La nonviolenza e' in cammino. 602



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 602 del 5 luglio 2003

Sommario di questo numero:
1. Corso di formazione per i Corpi civili di pace
2. Un 4 novembre dalla parte delle vittime, contro guerre, eserciti ed armi
3. Monica Lanfranco: donne islamiche e occidentali discutono in rete di
nonviolenza e liberta'
4. Antonio Papisca: l'Onu, dei popoli, a Gerusalemme
5. E' in rete l'opuscolo di Travaglio e Gomez sul cavalier B.
6. Ali Rashid: tre pensieri sulla pace
7. Judith Revel: la resistenza
8. Lea Melandri: per costruire un sogno
9. L'introduzione di "Dio sta marciando" di Massimo Rubboli
10. Letture: Zygmunt Bauman, Intervista sull'identita'
11. Letture: Pier Paolo Portinaro, Il principio disperazione
12. Riedizioni: Elie Wiesel, ... E il mare non si riempie mai
13. Riletture: Ruth First, Alle radici dell'apartheid
14. Riletture: Taslima Nasreen, Vergogna
15. Riletture: Michelle Perrot (a cura di), L'impossibile prigione
16. La "Carta" del Movimento Nonviolento
17. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. CORSO DI FORMAZIONE PER I CORPI CIVILI DI PACE
[Ringraziamo Alberto L'Abate (per contatti: labate at mail.unifi.it) per averci
inviato il seguente comunicato]
Nei giorni 24-31 agosto (dalla cena del 24 al dopo prima colazione del 31)
si terra' a Pruno di Stazzema (Lucca) un training di formazione per le
persone interessate a partecipare ad interventi del tipo di quelli dei Corpi
Civili di Pace.
Gli argomenti trattati nel training, con l'uso di tecniche attive come
giochi di ruolo, di posizione, teatro forum, simulazioni, tempeste di idee,
ecc., saranno:
a) il lavoro con il se' ed il superamento delle proprie paure;
b) il lavoro di gruppo ed i metodi decisionali del consenso;
c) la diplomazia dal basso e l'interposizione nonviolenta;
d) il comportamento in situazioni calde o di conflitto acuto.
Ci sara' anche un gioco di ruolo sul conflitto tra israeliani e palestinesi
e sulla gestione creativa di questo conflitto, guidato da una delle autrici
del gioco, Angela Marasso, nel quale si  cerchera' di simulare anche il
ruolo di un operatore dei Corpi Civili di Pace.
Il training e' aperto a persone che abbiano gia' fatto altri trainings di
base e, se possibile, operato in situazioni di conflitto anche non armato
(che avranno la precedenza sugli altri per l'accettazione dell'iscrizione),
oppure persone che abbiano fatto domanda di obiezione di coscienza o di
partecipazione al Servizio Civile Volontario, o si stanno preparando
professionalmente ad essere "operatori di pace". La preferenza sara'
accordata ai residenti della provincia di Lucca che abbiano le stesse
qualifiche degli altri. Il numero massimo dei partecipanti e' di 20 persone,
che saranno selezionate dal gruppo dei trainers sulla base delle schede di
domanda.
Per l'iscrizione al campo  bisogna spedire a Sandro Mazzi, viale Mecenate
81, 52100 Arezzo, il modulo accluso debitamente  riempito. Le schede devono
arrivare entro il 31 luglio 2003 a Sandro Mazzi, o via posta, o via e-mail
all'indirizzo: perugia at pacedifesa.org, tel. 328.8783637, con la dicitura
"Iscrizione campo Corpi Civili di Pace". La risposta di accettazione o meno
verra' data entro il 4 agosto via e-mail, o per telefono.
La partecipazione alle attivita' formative del training e' gratuita. I
partecipanti dovranno invece pagare le spese di vitto e alloggio. Le
soluzioni alloggiative sono varie:
1) nell'ostello di Pruno, alloggio in camerate di tre o piu' letti, e vitto,
30 euro al giorno (totale 180 euro);
2) con tenda propria in area attrezzata, per un massimo di 8 tende (5 euro
al giorno, e 9 euro per ogni pasto utilizzato presso l'ostello).
Le persone accettate dovranno versare, entro una settimana dalla ricezione
della comunicazione di accettazione, 30 euro, come anticipo sulle spese di
alloggio e vitto, sul conto corrente postale n. 32145674, intestato a
Valversilia Projects onlus, piazza Risorgimento 8, 55040, Pruno di Stazzema
(Lucca).
I trainers sono, in ordine alfabetico, oltre Angela Marasso, gia' citata:
Marco Baino, formatore; Federica Cecchini, psicologa; Alberto L'Abate,
sociologo; Gigi Ontanetti, formatore, e Sandro Mazzi, come responsabile
della segreteria organizzativa e tutor degli allievi.
Il training si concludera', nel dopo cena del sabato 30 agosto, nella piazza
principale del paese con una tavola rotonda, aperta a tutta la cittadinanza
della zona, sulle funzioni e le prospettive dei Corpi Civili di Pace cui
sono invitate tutte le associazioni aderenti alle rete che si e'
recentemente costituita a Bologna.
Un programma piu' dettagliato e le istruzioni per raggiungere Pruno verranno
inviate ai partecipanti effettivi al training.
Il corso di formazione per i Corpi Civili di Pace e' promosso da: Scuola
della Pace, Provincia di Lucca; Valversilia Projects Onlus; Ced/as. Venti di
Terra, Prato. Berretti Bianchi onlus;  con il contributo del Cesvot.
*
Scheda di iscrizione
Training per la formazione ad interventi in situazione di conflitto
Pruno di Stazzema 24-31 agosto 2003
Compilare e restituire a Sandro Mazzi, viale Mecenate 81, 52100 Arezzo.
Nome e cognome
Indirizzo ed eventuale residenza (se diversa dal domicilio)
Telefono casa / cellulare
E-mail
Data di nascita
- Ha qualche esperienza nel settore dell'intervento nonviolento in
situazioni conflittuali ?
- Se si', quali?
- Per quale motivo intende iscriversi al training?
- Ha fatto altri trainings o laboratori su queste tematiche?
- Se si quali?
- Quale soluzione alloggiativa preferisce? a) nell'ostello; b) in area
attrezzata con tenda propria; c) altra (specificare).
Firma

