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La nonviolenza e' in cammino. 621
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 621
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 23 Jul 2003 19:26:05 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 621 del 24 luglio 2003 Sommario di questo numero: 1. Lidia Menapace: un profumo di Nora 2. Missionari comboniani: un decalogo per aiutare gli immigrati oggi 3. Fiamma Lolli intervista Vandana Shiva 4. Ileana Montini: rumori, odori, diritti, sentimenti 5. Amnesty International: porre fine al "limbo legale" di Guantanamo 6. Un appello per l'immediato ritiro dei militari italiani dall'Iraq 7. Giovanni Mandorino: ci sta a cuore 8. Serena Fuart: un incontro a Milano sull'esperienza delle Donne in nero 9. Adriana Zarri: vittime innocenti 10. Riletture: Bela Balasz, Il film 11. Riletture: Bruno Zevi, Editoriali di architettura 12. La "Carta" del Movimento Nonviolento 13. Per saperne di piu' 1. MEMORIA. LIDIA MENAPACE: UN PROFUMO DI NORA [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001. Su Nora Fumagalli abbiamo pubblicato nel notiziario di ieri i ricordi di Luciana Castellina e di Rossana Rossanda] Ricordo io pure Nora Fumagalli con la sua chioma bionda, il volto dal colorito acceso, l'accento milanese quanto piu' non si poteva, che veniva "clandestinamente" a parlare con me per preparare una delegazione di donne cattoliche per un viaggio in Urss nel 1964, nel mio studiolo alla universita' cattolica di Milano dove insegnavo prima che mi cacciassero nel '68 per aver apppoggiato le lotte studentesche e fatto una dichiarazione di "scelta marxista" (mentre un professore di Scienze politiche poteva continuare ad insegnare essendo candidato dell'Msi). Lei veniva e parlavamo a lungo con grande simpatia. E amicizia. Era una persona appassionata e libera. Da lei ho sentito le prime accorate critiche all'Urss: "Ci sono andata - diceva - e non sono democratici"; lo diceva con vero e profondo dispiacere. Non cercava, come molti intellettuali stalinisti, scuse e "ragioni storiche". E anche alla medicina rivolgeva critiche veementi. La operarono, senza avvisarla che le portavano via (usava questi termini) l'utero, decidendo a quanto pare nel corso dell'intervento, perche' la malattia era avanzata: ma non glielo perdono', anche se era gia' in eta' non piu' feconda - come le dissero i medici a scusante -: "non sono loro che devono decidere di quale parte del mio corpo voglio fare a meno, a qualsiasi cosa serva o non serva" diceva. Abbiamo avuto un bel rapporto anche quando ci vedevamo poco, e quando la sua vivace intelligenza ando' declinando. L'ultima volta che la incontrai a Milano anni fa (non poteva piu' uscire) mi regalo' un reggilibri fatto di foglioline di te' cinese pressate, un oggetto molto bello e che ancora profuma di te' a distanza d'anni, quasi un profumo di Nora. 2. APPELLI. MISSIONARI COMBONIANI: UN DECALOGO PER AIUTARE GLI IMMIGRATI OGGI [Da padre Mose' Mora (per contatti: mosemora at libero.it), della Commissione giustizia e pace dei missionari comboniani, riceviamo e diffondiamo] "Non molesterai il forestiero..." (Es 22, 20). "Sara' mai possibile che all'inizio del terzo millennio il fenomeno migratorio debba essere gestito con affanno e paura? La poverta' che spinge i fratelli e le sorelle del sud del mondo sulle nostre coste si combatte con la solidarieta' intelligente nelle cosiddette periferie del villaggio globale. Il nostro benessere e' spesso causa di sfruttamento in terre lontane" (da "Ascolta si fa sera" del 9 luglio 2003 di padre Giulio Albanese, in "Misna"). La lista dei corpi senza vita di immigrati che tentano di sbarcare a Lampedusa aumenta ogni giorno. Certi politici italiani istigano, con linguaggi anacronistici e razzisti, azioni di abbattimento. Non possiamo rimanere indifferenti e tanto meno silenti. Siamo chiamati in causa nel tentativo di trovare percorsi e soluzioni che portino a non sentirci conniventi con una mentalita' antievangelica. In Esodo 22, 20 si legge: "Non molesterai il forestiero ne' lo opprimerai, perche' voi siete stati forestieri nel paese d'Egitto". Alcuni gesti simbolici, come l'incatenamento dei padri comboniani alla finestra della questura di Caserta dal 4 al 13 giugno 2003, sono serviti a riportare l'attenzione sul problema. L'immigrazione in Italia e' oggi per molti immigrati una nuova forma di schiavitu': la maggior parte degli immigrati attirati dal miraggio del benessere della nostra societa' occidentale, finiscono per diventarne schiavi, facendo i lavori che gli Italiani non vogliono piu' fare. Mentre nei secoli scorsi i governi coloniali li deportavano dai loro paesi d'origine per renderli schiavi in Europa ora essi vengono con i loro mezzi e con le loro speranze e finiscono per trovare un mondo che il piu' delle volte non li accoglie, li prostituisce e li asservisce lasciandoli infine al margine della societa' italiana. Invitiamo tutti coloro, religiosi e laici, che condividono queste preoccupazioni a costruire una rete comune per sensibilizzare l'opinione pubblica, per facilitare la crescita di una sensibilita' di accoglienza degli immigrati e di riconoscimento dei loro diritti e della loro dignita'. * Prima di descrivere alcune iniziative concrete che possono essere prese al riguardo, e' utile mettere in luce alcuni aspetti contraddittori e palesemente ingiusti della normativa relativa al trattamento dei migranti irregolari in Italia. a) Le procedure suggerite dalla legge per regolamentare l'accesso e la permanenza di immigranti irregolari nel nostro paese sono tali da "criminalizzare" di fatto queste persone piuttosto che aiutarle a trovare una soluzione viabile alla loro difficile situazione. La condizione di clandestinita' che, di per se', non e' e non puo' costituire un reato, viene di fatto tramutata in una condizione di "illegalita'" attraverso un ordine di espulsione rilasciato dal questore da attuarsi entro cinque giorni, senza possibilita' di appello e la cui mancata attuazione prevede la pena del carcere. b) Il riconoscimento