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La nonviolenza e' in cammino. 602
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 602
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 4 Jul 2003 22:34:26 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 602 del 5 luglio 2003 Sommario di questo numero: 1. Corso di formazione per i Corpi civili di pace 2. Un 4 novembre dalla parte delle vittime, contro guerre, eserciti ed armi 3. Monica Lanfranco: donne islamiche e occidentali discutono in rete di nonviolenza e liberta' 4. Antonio Papisca: l'Onu, dei popoli, a Gerusalemme 5. E' in rete l'opuscolo di Travaglio e Gomez sul cavalier B. 6. Ali Rashid: tre pensieri sulla pace 7. Judith Revel: la resistenza 8. Lea Melandri: per costruire un sogno 9. L'introduzione di "Dio sta marciando" di Massimo Rubboli 10. Letture: Zygmunt Bauman, Intervista sull'identita' 11. Letture: Pier Paolo Portinaro, Il principio disperazione 12. Riedizioni: Elie Wiesel, ... E il mare non si riempie mai 13. Riletture: Ruth First, Alle radici dell'apartheid 14. Riletture: Taslima Nasreen, Vergogna 15. Riletture: Michelle Perrot (a cura di), L'impossibile prigione 16. La "Carta" del Movimento Nonviolento 17. Per saperne di piu' 1. INIZIATIVE. CORSO DI FORMAZIONE PER I CORPI CIVILI DI PACE [Ringraziamo Alberto L'Abate (per contatti: labate at mail.unifi.it) per averci inviato il seguente comunicato] Nei giorni 24-31 agosto (dalla cena del 24 al dopo prima colazione del 31) si terra' a Pruno di Stazzema (Lucca) un training di formazione per le persone interessate a partecipare ad interventi del tipo di quelli dei Corpi Civili di Pace. Gli argomenti trattati nel training, con l'uso di tecniche attive come giochi di ruolo, di posizione, teatro forum, simulazioni, tempeste di idee, ecc., saranno: a) il lavoro con il se' ed il superamento delle proprie paure; b) il lavoro di gruppo ed i metodi decisionali del consenso; c) la diplomazia dal basso e l'interposizione nonviolenta; d) il comportamento in situazioni calde o di conflitto acuto. Ci sara' anche un gioco di ruolo sul conflitto tra israeliani e palestinesi e sulla gestione creativa di questo conflitto, guidato da una delle autrici del gioco, Angela Marasso, nel quale si cerchera' di simulare anche il ruolo di un operatore dei Corpi Civili di Pace. Il training e' aperto a persone che abbiano gia' fatto altri trainings di base e, se possibile, operato in situazioni di conflitto anche non armato (che avranno la precedenza sugli altri per l'accettazione dell'iscrizione), oppure persone che abbiano fatto domanda di obiezione di coscienza o di partecipazione al Servizio Civile Volontario, o si stanno preparando professionalmente ad essere "operatori di pace". La preferenza sara' accordata ai residenti della provincia di Lucca che abbiano le stesse qualifiche degli altri. Il numero massimo dei partecipanti e' di 20 persone, che saranno selezionate dal gruppo dei trainers sulla base delle schede di domanda. Per l'iscrizione al campo bisogna spedire a Sandro Mazzi, viale Mecenate 81, 52100 Arezzo, il modulo accluso debitamente riempito. Le schede devono arrivare entro il 31 luglio 2003 a Sandro Mazzi, o via posta, o via e-mail all'indirizzo: perugia at pacedifesa.org, tel. 328.8783637, con la dicitura "Iscrizione campo Corpi Civili di Pace". La risposta di accettazione o meno verra' data entro il 4 agosto via e-mail, o per telefono. La partecipazione alle attivita' formative del training e' gratuita. I partecipanti dovranno invece pagare le spese di vitto e alloggio. Le soluzioni alloggiative sono varie: 1) nell'ostello di Pruno, alloggio in camerate di tre o piu' letti, e vitto, 30 euro al giorno (totale 180 euro); 2) con tenda propria in area attrezzata, per un massimo di 8 tende (5 euro al giorno, e 9 euro per ogni pasto utilizzato presso l'ostello). Le persone accettate dovranno versare, entro una settimana dalla ricezione della comunicazione di accettazione, 30 euro, come anticipo sulle spese di alloggio e vitto, sul conto corrente postale n. 32145674, intestato a Valversilia Projects onlus, piazza Risorgimento 8, 55040, Pruno di Stazzema (Lucca). I trainers sono, in ordine alfabetico, oltre Angela Marasso, gia' citata: Marco Baino, formatore; Federica Cecchini, psicologa; Alberto L'Abate, sociologo; Gigi Ontanetti, formatore, e Sandro Mazzi, come responsabile della segreteria organizzativa e tutor degli allievi. Il training si concludera', nel dopo cena del sabato 30 agosto, nella piazza principale del paese con una tavola rotonda, aperta a tutta la cittadinanza della zona, sulle funzioni e le prospettive dei Corpi Civili di Pace cui sono invitate tutte le associazioni aderenti alle rete che si e' recentemente costituita a Bologna. Un programma piu' dettagliato e le istruzioni per raggiungere Pruno verranno inviate ai partecipanti effettivi al training. Il corso di formazione per i Corpi Civili di Pace e' promosso da: Scuola della Pace, Provincia di Lucca; Valversilia Projects Onlus; Ced/as. Venti di Terra, Prato. Berretti Bianchi onlus; con il contributo del Cesvot. * Scheda di iscrizione Training per la formazione ad interventi in situazione di conflitto Pruno di Stazzema 24-31 agosto 2003 Compilare e restituire a Sandro Mazzi, viale Mecenate 81, 52100 Arezzo. Nome e cognome Indirizzo ed eventuale residenza (se diversa dal domicilio) Telefono casa / cellulare E-mail Data di nascita - Ha qualche esperienza nel settore dell'intervento nonviolento in situazioni conflittuali ? - Se si', quali? - Per quale motivo intende iscriversi al training? - Ha fatto altri trainings o