. Riletture: Bruno Zevi, Editoriali di architettura
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

1. MEMORIA. LIDIA MENAPACE: UN PROFUMO DI NORA
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per
questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a
cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani,
Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia
politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in
collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra
indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001. Su Nora Fumagalli abbiamo pubblicato nel notiziario di ieri i
ricordi di Luciana Castellina e di Rossana Rossanda]
Ricordo io pure Nora Fumagalli con la sua chioma bionda, il volto dal
colorito acceso, l'accento milanese quanto piu' non si poteva, che veniva
"clandestinamente" a parlare con me per preparare una delegazione di donne
cattoliche per un viaggio in Urss nel 1964, nel mio studiolo alla
universita' cattolica di Milano dove insegnavo prima che mi cacciassero nel
'68 per aver apppoggiato le lotte studentesche e fatto una dichiarazione di
"scelta marxista" (mentre un professore di Scienze politiche poteva
continuare ad insegnare essendo candidato dell'Msi).
Lei veniva e parlavamo a lungo con grande simpatia. E amicizia. Era una
persona appassionata e libera.
Da lei ho sentito le prime accorate critiche all'Urss: "Ci sono andata -
diceva - e non sono democratici"; lo diceva con vero e profondo dispiacere.
Non cercava, come molti intellettuali stalinisti, scuse e "ragioni
storiche".
E anche alla medicina rivolgeva critiche veementi. La operarono, senza
avvisarla che le portavano via (usava questi termini) l'utero, decidendo a
quanto pare nel corso dell'intervento, perche' la malattia era avanzata: ma
non glielo perdono', anche se era gia' in eta' non piu' feconda - come le
dissero i medici a scusante -: "non sono loro che devono decidere di quale
parte del mio corpo voglio fare a meno, a qualsiasi cosa serva o non serva"
diceva.
Abbiamo avuto un bel rapporto anche quando ci vedevamo poco, e quando la sua
vivace intelligenza ando' declinando. L'ultima volta che la incontrai a
Milano anni fa (non poteva piu' uscire) mi regalo' un reggilibri fatto di
foglioline di te' cinese pressate, un oggetto molto bello e che ancora
profuma di te' a distanza d'anni, quasi un profumo di Nora.

2. APPELLI. MISSIONARI COMBONIANI: UN DECALOGO PER AIUTARE GLI IMMIGRATI
OGGI
[Da padre Mose' Mora (per contatti: mosemora at libero.it), della Commissione
giustizia e pace dei missionari comboniani, riceviamo e diffondiamo]
"Non molesterai il forestiero..." (Es 22, 20).
"Sara' mai possibile che all'inizio del terzo millennio il fenomeno
migratorio debba essere gestito con affanno e paura? La poverta' che spinge
i fratelli e le sorelle del sud del mondo sulle nostre coste si combatte con
la solidarieta' intelligente nelle cosiddette periferie del villaggio
globale. Il nostro benessere e' spesso causa di sfruttamento in terre
lontane" (da "Ascolta si fa sera" del 9 luglio 2003 di padre Giulio
Albanese, in "Misna").
La lista dei corpi senza vita di immigrati che tentano di sbarcare a
Lampedusa aumenta ogni giorno. Certi politici italiani istigano, con
linguaggi anacronistici e razzisti, azioni di abbattimento. Non possiamo
rimanere indifferenti e tanto meno silenti. Siamo chiamati in causa nel
tentativo di trovare percorsi e soluzioni che portino a non sentirci
conniventi con una mentalita' antievangelica. In Esodo 22, 20 si legge: "Non
molesterai il forestiero ne' lo opprimerai, perche' voi siete stati
forestieri nel paese d'Egitto".
Alcuni gesti simbolici, come l'incatenamento dei padri comboniani alla
finestra della questura di Caserta dal 4 al 13 giugno 2003, sono serviti a
riportare l'attenzione sul problema. L'immigrazione in Italia e' oggi per
molti immigrati una nuova forma di schiavitu': la maggior parte degli
immigrati attirati dal miraggio del benessere della nostra societa'
occidentale, finiscono per diventarne schiavi, facendo i lavori che gli
Italiani non vogliono piu' fare. Mentre nei secoli scorsi i governi
coloniali li deportavano dai loro paesi d'origine per renderli schiavi in
Europa ora essi vengono con i loro mezzi e con le loro speranze e finiscono
per trovare un mondo che il piu' delle volte non li accoglie, li
prostituisce e li asservisce lasciandoli infine al margine della societa'
italiana.
Invitiamo tutti coloro, religiosi e laici, che condividono queste
preoccupazioni a costruire una rete comune per sensibilizzare l'opinione
pubblica, per facilitare la crescita di una sensibilita' di accoglienza
degli immigrati e di riconoscimento dei loro diritti e della loro dignita'.
*
Prima di descrivere alcune iniziative concrete che possono essere prese al
riguardo, e' utile mettere in luce alcuni aspetti contraddittori e
palesemente ingiusti della normativa relativa al trattamento dei migranti
irregolari in Italia.
a) Le procedure suggerite dalla legge per regolamentare l'accesso e la
permanenza di immigranti irregolari nel nostro paese sono tali da
"criminalizzare" di fatto queste persone piuttosto che aiutarle a trovare
una soluzione viabile alla loro difficile situazione. La condizione di
clandestinita' che, di per se', non e' e non puo' costituire un reato, viene
di fatto tramutata in una condizione di "illegalita'" attraverso un ordine
di espulsione rilasciato dal questore da attuarsi entro cinque giorni, senza
possibilita' di appello e la cui mancata attuazione prevede la pena del
carcere.
b) Il riconoscimento o meno del diritto di soggiorno e' legato a condizioni
restrittive dei diritti della persona, come nel caso in cui una questura
possa negare o revocare il permesso di soggiorno semplicemente sulla base
del fatto che il soggetto abbia subito una condanna precedente anche per
reati minori. Un'esasperata sottolineatura, in ogni caso, della distinzione
di trattamento tra cittadini italiani e immigrnati irregolari,
inevitabilmente diventa veicolo di un'implicita, ma effettiva mentalita'
razzista.
c) Le misure finalizzate all'inserimento dell'immigrante sono in maniera
piu' o meno esplicita legate semplicemente agli interessi del datore di
lavoro e quindi al beneficio economico che puo' venire al paese ospitante
dal lavoro dell'immigrante. Quest'ultimo, insomma, e' riconosciuto
soprattutto come una risorsa economica, come mano d'opera a basso prezzo,
senza una piu' comprensiva considerazione del suo valore come persona
soggetto di diritti, dei bisogni suoi e della sua famiglia, del possibile
contributo umano, culturale e spirituale che potrebbe apportare al nostro
paese.