2. INIZIATIVE. UN 4 NOVEMBRE DALLA PARTE DELLE VITTIME, CONTRO GUERRE,
ESERCITI ED ARMI
Il 4 novembre del 2002 il Centro di ricerca per la pace di Viterbo ha
realizzato una cerimonia di commemorazione delle vittime delle guerre,
cerimonia austera e rigorosamente silenziosa di deposizione di fiori ai
monumenti cittadini ai caduti, in alternativa alle celebrazioni cui
partecipano gli apparati militari che le guerre eseguono e le persone
uccidono.
L'iniziativa, denominata "Ogni vittima ha il volto di Abele" riprendendo la
celebre frase di Heinrich Boell, verra' nuovamente realizzata quest'anno, e
viene proposta alle persone e ai movimenti impegnati per la pace in altre
citta' d'Italia affinche' il 4 novembre cessi di essere occasione di
esibizione di eserciti ed armi e quindi di offesa alle persone uccise dalla
guerra.
Soltanto con l'impegno perche' mai piu' vi siano guerra ne' eserciti ne'
armi si fa degna memoria delle vittime, in commozione, rispetto, fraternita'
e sororita' autentiche.

3. DIALOGO. MONICA LANFRANCO: DONNE ISLAMICHE E OCCIDENTALI DISCUTONO IN
RETE DI NONVIOLENZA E LIBERTA'
[Dal n. 15 del 2003 del settimanale "Carta" (sito: www.carta.org)
riprendiamo questo articolo di Monica Lanfranco. Monica Lanfranco (per
contatti: e-mail: mochena at village.it, siti: www.marea.it,
www.village.it/lanfranco/), giornalista professionista, nata a Genova il 19
marzo 1959, vive a Genova; collabora con le testate delle donne "DWpress" e
"Il paese delle donne"; ha fondato il trimestrale "Marea"; dirige il
semestrale di formazione e cultura "IT - Interpretazioni tendenziose"; dal
1988 al 1994 ha curato l'Agendaottomarzo, libro/agenda che veniva accluso in
edicola con il quotidiano "l'Unita'"; collabora con il quotidiano
"Liberazione", i mensili "Il Gambero Rosso" e "Cucina e Salute"; e'' socia
fondatrice della societa' di formazione Chance. Nel 1988 ha scritto per
l'editore PromoA Donne di sport; nel 1994 ha scritto per l'editore
Solfanelli Parole per giovani donne - 18 femministe parlano alle ragazze
d'oggi, ristampato in due edizioni. Per Solfanelli cura una collana di
autrici di fantasy e fantascienza. Ha curato dal 1990 al 1996 l'ufficio
stampa per il network europeo di donne "Women in decision making". Nel 1995
ha curato il libro Valvarenna: nonne madri figlie: un matriarcato imperfetto
nelle foto di fine secolo (Microarts). Nel 1996 ha scritto con Silvia
Neonato, Lotte da orbi: 1970 una rivolta (Erga): si tratta del primo testo
di storia sociale e politica scritto anche in braille e disponibile in
floppy disk utilizzabile anche dai non vedenti e rintracciabile anche in
Internet. Nel 1996 ha scritto Storie di nascita: il segreto della
partoriente (La Clessidra). Cura e conduce corsi di formazione per gruppi di
donne strutturati (politici, sindacali, scolastici) sulla storia del
movimento delle donne e sulla comunicazione]
"L'idea di umanita, una volta liberata da tutti i sentimentalismi, implica
questa gravissima conseguenza: che gli uomini, in una forma o nell'altra,
devono assumere la responsabilita' di tutti i crimini commessi dagli uomini
e che tutte le nazioni devono sopportare il peso del male commesso da tutte
le altre".
Risuonano inequivocabili le parole profetiche di Hannah Arendt pubblicate a
gennaio del 1945 nel saggio "Colpa organizzata e responsabilita'
universale", raccolte nel volume Ebraismo e modernita'. Rilanciata piu'
volte, in queste settimane, dalla newsletter "La nonviolenza in cammino",
inviata via mail da due anni a chi ne fa richiesta, questa riflessione puo'
essere un viatico per avvicinarsi, mutatis mutandis, e soprattutto
immettendo anche la parola "donna" alla frase, al fenomeno inedito e
straordinario che sta prendendo corpo: lo svilupparsi di un dibattito
telematico sull'intreccio tra la condizione delle donne nei paesi governati
dall'Islam, la nonviolenza di stampo islamico, l'occidente e la
responsabilita' collettiva di uomini e donne per avviare percorsi di
liberta' fuori dall'orizzonte del cimiteriale silenzio che la guerra ci
consegna.
E' grazie al sito www.muhajabah.com/islamicblog/veiled4allah.php "The
occasional thoughts of a Muslim woman" [riflessioni occasionali di una donna
musulmana], primo e per ora solitario weblog femminile islamico apparso sin
dal primo giorno di guerra, che sotto gli occhi del mondo si sta verificando
l'inaspettato e sorprendente dialogo tra donne dei due fronti che discutono
di liberta', tradizioni, femminismo, nonviolenza, passando attraverso
messaggi che parlano di abiti, cura della casa, compiti quotidiani,
aspirazioni a esistenze migliori. Il sito e' un puzzle nel quale convivono
messaggi contraddittori: si parla di femminismo e il logo di presentazione
dell'autrice e' "velate per Allah", contraddistinto dall'icona di una donna
in burka dalla quale spiccano solo gli occhi; si linka il sito
www.globalnonviolence.org/islam.htm e poi accanto c'e' quello di supporto
alle truppe armate, [con piu' accentuato il richiamo all'auspicio che ogni
soldato torni a casa salvo] e poco piu' sotto sventola l'insegna della
campagna contro le mine. Sono due le sezioni tematiche piu' interessanti che
si offrono nella visita. La prima riguarda il dibattito sulla presenza di un
pensiero nonviolento nella dottrina islamica.
*
L'Islam e la nonviolenza
"Per l'Islam il tema della violenza e' parte integrante della sfera etica
islamica; nel mondo di oggi la persona musulmana non deve usare violenza,
perche' l'Islam ammette solo le azioni nonviolente come metodo di combattere
per la giustizia. L'Islam e' terreno fertile per la nonviolenza grazie alla
sua potenzialita' di intesa con la disobbedienza civile, la forte
disciplina, la pratica del consenso condiviso e la responsabilita' sociale,
il sacrificio di ogni singolo essere per il benessere collettivo, la fiducia
verso la comunita' musulmana e l'intera collettivita' umana": queste e altre
citazioni fanno parte del lavoro di Abdul Ghaffar Khan, un contemporaneo di
Gandhi, leader di un movimento islamico nonviolento in India, del quale
viene reso disponibile l'intero testo, intitolato "Islam and Non-Violence".
Vi sono indicati gli otto principi-guida che vincolano chi segue il Corano
al rifiuto della violenza, con particolare attenzione alle nuove tecnologie
che invece hanno impresso una accelerazione impressionante proprio nella
sfera della violenza, come ad esempio lo sviluppo del nucleare e delle armi
