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La nonviolenza e' in cammino. 600
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 600
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 3 Jul 2003 02:16:53 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 600 del 3 luglio 2003 Sommario di questo numero: 1. Germaine Tillion: la sede dell'Onu a Gerusalemme 2. Nello Scardani: ancora dieci parole della nonviolenza riflesse in dieci volti di donne 3. Maria G. Di Rienzo: condividere il potere nelle relazioni 4. Enrico Peyretti: il mio paese 5. Francesco Tullio: disobbedire o resistere? 6. Giovanna Boursier: i rom e l'Europa 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. MAESTRE. GERMAINE TILLION: LA SEDE DELL'ONU A GERUSALEMME [Questo frammento abbiamo estratto da un'intervista a cura di Charles Silvestre apparsa su "L'humanite'" del 6 marzo 2003. Germaine Tillion, 96 anni compiuti il 30 maggio scorso, e' una delle piu' grandi figure morali del Novecento; allieva di Marcel Mauss, etnologa e antropologa, ricercatrice in Algeria e solidale col popolo algerino, poi animatrice in Francia della Resistenza, deportata nel lager di Ravensbrueck; antirazzista ed anticolonialista, impegnata contro tutti i totalitarismi, contro la guerra, contro la tortura, nella solidarieta' con i popoli oppressi, per i diritti delle donne, per i diritti umani; ha condotto e preso parte a iniziative di pace, di verita' e giustizia, e scritto libri fondamentali. E' ancora incredibilmente pressoche' sconosciuta in Italia. Su Germaine Tillion hanno scritto testi notevoli tra altri Jean Lacouture e Tzvetan Todorov] Non a New York, che e' anche la sede del potere del denaro e del potere militare; la sede dell'Onu non puo' essere che a Gerusalemme. Gerusalemme e' la sede della religione ebraica, della religione musulmana e della religione cristiana. E' altresi' il luogo in cui le persone che sono semplicemente politicamente impegnate, sagge, anche non credenti, possono accettare che si trovino i loro rappresentanti. 2. RIFLESSIONE. NELLO SCARDANI: ANCORA DIECI PAROLE DELLA NONVIOLENZA RIFLESSE IN DIECI VOLTI DI DONNE [Si svolgera' dal 4 al 7 settembre 2003 la camminata da Assisi a Gubbio promossa dal Movimento Nonviolento come prosecuzione della marcia Perugia-Assisi per la nonviolenza che si tenne nel settembre 2000. In preparazione di questa iniziativa, cui tutte le persone amiche della nonviolenza sono chiamate a partecipare e contribuire (per informazioni, contatti, adesioni: e-mail: azionenonviolenta at sis.it; sito: www.nonviolenti.org), da alcuni mesi e' stato promosso un percorso di riflessione articolato in "dieci parole della nonviolenza", proponendo ogni mese una parola su cui riflettere. A questo percorso anche il nostro amico Nello Scardani ha voluto contribuire improvvisando, seguendo il cattivo esempio altrui, questi versi] 1. Carla Lonzi, o della forza della verita' Piu' passa il tempo e piu' diventa chiaro che quelle parole scritte sulla carta vetrata trent'anni fa, ancora c'interpellano. Piu' passa il tempo e piu' diventa urgente quel nitore di sguardo e di voce per contrastare l'orrore presente. * 2. Maria Zambrano, o della coscienza La coscienza e' l'esilio e l'esilio e' il ritrovarsi. Perso tutto, allora resti tu. Ed il pensiero che pensa e che ricrea un mondo intero infine abitabile da tutte tutte le persone umane. * 3. Marina Cvetaeva, o dell'amore Nessuno mai amo' quanto Marina: amo' la luce e la terra, i corpi e i sogni e le parole. Amo' le vite delle persone si oppose sempre al cenno del carnefice. * 4. Violeta Parra, o della festa Conosceva la tristezza dalla coda lunga come la Ande e fino in Patagonia. Sapeva stringere i denti e lottare masticando le erbe piu' amare, senza arrendersi