*
Un decalogo per aiutare gli immigrati oggi
Crediamo sia possibile attuare delle misure alternative, sia a livello
personale che comunitario, che possano condurre ad un miglioramento della
legislazione e, laddove questa viola le esigenze della giustizia,
dell'accoglienza cristiana e della solidarieta', che esprimano una netta
dissociazione da essa e quindi un'obiezione di coscienza consapevole e
costruttiva. Seguono, dunque, alcune proposte.
1. "Disobbedisco anch'io". Riteniamo legittimo un atto di disobbedienza nei
confronti dei contenuti della legge Bossi-Fini e ci diciamo disposti a
compierlo. Intendiamo adoperarci a contribuire materialmente con i mezzi a
nostra disposizione per ottenere che lo straniero in attesa di
regolarizzazione, che non sia responsabile di reati, possa sottrarsi
all'espulsione e siamo disponibili a subire i procedimenti penali e le
conseguenti sanzioni previste per i trasgressori.
2. Favorire il protagonismo del migrante. Incoraggiare la nascita di
iniziative ed organizzazioni che vedano i migranti impegnati e coinvolti in
prima persona come protagonisti nel definire gli obiettivi utili al loro
inserimento ed i modi migliori per perseguirli. A questo livello si chiede
che si riconosca il diritto di voto.
3. Gemellaggio con un migrante. Si tratta di una sorta di "adozione" fatta
da famiglie o comunita' nei confronti di un migrante in maniera tale da
offrirgli amicizia e solidarieta', soprattutto nell'evenienza che si trovi
in situazioni di difficolta'. Concretamente questo puo' implicare diversi
gradi di coinvolgimento:
- una semplice telefonata periodica di "controllo" della situazione;
- accompagnamento del migrante adottato agli uffici della questura o
comunque nello svolgimento di qualche pratica;
- aiuto nella ricerca di un alloggio o di un lavoro;
- stanziamento di una cifra mensile di sostentamento a chi ha piu' bisogno;
- un corso personalizzato di lingua italiana.
4. Creare una rete di urgenza. La rete di urgenza e' un insieme di singoli,
gruppi o associazioni, avvocati, medici, politici etc. che si rendono
disponibili ad agire in tempi rapidi nel caso di un'emergenza: retate di
polizia, episodi di razzismo etc.
5. Testimoniare pubblicamente il proprio dissenso. Si tratta di organizzare
presidi, sit-in o altre forme di resistenza passiva davanti a questure o
altri luoghi istituzionali per sensibilizzare circa l'ingiustizia di
trattamenti sommari e puramente restrittivi nei confronti di migranti in
difficolta'.
6. Organizzazione del "sanctuary movement" in Italia. Negli Usa negli anni
'80 nacque il Sanctuary movement per sostenere gli immigranti provenienti
dal Centramerica in guerra. Nel tentativo di rifugiarsi negli Stati Uniti,
questi ultimi venivano sistematicamente rispediti al proprio paese dove
avrebbero dovuto affrontare la prigione o la morte. Le comunita' cristiane
memori dell'essere luoghi di inviolabilita' e pertanto i piu' idonei per la
difesa del diritto d'asilo, si offrirono a dichiarare un immigrato parte
integrante della loro comunita' facendosi carico di determinati soggetti a
rischio. Quando la polizia veniva per arrestarli ed espellerli, era la
comunita' stessa a farsi arrestare e a presentarsi in tribunale.
7. Offrire sostegno alla regolarizzazione dei migranti. Si tratta di
facilitare in qualsiasi modo possibile il processo di regolarizzazione del
migrante chiedendo ed offrendo informazioni utili o anche qualsiasi altro
tipo di supporto.
8. Sostenere le campagne di pressione. Si tratta di aderire a campagne volte
a cambiare la legge Bossi-Fini e a sensibilizzare la societa' civile sul
problema.
9. Avviare laboratori di convivenza. Creare occasioni e spazi di conoscenza
reciproca, di confronto, di convivialita' tra le persone e le culture, nelle
scuole, nelle parrocchie, negli spazi comunitari.
10. Aprire le case ed i cuori dei religiosi/e al forestiero e al migrante.
Ogni istituto potrebbe trovare il modo di aprirsi al migrante offrendo spazi
o supporto vario.

3. RIFLESSIONE. FIAMMA LOLLI INTERVISTA VANDANA SHIVA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 luglio 2003. Fiamma Lolli e' una delle
piu' conosciute e apprezzate amiche della nonviolenza ed alla nonviolenza
formatrici. Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di
importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie
delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come
militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i
principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di
liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e
distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali
dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere
allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati
Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche
sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino
2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto
brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli,
Milano 2003]
Vandana Shiva e' in Italia per partecipare a "A New Global Vision", incontro
mondiale su ambiente, cibo, salute, educazione e pace organizzato dalla
Regione Toscana nella tenuta di San Rossore (Pisa). L'abbiamo incontrata in
una pausa dei lavori.
- Fiamma Lolli: Da anni lei non fa che ripetere le stesse cose su ogm,
sviluppo sostenibile, equa distribuzione delle risorse. Eppure l'attenzione
dei media non cala...
- Vandana Shiva: Quando, nel 1987, cominciai ad occuparmi di questi temi
nessuno, ne' nella comunita' scientifica ne' in quella politica, ne aveva
capito appieno la portata. Ci vollero cinque anni perche' le cose
iniziassero a cambiare, scientificamente e politicamente. Se l'attenzione
non cala e' perche' quel che allora era solo un'anticipazione e' diventato
vero; basti pensare a cio' che sta succedendo in questi giorni nel vostro
Piemonte. Del resto saper anticipare la realta' e prefigurarne gli sviluppi
e' una delle chiavi di volta del pensiero nonviolento.