laboratori su queste tematiche? - Se si quali? - Quale soluzione alloggiativa preferisce? a) nell'ostello; b) in area attrezzata con tenda propria; c) altra (specificare). Firma 2. INIZIATIVE. UN 4 NOVEMBRE DALLA PARTE DELLE VITTIME, CONTRO GUERRE, ESERCITI ED ARMI Il 4 novembre del 2002 il Centro di ricerca per la pace di Viterbo ha realizzato una cerimonia di commemorazione delle vittime delle guerre, cerimonia austera e rigorosamente silenziosa di deposizione di fiori ai monumenti cittadini ai caduti, in alternativa alle celebrazioni cui partecipano gli apparati militari che le guerre eseguono e le persone uccidono. L'iniziativa, denominata "Ogni vittima ha il volto di Abele" riprendendo la celebre frase di Heinrich Boell, verra' nuovamente realizzata quest'anno, e viene proposta alle persone e ai movimenti impegnati per la pace in altre citta' d'Italia affinche' il 4 novembre cessi di essere occasione di esibizione di eserciti ed armi e quindi di offesa alle persone uccise dalla guerra. Soltanto con l'impegno perche' mai piu' vi siano guerra ne' eserciti ne' armi si fa degna memoria delle vittime, in commozione, rispetto, fraternita' e sororita' autentiche. 3. DIALOGO. MONICA LANFRANCO: DONNE ISLAMICHE E OCCIDENTALI DISCUTONO IN RETE DI NONVIOLENZA E LIBERTA' [Dal n. 15 del 2003 del settimanale "Carta" (sito: www.carta.org) riprendiamo questo articolo di Monica Lanfranco. Monica Lanfranco (per contatti: e-mail: mochena at village.it, siti: www.marea.it, www.village.it/lanfranco/), giornalista professionista, nata a Genova il 19 marzo 1959, vive a Genova; collabora con le testate delle donne "DWpress" e "Il paese delle donne"; ha fondato il trimestrale "Marea"; dirige il semestrale di formazione e cultura "IT - Interpretazioni tendenziose"; dal 1988 al 1994 ha curato l'Agendaottomarzo, libro/agenda che veniva accluso in edicola con il quotidiano "l'Unita'"; collabora con il quotidiano "Liberazione", i mensili "Il Gambero Rosso" e "Cucina e Salute"; e'' socia fondatrice della societa' di formazione Chance. Nel 1988 ha scritto per l'editore PromoA Donne di sport; nel 1994 ha scritto per l'editore Solfanelli Parole per giovani donne - 18 femministe parlano alle ragazze d'oggi, ristampato in due edizioni. Per Solfanelli cura una collana di autrici di fantasy e fantascienza. Ha curato dal 1990 al 1996 l'ufficio stampa per il network europeo di donne "Women in decision making". Nel 1995 ha curato il libro Valvarenna: nonne madri figlie: un matriarcato imperfetto nelle foto di fine secolo (Microarts). Nel 1996 ha scritto con Silvia Neonato, Lotte da orbi: 1970 una rivolta (Erga): si tratta del primo testo di storia sociale e politica scritto anche in braille e disponibile in floppy disk utilizzabile anche dai non vedenti e rintracciabile anche in Internet. Nel 1996 ha scritto Storie di nascita: il segreto della partoriente (La Clessidra). Cura e conduce corsi di formazione per gruppi di donne strutturati (politici, sindacali, scolastici) sulla storia del movimento delle donne e sulla comunicazione] "L'idea di umanita, una volta liberata da tutti i sentimentalismi, implica questa gravissima conseguenza: che gli uomini, in una forma o nell'altra, devono assumere la responsabilita' di tutti i crimini commessi dagli uomini e che tutte le nazioni devono sopportare il peso del male commesso da tutte le altre". Risuonano inequivocabili le parole profetiche di Hannah Arendt pubblicate a gennaio del 1945 nel saggio "Colpa organizzata e responsabilita' universale", raccolte nel volume Ebraismo e modernita'. Rilanciata piu' volte, in queste settimane, dalla newsletter "La nonviolenza in cammino", inviata via mail da due anni a chi ne fa richiesta, questa riflessione puo' essere un viatico per avvicinarsi, mutatis mutandis, e soprattutto immettendo anche la parola "donna" alla frase, al fenomeno inedito e straordinario che sta prendendo corpo: lo svilupparsi di un dibattito telematico sull'intreccio tra la condizione delle donne nei paesi governati dall'Islam, la nonviolenza di stampo islamico, l'occidente e la responsabilita' collettiva di uomini e donne per avviare percorsi di liberta' fuori dall'orizzonte del cimiteriale silenzio che la guerra ci consegna. E' grazie al sito www.muhajabah.com/islamicblog/veiled4allah.php "The occasional thoughts of a Muslim woman" [riflessioni occasionali di una donna musulmana], primo e per ora solitario weblog femminile islamico apparso sin dal primo giorno di guerra, che sotto gli occhi del mondo si sta verificando l'inaspettato e sorprendente dialogo tra donne dei due fronti che discutono di liberta', tradizioni, femminismo, nonviolenza, passando attraverso messaggi che parlano di abiti, cura della casa, compiti quotidiani, aspirazioni a esistenze migliori. Il sito e' un puzzle nel quale convivono messaggi contraddittori: si parla di femminismo e il logo di presentazione dell'autrice e' "velate per Allah", contraddistinto dall'icona di una donna in burka dalla quale spiccano solo gli occhi; si linka il sito www.globalnonviolence.org/islam.htm e poi accanto c'e' quello di supporto alle truppe armate, [con piu' accentuato il richiamo all'auspicio che ogni soldato torni a casa salvo] e poco piu' sotto sventola l'insegna della campagna contro le mine. Sono due le sezioni tematiche piu' interessanti che si offrono nella visita. La prima riguarda il dibattito sulla presenza di un pensiero nonviolento nella dottrina islamica. * L'Islam e la nonviolenza "Per l'Islam il tema della violenza e' parte integrante della sfera etica islamica; nel mondo di oggi la persona musulmana non deve usare