chimiche. Ed ecco il passaggio destinato a creare maggiore scalpore in tempi
nei quali echeggiano i [malintesi da tutt'e due le parti] proclami allo
"jihad": l'affermazione che chi usa violenza, anche in un contesto
emergenziale e bellico, lo fa mettendosi fuori dalle regole dell'Islam.
"Anche mentre sembra che l'attacco suicida, che colpisce civili inermi, sia
l'unica arma rimasta al popolo palestinese, sara' solo scegliendo la
nonviolenza che i palestinesi resteranno dentro i valori islamici,
rifiutando questi mezzi che sono proibiti da Dio".
L'altro corno del tema e' quello della condizione femminile, della violenta
emarginazione delle donne in molti paesi arabi, e qui la web mistress
Al-Muhajabah [dietro a questo pseudonimo, che vuol dire "colei che veste
abiti islamici", c'e' una ventinovenne che abita negli Stati Uniti] sviluppa
l'argomento lasciando spazio al confronto nel forum, affollatissimo. Il
carteggio virtuale, sviluppatosi subito dopo lo scoppio della guerra non si
e' mai fermato: si parte dalla provocazione di Wendy McElroy, che mette
l'accento sul rischio di colonizzazione da parte del pensiero femminista
occidentale verso l'arretratezza dei costumi delle donne del mondo islamico.
"Le femministe occidentali sembrano credere di aver la missione di salvare
le donne arabe musulmane; ma se la loro oppressione deriva dalle tradizioni
locali, e non dalla religione o dalla provenienza etnica, allora esiste la
possibilita' di rispettare l'Islam e gli arabi senza mancare loro di
rispetto. Senza esercitare alcuna superiorita', il femminismo occidentale
puo' dire alle donne arabe e musulmane: non c'e' disprezzo da parte nostra
per la vostra religione o la vostra origine etnica. Vogliamo solo che voi
abbiate liberta' di scegliere".
*
Il velo e la liberta'
Carrie, che non si definisce femminista, e che detesta "che il piu' delle
volte un uomo mi guardi le tette piuttosto che in faccia" si dice
interessata a una discussione circa la presunta liberta' che il velo concede
alle donne. Ma, contemporaneamente, riconosce al movimento di averle
consegnato la consapevolezza del suo ruolo nella societa', e augura alle
donne arabe di potersi liberare dalla tirannia, per "avere la liberta' di
lasciare le mura di casa senza il velo, se lo vorranno". Al-Muhajabah
insiste sull'aporia afghana, affermando che quella del burka e' una
aberrazione che non rappresenta l'Islam.
Una bella discussione che si dipana via via, offrendo un'oasi di civile
confronto tra mondi e visioni anche radicalmente lontani, capaci di
dialogare senza anteporre alcuna identita' precostituita. Meno morbida e
piu' dolorosamente netta la voce di una femminista iraniana , Maryam
Namazie, autrice di un saggio dal titolo "Il relativismo culturale: il
fascismo di quest'epoca": "In Iran - scrive - le donne e le fanciulle sono
forzate a portare il velo sotto la minaccia della prigione e della frusta, e
i relativisti culturali dicono che questa 'e' la loro religione, e va
rispettata'".
"Il ministro degli esteri olandese ha affermato che le prigioni iraniane
sono 'soddisfacenti, per gli standard del terzo mondo', e ha forzato il
ritorno in patria di coloro che cercavano asilo. Il relativismo culturale
serve a questi crimini. Legittima e mantiene situazioni incivili. Esso dice
che i diritti umani di qualcuno nato in Iran, Iraq o Afghanistan sono
differenti da quelli di chi e' nato negli Usa, in Canada o in Svezia. I
relativisti culturali dicono che la societa' iraniana e' musulmana,
implicando con cio' che le persone hanno scelto di vivere nel modo in cui
sono costrette. E' come se non ci fossero differenze nelle fedi in Iran,
nessuna lotta, nessun comunista, nessun socialista, e nessuno che ami la
liberta'".
"I relativisti culturali - aggiunge - dicono che dobbiamo rispettare le
culture e le religioni, non importa quanto esse siano deprecabili. Questo e'
assurdo, e' chiedere il rispetto della crudelta'. Ogni essere umano e' degno
di rispetto, ma non tutti i convincimenti devono essere rispettati. Se una
cultura permette che una donna sia mutilata e uccisa per salvare l'onore
della famiglia, questo non ha scusanti. Nella Repubblica islamica dell'Iran
le regole religiose sono diventate strumenti per omicidi di massa. Se la
religione dice che le donne disobbedienti devono essere battute, che
frustarle e' accettabile e che in genere le donne sono deficienti, questo va
condannato, e ci si deve opporre. La lotta contro governi misogini e
reazionari e' inseparabile dalla lotta contro i credo reazionari e misogini.
Naturalmente ciascun individuo ha il diritto di credere cio' che vuole, per
quanto offensivo sia, ma chi ama la liberta' ha il dovere di testimoniare e
condannare i credo reazionari, sino a che essi spariranno dalla storia".
"I relativisti culturali - scrive ancora - si spingono sino a dire che i
diritti umani universali sono un concetto occidentale. Ma come mai quando
usa un telefono o un'automobile il mullah non dice che si tratta di roba
occidentale incompatibile con la societa' islamica? Come mai quando si
tratta di sfruttare i lavoratori le innovazioni tecnologiche diventano
universali? Pero', se parliamo dell'universalita' dei diritti umani, ecco
che diventano occidentali. Ebbene, persino se lo fossero, e' del tutto
assurdo dire che 'gli altri' non ne sono degni. Persino a sinistra c'e'
qualcuno che dice che condannare le fedi reazionarie alimenta il razzismo.
Opporsi allo stupro di una bambina di nove anni costretta a sposarsi non
serve il razzismo. Opporsi all'abuso sessuale di una bambina, sebbene il
tribunale della Repubblica islamica dell'Iran abbia sentenziato che il padre
fu costretto ad abusare di lei perche' la moglie non lo soddisfaceva
adeguatamente, non e' servire il razzismo".
"Le culture non sono sacre - e' la conclusione -. Il razzismo e il fascismo
hanno le loro proprie culture. Lottare per i diritti umani significa
condannare i credo reazionari, non osservarli. La sconfitta del nazismo e
delle sue teorie biologiche ha contribuito al discredito del concetto di
'superiorita' razziale', tuttavia il pregiudizio che ci stava dietro ha
trovato forme di espressione piu' accettabili per il nostro periodo storico.
I relativisti culturali difendono gli olocausti dei nostri giorni. Chiunque
rispetti l'umanita' deve impegnarsi per l'abolizione di cio' che e'
incompatibile con la liberta' umana".