- F. L.: Cosa vuol dire, oggi?
- V. S.: Promuovere e stabilire accordi multilaterali sempre piu' vasti e
concreti che tutelino la biodiversita' e favoriscano la sostenibilita'
ambientale per costruire un mondo migliore. Attenzione, pero': parlare di
multilateralita', come sempre piu' spesso fa l'Onu, presuppone che tutti i
lati siano equamente forti. Rafforzare i singoli individui dara' forti
comunita', forti comunita' come precondizione per nazioni forti, essenziali
a una globalizzazione equa e giusta. Ma per realizzare questa giustizia
dobbiamo saperla immaginare. Tradurre l'immaginazione in realta' e'
fondamentale per una globalizzazione nonviolenta, mentre la mancanza,
l'incapacita' di prefigurazione dei possibili scenari puo' solo portare
nuove guerre.
- F. L.: Legare immaginazione e realta'? Su quale piano, in quale spazio?
- V. S.: La risposta e' piu' semplice (non piu' facile) della domanda:
bisogna agire prima che sia tardi. Se ci muoveremo in tempo, se grazie al
dialogo riusciremo a prevenire conflitti distruttivi, non avremo piu'
bisogno di nemici. A legare realta' e immaginazione e' la nostra capacita'
di agire - e la sua necessita'.
- F. L.: Quando dice "nostra" si riferisce all'umanita' nel suo insieme o ad
una differenza di genere? Crede che la capacita' delle donne di agire in
modo differente, questa differenza che si fa azione, sia consolidata nel
movimento?
- V. S.: In movimento nulla e' mai consolidato: credo pero' che dalla nostra
visibilita' non si tornera' indietro. Abbiamo conquistato piu' spazio
perche' abbiamo iniziato a farci sentire: se smettessimo lo spazio si
chiuderebbe. Percio' la differenza di genere dovra' continuare ad essere uno
dei temi centrali nel movimento. Non puo' ne' potra' esserci giustizia, ne'
tantomeno pace, ne' ambiente, cibo, salute o educazione senza il contributo
delle donne. Eguaglianza di possibilita', d'espressione, di diritti, anche
questo e' sostenibilita'.
- F. L.: Sempre piu' spesso, tutelare biodiversita' e produzioni alimentari
tradizionali locali si traduce nel trasportarle a grandi distanze, su camion
o aerei. Non crede che ci sia una contraddizione?
- V. S.: E' questione di dimensioni: se torniamo da un viaggio con qualcosa
di tipico da condividere con un amico, niente di male. Il problema nasce
quando il trasporto a distanza diventa modello, regola, e smette di essere
eccezione. Che senso ha produrre specialita' fantastiche se poi inquiniamo
per farle conoscere? Giusta distribuzione delle ricchezze non significa solo
equa ripartizione dei beni ma anche corretta circolazione di merci prodotte
in modo rispettoso dell'ambiente.
- F. L.: Quando si parla di giusto rapporto con la natura si finisce sempre
per riferirsi al modo in cui la coltiviamo: sementi autoctone contro ogm,
concimi organici invece che chimici... ma ambiente e cibo vogliono dire
anche natura selvatica...
- V. S.: Natura selvatica e natura coltivata sono un po' come femminile e
maschile: il selvatico dovrebbe essere al centro, la' dove dovrebbero stare,
piu' e piu' spesso, le donne, mentre il coltivato, cosi' come il maschile,
dovrebbe spostarsi un po' di piu' verso il femminile, il selvatico. Venendo
qui ho visto la Torre di Pisa e ho pensato che e' una buona metafora di cio'
che il cibo e' o dovrebbe essere: un'opera d'arte, antico frutto dell'opera
umana, solida e meravigliosamente "confezionata" eppure dolcemente piegata
verso la terra.

4. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: RUMORI, ODORI, DIRITTI, SENTIMENTI
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it) per questo
intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia'
insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori
romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima
scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per
"L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno
politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie
redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento
Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo
Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain"
di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus
Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle"
insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha
collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da
padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla
rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne".
Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte
ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente
politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in
Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa,
scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani,
Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani,
Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella
cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un
libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha
redatto il progetto e  curato la supervisione delle operatrici: titolo: "...
ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente
ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il
silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del
Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione
psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni
d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con
alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione,
insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir".
Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno
scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia
Menapace e Rossana Rossanda]
E' da poco uscita una bella intervista al sociologo polacco Zygmunt Bauman a
cura di Benedetto Vecchi (Laterza, Roma-Bari 2003, pp. XII + 132, euro 9)
con il titolo Intervista sull'identita'.
Da questa lunga intervista che tratta il tema dell'identita' ma anche della
"modernita' liquida", vorrei prendere spunto per accennare a un altro
problema post-moderno, quello dei diritti di cittadinanza.
Il sociologo polacco ci avvisa che il significato di cittadinanza e' stato
svuotato di buona parte dei suoi passati contenuti di pari passo con il
progressivo smantellamento  delle istituzioni gestite o autorizzate dallo
Stato. A me viene da interpretare questa tesi applicandola alle piccole
realta' locali, dove il potere statuale e' rappresentato e gestito dai
Comuni.
Parto da un esempio concreto e attuale.
Sulla costa adriatica romagnola, dove ci sono ancora in maggioranza Comuni
retti dal centro-sinistra, durante l'estate sorgono svariati problemi di
conflitto tra i cittadini, o tra i cittadini turisti e i cittadini
residenti.
Per esempio il problema dell'eccesso dei rumori, da quello delle auto ai
piano-bar all'aperto che fino a mezzanotte impongono la musica amplificata a
dismisura, agli alberghi che hanno il diritto una volta alla settimana di
organizzare feste danzanti all'aperto, ai bagni che possono fare anche di
piu' sull'arenile, ai centri sportivi improvvisati all'aperto che a
qualsiasi ora impongono ai cittadini residenti i loro amplificatori.