violenza, perche' l'Islam ammette solo le azioni nonviolente come metodo di combattere per la giustizia. L'Islam e' terreno fertile per la nonviolenza grazie alla sua potenzialita' di intesa con la disobbedienza civile, la forte disciplina, la pratica del consenso condiviso e la responsabilita' sociale, il sacrificio di ogni singolo essere per il benessere collettivo, la fiducia verso la comunita' musulmana e l'intera collettivita' umana": queste e altre citazioni fanno parte del lavoro di Abdul Ghaffar Khan, un contemporaneo di Gandhi, leader di un movimento islamico nonviolento in India, del quale viene reso disponibile l'intero testo, intitolato "Islam and Non-Violence". Vi sono indicati gli otto principi-guida che vincolano chi segue il Corano al rifiuto della violenza, con particolare attenzione alle nuove tecnologie che invece hanno impresso una accelerazione impressionante proprio nella sfera della violenza, come ad esempio lo sviluppo del nucleare e delle armi chimiche. Ed ecco il passaggio destinato a creare maggiore scalpore in tempi nei quali echeggiano i [malintesi da tutt'e due le parti] proclami allo "jihad": l'affermazione che chi usa violenza, anche in un contesto emergenziale e bellico, lo fa mettendosi fuori dalle regole dell'Islam. "Anche mentre sembra che l'attacco suicida, che colpisce civili inermi, sia l'unica arma rimasta al popolo palestinese, sara' solo scegliendo la nonviolenza che i palestinesi resteranno dentro i valori islamici, rifiutando questi mezzi che sono proibiti da Dio". L'altro corno del tema e' quello della condizione femminile, della violenta emarginazione delle donne in molti paesi arabi, e qui la web mistress Al-Muhajabah [dietro a questo pseudonimo, che vuol dire "colei che veste abiti islamici", c'e' una ventinovenne che abita negli Stati Uniti] sviluppa l'argomento lasciando spazio al confronto nel forum, affollatissimo. Il carteggio virtuale, sviluppatosi subito dopo lo scoppio della guerra non si e' mai fermato: si parte dalla provocazione di Wendy McElroy, che mette l'accento sul rischio di colonizzazione da parte del pensiero femminista occidentale verso l'arretratezza dei costumi delle donne del mondo islamico. "Le femministe occidentali sembrano credere di aver la missione di salvare le donne arabe musulmane; ma se la loro oppressione deriva dalle tradizioni locali, e non dalla religione o dalla provenienza etnica, allora esiste la possibilita' di rispettare l'Islam e gli arabi senza mancare loro di rispetto. Senza esercitare alcuna superiorita', il femminismo occidentale puo' dire alle donne arabe e musulmane: non c'e' disprezzo da parte nostra per la vostra religione o la vostra origine etnica. Vogliamo solo che voi abbiate liberta' di scegliere". * Il velo e la liberta' Carrie, che non si definisce femminista, e che detesta "che il piu' delle volte un uomo mi guardi le tette piuttosto che in faccia" si dice interessata a una discussione circa la presunta liberta' che il velo concede alle donne. Ma, contemporaneamente, riconosce al movimento di averle consegnato la consapevolezza del suo ruolo nella societa', e augura alle donne arabe di potersi liberare dalla tirannia, per "avere la liberta' di lasciare le mura di casa senza il velo, se lo vorranno". Al-Muhajabah insiste sull'aporia afghana, affermando che quella del burka e' una aberrazione che non rappresenta l'Islam. Una bella discussione che si dipana via via, offrendo un'oasi di civile confronto tra mondi e visioni anche radicalmente lontani, capaci di dialogare senza anteporre alcuna identita' precostituita. Meno morbida e piu' dolorosamente netta la voce di una femminista iraniana , Maryam Namazie, autrice di un saggio dal titolo "Il relativismo culturale: il fascismo di quest'epoca": "In Iran - scrive - le donne e le fanciulle sono forzate a portare il velo sotto la minaccia della prigione e della frusta, e i relativisti culturali dicono che questa 'e' la loro religione, e va rispettata'". "Il ministro degli esteri olandese ha affermato che le prigioni iraniane sono 'soddisfacenti, per gli standard del terzo mondo', e ha forzato il ritorno in patria di coloro che cercavano asilo. Il relativismo culturale serve a questi crimini. Legittima e mantiene situazioni incivili. Esso dice che i diritti umani di qualcuno nato in Iran, Iraq o Afghanistan sono differenti da quelli di chi e' nato negli Usa, in Canada o in Svezia. I relativisti culturali dicono che la societa' iraniana e' musulmana, implicando con cio' che le persone hanno scelto di vivere nel modo in cui sono costrette. E' come se non ci fossero differenze nelle fedi in Iran, nessuna lotta, nessun comunista, nessun socialista, e nessuno che ami la liberta'". "I relativisti culturali - aggiunge - dicono che dobbiamo rispettare le culture e le religioni, non importa quanto esse siano deprecabili. Questo e' assurdo, e' chiedere il rispetto della crudelta'. Ogni essere umano e' degno di rispetto, ma non tutti i convincimenti devono essere rispettati. Se una cultura permette che una donna sia mutilata e uccisa per salvare l'onore della famiglia, questo non ha scusanti. Nella Repubblica islamica dell'Iran le regole religiose sono diventate strumenti per omicidi di massa. Se la religione dice che le donne disobbedienti devono essere battute, che frustarle e' accettabile e che in genere le donne sono deficienti, questo va condannato, e ci si deve opporre. La lotta contro governi misogini e reazionari e' inseparabile dalla lotta contro i credo reazionari e misogini. Naturalmente ciascun individuo ha il diritto di credere cio' che vuole, per quanto