4. RIFLESSIONE. ANTONIO PAPISCA: L'ONU, DEI POPOLI, A GERUSALEMME
[Dal fascicolo del maggio 2003 del mensile "Azione nonviolenta" (per
contatti: e-mail: azionenonviolenta at sis.it; sito: www.nonviolenti.org)
riprendiamo questo acuto intervento di Antonio Papisca. Antonio Papisca,
docente all'Universita' di Padova, promotore e direttore del Centro di studi
e formazione sui diritti dell'uomo e dei popoli, direttore del periodico
"Pace, diritti dell'uomo, diritti dei popoli", e' una delle figure di piu'
grande prestigio internazionale sui temi della pace e dei diritti umani. Tra
le molte fondamentali opere di Antonio Papisca segnaliamo almeno Democrazia
internazionale, via di pace, Angeli, Milano 1986]
Sviluppo umano e sicurezza globale possono essere garantite da un'Onu
rafforzata e democratizzata. La societa' civile sta sostenendo da anni
questo processo. Mentre i potenti della terra continuano ad affidarsi alla
ragion di stato e alla guerra.
Si parla con insistenza della centralita' delle Nazioni Unite: alla
buon'ora, vien da dire. Ma occorre usare lungimiranza e prudenza
nell'appellarsi a questo principio. Lungimiranza, perche' le Nazioni Unite
costituiscono lo snodo ineludibile e irrinunciabile della governabilita'
nell'era della globalizzazione. Prudenza, perche' l'Organizzazione delle
Nazioni Unite non e' ancora stata messa nella condizione di agire al riparo
dalle strumentalizzazioni dell'"usa e getta" e del "due pesi e due misure".
Dieci anni fa, "Nigrizia" mi diede l'occasione di curare, per molti mesi,
una rubrica intitolata "Onu dei popoli". E' appena il caso di ricordare che
la Carta delle Nazioni Unite si apre con una solenne affermazione di
soggettivita' democratica e pacifista: ´Noi, popoli delle Nazioni Unite,
decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra...".
Va anche ricordato che a partire dal 1995, con cadenza biennale e alla
vigilia della marcia Perugia-Assisi, si riunisce l'Assemblea dell'Onu dei
popoli. Ancora prima, nel 1985, l'associazione Mani Tese organizzava a
Firenze, a Palazzo Vecchio, un grande convegno internazionale dal quale
scaturi' il vibrante appello "Per una costituente mondiale per la pace e lo
sviluppo", dove puntuali sono i riferimenti all'Onu. Rileggendo oggi questo
documento, non si puo' non rimanere impressionati dall'attualita' del
messaggio di "ordine mondiale democratico" in esso contenuto.
Il richiamo di questi fatti serve per sottolineare che le formazioni
solidaristiche di societa' civile hanno anticipato - inascoltate - le classi
governanti nell'affermare l'importanza delle Nazioni Unite. Ancora una
volta, i potenti fautori della "ragion di stato" e della realpolitik sono
contraddetti dalla "ragion di promozione umana".
La diagnosi dell'attuale stato di cose e' fin troppo chiara. Il mondo e'
pervaso da miseria e da violenza armata dentro, e fra, gli stati. Nessun
paese, nessuna societa' puo' dirsi sicura dalle incursioni, palesi o opache
che siano, della criminalita' transnazionale. Il terrorismo si presenta con
una vasta gamma di modalita'. L'ingiustizia economica e sociale va di pari
passo con la dilagante insicurezza. Se grandi furono le attese suscitate dal
crollo del Muro, ancor piu' pungenti sono le odierne delusioni e lo
sconforto.
Il disarmo appare oggi, paradossalmente, come una chimera. Ancor piu' di
prima, urge dunque controllare la produzione e il commercio delle armi,
prevenire e gestire pacificamente i conflitti, far funzionare un sistema di
sicurezza collettiva sotto legittima autorita' sovranazionale, instaurare
una nuova divisione internazionale del lavoro che rispetti le esigenze della
giustizia sociale ed economica nel mondo.
*
Mobilitarsi per la riforma
L'Onu, istituzione multilaterale per antonomasia, e' indispensabile per
gestire l'ordine mondiale nel rispetto di "tutti i diritti umani per tutti"
e per un'economia di giustizia. C'e' bisogno di una istituzione mondiale in
cui tutti gli stati, grandi e piccoli, siano rappresentati e tutti i popoli,
anche i piu' lontani e diseredati, possano far sentire la loro voce. Quale
istituzione puo' perseguire i molteplici e complessi obiettivi dello human
development e della human security, se non una Onu messa nella condizione di
farlo? E chi deve metterla in questa condizione se non gli stati che ne sono
membri, in particolare i piu' potenti?
In occasione del "Millennium Forum" di societa' civile globale, svoltosi nel
maggio 2000 a New York, nel palazzo di vetro, e' risuonata la parola
d'ordine: strengthening and democratising the United Nations, cioe'
rafforzare e democratizzare le Nazioni Unite.
Se si e' sinceri nel proclamare oggi la centralita' delle Nazioni Unite,
occorre senza indugio perseguire il duplice obiettivo del potenziamento e
della democratizzazione della massima organizzazione mondiale. Il dibattito
sulla sua riforma, che pareva bene avviato in occasione del cinquantesimo
anniversario dell'Onu, ha purtroppo dimostrato di non avere raggiunto quella
massa critica sufficiente a far precipitare, una volta per tutte, la
riforma.
Questo significa che devono mobilitarsi, ancor piu' massicciamente e
puntualmente che nel passato, le forze di societa' civile globale,
esercitando pressione sui governi e sulle classi politiche perche' facciano
funzionare, tempestivamente ed efficacemente, l'Onu.
Tra i tanti argomenti da usare nei confronti di chi ha responsabilita'
istituzionali, ce ne sono due particolarmente convincenti, uno di carattere
giuridico, l'altro di carattere per cosi' dire utilitarista. Il primo e' che