Oppure sorgono altri problemi e altri conflitti. In una di queste citta'
romagnole assai nota, il Comune ha dotato uno spazio verde con giochi da
giardino per i bambini, ma anche dato in concessione una parte della zona a
un ristorante di pesce, al posto - come sarebbe stato piu' logico - di un
bar. La conseguenza e' nefasta: all'ora del pranzo e della cena il parco
giochi affonda nell'olezzo di pesce fritto.
E quando i cittadini si rivolgono ai vigili o a qualche assessore per
segnalare le varie situazioni insopportabili, le risposte sono da anni
invariabili: i turisti bisogna assecondarli e trattenerli inventando nuove
modalita' festaiole. I cittadini turisti  amano la musica assordante da
discoteca che deve accompagnare gli esercizi di fitness e cosi' i  cittadini
gestori degli esercizi e dei locali per guadagnare devono seguire le mode.
Come si puo' facilmente constatare, i diritti degli uni e degli altri
entrano in conflitto. Ma chi vince?
Prima di tutto vincono coloro che hanno il diritto di guadagnare e per
questo seguono le mode del momento. Poi i turisti - giovani o non - che
amano un mondo popolato di forti rumori e  momentanee emozioni. Ci perdono i
cittadini, e i turisti, che si rifanno ad altro modelli del vivere
quotidiano.
Ma le istituzioni da che parte stanno? Naturalmente dalla parte dei
lavoratori organizzati nelle locali lobby (degli albergatori, dei bagnini
ecc.). Neppure i governi locali dell'Ulivo possono  sottrarsi al potere
delle lobby.
Ne consegue che i semplici cittadini - in questo caso anche i turisti -
vivono un sentimento d'impotenza. Quali sono, o saranno, le conseguenze di
questi stati d'animo collettivi?
Forse tutto cio' fa la "modernita' liquida", quanto a dire fluida, senza
punti di riferimento solidi e perennemente attraversata da svariate
conflittualita' sociali.

5. APPELLI. AMNESTY INTERNATIONAL: PORRE FINE AL "LIMBO LEGALE" DI
GUANTANAMO
[Dall'ufficio stampa di Amnesty International (per contatti: tel.
064490224 - 3486974361, e-mail: press at amnesty.it, sito: www.amnesty.it)
riceviamo e diffondiamo]
Il 3 luglio il Pentagono ha annunciato che il Presidente Bush aveva indicato
sei cittadini stranieri detenuti a Guantanamo Bay come le prime persone
destinate a essere sottoposte all'Ordine militare del novembre 2001. Questo
atto prevede la detenzione a tempo indeterminato senza accusa ne' processo,
oppure lo svolgimento di un processo di fronte alle commissioni militari,
nei confronti di persone sospettate di essere coinvolte nel "terrorismo
internazionale". Le commissioni militari hanno il potere di emettere
condanne a morte, contro le quali non e' possibile appellarsi ad alcuna
corte.
Come e' emerso in seguito, due dei sei detenuti indicati dal presidente
Bush, Moazzam Begg e Feroz Abbasi, sono cittadini britannici, cosa che ha
causato profonda preoccupazione nel Regno Unito. Le autorita' statunitensi
non hanno ancora formulato le accuse nei confronti dei sei detenuti ne'
hanno istituito le commissioni militari.
"Chiediamo al governo degli Stati Uniti non solo di sospendere la nomina
delle commissioni militari ma di rinunciare definitivamente a questi
procedimenti iniqui" - ha affermato Amnesty International - "e di farlo non
soltanto nel caso dei cittadini britannici ma di chiunque delle centinaia di
cittadini stranieri detenuti a Guantanamo Bay, nella base aerea di Bagram in
Afghanistan e in ulteriori ignoti centri di detenzione nel mondo".
Amnesty International ha ribadito la propria richiesta affinche' tutte le
persone che si trovano sotto custodia statunitense abbiano accesso
all'assistenza legale e siano in grado di contestare dinanzi a un tribunale
la legittimita' della propria detenzione. Se sospettate di aver commesso un
reato, queste persone dovrebbero essere incriminate per un reato di
accertata natura penale e sottoposte a processo entro un termine
ragionevole, secondo una procedura pienamente conforme al diritto
internazionale e senza ricorrere alla pena di morte. In caso contrario,
dovrebbero essere rilasciate.
Ieri il presidente Bush ha affermato, a proposito dei detenuti di Guantanamo
Bay, che "l'unica cosa che so per certo e' che sono cattive persone".
"Mostrando ancora una volta profondo disprezzo per la presunzione di
innocenza, il presidente Bush ha fatto chiaramente capire perche' le
commissioni militari non potranno assicurare giustizia" - ha commentato
Amnesty International, sottolineando che l'esecutivo, guidato dal presidente
Bush, controlla le commissioni e i loro verdetti, decidendo anche sulla vita
e la morte dell'imputato.
"E' tempo di porre fine a questo limbo legale e che gli Usa riconoscano di
aver preso la strada sbagliata con l'Ordine militare del novembre 2001. La
sicurezza internazionale si consegue attraverso la piena osservanza del
diritto internazionale e il rispetto degli standard in materia di diritti
umani fondamentali" - ha concluso Amnesty International.

6. APPELLI. UN APPELLO PER L'IMMEDIATO RITIRO DEI MILITARI ITALIANI
DALL'IRAQ
[Dagli amici dell'organizzazione umanitaria "Un ponte per" (per contatti:
posta at unponteper.it) riceviamo e diffondiamo. Il Tavolo di solidarieta' con
le popolazioni dell'Iraq raccoglie le ong presenti in Iraq per interventi
effettivamente umanitari e di pace; il comitato "Fermiamo la guerra" e' il
cartello che promosse la grande manifestazione pacifista svoltasi alcuni
mesi fa a Roma]
In queste ore la Camera dei deputati sta discutendo il decreto legge per
interventi urgenti a favore della popolazione irachena, nonche' a proroga
della partecipazione italiana a operazioni militari.
Il Tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq e il comitato
"Fermiamo la guerra" denunciano la poca chiarezza del decreto, che prevede
l'approvazione in blocco di decisioni che hanno scarsa attinenza le une con
le altre: 1. missione umanitaria e di ricostruzione dell'Iraq; 2. invio di
un contingente militare in Iraq; 3. partecipazione militare italiana a
operazioni internazionali; 4. partecipazione italiana ai processi di pace;
5. regole amministrative e coperture finanziaria.