o meno del diritto di soggiorno e' legato a condizioni restrittive dei diritti della persona, come nel caso in cui una questura possa negare o revocare il permesso di soggiorno semplicemente sulla base del fatto che il soggetto abbia subito una condanna precedente anche per reati minori. Un'esasperata sottolineatura, in ogni caso, della distinzione di trattamento tra cittadini italiani e immigrnati irregolari, inevitabilmente diventa veicolo di un'implicita, ma effettiva mentalita' razzista. c) Le misure finalizzate all'inserimento dell'immigrante sono in maniera piu' o meno esplicita legate semplicemente agli interessi del datore di lavoro e quindi al beneficio economico che puo' venire al paese ospitante dal lavoro dell'immigrante. Quest'ultimo, insomma, e' riconosciuto soprattutto come una risorsa economica, come mano d'opera a basso prezzo, senza una piu' comprensiva considerazione del suo valore come persona soggetto di diritti, dei bisogni suoi e della sua famiglia, del possibile contributo umano, culturale e spirituale che potrebbe apportare al nostro paese. * Un decalogo per aiutare gli immigrati oggi Crediamo sia possibile attuare delle misure alternative, sia a livello personale che comunitario, che possano condurre ad un miglioramento della legislazione e, laddove questa viola le esigenze della giustizia, dell'accoglienza cristiana e della solidarieta', che esprimano una netta dissociazione da essa e quindi un'obiezione di coscienza consapevole e costruttiva. Seguono, dunque, alcune proposte. 1. "Disobbedisco anch'io". Riteniamo legittimo un atto di disobbedienza nei confronti dei contenuti della legge Bossi-Fini e ci diciamo disposti a compierlo. Intendiamo adoperarci a contribuire materialmente con i mezzi a nostra disposizione per ottenere che lo straniero in attesa di regolarizzazione, che non sia responsabile di reati, possa sottrarsi all'espulsione e siamo disponibili a subire i procedimenti penali e le conseguenti sanzioni previste per i trasgressori. 2. Favorire il protagonismo del migrante. Incoraggiare la nascita di iniziative ed organizzazioni che vedano i migranti impegnati e coinvolti in prima persona come protagonisti nel definire gli obiettivi utili al loro inserimento ed i modi migliori per perseguirli. A questo livello si chiede che si riconosca il diritto di voto. 3. Gemellaggio con un migrante. Si tratta di una sorta di "adozione" fatta da famiglie o comunita' nei confronti di un migrante in maniera tale da offrirgli amicizia e solidarieta', soprattutto nell'evenienza che si trovi in situazioni di difficolta'. Concretamente questo puo' implicare diversi gradi di coinvolgimento: - una semplice telefonata periodica di "controllo" della situazione; - accompagnamento del migrante adottato agli uffici della questura o comunque nello svolgimento di qualche pratica; - aiuto nella ricerca di un alloggio o di un lavoro; - stanziamento di una cifra mensile di sostentamento a chi ha piu' bisogno; - un corso personalizzato di lingua italiana. 4. Creare una rete di urgenza. La rete di urgenza e' un insieme di singoli, gruppi o associazioni, avvocati, medici, politici etc. che si rendono disponibili ad agire in tempi rapidi nel caso di un'emergenza: retate di polizia, episodi di razzismo etc. 5. Testimoniare pubblicamente il proprio dissenso. Si tratta di organizzare presidi, sit-in o altre forme di resistenza passiva davanti a questure o altri luoghi istituzionali per sensibilizzare circa l'ingiustizia di trattamenti sommari e puramente restrittivi nei confronti di migranti in difficolta'. 6. Organizzazione del "sanctuary movement" in Italia. Negli Usa negli anni '80 nacque il Sanctuary movement per sostenere gli immigranti provenienti dal Centramerica in guerra. Nel tentativo di rifugiarsi negli Stati Uniti, questi ultimi venivano sistematicamente rispediti al proprio paese dove avrebbero dovuto affrontare la prigione o la morte. Le comunita' cristiane memori dell'essere luoghi di inviolabilita' e pertanto i piu' idonei per la difesa del diritto d'asilo, si offrirono a dichiarare un immigrato parte integrante della loro comunita' facendosi carico di determinati soggetti a rischio. Quando la polizia veniva per arrestarli ed espellerli, era la comunita' stessa a farsi arrestare e a presentarsi in tribunale. 7. Offrire sostegno alla regolarizzazione dei migranti. Si tratta di facilitare in qualsiasi modo possibile il processo di regolarizzazione del migrante chiedendo ed offrendo informazioni utili o anche qualsiasi altro tipo di supporto. 8. Sostenere le campagne di pressione. Si tratta di aderire a campagne volte a cambiare la legge Bossi-Fini e a sensibilizzare la societa' civile sul problema. 9. Avviare laboratori di convivenza. Creare occasioni e spazi di conoscenza reciproca, di confronto, di convivialita' tra le persone e le culture, nelle scuole, nelle parrocchie, negli spazi comunitari. 10. Aprire le case ed i cuori dei religiosi/e al forestiero e al migrante. Ogni istituto potrebbe trovare il modo di aprirsi al migrante offrendo spazi o supporto vario. 3. RIFLESSIONE. FIAMMA LOLLI INTERVISTA VANDANA SHIVA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 luglio 2003. Fiamma Lolli e' una delle piu' conosciute e apprezzate amiche della nonviolenza ed alla nonviolenza formatrici. Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003] Vandana Shiva e' in Italia per partecipare a "A New Global Vision", incontro mondiale su ambiente, cibo, salute, educazione e pace organizzato dalla Regione Toscana nella tenuta di San Rossore (Pisa). L'abbiamo incontrata in una pausa dei lavori. - Fiamma Lolli: Da anni lei non fa che ripetere le stesse cose su ogm, sviluppo sostenibile, equa distribuzione delle risorse. Eppure l'attenzione dei media non cala... - Vandana Shiva: Quando, nel 1987, cominciai ad occuparmi di questi temi nessuno, ne' nella comunita' scientifica ne' in quella politica, ne aveva capito appieno la portata. Ci vollero cinque anni perche' le cose iniziassero a cambiare, scientificamente e politicamente. Se l'attenzione non cala e' perche' quel che allora era solo un'anticipazione e' diventato vero; basti pensare a cio' che sta succedendo in questi giorni nel vostro Piemonte. Del resto saper anticipare la realta' e prefigurarne gli sviluppi e' una delle chiavi di volta del pensiero nonviolento. - F. L.: Cosa vuol dire, oggi? - V. S.: Promuovere e stabilire accordi multilaterali sempre piu' vasti e concreti che tutelino la biodiversita' e favoriscano la sostenibilita' ambientale per costruire un mondo migliore. Attenzione, pero': parlare di multilateralita', come sempre piu' spesso fa l'Onu, presuppone che tutti i lati siano equamente forti. Rafforzare i singoli individui dara' forti comunita', forti comunita' come precondizione per nazioni forti, essenziali a una globalizzazione equa e giusta. Ma per realizzare questa giustizia dobbiamo saperla immaginare. Tradurre l'immaginazione in realta' e' fondamentale per una globalizzazione nonviolenta, mentre la mancanza, l'incapacita' di prefigurazione dei possibili scenari puo' solo portare nuove guerre. - F. L.: Legare immaginazione e realta'? Su quale piano, in quale spazio? - V. S.: La risposta e' piu' semplice (non piu' facile) della domanda: bisogna agire prima che sia tardi. Se ci muoveremo in tempo, se grazie al dialogo riusciremo a prevenire conflitti distruttivi, non avremo piu' bisogno di nemici. A legare realta' e immaginazione e' la nostra capacita' di agire - e la sua necessita'. - F. L.: Quando dice "nostra" si riferisce all'umanita' nel suo insieme o ad una differenza di genere? Crede che la capacita' delle donne di agire in modo differente, questa differenza che si fa azione, sia consolidata nel movimento? - V. S.: In movimento nulla e' mai consolidato: credo pero' che dalla nostra visibilita' non si tornera' indietro. Abbiamo conquistato piu' spazio perche' abbiamo iniziato a farci sentire: se smettessimo lo spazio si chiuderebbe. Percio' la differenza di genere dovra' continuare ad essere uno dei temi centrali nel movimento. Non puo' ne' potra' esserci giustizia, ne' tantomeno pace, ne' ambiente, cibo, salute o educazione senza il contributo delle donne. Eguaglianza di possibilita', d'espressione, di diritti, anche questo e' sostenibilita'. - F. L.: Sempre piu' spesso, tutelare biodiversita' e produzioni alimentari tradizionali locali si traduce nel trasportarle a grandi distanze, su camion o aerei. Non crede che ci sia una contraddizione? - V. S.: E' questione di dimensioni: se torniamo da un viaggio con qualcosa di tipico da condividere con un amico, niente di male. Il problema nasce quando il trasporto a distanza diventa modello, regola, e smette di essere eccezione. Che senso ha produrre specialita' fantastiche se poi inquiniamo per farle conoscere? Giusta distribuzione delle ricchezze non significa solo equa ripartizione dei beni ma anche corretta circolazione di merci prodotte in modo rispettoso dell'ambiente. - F. L.: Quando si parla di giusto rapporto con la natura si finisce sempre per riferirsi al modo in cui la coltiviamo: sementi autoctone contro ogm, concimi organici invece che chimici... ma ambiente e cibo vogliono dire anche natura selvatica... - V. S.: Natura selvatica e natura coltivata sono un po' come femminile e maschile: il selvatico dovrebbe essere al centro, la' dove dovrebbero stare, piu' e piu' spesso, le donne, mentre il coltivato, cosi' come il maschile, dovrebbe spostarsi un po' di piu' verso il femminile, il selvatico. Venendo qui ho visto la Torre di Pisa e ho pensato che e' una buona metafora di cio' che il cibo e' o dovrebbe essere: un'opera d'arte, antico frutto dell'opera umana, solida e meravigliosamente "confezionata" eppure dolcemente piegata verso la terra. 4. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: RUMORI, ODORI, DIRITTI, SENTIMENTI [Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it) per questo intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia' insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per "L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain" di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle" insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne". Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa, scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani, Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani, Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha redatto il progetto e curato la supervisione delle operatrici: titolo: "... ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione, insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir". Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia Menapace e Rossana Rossanda] E' da poco uscita una bella intervista al sociologo polacco Zygmunt Bauman a cura di Benedetto Vecchi (Laterza, Roma-Bari 2003, pp. XII + 132, euro 9) con il titolo Intervista sull'identita'. Da questa lunga intervista che tratta il tema dell'identita' ma anche della "modernita' liquida", vorrei prendere spunto per accennare a un altro problema post-moderno, quello dei diritti di cittadinanza. Il sociologo polacco ci avvisa che il significato di cittadinanza e' stato svuotato di buona parte dei suoi passati contenuti di pari passo con il progressivo smantellamento delle istituzioni gestite o autorizzate dallo Stato. A me viene da interpretare questa tesi applicandola alle piccole realta' locali, dove il potere statuale e' rappresentato e gestito dai Comuni. Parto da un esempio concreto e attuale. Sulla costa adriatica romagnola, dove ci sono ancora in maggioranza Comuni retti dal centro-sinistra, durante l'estate sorgono svariati problemi di conflitto tra i cittadini, o tra i cittadini turisti e i cittadini residenti. Per esempio il problema dell'eccesso dei rumori, da quello delle auto ai piano-bar all'aperto che fino a mezzanotte impongono la musica amplificata a dismisura, agli alberghi che hanno il diritto una volta alla settimana di organizzare feste danzanti all'aperto, ai bagni che possono fare anche di piu' sull'arenile, ai centri sportivi improvvisati