far funzionare bene le Nazioni Unite costituisce per gli stati "obbligo
giuridico", non un optional: se non si rispetta la Carta delle Nazioni
Unite, ci si pone in una condizione di persistente illegalita'. In altre
parole, il diritto internazionale e' violato non soltanto quando si fa la
guerra preventiva, ma anche quando non si alimenta l'Onu di supporto
politico, di risorse finanziarie (in particolare, con puntuale versamento
delle quote annuali), di personale.
Il secondo e' che far funzionare bene le Nazioni Unite costa molto meno che
procedere individualmente o a ranghi sparsi in un mondo che e' sempre piu'
interdipendente, disordinato e insicuro.
*
Che cosa deve cambiare
Insomma il calcolo costi-benefici pende a favore dell'Onu, e' questione di
razionalita' economica, oltre che di ragionevolezza e di buon senso comune.
In quest'ottica, tra le cose che occorre fare con la massima urgenza perche'
l'Onu possa adempiere al suo alto mandato vi sono: la creazione di un corpo
permanente di polizia civile e militare sotto la diretta autorita'
sovranazionale delle Nazioni Unite; il conferimento di maggiori poteri al
Consiglio economico e sociale (Ecosoc) per quanto riguarda l'orientamento
sociale dell'economia mondiale e la sorveglianza sulle organizzazioni
internazionali economiche (insomma, l'Ecosoc come un Consiglio di sicurezza
economica e sociale); il ricambio di buona parte dell'attuale personale Onu,
burocratizzato e privo di tensione ideale, con personale adeguatamente
formato e motivato (coi diritti umani nella testa e nel cuore); l'aumento
delle risorse destinate agli organi specializzati in materia di diritti
umani ed emergenze varie - a cominciare dall'Alto Commissario delle Nazioni
Unite per i diritti umani - e ai programmi per lo sviluppo umano nei paesi
ad economia povera; la dotazione della Corte penale internazionale di tutte
le risorse, finanziarie e umane, che le sono necessarie per bene avviare le
proprie attivita'; l'allargamento della composizione del Consiglio di
sicurezza, in funzione di una sua piu' adeguata maggiore rappresentativita'.
Ma dare il pur indispensabile "piu' potere" all'Onu lasciando questa nelle
mani esclusive degli stati, cioe' dei vertici governativi e delle
diplomazie, e' rischioso. Ecco dunque la necessita' di accompagnare il
potenziamento con la democratizzazione, la quale, nei suoi termini
essenziali, comporta: la creazione di un'Assemblea parlamentare delle
Nazioni Unite che affianchi l'attuale Assemblea generale composta dagli
stati membri: sarebbe l'embrione di un processo che porterebbe gradualmente
alla istituzione di un vero e proprio Parlamento delle Nazioni Unite; per le
materie attinenti ai diritti umani, allo sviluppo e all'ambiente,
l'attribuzione di uno status di "co-decisionalita'" a favore delle
organizzazioni non governative (ong) che gia' godono dello status
"consultivo" presso l'Ecosoc; l'estensione dell'esercizio di questo status
consultivo anche presso il Consiglio di sicurezza.
*
Onu a Gerusalemme
Un'ultima riflessione, sempre in chiave strategica. La campagna per la
democrazia internazionale comporta che si difendano le istituzioni
internazionali multilaterali, quali "siti" essenziali per l'estensione della
pratica democratica dalla citta' fino all'Onu. Se non ci sono le
istituzioni, non c'e' lo spazio, legittimo e trasparente, per l'esercizio di
ruoli democratici.
Dietro la strategia della deregulation economica lanciata da Reagan
all'inizio degli anni ottanta si nascondeva la deregulation istituzionale:
in altri termini, l'insistenza nel togliere lacci e lacciuoli al libero
gioco del mercato nascondeva la volonta' di svincolarsi dai precetti del
diritto e dalla trasparenza delle istituzioni. Un modo nostrano di cadere in
questa trappola e' consistito nel proclamare "piu' societa', meno stato"
(quanti ci sono cascati in buona fede...).
Questo disegno e' oggi drammaticamente disvelato in tutta la sua
dissennatezza ("a ratione alienum", parafrasando la Pacem in terris): la
cosiddetta nuova teoria della guerra preventiva - che e' poi vecchia di
millenni... - ben si spiega con la metafora del "giu' la maschera". A tanta
spudoratezza di governanti, la societa' civile deve rispondere proclamando,
responsabilmente, "piu' societa', piu' istituzioni, piu' democrazia, piu'
trasparenza, piu' politiche sociali, piu' azioni positive".
Per quanto riguarda il futuro dell'Onu, diventa sempre piu' necessario
porre, anche fisicamente, la sua sede al riparo dalle infiltrazioni e dalle
pressioni che l'amministrazione Usa quotidianamente esercita. La sede a New
York e' a rischio di sudditanza. Se l'amministrazione Usa non vuole una Onu
super partes, democratica, efficiente ed efficace, se non vuole ne' la Corte
penale internazionale ne' corpi permanenti di polizia delle Nazioni Unite
ne' istituzioni economiche internazionali in funzione di giustizia sociale,
se non vuole le ong tra i piedi alle grandi conferenze mondiali, se vuole
soltanto un Fondo Monetario Internazionale capace di quell'accanimento
terapeutico che si chiama "aggiustamento strutturale costi-quel-che-costi",
se vuole un ordine mondiale gerarchico e belligeno informato al principio
del "si vis pacem para bellum", ebbene non si indugi oltre, si scuota la
polvere dai calzari e si offra una nuova casa all'Onu, magari installando
una parte significativa dei suoi uffici a Gerusalemme. L'Onu a Gerusalemme:
pietra di contraddizione, ma anche pietra angolare di un nuovo ordine
mondiale fondato sul rispetto della dignita' umana e dei diritti
fondamentali che a questa ineriscono.