mai. Smascherava i fascisti col grido e col riso e col ragionamento, insegnava ad ascoltare lo zittito, l'offesa, gli inermi. Ed abbracciata alla chitarra con la voce rompeva catene, cavalcava le nuvole, dava sollievo muovendo al coro e alla danza. Al popolo restituiva la dignita' rubata dai padroni. * 5. Georgia O'Keeffe, o della sobrieta' Per arrivare all'essenzialita' occorre liberarsi dai feticci spogliarsi dai viluppi di fantasmi alla lusinghe del superfluo dire no. Ed asciugarsi, andare nel deserto. E solo allora trovi la scala che dalla terra porta alla luna. * 6. Marianella Garcia, o della giustizia Salvare anche i morti restituir loro il volto, allo scempio compiuto dai carnefici opporre infinita la pieta'. E cosi' salvare coloro che verranno dalla ripetizione incessante dell'orrore, cosi' salvare l'umanita' presente, cosi' rendere bene per male. * 7. Rosanna Benzi, o della liberazione Io la ricordo come una voce che mi giunse qualche volta da un telefono da Genova, dal polmone d'acciaio. Ma la ricordo anche come donna che volle vivere una vita piena di affetti e di lotte, di verita' che affronta il dolore e nessuno abbandona nelle fauci dell'orco, nessuno nel pozzo nero della solitudine lascia che sia gettato. Di liberazione maestra non piu' dimenticata. L'apertura che Capitini disse in lei si era incarnata. * 8. Ginetta Sagan, o del potere di tutti Partecipo' alla Resistenza fondo' Amnesty International rese l'umanita' piu' buona e piu' forte. Ancora chiama la sua voce all'azione e chiama te. * 9. Emily Dickinson, o della bellezza Si puo' condurre una vita segreta e donare al mondo tanta luce che io che leggo ogni volta mi chiedo quanto dolore costo' tanta gioia quanta fatica tale levita'. Si puo' essere sola e in solitudine essere gia' figura dell'intero genere umano, e lieve silenziosa essere gia' di quella societa' delle estranee che il mondo ha da salvare, da mettere al mondo. * 10. Margarete Buber-Neumann, o della persuasione I campi, e nei campi l'umanita'. I campi, e contro i campi l'umanita'. Dire la verita', salvare quel che resta delle vittime, contrastare il totalitarismo che genera i campi ed ogni ora si riproduce. Ed ogni ora devi contrastare. Saper distinguere tra i ruoli, le idee astratte, e concreta la carne che soffre. Saper riconoscere il bene e non sottrarsi. Fare la scelta di salvare le persone. 3. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: CONDIVIDERE IL POTERE NELLE RELAZIONI [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] Si potrebbe dire che e' il salto evolutivo che come umanita' ci troviamo di fronte: la condivisione del potere, ovvero il muoversi dalle strutture di dominio verso l'esercizio di un potere collettivo che abbia come scopo il benessere di ciascuno e di tutti. Il paradigma del dominio e' "me o loro", quello della condivisione e' "me e loro", il potere di creare insieme. Naturalmente ci vuole qualcosa di piu' del trovare "buona" l'idea: ognuno/a di noi deve imparare a pensare in modo differente, a fare nuove valutazioni, a usare nuove pratiche, sino a che questo spostamento divenga usuale, di routine. Vi offro cinque parole della co-creazione per aiutarvi a creare la vostra mappa in questo territorio ancora largamente inesplorato: impegno, comunicazione, cooperazione, collaborazione, pianificazione. * Impegno: date nome alle vostre intenzioni, alla vostra idealita', ai vostri sogni. Chiedetevi: qual e' il terreno comune del mio impegno e di quello altrui? Sappiamo dire il nostro impegno gli uni agli altri? Questo impegno genera entusiasmo? Vive esso nelle nostre conversazioni di ogni giorno? Quali sono gli ostacoli che incontriamo nel dispiegare le nostre abilita' per l'impegno che si siamo assunti? Come maneggiamo questi