all'aperto che a qualsiasi ora impongono ai cittadini residenti i loro amplificatori. Oppure sorgono altri problemi e altri conflitti. In una di queste citta' romagnole assai nota, il Comune ha dotato uno spazio verde con giochi da giardino per i bambini, ma anche dato in concessione una parte della zona a un ristorante di pesce, al posto - come sarebbe stato piu' logico - di un bar. La conseguenza e' nefasta: all'ora del pranzo e della cena il parco giochi affonda nell'olezzo di pesce fritto. E quando i cittadini si rivolgono ai vigili o a qualche assessore per segnalare le varie situazioni insopportabili, le risposte sono da anni invariabili: i turisti bisogna assecondarli e trattenerli inventando nuove modalita' festaiole. I cittadini turisti amano la musica assordante da discoteca che deve accompagnare gli esercizi di fitness e cosi' i cittadini gestori degli esercizi e dei locali per guadagnare devono seguire le mode. Come si puo' facilmente constatare, i diritti degli uni e degli altri entrano in conflitto. Ma chi vince? Prima di tutto vincono coloro che hanno il diritto di guadagnare e per questo seguono le mode del momento. Poi i turisti - giovani o non - che amano un mondo popolato di forti rumori e momentanee emozioni. Ci perdono i cittadini, e i turisti, che si rifanno ad altro modelli del vivere quotidiano. Ma le istituzioni da che parte stanno? Naturalmente dalla parte dei lavoratori organizzati nelle locali lobby (degli albergatori, dei bagnini ecc.). Neppure i governi locali dell'Ulivo possono sottrarsi al potere delle lobby. Ne consegue che i semplici cittadini - in questo caso anche i turisti - vivono un sentimento d'impotenza. Quali sono, o saranno, le conseguenze di questi stati d'animo collettivi? Forse tutto cio' fa la "modernita' liquida", quanto a dire fluida, senza punti di riferimento solidi e perennemente attraversata da svariate conflittualita' sociali. 5. APPELLI. AMNESTY INTERNATIONAL: PORRE FINE AL "LIMBO LEGALE" DI GUANTANAMO [Dall'ufficio stampa di Amnesty International (per contatti: tel. 064490224 - 3486974361, e-mail: press at amnesty.it, sito: www.amnesty.it) riceviamo e diffondiamo] Il 3 luglio il Pentagono ha annunciato che il Presidente Bush aveva indicato sei cittadini stranieri detenuti a Guantanamo Bay come le prime persone destinate a essere sottoposte all'Ordine militare del novembre 2001. Questo atto prevede la detenzione a tempo indeterminato senza accusa ne' processo, oppure lo svolgimento di un processo di fronte alle commissioni militari, nei confronti di persone sospettate di essere coinvolte nel "terrorismo internazionale". Le commissioni militari hanno il potere di emettere condanne a morte, contro le quali non e' possibile appellarsi ad alcuna corte. Come e' emerso in seguito, due dei sei detenuti indicati dal presidente Bush, Moazzam Begg e Feroz Abbasi, sono cittadini britannici, cosa che ha causato profonda preoccupazione nel Regno Unito. Le autorita' statunitensi non hanno ancora formulato le accuse nei confronti dei sei detenuti ne' hanno istituito le commissioni militari. "Chiediamo al governo degli Stati Uniti non solo di sospendere la nomina delle commissioni militari ma di rinunciare definitivamente a questi procedimenti iniqui" - ha affermato Amnesty International - "e di farlo non soltanto nel caso dei cittadini britannici ma di chiunque delle centinaia di cittadini stranieri detenuti a Guantanamo Bay, nella base aerea di Bagram in Afghanistan e in ulteriori ignoti centri di detenzione nel mondo". Amnesty International ha ribadito la propria richiesta affinche' tutte le persone che si trovano sotto custodia statunitense abbiano accesso all'assistenza legale e siano in grado di contestare dinanzi a un tribunale la legittimita' della propria detenzione. Se sospettate di aver commesso un reato, queste persone dovrebbero essere incriminate per un reato di accertata natura penale e sottoposte a processo entro un termine ragionevole, secondo una procedura pienamente conforme al diritto internazionale e senza ricorrere alla pena di morte. In caso contrario, dovrebbero essere rilasciate. Ieri il presidente Bush ha affermato, a proposito dei detenuti di Guantanamo Bay, che "l'unica cosa che so per certo e' che sono cattive persone". "Mostrando ancora una volta profondo disprezzo per la presunzione di innocenza, il presidente Bush ha fatto chiaramente capire perche' le commissioni militari non potranno assicurare giustizia" - ha commentato Amnesty International, sottolineando che l'esecutivo, guidato dal presidente Bush, controlla le commissioni e i loro verdetti, decidendo anche sulla vita e la morte dell'imputato. "E' tempo di porre fine a questo limbo legale e che gli Usa riconoscano di aver preso la strada sbagliata con l'Ordine militare del novembre 2001. La sicurezza internazionale si consegue attraverso la piena osservanza del diritto internazionale e il rispetto degli standard in materia di diritti umani fondamentali" - ha concluso Amnesty International. 6. APPELLI. UN APPELLO PER L'IMMEDIATO RITIRO DEI MILITARI ITALIANI DALL'IRAQ [Dagli amici dell'organizzazione umanitaria "Un ponte per" (per contatti: posta at unponteper.it) riceviamo e diffondiamo. Il Tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq raccoglie le ong presenti in Iraq per interventi effettivamente umanitari e di pace; il comitato "Fermiamo la guerra" e' il cartello che promosse la grande manifestazione pacifista svoltasi alcuni mesi fa a Roma] In queste ore la Camera dei deputati sta discutendo il decreto legge per interventi urgenti a favore della popolazione irachena, nonche' a proroga della partecipazione italiana a operazioni militari. Il Tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq e il comitato "Fermiamo la guerra" denunciano la poca chiarezza del decreto, che prevede l'approvazione in blocco di decisioni che hanno scarsa attinenza le une con le altre: 1. missione umanitaria e di ricostruzione dell'Iraq; 2. invio di un contingente militare in Iraq; 3. partecipazione militare italiana a operazioni internazionali; 