5. INFORMAZIONE. E' IN RETE L'OPUSCOLO DI TRAVAGLIO E GOMEZ SUL CAVALIER B.
E' possibile leggere l'opuscolo "Berlusconi", scritto da Marco Travaglio e
Peter Gomez su richiesta del parlamentare europeo Gianni Vattimo, e da
Vattimo distribuito a tutti i parlamentari europei il 2 luglio 2003, giorno
della presentazione al Parlamento europeo, da parte del presidente del
Consiglio italiano Silvio Berlusconi, del programma della presidenza
italiana dell'Unione Europea.
Il testo e' riportato integralmente (in cinque lingue) alla pagina web
www.giannivattimo.it/newsletter (e' in ogni caso sufficiente raggiungere il
sito www.giannivattimo.it e in seguito cliccare su "newsletter").
Esprimiamo il nostro apprezzamento per l'ottima iniziativa di Gianni Vattimo
(per contatti: info at giannivattimo.it), ai cui molti meriti di filosofo e di
militante per i diritti civili anche questo si aggiunge.

6. RIFLESSIONE. ALI RASHID: TRE PENSIERI SULLA PACE
[Questi brani abbiamo estratto dall'articolo Perche' la stagione sia davvero
nuova, apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 3 luglio 2003. Ali Rashid
e' il primo segretario della delegazione palestinese in Italia. Fine
intellettuale di profonda cultura, conoscitore minuzioso degli aspetti
storici, politici, economici e culturali della situazione nell'area
mediorientale, esperto di questioni internazionali, ed anche acuto
osservatore della vita italiana. E' figura di grande autorevolezza per
rigore intellettuale e morale, ed e' una delle piu' qualificate voci della
grande tradizione culturale laica palestinese. Suoi scritti appaiono sovente
nel nostro paese sui principali quotidiani democratici e sulle maggiori
riviste di cultura e politica]
Ogni volta che la politica si sostituisce alla guerra e' una vittoria, una
occasione da non perdere e uno sviluppo positivo che va non solo esplorato
fino in fondo, ma incoraggiato e sinceramente sostenuto, perche' si tratta
di questione di vita e di morte indispensabile per sconfiggere la cultura
della guerra e della morte che regna incontrastata nel governo di Israele e
presso l'Amministrazione Usa...
La pace in Palestina deve essere un voltare pagina, una stagione nuova che
non consenta scorciatoie al terrorismo di gruppi ma nemmeno a quello di
stato, ne' all'astuzia o all'arroganza del capo di turno, o alle menzogne...
La pace e' un atto di responsabilita' e comprensione verso se stessi e verso
l'altro, un agire in concreto per sciogliere i nodi reali alla base del
conflitto in questi lunghi anni.

7. RIFLESSIONE. JUDITH REVEL: LA RESISTENZA
[Da Judith Revel, Foucault, le parole e i poteri, Manifestolibri, Roma 1996,
p. 102. Judith Revel, nata a Parigi nel 1966, filosofa, collaboratrice del
"Centre Foucault", e' docente all'Universita' "La Sapienza" di Roma e
collabora con l'Universita' di Cosenza; e' redattrice della rivista "Futuro
anteriore" e della rivista internazionale "Multitudes". Tra le sue opere:
Foucault, le parole e i poteri, Manifestolibri, Roma 1996; Le vocabulaire de
Foucault, Ellipses 2002; sta preparando un libro sulla genealogia del
concetto di differenza in Francia dopo il 1945; ha curato il primo volume di
Archivio Foucault, Feltrinelli, Milano 1996]
La resistenza non e' altro, dunque, che l'abbozzo interminabile di una
pratica della liberazione.

8. MAESTRE. LEA MELANDRI: PER COSTRUIRE UN SOGNO
[Da Lea Melandri, Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, p. 107.
Lea Melandri, nata nel 1941, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba
voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", impegnata nel
movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea
Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio,
Milano 1977; poi Manifestolibri, Roma 1997. Cfr. anche Come nasce il sogno
d'amore, Rizzoli 1988; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga 1991; La
mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996]
Per costruire un sogno e tenerlo alimentato per tanti anni della propria
vita, bisogna essere insonni e non concedersi troppe distrazioni.