Per salvaguardare i valori dell'azione umanitaria e per impedire che siano
inquinati da altri obiettivi totalmente estranei al concetto, agli ideali e
alla pratica dell'umanitarismo, il Parlamento dovrebbe definire la missione
italiana con il suo vero nome: missione militare, politica e diplomatica.
Il decreto legge, invece, maschera l'intervento militare (per il quale
prevede una spesa di oltre 200 milioni di euro) come la necessaria
protezione di aiuti umanitari finanziati nella misura di 20 milioni di euro.
E' in gioco l'essenza e il senso vero dell'azione umanitaria, di fronte alla
quale nessuna ambiguita' puo' essere permessa. Nessuna organizzazione
umanitaria potra' mai accettare la protezione militare per la realizzazione
dei propri interventi. A cio' deve aggiungersi che in Iraq, la presenza
militare della "Coalizione", Italia compresa, e' una presenza cui manca il
carattere della legalita' internazionale, come e' invece indispensabile per
poter partecipare alle operazioni di pace.
La protezione degli aiuti umanitari e' un pretesto: centinaia di operatori
umanitari sono in Iraq da mesi senza necessita' di protezione militare, anzi
e' proprio questa indipendenza la garanzia della propria neutralita' e
imparzialita'. Se l'Italia venisse identificata dagli iracheni come potenza
occupante, come in definitiva il decreto prevede, l'incolumita' degli
operatori umanitari sarebbe messa a rischio.
Il Tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq e il comitato
"Fermiamo la guerra" chiedono l'immediato ritiro dei militari italiani, la
revoca della partecipazione alla "Coalition Provisional Authority", il
ripristino della legalita' internazionale con l'affidamento all'Onu della
transizione, la promozione di iniziative umanitarie con il coordinamento
delle Nazioni Unite, e l'utilizzo dei fondi previsti per finanziare la
missione militare per progetti di cooperazione allo sviluppo in Iraq e
altrove.
Tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq
Comitato "Fermiamo la guerra"

7. RIFLESSIONE. GIOVANNI MANDORINO: CI STA A CUORE
[Ringraziamo Giovanni Mandorino (per contatti: g.mandorino at tiscali.it) per
questo intervento. Giovanni Mandorino e' una delle piu' rigorose e attive
persone impegnate per la nonviolenza]
Ho subito firmato la petizione popolare perche' cessi la partecipazione
italiana all'occupazione militare dell'Iraq, petizione promossa dal Tavolo
di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq (per contatti: e-mail:
info at tavoloiraq.org, sito: www.tavoloiraq.org), convinto della fondatezza e
della bonta` delle argomentazioni e delle richieste che vi sono presentate.
Rileggendola a distanza di qualche giorno, mi sono reso conto che da essa
manca un punto, a mio avviso, fondamentale: la nostra preoccupazione per
l'incolumita` dei ragazzi italiani che, indossando una divisa (con l'intento
di concorrere al sacro dovere della difesa della Patria, previsto dalla
nostra Costituzione), sono stati, invece, spediti ad invadere la Patria
altrui da coloro che, al momento, dispongono della maggioranza parlamentare.
Qualunque sia il nostro atteggiamento nei confronti dell'istituzione
militare (ed il mio, da obiettore di coscienza, e` apertamente favorevole
all'abolizione della stessa), non dobbiamo commettere l'errore di confondere
l'istituzione (che non appoggiamo, ma anzi contrastiamo) con le persone che
indossano la divisa (siano pure i cosiddetti "volontari"). A noi sta a cuore
il benessere, la vita e l'incolumita` di ciascuno di loro ed e` anche per
questo che "ne richiediamo l'immediato rientro in Italia" sia dall'Iraq che
dall'Afganistan e con questo denunciamo la retorica pelosa di chi, dicendo
di sostenerli, ne mette ogni giorno in pericolo la vita.
Spero che queste considerazioni possano trovare piu' spazio nelle iniziative
per la pace che intraprenderemo in futuro.

8. INCONTRI. SERENA FUART: UN INCONTRO A MILANO SULL'ESPERIENZA DELLE DONNE
IN NERO
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo questo resoconto dell'incontro voltosi il 5 aprile 2003 al
Circolo della Rosa sull'esperienza delle Donne in nero.
Laura Colombo e' una delle animatrici della Libreria delle donne di Milano
ed iniseme a Sara Gandini e' "webmater" del sito www.libreriadelledonne.it.
Serena Fuart  e' una delle animatrici del Circolo della Rosa, dei cui
incontri cura sovente - con grande perizia e finezza - i resoconti.
Di Luisa Morgantini riportiamo il seguente profilo dal sito
www.luisamorgantini.net: "Luisa Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5
novembre 1940. Dal 1960 al 1966 ha lavorato presso l'istituto Nazionale di
Assistenza a Bologna occupandosi di servizi sociali e previdenziali. Dal
1967 al 1968 ha frequentato in Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove
ha studiato sociologia, relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971
ha lavorato presso la societa' Umanitaria di Milano nel settore
dell'educazione degli adulti. Dal 1970 e fino al 1999 ha fatto la
sindacalista nei metalmeccanici nel sindacato unitario della Flm. Eletta
nella segreteria di Milano - prima donna nella storia del sindacato
metalmeccanico - ha seguito la formazione sindacale e la contrattazione per
il settore delle telecomunicazioni, impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata
responsabile del dipartimento relazioni internazionali del sindacato
metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha rappresentato il sindacato italiano
nell'esecutivo della Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) e nel
Consiglio della Federazione sindacale mondiale dei metalmeccanici (Fism).