offensivo sia, ma chi ama la liberta' ha il dovere di testimoniare e condannare i credo reazionari, sino a che essi spariranno dalla storia". "I relativisti culturali - scrive ancora - si spingono sino a dire che i diritti umani universali sono un concetto occidentale. Ma come mai quando usa un telefono o un'automobile il mullah non dice che si tratta di roba occidentale incompatibile con la societa' islamica? Come mai quando si tratta di sfruttare i lavoratori le innovazioni tecnologiche diventano universali? Pero', se parliamo dell'universalita' dei diritti umani, ecco che diventano occidentali. Ebbene, persino se lo fossero, e' del tutto assurdo dire che 'gli altri' non ne sono degni. Persino a sinistra c'e' qualcuno che dice che condannare le fedi reazionarie alimenta il razzismo. Opporsi allo stupro di una bambina di nove anni costretta a sposarsi non serve il razzismo. Opporsi all'abuso sessuale di una bambina, sebbene il tribunale della Repubblica islamica dell'Iran abbia sentenziato che il padre fu costretto ad abusare di lei perche' la moglie non lo soddisfaceva adeguatamente, non e' servire il razzismo". "Le culture non sono sacre - e' la conclusione -. Il razzismo e il fascismo hanno le loro proprie culture. Lottare per i diritti umani significa condannare i credo reazionari, non osservarli. La sconfitta del nazismo e delle sue teorie biologiche ha contribuito al discredito del concetto di 'superiorita' razziale', tuttavia il pregiudizio che ci stava dietro ha trovato forme di espressione piu' accettabili per il nostro periodo storico. I relativisti culturali difendono gli olocausti dei nostri giorni. Chiunque rispetti l'umanita' deve impegnarsi per l'abolizione di cio' che e' incompatibile con la liberta' umana". 4. RIFLESSIONE. ANTONIO PAPISCA: L'ONU, DEI POPOLI, A GERUSALEMME [Dal fascicolo del maggio 2003 del mensile "Azione nonviolenta" (per contatti: e-mail: azionenonviolenta at sis.it; sito: www.nonviolenti.org) riprendiamo questo acuto intervento di Antonio Papisca. Antonio Papisca, docente all'Universita' di Padova, promotore e direttore del Centro di studi e formazione sui diritti dell'uomo e dei popoli, direttore del periodico "Pace, diritti dell'uomo, diritti dei popoli", e' una delle figure di piu' grande prestigio internazionale sui temi della pace e dei diritti umani. Tra le molte fondamentali opere di Antonio Papisca segnaliamo almeno Democrazia internazionale, via di pace, Angeli, Milano 1986] Sviluppo umano e sicurezza globale possono essere garantite da un'Onu rafforzata e democratizzata. La societa' civile sta sostenendo da anni questo processo. Mentre i potenti della terra continuano ad affidarsi alla ragion di stato e alla guerra. Si parla con insistenza della centralita' delle Nazioni Unite: alla buon'ora, vien da dire. Ma occorre usare lungimiranza e prudenza nell'appellarsi a questo principio. Lungimiranza, perche' le Nazioni Unite costituiscono lo snodo ineludibile e irrinunciabile della governabilita' nell'era della globalizzazione. Prudenza, perche' l'Organizzazione delle Nazioni Unite non e' ancora stata messa nella condizione di agire al riparo dalle strumentalizzazioni dell'"usa e getta" e del "due pesi e due misure". Dieci anni fa, "Nigrizia" mi diede l'occasione di curare, per molti mesi, una rubrica intitolata "Onu dei popoli". E' appena il caso di ricordare che la Carta delle Nazioni Unite si apre con una solenne affermazione di soggettivita' democratica e pacifista: ´Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra...". Va anche ricordato che a partire dal 1995, con cadenza biennale e alla vigilia della marcia Perugia-Assisi, si riunisce l'Assemblea dell'Onu dei popoli. Ancora prima, nel 1985, l'associazione Mani Tese organizzava a Firenze, a Palazzo Vecchio, un grande convegno internazionale dal quale scaturi' il vibrante appello "Per una costituente mondiale per la pace e lo sviluppo", dove puntuali sono i riferimenti all'Onu. Rileggendo oggi questo documento, non si puo' non rimanere impressionati dall'attualita' del messaggio di "ordine mondiale democratico" in esso contenuto. Il richiamo di questi fatti serve per sottolineare che le formazioni solidaristiche di societa' civile hanno anticipato - inascoltate - le classi governanti nell'affermare l'importanza delle Nazioni Unite. Ancora una volta, i potenti fautori della "ragion di stato" e della realpolitik sono contraddetti dalla "ragion di promozione umana". La diagnosi dell'attuale stato di cose e' fin troppo chiara. Il mondo e' pervaso da miseria e da violenza armata dentro, e fra, gli stati. Nessun paese, nessuna societa' puo' dirsi sicura dalle incursioni, palesi o opache che siano, della criminalita' transnazionale. Il terrorismo si presenta con una vasta gamma di modalita'. L'ingiustizia economica e sociale va di pari passo con la dilagante insicurezza. Se grandi furono le attese suscitate dal crollo del Muro, ancor piu' pungenti sono le odierne delusioni e lo sconforto. Il disarmo appare oggi, paradossalmente, come una chimera. Ancor piu' di prima, urge dunque controllare la produzione e il commercio delle armi, prevenire e gestire pacificamente i conflitti, far funzionare un sistema di sicurezza collettiva sotto legittima autorita' sovranazionale, instaurare una nuova divisione internazionale del lavoro che rispetti le esigenze della giustizia sociale ed economica nel mondo. * Mobilitarsi per la riforma L'Onu, istituzione multilaterale per antonomasia, e' indispensabile per gestire l'ordine mondiale nel rispetto di "tutti i diritti umani per tutti" e per un'economia di giustizia. C'e' bisogno