9. LIBRI. L'INTRODUZIONE DI "DIO STA MARCIANDO" DI MASSIMO RUBBOLI
[Dagli amici delle benemerite Edizioni la meridiana (per contatti: e-mail:
info at lameridiana.it; sito: www.lameridiana.it), nate per l'impulso
dell'indimenticabile costruttore di pace Tonino Bello, riceviamo e
diffondiamo l'introduzione del libro di Massimo Rubboli, Dio sta marciando,
Edizioni la meridiana, Molfetta (Ba) 2003, pp. 80, euro 9. Nel comunicato di
accompagnamento la casa editrice scrive: "'God is marching on' (Dio sta
marciando) e' il ritornello dell'inno di battaglia della repubblica, che
dopo l'11 settembre 2001 viene eseguito in ogni commemorazione ed in ogni
occasione di riaffermazione dello spirito patriottico degli Stati Uniti. Dio
che marcia a fianco dei marines e' l'ultima incarnazione della vecchia idea
del Dio della guerra che si contrappone al Dio della pace e ha riproposto
alle chiese americane la scelta tra pacifismo e patriottismo. Partendo da
una breve ma incisiva sintesi storica, il volume di Massimo Rubboli, Dio sta
marciando, Edizioni la meridiana, Molfetta (Ba) 2003 (per richieste: e-mail:
info at lameridiana.it; sito: www.lameridiana.it) presenta le varie risposte
che le chiese hanno dato alla chiamata alle armi del presidente Bush, che si
e' riproposto nella veste del sommo sacerdote della religione civile
americana". Massimo Rubboli e' professore di Storia dell'America del Nord
alla facolta' di scienze politiche dell'Universita' di Genova. Si occupa di
storia politica e religiosa e di storia del pacifismo e della nonviolenza.
E' membro del consiglio internazionale della Peace History Society . Da
molti anni e' iscritto al Movimento Nonviolento e ha partecipato attivamente
alla campagna per l'obiezione di coscienza alle spese militari. Ha
pubblicato numerosi saggi attinenti alla storia degli Stati Uniti e del
Canada. Fra le opere principali, ricordiamo Social Gospel (Torino 1980),
Religione e politica negli Usa (Milano 1986), Il Canada, Un federalismo
imperfetto (Firenze 1992) e Protestantesimo nei secoli, vol. II: Settecento,
con E. Campi (Torino 1997)]
Di fronte alla guerra e alla pace le chiese cristiane hanno assunto
posizioni dottrinali e seguito pratiche diverse, segnate da oscillazioni e
mutamenti, e determinate non solo dalla riflessione teologica ma anche da
come i singoli credenti e le chiese si situavano nell'ambito della societa'
e degli stati.
La prima svolta significativa avvenne a partire dal IV secolo (la cosiddetta
"svolta costantiniana"), quando il cristianesimo passo' da culto marginale,
sovversivo, e per questo perseguitato, a religione istituzionalizzata
dell'impero romano. Questa svolta politico-sociale porto' le comunita'
cristiane ad abbandonare progressivamente la prospettiva etica desunta dal
Nuovo Testamento, che si esplicava nel superamento dell'odio e
dell'inimicizia con l'amore per il prossimo e anche per il nemico e che
aveva portato a posizioni di rifiuto della guerra e del servizio militare.
Fu allora che ebbe inizio, con Agostino, l'elaborazione teorica della
teologia della guerra giusta, che si ando' consolidando nel corso del
Medioevo.
Una terza posizione fu quella della repressione violenta dei "nemici della
fede", che porto' alle crociate sia contro gli eretici sia contro i
musulmani.
L'istanza pacifista resto' relegata a singoli individui (ad esempio,
Francesco d'Assisi) e a movimenti (ad esempio, i valdesi), che pero' non
riuscirono a modificare la posizione ufficiale della Chiesa di piena
legittimazione della guerra, secondo i criteri della "guerra giusta".
Neppure la Riforma protestante, peraltro profondamente legata al pensiero
agostiniano, modifico' questa situazione, ma risale a quel momento storico
la riscoperta della nonviolenza evangelica da parte di movimenti della
cosiddetta "riforma radicale". Saranno questi movimenti che, una volta
trapiantati nel nuovo mondo, pianteranno anche la' il seme del pacifismo
cristiano. E sara' la', lontano dalle guerre di religione che continuavano a
lacerare il vecchio mondo, che questo seme riuscira' a crescere e a
diventare una pianta sempre piu' rigogliosa, anche se spesso ha corso il
rischio di essere soffocata dalla pianta della guerra giusta e da quella del
Dio della guerra.
Oggi, nella nazione formatasi dalla ribellione delle tredici colonie inglesi
contro la madrepatria, la guerra contro l'Iraq presenta una nuova occasione
di confronto e di verifica per il pacifismo in generale e per quello
cristiano in particolare. Ancora una volta, i pacifisti devono confrontarsi
con i sostenitori della "guerra giusta" o addirittura "santa".
E' singolare che il presidente Bush abbia usato, pochi giorni dopo l'11
settembre 2001, il termine "crociata" per indicare l'impegno degli Stati
Uniti a "liberare il mondo dai malvagi". Infatti, le crociate del XII e XIII
secolo, anche se vi parteciparono principi e re, furono sostanzialmente
un'iniziativa della Chiesa e furono lo strumento della ierocrazia papale per
affermare il potere temporale della Chiesa del tempo. E' significativo, a
questo riguardo, che dopo la conquista di Gerusalemme, con la quale nel 1099
si concluse la prima crociata, Goffredo di Buglione rifiutasse, in segno
d'umilta', la corona della citta' santa, preferendo assumere il titolo di
advocatus Sancti Sepulcri, che nella terminologia della Chiesa altomedievale
indicava chi tutelava gli interessi ecclesiastici. Se le crociate, da Urbano
II a Bonifacio VIII, servirono al papato per affermare la propria supremazia
sui "principi della terra", sembra paradossale che Bush abbia usato un
termine che si riferisce ad uno degli aspetti della storia del "papismo"
piu' criticati da quel protestantesimo fondamentalista a cui fa riferimento.
Ma forse l'uso che ne ha fatto Bush serviva non tanto ad evocare
nell'americano medio le crociate medievali, quanto le crociate del XX secolo
e, soprattutto, la crociata contro il comunismo, portata avanti dagli Stati
Uniti negli anni venti e ripresa poi durante tutto il periodo della guerra
fredda (1948-1989). L'altro aspetto paradossale e' che tra i piu' decisi
oppositori della nuova crociata del Bene contro il Male ci sia quella Chiesa
che, secoli fa, aveva lanciato le prime crociate.
Le pagine che seguono vorrebbero aiutare a capire quale sia stato il
retroterra storico e culturale delle diverse posizioni assunte dalle chiese
cristiane nei confronti della guerra e della pace, nel corso della storia
degli Stati Uniti, in una continua tensione tra pacifismo e patriottismo.
Poi viene ricordato il ruolo svolto dalla religione civile nella costruzione
e nella rielaborazione dell'identita' americana, in una societa' che si e'
sempre piu' diversificata, sotto il profilo etnico, culturale e religioso.
La religiosita' stessa del presidente Bush, ammirata dai suoi sostenitori e
irrisa dai suoi oppositori, e' espressione da un lato di una tradizione
interna al protestantesimo statunitense e dall'altro alla religione civile.
Infine, nel capitolo terzo, e' affrontato il momento attuale, quello di una
guerra a lungo annunciata e infine iniziata, il 20 marzo 2003, vista
attraverso le diverse risposte delle chiese.
Potrebbe sembrare piu' semplice spiegare cio' che sta accadendo sotto i
nostri occhi (o, meglio, sotto quelli delle telecamere), ma in realta' e' la
cosa piu' difficile non solo perche' la cronoca quotidiana deve essere
sempre analizzata e interpretata con un certo distacco, emotivo e temporale,
che non e' possibile in questo momento, ma anche e soprattutto perche' la
grande quantita' di documenti ufficiali, compresi quelli dei vertici delle
chiese, potrebbero fare sembrare evidenti le loro posizioni. Di fatto, non
e' cosi' e non lo e' perche' le dichiarazioni dei vertici non rispecchiano
sempre le reali posizioni della base, cioe' dei membri di chiesa.
Alla vigilia della guerra, i sondaggi dicevano che i protestanti erano per
due terzi a favore di un intervento militare in Iraq, mentre i cattolici
erano divisi esattamente a meta'. I sondaggi successivi all'inizio della
guerra hanno indicato un aumento della percentuale favorevole alla guerra.
Cio' significa che le affermazioni dei vertici delle chiese, generalmente
contrarie, senza se e senza ma, a qualsiasi intervento militare,
rispecchiano fedelmente soltanto le loro posizioni, non quelle della base.
La progressiva alienazione della base dai propri vertici e' ben
rappresentata dal caso della Chiesa metodista unita, alla quale - almeno
ufficialmente - appartengono anche il presidente e il suo vice. Molti
vescovi di questa chiesa si sono espressi, anche con durezza, contro
l'intervento militare, mentre i senatori Hillary Clinton e John Edwards,
entrambi metodisti, democratici e liberal, hanno votato a favore
dell'autorizzazione dell'uso della forza per disarmare l'Iraq. Se e' vero
che i politici di professione sanno valutare e tenere conto degli
orientamenti dell'elettorato, il voto della senatrice Clinton e del senatore
Edwards sono piu' indicativi delle posizioni della base di quanto non lo
siano le dichiarazioni degli organi ecclesiastici.