Dal novembre del 1980 al settembre del 1981, in seguito al terremoto in
Irpinia, in rappresentanza del sindacato, ha vissuto a Teora contribuendo
alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha fondato con un gruppo di donne di
Teora una cooperativa di produzione, "La meta' del cielo", che e' tuttora
esistente. Dal 1979 ha seguito molti progetti di solidarieta' e cooperazione
non governativa con vari paesi, tra cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa,
Mozambico, Eritrea, Palestina, Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata
in luoghi di conflitto entro e oltre i confini, praticando in ogni luogo
anche la specificita' dell' essere donna, nel riconoscimento dei diritti di
ciascun essere umano: nelle rivendicazioni sindacali, con le donne contro la
mafia, contro l'apartheid in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e
israeliane per il diritto dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza
con lo stato israeliano, con il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la
guerra e i bombardamenti della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo
all'autonomia, per la cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra.
Attiva nel campo dei diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in
Cina, Vietnam e Siria, e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si
occupa di questioni riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del
conflitto Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di
relazioni e networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare
con associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino
del Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel
dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e
dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la
nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le
fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne
contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo, eletta come
indipendente nelle liste del Prc e aderente al gruppo Gue-Ngl. Presiede la
delegazione parlamentare per i rapporti con il consiglio legislativo
palestinese, oltre ad essere membro titolare nella commissioni diritti della
donna e pari opportunita' ed in quella per lo sviluppo e la cooperazione,
membro della delegazione per le relazioni con il Sud Asia e membro sostituto
della commissione industria, commercio esterno, ricerca ed energia. In
Italia continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione
per la pace".
Luisa Muraro insegna all'Universita' di Verona, fa parte della comunita'
filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul
femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro,
sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a
Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata
in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo
Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal
Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora
nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al
progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo
coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e
Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi
sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte
della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano
1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri),
Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della
madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria,
Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato
vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista
trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita'
filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei
(da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il
profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e
nonna nel 1997"]
L'incontro e' stato presentato da Laura Colombo e si e' avvalso degli
interventi di Luisa Muraro e di Luisa Morgantini.
*
"I nostri occhi si muovono, non sfuggiamo gli sguardi delle persone che
passano, vogliamo che sappiano perche' siamo li', siamo nelle piazze,
partecipiamo, anche dove non si vuole che si partecipi" (Donne in Nero)
Il movimento delle Donne in Nero nasce a Gerusalemme da sette donne
israeliane che si ritrovarono in piazza per manifestare con il loro silenzio
la loro opposizione all'occupazione.
Il movimento oggi e' attivo anche in occidente, caratterizzato dalla loro
protesta silenziosa e tinta di nero.
"Mettere in pratica la solidarieta'" si trova scritto sul loro sito internet
a proposito della loro missione; "mettere in contatto le donne dalle varie
parti del mondo per tessere una tela di relazioni umane, poter costruire una
politica internazionale delle donne, superare confini, barriere,
nazionalismi pur essendo radicate nella nostra realta'. Il movimento
riguarda un ricercare comune, intendendo con questo un concetto piu' ampio
dei semplici luoghi pubblici, visitare i luoghi piu' difficili della mente,
della coscienza, quello che e' nascosto dalle nostre paure e dai nostri
pregiudizi, affrontare i nodi della violenza, della guerra, del dolore,
dell'odio, dell'estraneita', della passivita' per conoscere e per
conoscersi, per cambiarsi".
Le Donne in Nero partono quindi da loro stesse, dal mettersi in gioco in
prima persona e dalle relazioni che riescono a tessere con donne di luoghi
lontani, e a loro si riconosce di aver dato vita ad un nuovo modo di essere
dissidenti e protestare, un metodo che va al di fuori delle logiche dei
sistemi di potere. In tali sistemi e' prevista l'opposizione, e' calcolata e
inglobata nel sistema del potere stesso costituendone la naturale
contrapposizione che lo sostiene.
Le Donne in Nero hanno quindi obiettivi comuni e precisi che partono dal
presupposto di creare qualcosa di concreto.
La simbologia dei loro strumenti, il silenzio e il vestire di nero, evoca
dei significati precisi: il silenzio e' simbolo di forza, e' il loro
linguaggio per attirare l'attenzione e sottolineare la loro presenza, il
nero e' un colore che ha come effetto una comunicazione immediata.
*
L'intervento di Laura Colombo
"Io vivo un'insidia profonda a stare in questo occidente" dice Laura
Colombo, "questo occidente che pur lontano dalle bombe ci ubriaca con la
retorica della guerra umanitaria, guerra per preparare la pace".
"L'occidente rivendica un diritto onnipotente di distruggere e ricostruire e
in qualche modo controlla la vita a chi occidentale non e'. La situazione
della guerra in Iraq e' paradossale: oltre alle spese militari sono gia'
previste quelle degli aiuti umanitari. L'occidente va avanti per le sue
logiche e mi crea rabbia: il disfare per poi fare. Tuttavia ogni protesta
sta dentro questo sistema. Le Donne in Nero mi fanno riflettere: c'e' un
modo di dissentire che non rientra nel meccanismo della normalizzazione
dell'opposizione".
"Il movimento e' vivo anche in Italia da diversi anni e ritengo
importantissimo quello che fanno: questo mettersi in relazione con donne che
vivono in questi posti difficili, tessere con loro delle relazioni e
sostenere quello che loro vogliono fare con opere di civilta' nei luoghi
vicini. Questo e' un modo che mi fa vedere che c'e' qualcosa di buono e
positivo anche in questo occidente inglobato quasi completamente in una rete
di potere".
*
L'intervento di Luisa Muraro
Il dibattito della serata prende avvio con l'intervento di Luisa Muraro, che
ripropone un articolo da lei scritto su "Via Dogana" intitolato "Non starci
per esserci". Tale articolo ha generato delle incomprensioni con alcune
esponenti delle Donne in Nero, derivanti dalla posizione presa da Muraro in
tale scritto.
"Conosco le Donne in Nero attraverso diverse testimonianze di alcune di
loro" dice Muraro, "le apprezzo, penso ai silenzi delle donne in passato e
penso che testimoniare in silenzio sia geniale".
"L'idea che ho espresso e che ha creato qualche dissenso parte dal fatto che
io sono la sorella di un gesuita che da quando ha vent'anni vive in Brasile
e si occupa della teologia della liberazione. Vive in luoghi difficili dove
ha rischiato la vita e tuttora la rischia assieme ai suoi collaboratori".
"Nonostante questo io resto perplessa davanti alle mille opportunita' che la
societa' occidentale si crea per espandersi in nome di valori universali.