di una istituzione mondiale in cui tutti gli stati, grandi e piccoli, siano rappresentati e tutti i popoli, anche i piu' lontani e diseredati, possano far sentire la loro voce. Quale istituzione puo' perseguire i molteplici e complessi obiettivi dello human development e della human security, se non una Onu messa nella condizione di farlo? E chi deve metterla in questa condizione se non gli stati che ne sono membri, in particolare i piu' potenti? In occasione del "Millennium Forum" di societa' civile globale, svoltosi nel maggio 2000 a New York, nel palazzo di vetro, e' risuonata la parola d'ordine: strengthening and democratising the United Nations, cioe' rafforzare e democratizzare le Nazioni Unite. Se si e' sinceri nel proclamare oggi la centralita' delle Nazioni Unite, occorre senza indugio perseguire il duplice obiettivo del potenziamento e della democratizzazione della massima organizzazione mondiale. Il dibattito sulla sua riforma, che pareva bene avviato in occasione del cinquantesimo anniversario dell'Onu, ha purtroppo dimostrato di non avere raggiunto quella massa critica sufficiente a far precipitare, una volta per tutte, la riforma. Questo significa che devono mobilitarsi, ancor piu' massicciamente e puntualmente che nel passato, le forze di societa' civile globale, esercitando pressione sui governi e sulle classi politiche perche' facciano funzionare, tempestivamente ed efficacemente, l'Onu. Tra i tanti argomenti da usare nei confronti di chi ha responsabilita' istituzionali, ce ne sono due particolarmente convincenti, uno di carattere giuridico, l'altro di carattere per cosi' dire utilitarista. Il primo e' che far funzionare bene le Nazioni Unite costituisce per gli stati "obbligo giuridico", non un optional: se non si rispetta la Carta delle Nazioni Unite, ci si pone in una condizione di persistente illegalita'. In altre parole, il diritto internazionale e' violato non soltanto quando si fa la guerra preventiva, ma anche quando non si alimenta l'Onu di supporto politico, di risorse finanziarie (in particolare, con puntuale versamento delle quote annuali), di personale. Il secondo e' che far funzionare bene le Nazioni Unite costa molto meno che procedere individualmente o a ranghi sparsi in un mondo che e' sempre piu' interdipendente, disordinato e insicuro. * Che cosa deve cambiare Insomma il calcolo costi-benefici pende a favore dell'Onu, e' questione di razionalita' economica, oltre che di ragionevolezza e di buon senso comune. In quest'ottica, tra le cose che occorre fare con la massima urgenza perche' l'Onu possa adempiere al suo alto mandato vi sono: la creazione di un corpo permanente di polizia civile e militare sotto la diretta autorita' sovranazionale delle Nazioni Unite; il conferimento di maggiori poteri al Consiglio economico e sociale (Ecosoc) per quanto riguarda l'orientamento sociale dell'economia mondiale e la sorveglianza sulle organizzazioni internazionali economiche (insomma, l'Ecosoc come un Consiglio di sicurezza economica e sociale); il ricambio di buona parte dell'attuale personale Onu, burocratizzato e privo di tensione ideale, con personale adeguatamente formato e motivato (coi diritti umani nella testa e nel cuore); l'aumento delle risorse destinate agli organi specializzati in materia di diritti umani ed emergenze varie - a cominciare dall'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani - e ai programmi per lo sviluppo umano nei paesi ad economia povera; la dotazione della Corte penale internazionale di tutte le risorse, finanziarie e umane, che le sono necessarie per bene avviare le proprie attivita'; l'allargamento della composizione del Consiglio di sicurezza, in funzione di una sua piu' adeguata maggiore rappresentativita'. Ma dare il pur indispensabile "piu' potere" all'Onu lasciando questa nelle mani esclusive degli stati, cioe' dei vertici governativi e delle diplomazie, e' rischioso. Ecco dunque la necessita' di accompagnare il potenziamento con la democratizzazione, la quale, nei suoi termini essenziali, comporta: la creazione di un'Assemblea parlamentare delle Nazioni Unite che affianchi l'attuale Assemblea generale composta dagli stati membri: sarebbe l'embrione di un processo che porterebbe gradualmente alla istituzione di un vero e proprio Parlamento delle Nazioni Unite; per le materie attinenti ai diritti umani, allo sviluppo e all'ambiente, l'attribuzione di uno status di "co-decisionalita'" a favore delle organizzazioni non governative (ong) che gia' godono dello status "consultivo" presso l'Ecosoc; l'estensione dell'esercizio di questo status consultivo anche presso il Consiglio di sicurezza. * Onu a Gerusalemme Un'ultima riflessione, sempre in chiave strategica. La campagna per la democrazia internazionale comporta che si difendano le istituzioni internazionali multilaterali, quali "siti" essenziali per l'estensione della pratica democratica dalla citta' fino all'Onu. Se non ci sono le istituzioni, non c'e' lo spazio, legittimo e trasparente, per l'esercizio di ruoli democratici. Dietro la strategia della deregulation economica lanciata da Reagan all'inizio degli anni ottanta si nascondeva la deregulation istituzionale: in altri termini, l'insistenza nel togliere lacci e lacciuoli al libero gioco del mercato nascondeva la volonta' di svincolarsi dai precetti del diritto e dalla trasparenza delle istituzioni. Un modo nostrano di cadere in questa trappola e' consistito nel proclamare "piu' societa', meno stato" (quanti ci sono cascati in buona fede...). Questo disegno e' oggi drammaticamente disvelato in tutta la sua dissennatezza ("a ratione alienum", parafrasando la Pacem in terris): la cosiddetta nuova teoria della guerra preventiva - che e' poi vecchia di millenni... - ben si spiega con la metafora del "giu' la maschera". A tanta spudoratezza di governanti, la societa' civile deve rispondere proclamando, responsabilmente, "piu' societa', piu' istituzioni, piu' democrazia, piu' trasparenza, piu' politiche sociali, piu' azioni positive". Per quanto riguarda il futuro dell'Onu, diventa sempre piu' necessario porre, anche fisicamente, la sua sede al riparo dalle infiltrazioni e dalle pressioni che l'amministrazione Usa quotidianamente esercita. La sede a New York e' a rischio di sudditanza. Se l'amministrazione Usa non vuole una Onu super partes, democratica, efficiente ed efficace, se non vuole ne' la Corte penale internazionale ne' corpi permanenti di polizia delle Nazioni Unite ne' istituzioni economiche internazionali in funzione di giustizia sociale, se non vuole le ong tra i piedi alle grandi conferenze mondiali, se vuole soltanto un Fondo Monetario Internazionale capace di quell'accanimento terapeutico che si chiama "aggiustamento strutturale costi-quel-che-costi", se vuole un ordine mondiale gerarchico e belligeno informato al principio del "si vis pacem para bellum", ebbene non si indugi oltre, si scuota la polvere dai calzari e si offra una nuova casa all'Onu, magari installando una parte significativa dei suoi uffici a Gerusalemme. L'Onu a Gerusalemme: pietra di contraddizione, ma anche pietra angolare di un nuovo ordine mondiale fondato sul rispetto della dignita' umana e dei diritti fondamentali che a questa ineriscono. 5. INFORMAZIONE. E' IN RETE L'OPUSCOLO DI TRAVAGLIO E GOMEZ SUL CAVALIER B. E' possibile leggere l'opuscolo "Berlusconi", scritto da Marco Travaglio e Peter Gomez su richiesta del parlamentare europeo Gianni Vattimo, e da Vattimo distribuito a tutti i parlamentari europei il 2 luglio 2003, giorno della presentazione al Parlamento europeo, da parte del presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi, del programma della presidenza italiana dell'Unione Europea. Il testo e' riportato integralmente (in cinque lingue) alla pagina web www.giannivattimo.it/newsletter (e' in ogni caso sufficiente raggiungere il sito www.giannivattimo.it e in seguito cliccare su "newsletter"). Esprimiamo il nostro apprezzamento per l'ottima iniziativa di Gianni Vattimo (per contatti: info at giannivattimo.it), ai cui molti meriti di filosofo e di militante per i diritti civili anche questo si aggiunge. 6. RIFLESSIONE. ALI RASHID: TRE PENSIERI SULLA PACE [Questi brani abbiamo estratto dall'articolo Perche' la stagione sia davvero nuova, apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 3 luglio 2003. Ali Rashid e' il primo segretario della delegazione palestinese in Italia. Fine intellettuale di profonda cultura, conoscitore minuzioso degli aspetti storici, politici, economici e culturali della situazione nell'area mediorientale, esperto di questioni internazionali, ed anche acuto osservatore della vita italiana. E' figura di grande autorevolezza per rigore intellettuale e morale, ed e' una delle piu' qualificate voci della grande tradizione culturale laica palestinese. Suoi scritti appaiono sovente nel nostro paese sui principali quotidiani democratici e sulle maggiori riviste di cultura e politica] Ogni volta che la politica si sostituisce alla guerra e' una vittoria, una occasione da non perdere e uno sviluppo positivo che va non solo esplorato fino in fondo, ma incoraggiato e sinceramente sostenuto, perche' si tratta di questione di vita e di morte indispensabile per sconfiggere la cultura della guerra e della morte che regna incontrastata nel governo di Israele e presso l'Amministrazione Usa... La pace in Palestina deve essere un voltare pagina, una stagione nuova che non consenta scorciatoie al terrorismo di gruppi ma nemmeno a quello di stato, ne' all'astuzia o all'arroganza del capo di turno, o alle menzogne... La pace e' un atto di responsabilita' e comprensione verso se stessi e verso l'altro, un agire in concreto per sciogliere i nodi reali alla base del conflitto in questi lunghi anni. 7. RIFLESSIONE. JUDITH REVEL: LA RESISTENZA [Da Judith Revel, Foucault, le parole e i poteri, Manifestolibri, Roma 1996, p. 102. Judith Revel, nata a Parigi nel 1966, filosofa, collaboratrice del "Centre Foucault", e' docente all'Universita' "La Sapienza" di Roma e collabora con l'Universita' di Cosenza; e' redattrice della rivista "Futuro anteriore" e della rivista internazionale "Multitudes". Tra le sue opere: Foucault, le parole e i poteri, Manifestolibri, Roma 1996; Le vocabulaire de Foucault, Ellipses 2002; sta preparando un libro sulla genealogia del concetto di differenza in Francia dopo il 1945; ha curato il primo volume di Archivio Foucault, Feltrinelli, Milano 1996] La resistenza non e' altro, dunque, che l'abbozzo interminabile di una pratica della liberazione. 8. MAESTRE. LEA MELANDRI: PER COSTRUIRE UN SOGNO [Da Lea Melandri, Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988, p. 107. Lea Melandri, nata nel 1941, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977; poi Manifestolibri, Roma 1997. Cfr. anche Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996] Per costruire un sogno e tenerlo alimentato per tanti anni della propria vita, bisogna essere insonni e non concedersi troppe distrazioni. 