10. LETTURE. ZYGMUNT BAUMAN: INTERVISTA SULL'IDENTITA'
Zygmunt Bauman, Intervista sull'identita', Laterza, Roma-Bari 2003, pp. XII
+ 132. Euro 9. Sollecitato dalle domande di Benedetto Vecchi, il grande
sociologo riflette sul concetto e sul sentimento di identita', la sua
storia, le sue dialettiche ed aporie, e la sua crisi nell'epoca della
globalizzazione.

11. LETTURE. PIER PAOLO PORTINARO: IL PRINCIPIO DISPERAZIONE
Pier Paolo Portinaro, Il principio disperazione. Tre studi su Guenther
Anders, Bollati Boringhieri, Torino 2003, pp. 180, euro 13. Guenther Anders
e' uno degli autori imprescindibili per capire il nostro tempo e definire il
senso della nostra lotta. Pier Paolo Portinaro e' uno degli studiosi piu'
acuti e sensibili di Anders, di Jonas, della meditazione piu' rigorosa sui
problemi decisivi che l'umanita' ha di fronte.

12. RIEDIZIONI. ELIE WIESEL: ... E IL MARE NON SI RIEMPIE MAI
Elie Wiesel, ... E il mare non si riempie mai, Bompiani, Milano 1998, 2003,
pp. 508, euro 9,80. Finalmente ristampato in edizione economica il secondo
volume delle memorie di Elie Wiesel, superstite di Auschwitz e Buchenwald,
premio Nobel per la pace.

13. RILETTURE. RUTH FIRST: ALLE RADICI DELL'APARTHEID
Ruth First, Alle radici dell'apartheid, Angeli, Milano 1984, pp. 224, lire
16.000. A cura di Anna Maria Gentili una racconta di scritti della grande
intellettuale e militante sudafricana assassinata con un pacco bomba dai
sicari del regime razzista nel 1982.

14. RILETTURE. TASLIMA NASREEN: VERGOGNA
Taslima Nasreen, Vergogna, Mondadori, Milano 1995, 1996, pp. 252, lire
14.000. In forma di romanzo la denuncia del fanatismo religioso; per averlo
scritto l'autrice ha subito persecuzioni ed e' stata condannata a morte
dagli integralisti islamici del Bangladesh.

15. RILETTURE. MICHELLE PERROT (A CURA DI): L'IMPOSSIBILE PRIGIONE
Michelle Perrot (a cura di), L'impossibile prigione, Rizzoli, Milano 1981,
pp. 278, lire 10.000. In feconda interazione con la riflessione e l'impegno
di Michel Foucault, un dibattito e una raccolta di studi e ricerche sul
sistema penitenziario francese nel XIX secolo. Utile per la riflessione
sull'oggi e sul domani.

16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

17. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 602 del 5 luglio 2003