Gli occidentali devono perdere questa abitudine perche', pur partendo con le
migliori intenzioni, portano scompiglio e malattie. Tra le donne che si
espandono dall'occidente cito anche le Donne in Nero. Questa e' una veduta
estrema, che non ha sfumature e ne sono consapevole".
*
L'intervento di Luisa Morgantini
A questo punto a prendere la parola e' proprio Luisa Morgantini che inizia a
parlare raccontando di come sia sorta questa sua vocazione a spostarsi e
conoscere.
"Da piccola mi sedevo sulla porta della mia casa che dava sulle montagne.
Volevo distruggerle perche' le sentivo come un ostacolo per spostarmi e
conoscere altri luoghi".
Morgantini non nasconde quindi quanto radicate fossero in lei le origini del
desiderio di conoscere l'alterita'. L'altro e' diverso, dice, ma non poi
cosi' tanto. Certo c'e' la differenza culturale ma e' proprio all'interno
delle asimmetrie e delle disparita' che si puo' lavorare costruendo un
terreno comune d'intesa.
"Il nostro percorso ha inizio nel 1986 e allora si chiamava 'Visitare luoghi
difficili'" continua Morgantini; "nasce in occasione del conflitto
palestinese in Libano, tragico quanto complesso, che ci ha formato e fatto
nascere. Tra noi eravamo differenti, arrivavamo da esperienze diverse ma ci
guidava un pensiero comune: andare in quei luoghi non semplicemente per
portare solidarieta' e aiuti ma per avviare e creare scambio, promuovendo la
costruzione di una politica internazionale di donne proprio attraverso
relazioni di scambio".
Luisa Morgantini arriva al nodo cruciale del dissenso con Luisa Muraro: "non
siamo occidentali che vanno in quei luoghi a portare delle cose ma a creare
relazioni di scambio partendo dalla matrice comune di essere donne".
Il movimento, continua Luisa Morgantini, si basa sulla sfida di costruire
una comunita' di donne nei luoghi difficili e creare la possibilita' di far
riconoscere loro il diritto di esistere e di essere libere.
"Abbiamo incontrato donne israeliane che gia' stavano manifestando in
silenzio per dire basta alla politica del loro governo" continua Morgantini,
e spiega poi come all'inizio avessero avuto dei problemi di accettazione
dovuti alla diffidenza che le donne del posto nutrivano nei loro confronti.
Alla fine pero' gli obiettivi relazionali e costruttivi sono stati chiari ed
e' stato possibile instaurare un dialogo.
"La guerra distrugge" continua ancora Luisa Morgantini, "noi siamo contro la
guerra e la spirale allucinante degli aiuti umanitari, spirale che annienta
e distrugge. Noi vogliamo essere fuori da questa logica. Come Donne in Nero
critichiamo la logica degli aiuti umanitari per il modo in cui questi
trasformano e rendono corrotte le societa'. Articoli di giornali ci hanno
definito indebitamente come al seguito dei giornalisti ma noi abbiamo
iniziato molto prima della guerra".
Luisa Morgantini chiude questo suo lungo intervento parlando delle sue
resistenze ad adottare i simboli della lotta del movimento che ha
abbracciato.
"Vestire di nero per me e' stato difficilissimo" dice, e spiega come per lei
questo colore rappresentasse il lutto, il pianto delle donne, il partito
fascista. "Non ho compreso subito come tale colore contenga in se' il
significato di forza, criticita', sostenuto dal silenzio che e' linguaggio
che parla alla coscienza".
Inoltre chiarisce il loro rapporto con la solidarieta'. "Non disdegnamo la
solidarieta'. Abbiamo un progetto con le donne di Jenin per aiutare le donne
e le ragazze ad andare a scuola e a trovare lavoro".
*
A questo punto hanno preso avvio una serie di interventi che richiedevano
dei chiarimenti o contenevano spunti di riflessioni.
Uno di questi mirava a conoscere piu' dettagliatamente l'origine del
movimento, ossia chiedeva se le Donne in Nero, facendo notare la loro
esistenza, fossero state invitate ad andare nei luoghi difficili oppure se
avessero spontaneamente preso l'iniziativa.
Luisa Morgantini prende la parola rispondendo che ora le Donne in Nero si
muovono sia per loro iniziativa ma anche su convocazioni, mentre nell'86 la
scelta di partire e' stata loro.
Viene poi richiesto l'intervento di Luisa Muraro. In particolare le si
chiedono maggiori delucidazione sulla sua posizione, definita da lei stessa
estrema, in cui vede un Occidente portatore di malattie in continua
espansione.
"Le motivazioni sono di carattere storico, geopolitico" risponde Luisa
Muraro, "l'Europa moderna ha cominciato ad andare in giro con un moto
espansivo della propria civilta', della propria economia, dei propri usi e
costumi trovando sempre nuove ragioni e argomenti per espandersi". Gli
effetti di questa espansione pero', tutt'altro che positivi secondo il suo
pensiero, l'hanno spinta ad adottare una posizione estrema che si traduce in
una frase: "Restiamo a casa nostra".
La risposta a tale intervento si fa sentire da una delle Donne in Nero
presenti in sala la quale invita Muraro ad andare in Afghanistan con loro,
oppure in Kurdistan o in Palestina.
"Io ho avuto piu' di quanto sia stata capace di dare, non credo di aver
colonizzato nulla, sono stata io piuttosto a essere colonizzata da loro. Si
tratta di viaggi di conoscenza in cui si cerca di capire com'e' una
situazione, fornendo aiuti dove possibile. Qui in Occidente non c'e'
informazione, c'e' bisogno di vedere e non solo di scrivere e leggere, c'e'
bisogno di toccare con mano. Quando ho visto le scuole di Rawa, mi sono resa
conto che fare certe esperienze puo' cambiare la vita".
Tale intervento e' confermato da Luisa Morgantini, la quale tuttavia afferma
di capire quello che intende Luisa Muraro. L'Occidente e' frammentato, dice
Morgantini, "ma quando ci telefonano dall'Iraq, dalla Palestina, da Israele
ci fanno capire quanto sia importante per loro vedere che l'Occidente non e'
fatto solo di barbari e colonizzatori ma, dicono, ci siete anche voi che per
le strade manifestate per la pace. Ci sono delle differenze".