4. partecipazione italiana ai processi di pace; 5. regole amministrative e coperture finanziaria. Per salvaguardare i valori dell'azione umanitaria e per impedire che siano inquinati da altri obiettivi totalmente estranei al concetto, agli ideali e alla pratica dell'umanitarismo, il Parlamento dovrebbe definire la missione italiana con il suo vero nome: missione militare, politica e diplomatica. Il decreto legge, invece, maschera l'intervento militare (per il quale prevede una spesa di oltre 200 milioni di euro) come la necessaria protezione di aiuti umanitari finanziati nella misura di 20 milioni di euro. E' in gioco l'essenza e il senso vero dell'azione umanitaria, di fronte alla quale nessuna ambiguita' puo' essere permessa. Nessuna organizzazione umanitaria potra' mai accettare la protezione militare per la realizzazione dei propri interventi. A cio' deve aggiungersi che in Iraq, la presenza militare della "Coalizione", Italia compresa, e' una presenza cui manca il carattere della legalita' internazionale, come e' invece indispensabile per poter partecipare alle operazioni di pace. La protezione degli aiuti umanitari e' un pretesto: centinaia di operatori umanitari sono in Iraq da mesi senza necessita' di protezione militare, anzi e' proprio questa indipendenza la garanzia della propria neutralita' e imparzialita'. Se l'Italia venisse identificata dagli iracheni come potenza occupante, come in definitiva il decreto prevede, l'incolumita' degli operatori umanitari sarebbe messa a rischio. Il Tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq e il comitato "Fermiamo la guerra" chiedono l'immediato ritiro dei militari italiani, la revoca della partecipazione alla "Coalition Provisional Authority", il ripristino della legalita' internazionale con l'affidamento all'Onu della transizione, la promozione di iniziative umanitarie con il coordinamento delle Nazioni Unite, e l'utilizzo dei fondi previsti per finanziare la missione militare per progetti di cooperazione allo sviluppo in Iraq e altrove. Tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq Comitato "Fermiamo la guerra" 7. RIFLESSIONE. GIOVANNI MANDORINO: CI STA A CUORE [Ringraziamo Giovanni Mandorino (per contatti: g.mandorino at tiscali.it) per questo intervento. Giovanni Mandorino e' una delle piu' rigorose e attive persone impegnate per la nonviolenza] Ho subito firmato la petizione popolare perche' cessi la partecipazione italiana all'occupazione militare dell'Iraq, petizione promossa dal Tavolo di solidarieta' con le popolazioni dell'Iraq (per contatti: e-mail: info at tavoloiraq.org, sito: www.tavoloiraq.org), convinto della fondatezza e della bonta` delle argomentazioni e delle richieste che vi sono presentate. Rileggendola a distanza di qualche giorno, mi sono reso conto che da essa manca un punto, a mio avviso, fondamentale: la nostra preoccupazione per l'incolumita` dei ragazzi italiani che, indossando una divisa (con l'intento di concorrere al sacro dovere della difesa della Patria, previsto dalla nostra Costituzione), sono stati, invece, spediti ad invadere la Patria altrui da coloro che, al momento, dispongono della maggioranza parlamentare. Qualunque sia il nostro atteggiamento nei confronti dell'istituzione militare (ed il mio, da obiettore di coscienza, e` apertamente favorevole all'abolizione della stessa), non dobbiamo commettere l'errore di confondere l'istituzione (che non appoggiamo, ma anzi contrastiamo) con le persone che indossano la divisa (siano pure i cosiddetti "volontari"). A noi sta a cuore il benessere, la vita e l'incolumita` di ciascuno di loro ed e` anche per questo che "ne richiediamo l'immediato rientro in Italia" sia dall'Iraq che dall'Afganistan e con questo denunciamo la retorica pelosa di chi, dicendo di sostenerli, ne mette ogni giorno in pericolo la vita. Spero che queste considerazioni possano trovare piu' spazio nelle iniziative per la pace che intraprenderemo in futuro. 8. INCONTRI. SERENA FUART: UN INCONTRO A MILANO SULL'ESPERIENZA DELLE DONNE IN NERO [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo questo resoconto dell'incontro voltosi il 5 aprile 2003 al Circolo della Rosa sull'esperienza delle Donne in nero. Laura Colombo e' una delle animatrici della Libreria delle donne di Milano ed iniseme a Sara Gandini e' "webmater" del sito www.libreriadelledonne.it. Serena Fuart e' una delle animatrici del Circolo della Rosa, dei cui incontri cura sovente - con grande perizia e finezza - i resoconti. Di Luisa Morgantini riportiamo il seguente profilo dal sito www.luisamorgantini.net: "Luisa Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5 novembre 1940. Dal 1960 al 1966 ha lavorato presso l'istituto Nazionale di Assistenza a Bologna occupandosi di servizi sociali e previdenziali. Dal 1967 al 1968 ha frequentato in Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove ha studiato sociologia, relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971 ha lavorato presso la societa' Umanitaria di Milano nel settore dell'educazione degli adulti. Dal 1970 e fino al 1999 ha fatto la sindacalista nei metalmeccanici nel sindacato unitario della Flm. Eletta nella segreteria di Milano - prima donna nella storia del sindacato metalmeccanico - ha seguito la formazione sindacale e la contrattazione per il settore delle telecomunicazioni, impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata responsabile del dipartimento relazioni internazionali del sindacato metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha rappresentato il sindacato italiano nell'esecutivo della Federazione europea dei metalmeccanici (Fem) e nel Consiglio della Federazione sindacale mondiale dei metalmeccanici (Fism). Dal novembre del 1980 al settembre del 1981, in seguito al terremoto in Irpinia, in rappresentanza del sindacato, ha vissuto a Teora contribuendo alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha fondato con un gruppo di donne di Teora una cooperativa di produzione, "La meta' del cielo", che e' tuttora esistente. Dal 1979 ha seguito molti