9. LIBRI. L'INTRODUZIONE DI "DIO STA MARCIANDO" DI MASSIMO RUBBOLI [Dagli amici delle benemerite Edizioni la meridiana (per contatti: e-mail: info at lameridiana.it; sito: www.lameridiana.it), nate per l'impulso dell'indimenticabile costruttore di pace Tonino Bello, riceviamo e diffondiamo l'introduzione del libro di Massimo Rubboli, Dio sta marciando, Edizioni la meridiana, Molfetta (Ba) 2003, pp. 80, euro 9. Nel comunicato di accompagnamento la casa editrice scrive: "'God is marching on' (Dio sta marciando) e' il ritornello dell'inno di battaglia della repubblica, che dopo l'11 settembre 2001 viene eseguito in ogni commemorazione ed in ogni occasione di riaffermazione dello spirito patriottico degli Stati Uniti. Dio che marcia a fianco dei marines e' l'ultima incarnazione della vecchia idea del Dio della guerra che si contrappone al Dio della pace e ha riproposto alle chiese americane la scelta tra pacifismo e patriottismo. Partendo da una breve ma incisiva sintesi storica, il volume di Massimo Rubboli, Dio sta marciando, Edizioni la meridiana, Molfetta (Ba) 2003 (per richieste: e-mail: info at lameridiana.it; sito: www.lameridiana.it) presenta le varie risposte che le chiese hanno dato alla chiamata alle armi del presidente Bush, che si e' riproposto nella veste del sommo sacerdote della religione civile americana". Massimo Rubboli e' professore di Storia dell'America del Nord alla facolta' di scienze politiche dell'Universita' di Genova. Si occupa di storia politica e religiosa e di storia del pacifismo e della nonviolenza. E' membro del consiglio internazionale della Peace History Society . Da molti anni e' iscritto al Movimento Nonviolento e ha partecipato attivamente alla campagna per l'obiezione di coscienza alle spese militari. Ha pubblicato numerosi saggi attinenti alla storia degli Stati Uniti e del Canada. Fra le opere principali, ricordiamo Social Gospel (Torino 1980), Religione e politica negli Usa (Milano 1986), Il Canada, Un federalismo imperfetto (Firenze 1992) e Protestantesimo nei secoli, vol. II: Settecento, con E. Campi (Torino 1997)] Di fronte alla guerra e alla pace le chiese cristiane hanno assunto posizioni dottrinali e seguito pratiche diverse, segnate da oscillazioni e mutamenti, e determinate non solo dalla riflessione teologica ma anche da come i singoli credenti e le chiese si situavano nell'ambito della societa' e degli stati. La prima svolta significativa avvenne a partire dal IV secolo (la cosiddetta "svolta costantiniana"), quando il cristianesimo passo' da culto marginale, sovversivo, e per questo perseguitato, a religione istituzionalizzata dell'impero romano. Questa svolta politico-sociale porto' le comunita' cristiane ad abbandonare progressivamente la prospettiva etica desunta dal Nuovo Testamento, che si esplicava nel superamento dell'odio e dell'inimicizia con l'amore per il prossimo e anche per il nemico e che aveva portato a posizioni di rifiuto della guerra e del servizio militare. Fu allora che ebbe inizio, con Agostino, l'elaborazione teorica della teologia della guerra giusta, che si ando' consolidando nel corso del Medioevo. Una terza posizione fu quella della repressione violenta dei "nemici della fede", che porto' alle crociate sia contro gli eretici sia contro i musulmani. L'istanza pacifista resto' relegata a singoli individui (ad esempio, Francesco d'Assisi) e a movimenti (ad esempio, i valdesi), che pero' non riuscirono a modificare la posizione ufficiale della Chiesa di piena legittimazione della guerra, secondo i criteri della "guerra giusta". Neppure la Riforma protestante, peraltro profondamente legata al pensiero agostiniano, modifico' questa situazione, ma risale a quel momento storico la riscoperta della nonviolenza evangelica da parte di movimenti della cosiddetta "riforma radicale". Saranno questi movimenti che, una volta trapiantati nel nuovo mondo, pianteranno anche la' il seme del pacifismo cristiano. E sara' la', lontano dalle guerre di religione che continuavano a lacerare il vecchio mondo, che questo seme riuscira' a crescere e a diventare una pianta sempre piu' rigogliosa, anche se spesso ha corso il rischio di essere soffocata dalla pianta della guerra giusta e da quella del Dio della guerra. Oggi, nella nazione formatasi dalla ribellione delle tredici colonie inglesi contro la madrepatria, la guerra contro l'Iraq presenta una nuova occasione di confronto e di verifica per il pacifismo in generale e per quello cristiano in particolare. Ancora una volta, i pacifisti devono confrontarsi con i sostenitori della "guerra giusta" o addirittura "santa". E' singolare che il presidente Bush abbia usato, pochi giorni dopo l'11 settembre 2001, il termine "crociata" per indicare l'impegno degli Stati Uniti a "liberare il mondo dai malvagi". Infatti, le crociate del XII e XIII secolo, anche se vi parteciparono principi e re, furono sostanzialmente un'iniziativa della Chiesa e furono lo strumento della ierocrazia papale per affermare il potere temporale della Chiesa del tempo. E' significativo, a questo riguardo, che dopo la conquista di Gerusalemme, con la quale nel 1099 si concluse la prima crociata, Goffredo di Buglione rifiutasse, in segno d'umilta', la corona della citta' santa, preferendo assumere il titolo di advocatus Sancti Sepulcri, che nella terminologia della Chiesa altomedievale indicava chi tutelava gli interessi ecclesiastici. Se le crociate, da Urbano II a Bonifacio VIII, servirono al papato per affermare la propria supremazia sui "principi della terra", sembra paradossale che Bush abbia usato un termine che si riferisce ad uno degli aspetti della storia del "papismo" piu' criticati da quel protestantesimo fondamentalista a cui fa riferimento. Ma forse l'uso che ne ha fatto Bush serviva non tanto ad evocare nell'americano medio le