Un altro intervento fa luce su di un aspetto poco evidenziato: il problema
economico. L'idea della politica internazionale e' molto alternativa ma
viaggiare costa molto sia in termini di denaro che di tempo libero.
Luisa Morgantini risponde di come sia consapevole che il problema del denaro
e' un problema reale e spiega come il movimento si sia sempre autofinaziato.
Ci sono stati diversi altri interventi sulla scorta delle parole di Luisa
Muraro. Uno di questi evidenzia l'opinione che l'Occidente abbia delle
grosse colpe perche', partendo da una convinzione di superiorita', ha sempre
avuto la presunzione di espandersi portando la sua superiorita' o la sua
verita', spacciata come universale, cercando sempre e comunque di apportare
delle modifiche con lo scopo o la scusa di migliorare la situazione altrui.
Viene inoltre ripreso un aspetto del discorso di Luisa Morgantini che nei
suoi discorsi sembra non prendere in considerazione il differenziale
femminile mentre al contrario esiste una differenza abissale tra le donne
del mondo.
Un altro intervento vuole sottolineare come anche all'interno del movimento
ci siano delle spaccature: il gruppo delle Donne in Nero di Firenze sembra
stia per dividersi a causa di divergenze d'opinione riguardo la
partecipazione al social forum: alcune trovano li' un luogo di ricchezze
varie, altre ostentano un rifiuto pregiudiziale. Sembra comunque che alcune
di esse siano cosi' proiettate verso realta' lontane da non riuscire a
risolvere le difficolta' relazionali piu' vicine.
Un ulteriore intervento mette in risalto la difficolta' a comprendere i
moventi che spingono a tessere relazioni e andare nei luoghi lontani. I
moventi forniti sono molto validi ma diversi l'uno dall'altro: come la
solidarieta', lo scambio, la condivisione, cose differenti che possono
generare confusione.
Un altro punto fondamentale della discussione parte da una domanda in cui si
chiede qual e' il differenziale di pratica rispetto a quello degli uomini
che fanno l'internazionalismo proletario.
Luisa Morgantini risponde che la differenza tra il loro progetto e gli altri
sta nel fatto che non sono le Donne in Nero a creare scopi e obiettivi di
lavoro, loro si limitano a seguire e a sostenere le progettualita' create
dalle donne dei luoghi lontani. Inoltre ci tiene a precisare che le persone
che hanno incontrato sono state donne che hanno lottato e lottano per la
democrazia e la liberta'; le Donne in Nero quindi non si limitano ad opere
di carita' in senso generico ma sostengono la realizzazione di obiettivi di
donne con progettualita' democratiche e di liberta'.
Altri due interventi sottolineano ancora la posizione di Luisa Muraro, uno
evidenziando come il problema di quando si va "lontano" sia che,
inevitabilmente, si porta con se' la nostra storia, impossibile quindi
andarci con neutralita'. L'altro intervento sottolinea il fatto che, a
prescindere dalla motivazioni per cui si va in avanscoperta in altri paesi,
e' sempre in atto un processo di colonizzazione piu' o meno intenzionale
perche', volenti o nolenti, qualcosa si prende sempre.
La discussione si arricchiva cosi' di interventi e opinioni differenti. Nel
corso di tutti gli interventi si e' creato un meraviglioso spazio di
riflessione e di critica che ha offerto spunti per la creazione e
l'elaborazione di un proprio pensiero arricchito cosi' dalla diversita'
delle idee e della profondita' delle tematiche affrontate.

9. MAESTRE. ADRIANA ZARRI: VITTIME INNOCENTI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 luglio 2003. Adriana Zarri, nata a S.
Lazzaro di Savena nel 1919, e' teologa e saggista. Tra le sue opere
segnaliamo almeno: Nostro Signore del deserto, Cittadella, Assisi; Erba
della mia erba, Cittadella, Assisi; Dodici lune, Camunia, Milano; Il figlio
perduto, La Piccola, Celleno]
A Roma, su quell'orrenda montagna di marmo, che nasconde e deturpa il
Campidoglio, ma che e' molto amata dal nostro presidente (non "quello la'",
bensi' il presidente della Repubblica) e' collocata la tomba di un soldato
che non si sa chi sia. "Ignoto militi", c'e' scritto; ed e' il patetico e
doveroso omaggio ai tanti militari dispersi che hanno perduto la vita senza
neanche lasciare una traccia conoscibile. Questi soldati senza tomba son
tutti idealmente sepolti la', ai piedi del Campidoglio, e ciascuno onorato
ogni qualvolta si onora quello che tutti rappresenta: un'innocente vittima,
simbolo di tutte le vittime innocenti dell'umana follia che affida alle armi
la soluzione di controversie territoriali e politiche.
Ma si danno altre vittime innocenti, anche se non umane, che meritano la
nostra pieta' e il nostro ricordo.
Nella prima guerra mondiale l'Australia mando' al fronte centomila cavalli;
e, di quei centomila, uno soltanto ritorno' (e voglio sperare che il governo
gli abbia assicurato una serena e onorata vecchiaia). Ora proprio
l'Australia, intende dedicare un monumento all'"animale ignoto": altro
rappresentante di altre innocenti vittime dell'umana follia.

10. RILETTURE. BELA BALASZ: IL FILM
Bela Balasz, Il film, Einaudi, Torino 1952, 1997, pp. LII + 332, lire
32.000. Un'opera, come si sa, fondamentale.

11. RILETTURE. BRUNO ZEVI: EDITORIALI DI ARCHITETTURA
Bruno Zevi, Editoriali di architettura, Einaudi, Torino 1979, pp. 428. Una
raccolta di saggi (di varia umanita', di intervento civile, di acuta
sapienza e inesausta ricerca, d'intransigente testimonianza) di
straordinaria ricchezza, originariamente apparsi come editoriali della
rivista mensile "L'architettura - cronache e storia". E' un libro che ci
piace particolarmente raccomandare tra i molti dell'indimenticabile
intellettuale e antifascista.

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 621 del 24 luglio 2003