progetti di solidarieta' e cooperazione non governativa con vari paesi, tra cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa, Mozambico, Eritrea, Palestina, Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata in luoghi di conflitto entro e oltre i confini, praticando in ogni luogo anche la specificita' dell' essere donna, nel riconoscimento dei diritti di ciascun essere umano: nelle rivendicazioni sindacali, con le donne contro la mafia, contro l'apartheid in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e israeliane per il diritto dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza con lo stato israeliano, con il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la guerra e i bombardamenti della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo all'autonomia, per la cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra. Attiva nel campo dei diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in Cina, Vietnam e Siria, e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si occupa di questioni riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del conflitto Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di relazioni e networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare con associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino del Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo, eletta come indipendente nelle liste del Prc e aderente al gruppo Gue-Ngl. Presiede la delegazione parlamentare per i rapporti con il consiglio legislativo palestinese, oltre ad essere membro titolare nella commissioni diritti della donna e pari opportunita' ed in quella per lo sviluppo e la cooperazione, membro della delegazione per le relazioni con il Sud Asia e membro sostituto della commissione industria, commercio esterno, ricerca ed energia. In Italia continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione per la pace". Luisa Muraro insegna all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997"] L'incontro e' stato presentato da Laura Colombo e si e' avvalso degli interventi di Luisa Muraro e di Luisa Morgantini. * "I nostri occhi si muovono, non sfuggiamo gli sguardi delle persone che passano, vogliamo che sappiano perche' siamo li', siamo nelle piazze, partecipiamo, anche dove non si vuole che si partecipi" (Donne in Nero) Il movimento delle Donne in Nero nasce a Gerusalemme da sette donne israeliane che si ritrovarono in piazza per manifestare con il loro silenzio la loro opposizione all'occupazione. Il movimento oggi e' attivo anche in occidente, caratterizzato dalla loro protesta silenziosa e tinta di nero. "Mettere in pratica la solidarieta'" si trova scritto sul loro sito internet a proposito della loro missione; "mettere in contatto le donne dalle varie parti del mondo per tessere una tela di relazioni umane, poter costruire una politica internazionale delle donne, superare confini, barriere, nazionalismi pur essendo radicate nella nostra realta'. Il movimento riguarda un ricercare comune, intendendo con questo un concetto piu' ampio dei semplici luoghi pubblici, visitare i luoghi piu' difficili della mente, della coscienza, quello che e' nascosto dalle nostre paure e dai nostri pregiudizi, affrontare i nodi della violenza, della guerra, del dolore, dell'odio, dell'estraneita', della passivita' per conoscere e per conoscersi, per cambiarsi". Le Donne in Nero partono quindi da loro stesse, dal mettersi in gioco in prima persona e dalle relazioni che riescono a tessere con donne di luoghi lontani, e a loro si riconosce di aver dato vita ad un nuovo modo di essere dissidenti e protestare, un metodo che va al di fuori delle logiche dei sistemi di potere. In tali sistemi e' prevista l'opposizione, e' calcolata e inglobata nel sistema del potere stesso costituendone la naturale contrapposizione che lo sostiene. Le Donne in Nero hanno quindi obiettivi comuni e precisi che partono dal presupposto di creare qualcosa di concreto. La simbologia dei loro strumenti, il silenzio e il vestire di nero, evoca dei significati precisi: il silenzio e' simbolo di forza, e' il loro linguaggio per attirare l'attenzione e sottolineare la loro presenza, il nero e' un colore che ha come effetto una comunicazione immediata. * L'intervento di Laura Colombo "Io vivo un'insidia profonda a stare in questo occidente" dice Laura Colombo, "questo occidente che pur lontano dalle bombe ci ubriaca con la retorica della guerra umanitaria, guerra per preparare la pace". "L'occidente rivendica un diritto onnipotente di distruggere e ricostruire e in qualche modo controlla la vita a chi occidentale non e'. La situazione della guerra in Iraq e' paradossale: oltre alle spese militari sono gia' previste quelle degli aiuti umanitari. L'occidente va avanti per le sue logiche e mi crea rabbia: il disfare per poi fare. Tuttavia ogni protesta sta dentro questo sistema. Le Donne in Nero mi fanno riflettere: c'e' un modo di dissentire che non rientra nel meccanismo della normalizzazione dell'opposizione". "Il movimento e' vivo anche in Italia da diversi anni e ritengo importantissimo quello che fanno: questo mettersi in relazione con donne che vivono in questi posti difficili, tessere con loro delle relazioni e sostenere quello che loro vogliono fare con opere di civilta' nei luoghi vicini. Questo e' un modo che mi fa vedere che c'e' qualcosa di buono e positivo anche in questo occidente inglobato quasi completamente in una rete di potere". * L'intervento di Luisa Muraro Il dibattito della serata prende avvio con l'intervento di Luisa Muraro, che ripropone un articolo da lei scritto su "Via Dogana" intitolato "Non starci per esserci". Tale articolo ha generato delle incomprensioni con alcune esponenti delle Donne in Nero, derivanti dalla posizione presa da Muraro in tale scritto. "Conosco le Donne in Nero attraverso diverse testimonianze di alcune di loro" dice Muraro, "le apprezzo, penso ai silenzi delle donne in passato e penso che testimoniare in silenzio sia geniale". "L'idea che ho espresso e che ha creato qualche dissenso parte