crociate medievali, quanto le crociate del XX secolo e, soprattutto, la crociata contro il comunismo, portata avanti dagli Stati Uniti negli anni venti e ripresa poi durante tutto il periodo della guerra fredda (1948-1989). L'altro aspetto paradossale e' che tra i piu' decisi oppositori della nuova crociata del Bene contro il Male ci sia quella Chiesa che, secoli fa, aveva lanciato le prime crociate. Le pagine che seguono vorrebbero aiutare a capire quale sia stato il retroterra storico e culturale delle diverse posizioni assunte dalle chiese cristiane nei confronti della guerra e della pace, nel corso della storia degli Stati Uniti, in una continua tensione tra pacifismo e patriottismo. Poi viene ricordato il ruolo svolto dalla religione civile nella costruzione e nella rielaborazione dell'identita' americana, in una societa' che si e' sempre piu' diversificata, sotto il profilo etnico, culturale e religioso. La religiosita' stessa del presidente Bush, ammirata dai suoi sostenitori e irrisa dai suoi oppositori, e' espressione da un lato di una tradizione interna al protestantesimo statunitense e dall'altro alla religione civile. Infine, nel capitolo terzo, e' affrontato il momento attuale, quello di una guerra a lungo annunciata e infine iniziata, il 20 marzo 2003, vista attraverso le diverse risposte delle chiese. Potrebbe sembrare piu' semplice spiegare cio' che sta accadendo sotto i nostri occhi (o, meglio, sotto quelli delle telecamere), ma in realta' e' la cosa piu' difficile non solo perche' la cronoca quotidiana deve essere sempre analizzata e interpretata con un certo distacco, emotivo e temporale, che non e' possibile in questo momento, ma anche e soprattutto perche' la grande quantita' di documenti ufficiali, compresi quelli dei vertici delle chiese, potrebbero fare sembrare evidenti le loro posizioni. Di fatto, non e' cosi' e non lo e' perche' le dichiarazioni dei vertici non rispecchiano sempre le reali posizioni della base, cioe' dei membri di chiesa. Alla vigilia della guerra, i sondaggi dicevano che i protestanti erano per due terzi a favore di un intervento militare in Iraq, mentre i cattolici erano divisi esattamente a meta'. I sondaggi successivi all'inizio della guerra hanno indicato un aumento della percentuale favorevole alla guerra. Cio' significa che le affermazioni dei vertici delle chiese, generalmente contrarie, senza se e senza ma, a qualsiasi intervento militare, rispecchiano fedelmente soltanto le loro posizioni, non quelle della base. La progressiva alienazione della base dai propri vertici e' ben rappresentata dal caso della Chiesa metodista unita, alla quale - almeno ufficialmente - appartengono anche il presidente e il suo vice. Molti vescovi di questa chiesa si sono espressi, anche con durezza, contro l'intervento militare, mentre i senatori Hillary Clinton e John Edwards, entrambi metodisti, democratici e liberal, hanno votato a favore dell'autorizzazione dell'uso della forza per disarmare l'Iraq. Se e' vero che i politici di professione sanno valutare e tenere conto degli orientamenti dell'elettorato, il voto della senatrice Clinton e del senatore Edwards sono piu' indicativi delle posizioni della base di quanto non lo siano le dichiarazioni degli organi ecclesiastici. 10. LETTURE. ZYGMUNT BAUMAN: INTERVISTA SULL'IDENTITA' Zygmunt Bauman, Intervista sull'identita', Laterza, Roma-Bari 2003, pp. XII + 132. Euro 9. Sollecitato dalle domande di Benedetto Vecchi, il grande sociologo riflette sul concetto e sul sentimento di identita', la sua storia, le sue dialettiche ed aporie, e la sua crisi nell'epoca della globalizzazione. 11. LETTURE. PIER PAOLO PORTINARO: IL PRINCIPIO DISPERAZIONE Pier Paolo Portinaro, Il principio disperazione. Tre studi su Guenther Anders, Bollati Boringhieri, Torino 2003, pp. 180, euro 13. Guenther Anders e' uno degli autori imprescindibili per capire il nostro tempo e definire il senso della nostra lotta. Pier Paolo Portinaro e' uno degli studiosi piu' acuti e sensibili di Anders, di Jonas, della meditazione piu' rigorosa sui problemi decisivi che l'umanita' ha di fronte. 12. RIEDIZIONI. ELIE WIESEL: ... E IL MARE NON SI RIEMPIE MAI Elie Wiesel, ... E il mare non si riempie mai, Bompiani, Milano 1998, 2003, pp. 508, euro 9,80. Finalmente ristampato in edizione economica il secondo volume delle memorie di Elie Wiesel, superstite di Auschwitz e Buchenwald, premio Nobel per la pace. 13. RILETTURE. RUTH FIRST: ALLE RADICI DELL'APARTHEID Ruth First, Alle radici dell'apartheid, Angeli, Milano 1984, pp. 224, lire 16.000. A cura di Anna Maria Gentili una racconta di scritti della grande intellettuale e militante sudafricana assassinata con un pacco bomba dai sicari del regime razzista nel 1982. 14. RILETTURE. TASLIMA NASREEN: VERGOGNA Taslima Nasreen, Vergogna, Mondadori, Milano 1995, 1996, pp. 252, lire 14.000. In forma di romanzo la denuncia del fanatismo religioso; per averlo scritto l'autrice ha subito persecuzioni ed e' stata condannata a morte dagli integralisti islamici del Bangladesh. 15. RILETTURE. MICHELLE PERROT (A CURA DI): L'IMPOSSIBILE PRIGIONE Michelle Perrot (a cura di), L'impossibile prigione, Rizzoli, Milano 1981, pp. 278, lire 10.000. In feconda interazione con la riflessione e l'impegno di Michel Foucault, un dibattito e una raccolta di studi e ricerche sul sistema penitenziario francese nel XIX secolo. Utile per la riflessione sull'oggi e sul domani. 16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 17. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 602 del 5 luglio 2003
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