dal fatto che io sono la sorella di un gesuita che da quando ha vent'anni vive in Brasile e si occupa della teologia della liberazione. Vive in luoghi difficili dove ha rischiato la vita e tuttora la rischia assieme ai suoi collaboratori". "Nonostante questo io resto perplessa davanti alle mille opportunita' che la societa' occidentale si crea per espandersi in nome di valori universali. Gli occidentali devono perdere questa abitudine perche', pur partendo con le migliori intenzioni, portano scompiglio e malattie. Tra le donne che si espandono dall'occidente cito anche le Donne in Nero. Questa e' una veduta estrema, che non ha sfumature e ne sono consapevole". * L'intervento di Luisa Morgantini A questo punto a prendere la parola e' proprio Luisa Morgantini che inizia a parlare raccontando di come sia sorta questa sua vocazione a spostarsi e conoscere. "Da piccola mi sedevo sulla porta della mia casa che dava sulle montagne. Volevo distruggerle perche' le sentivo come un ostacolo per spostarmi e conoscere altri luoghi". Morgantini non nasconde quindi quanto radicate fossero in lei le origini del desiderio di conoscere l'alterita'. L'altro e' diverso, dice, ma non poi cosi' tanto. Certo c'e' la differenza culturale ma e' proprio all'interno delle asimmetrie e delle disparita' che si puo' lavorare costruendo un terreno comune d'intesa. "Il nostro percorso ha inizio nel 1986 e allora si chiamava 'Visitare luoghi difficili'" continua Morgantini; "nasce in occasione del conflitto palestinese in Libano, tragico quanto complesso, che ci ha formato e fatto nascere. Tra noi eravamo differenti, arrivavamo da esperienze diverse ma ci guidava un pensiero comune: andare in quei luoghi non semplicemente per portare solidarieta' e aiuti ma per avviare e creare scambio, promuovendo la costruzione di una politica internazionale di donne proprio attraverso relazioni di scambio". Luisa Morgantini arriva al nodo cruciale del dissenso con Luisa Muraro: "non siamo occidentali che vanno in quei luoghi a portare delle cose ma a creare relazioni di scambio partendo dalla matrice comune di essere donne". Il movimento, continua Luisa Morgantini, si basa sulla sfida di costruire una comunita' di donne nei luoghi difficili e creare la possibilita' di far riconoscere loro il diritto di esistere e di essere libere. "Abbiamo incontrato donne israeliane che gia' stavano manifestando in silenzio per dire basta alla politica del loro governo" continua Morgantini, e spiega poi come all'inizio avessero avuto dei problemi di accettazione dovuti alla diffidenza che le donne del posto nutrivano nei loro confronti. Alla fine pero' gli obiettivi relazionali e costruttivi sono stati chiari ed e' stato possibile instaurare un dialogo. "La guerra distrugge" continua ancora Luisa Morgantini, "noi siamo contro la guerra e la spirale allucinante degli aiuti umanitari, spirale che annienta e distrugge. Noi vogliamo essere fuori da questa logica. Come Donne in Nero critichiamo la logica degli aiuti umanitari per il modo in cui questi trasformano e rendono corrotte le societa'. Articoli di giornali ci hanno definito indebitamente come al seguito dei giornalisti ma noi abbiamo iniziato molto prima della guerra". Luisa Morgantini chiude questo suo lungo intervento parlando delle sue resistenze ad adottare i simboli della lotta del movimento che ha abbracciato. "Vestire di nero per me e' stato difficilissimo" dice, e spiega come per lei questo colore rappresentasse il lutto, il pianto delle donne, il partito fascista. "Non ho compreso subito come tale colore contenga in se' il significato di forza, criticita', sostenuto dal silenzio che e' linguaggio che parla alla coscienza". Inoltre chiarisce il loro rapporto con la solidarieta'. "Non disdegnamo la solidarieta'. Abbiamo un progetto con le donne di Jenin per aiutare le donne e le ragazze ad andare a scuola e a trovare lavoro". * A questo punto hanno preso avvio una serie di interventi che richiedevano dei chiarimenti o contenevano spunti di riflessioni. Uno di questi mirava a conoscere piu' dettagliatamente l'origine del movimento, ossia chiedeva se le Donne in Nero, facendo notare la loro esistenza, fossero state invitate ad andare nei luoghi difficili oppure se avessero spontaneamente preso l'iniziativa. Luisa Morgantini prende la parola rispondendo che ora le Donne in Nero si muovono sia per loro iniziativa ma anche su convocazioni, mentre nell'86 la scelta di partire e' stata loro. Viene poi richiesto l'intervento di Luisa Muraro. In particolare le si chiedono maggiori delucidazione sulla sua posizione, definita da lei stessa estrema, in cui vede un Occidente portatore di malattie in continua espansione. "Le motivazioni sono di carattere storico, geopolitico" risponde Luisa Muraro, "l'Europa moderna ha cominciato ad andare in giro con un moto espansivo della propria civilta', della propria economia, dei propri usi e costumi trovando sempre nuove ragioni e argomenti per espandersi". Gli effetti di questa espansione pero', tutt'altro che positivi secondo il suo pensiero, l'hanno spinta ad adottare una posizione estrema che si traduce in una frase: "Restiamo a casa nostra". La risposta a tale intervento si fa sentire da una delle Donne in Nero presenti in sala la quale invita Muraro ad andare in Afghanistan con loro, oppure in Kurdistan o in Palestina. "Io ho avuto piu' di quanto sia stata capace di dare, non credo di aver colonizzato nulla, sono stata io piuttosto a essere colonizzata da loro. Si tratta di viaggi di conoscenza in cui si cerca di capire com'e' una situazione, fornendo aiuti dove possibile. Qui in Occidente non c'e' informazione, c'e' bisogno di vedere e non solo di scrivere e leggere, c'e' bisogno di toccare con mano. Quando ho visto le scuole di Rawa, mi sono resa conto che fare certe esperienze puo' cambiare la vita". Tale intervento e' confermato da Luisa Morgantini, la quale tuttavia afferma di capire quello che intende Luisa Muraro. L'Occidente e' frammentato, dice Morgantini, "ma quando ci telefonano dall'Iraq, dalla Palestina, da Israele ci fanno capire quanto sia importante per loro vedere che l'Occidente non e' fatto solo di barbari e colonizzatori ma, dicono, ci siete anche voi che per le strade manifestate per la pace. Ci sono delle differenze". Un altro intervento fa luce su di un aspetto poco evidenziato: il problema economico. L'idea della politica internazionale e' molto alternativa ma viaggiare costa molto sia in termini di denaro che di tempo libero. Luisa Morgantini risponde di come sia consapevole che il problema del denaro e' un problema reale e spiega come il movimento si sia sempre autofinaziato. Ci sono stati diversi altri interventi sulla scorta delle parole di Luisa Muraro. Uno di questi evidenzia l'opinione che l'Occidente abbia delle grosse colpe perche', partendo da una convinzione di superiorita', ha sempre avuto la presunzione di espandersi portando la sua superiorita' o la sua verita', spacciata come universale, cercando sempre e comunque di apportare delle modifiche con lo scopo o la scusa di migliorare la situazione altrui. Viene inoltre ripreso un aspetto del discorso di Luisa Morgantini che nei suoi discorsi sembra non prendere in considerazione il differenziale femminile mentre al contrario esiste una differenza abissale tra le donne del mondo. Un altro intervento vuole sottolineare come anche all'interno del movimento ci siano delle spaccature: il gruppo delle Donne in Nero di Firenze sembra stia per dividersi a causa di divergenze d'opinione riguardo la partecipazione al social forum: alcune trovano li' un luogo di ricchezze varie, altre ostentano un rifiuto pregiudiziale. Sembra comunque che alcune di esse siano cosi' proiettate verso realta' lontane da non riuscire a risolvere le difficolta' relazionali piu' vicine. Un ulteriore intervento mette in risalto la difficolta' a comprendere i moventi che spingono a tessere relazioni e andare nei luoghi lontani. I moventi forniti sono molto validi ma diversi l'uno dall'altro: come la solidarieta', lo scambio, la condivisione, cose differenti che possono generare confusione. Un altro punto fondamentale della discussione parte da una domanda in cui si chiede qual e' il differenziale di pratica rispetto a quello degli uomini che fanno l'internazionalismo proletario. Luisa Morgantini risponde che la differenza tra il loro progetto e gli altri sta nel fatto che non sono le Donne in Nero a creare scopi e obiettivi di lavoro, loro si limitano a seguire e a sostenere le progettualita' create dalle donne dei luoghi lontani. Inoltre ci tiene a precisare che le persone che hanno incontrato sono state donne che hanno lottato e lottano per la democrazia e la liberta'; le Donne in Nero quindi non si limitano ad opere di carita' in senso generico ma sostengono la realizzazione di obiettivi di donne con progettualita' democratiche e di liberta'. Altri due interventi sottolineano ancora la posizione di Luisa Muraro, uno evidenziando come il problema di quando si va "lontano" sia che, inevitabilmente, si porta con se' la nostra storia, impossibile quindi andarci con neutralita'. L'altro intervento sottolinea il fatto che, a prescindere dalla motivazioni per cui si va in avanscoperta in altri paesi, e' sempre in atto un processo di colonizzazione piu' o meno intenzionale perche', volenti o nolenti, qualcosa si prende sempre. La discussione si arricchiva cosi' di interventi e opinioni differenti. Nel corso di tutti gli interventi si e' creato un meraviglioso spazio di riflessione e di critica che ha offerto spunti per la creazione e l'elaborazione di un proprio pensiero arricchito cosi' dalla diversita' delle idee e della profondita' delle tematiche affrontate. 9. MAESTRE. ADRIANA ZARRI: VITTIME INNOCENTI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 luglio 2003. Adriana Zarri, nata a S. Lazzaro di Savena nel 1919, e' teologa e saggista. Tra le sue opere segnaliamo almeno: Nostro Signore del deserto, Cittadella, Assisi; Erba della mia erba, Cittadella, Assisi; Dodici lune, Camunia, Milano; Il figlio perduto, La Piccola, Celleno] A Roma, su quell'orrenda montagna di marmo, che nasconde e deturpa il Campidoglio, ma che e' molto amata dal nostro presidente (non "quello la'", bensi' il presidente della Repubblica) e' collocata la tomba di un soldato che non si sa chi sia. "Ignoto militi", c'e' scritto; ed e' il patetico e doveroso omaggio ai tanti militari dispersi che hanno perduto la vita senza neanche lasciare una traccia conoscibile. Questi soldati senza tomba son tutti idealmente sepolti la', ai piedi del Campidoglio, e ciascuno onorato ogni qualvolta si onora quello che tutti rappresenta: un'innocente vittima, simbolo di tutte le vittime innocenti dell'umana follia che affida alle armi la soluzione di controversie territoriali e politiche. Ma si danno altre vittime innocenti, anche se non umane, che meritano la nostra pieta' e il nostro ricordo. Nella prima guerra mondiale l'Australia mando' al fronte centomila cavalli; e, di quei centomila, uno soltanto ritorno' (e voglio sperare che il governo gli abbia assicurato una serena e onorata vecchiaia). Ora proprio l'Australia, intende dedicare un monumento all'"animale ignoto": altro rappresentante di altre innocenti vittime dell'umana follia. 10. RILETTURE. BELA BALASZ: IL FILM Bela Balasz, Il film, Einaudi, Torino 1952, 1997, pp. LII + 332, lire 32.000. Un'opera, come si sa, fondamentale. 11. RILETTURE. BRUNO ZEVI: EDITORIALI DI ARCHITETTURA Bruno Zevi, Editoriali di architettura, Einaudi, Torino 1979, pp. 428. Una raccolta di saggi (di varia umanita', di intervento civile, di acuta sapienza e inesausta ricerca, d'intransigente testimonianza) di straordinaria ricchezza, originariamente apparsi come editoriali della rivista mensile "L'architettura - cronache e storia". E' un libro che ci piace particolarmente raccomandare tra i molti dell'indimenticabile intellettuale e antifascista. 12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 13. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 621 del 24 luglio 2003
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