ostacoli? * Comunicazione: create un ambiente favorevole alla comunicazione. Come esseri umani, moltissimo delle nostre relazioni vive nel linguaggio. Cio' di cui parliamo e come ne parliamo determina il clima emotivo delle nostre relazioni. Chiedetevi: il mio stile comunicativo (e/o lo stile del gruppo di cui faccio parte) nutre la creativita' e il senso di sicurezza? Comunico con gli altri apertamente, direttamente, onestamente? Ci sono cose di cui abbiamo paura di discutere e che sarebbe necessario discutere? La nostra attenzione e' sviata da emozioni inespresse? Il nostro modo di comunicare include il riconoscimento e la gratitudine? Le persone nel nostro gruppo sanno richiedere cio' che serve loro, dire cio' che desiderano? I propositi che il nostro gruppo si da' giungono all'esterno in modi ispirativi, generando interesse e partecipazione? * Cooperazione: ovvero, l'attitudine necessaria. Come cooperiamo con gli altri? La nostra cooperazione e' motivata dalla nostra passione interiore o e' forzata dalla paura, o dal bisogno di stare nel flusso delle opinioni altrui? Siamo capaci di trovare un sentiero comune nelle avversita'? Parliamo di cooperazione, ma il nostro ego e quelli degli altri competono? Abbiamo chiari i benefici della cooperazione, e abbiamo chiari i rischi della non cooperazione, rispetto al lavoro per il cambiamento sociale? * Collaborazione: la sinergia delle idee. C'e' in noi, nel nostro gruppo, la convinzione che le idee di ciascuno sono importanti? Possiamo esprimerle liberamente nel gruppo, oppure dobbiamo temere il disprezzo e la ridicolizzazione? Siamo capaci di porre domande creative, domande "chiave", ovvero le grandi domande che inducono ciascuna/o a tirar fuori i propri talenti ed impulsi creativi? Siamo capaci di pensare in termini di possibilita' future? Il sistema con cui lavoriamo e prendiamo decisioni e' capace di ricevere la creativita' che generiamo? * Pianificazione: la sincronia delle azioni. Qual e' il nostro scopo, come vogliamo ottenerlo? Stiamo coordinando le nostre azioni in modo armonioso ad esso? Abbiamo chiaro che ciascuna parte (individuo, sottogruppo, ecc.) deve lavorare insieme con le altre? Le aree di responsabilita' individuale sono chiare? Come e in che forma abbiamo necessita' di comunicare per pianificare le nostre azioni in modo efficiente? * Tutte e tutti giochiamo un ruolo fondamentale nellíemergente paradigma della co-creazione. Scoprire l'unicita' del nostro contributo personale e' parte dell'avventura. Per chiarezza, puo' essere utile usare degli accordi scritti per la fondazione di gruppi basati sulla relazione co-creativa, ovvero una "convenzione" di questo tipo: 1. Convengo di portare la mia passione e i miei talenti allo sforzo collettivo. 2. Convengo di parlare nella verita' e nella compassione. 3. Convengo di ascoltare gli altri/le altre profondamente e con rispetto. 4. Convengo di essere responsabile dei miei bisogni, dei miei desideri, e del senso del mio valore. 5. Convengo di conoscere gli altri/le altre con generosita'. 6. Convengo di usare gli errori costruttivamente. 7. Convengo di trasformare le mie lamentele in richieste, e di comunicare costruttivamente con le persone cui si riferiscono tali lamentele. 8. Convengo di incoraggiare ed essere incoraggiato/a nel portare alla luce il genio individuale. 9. Convengo di mantenere la fiducia di gruppo, e di restaurarla qualora venga danneggiata. 10. Convengo di nutrire la connessione (spirituale, ideale, di affinita') con i miei compagni e compagne, co-creatori e co-creatrici. 11. Convengo di usare questo protocollo per risolvere i conflitti in modi che esaltino la responsabilita' personale e l'armonia collettiva. 4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: IL MIO PAESE [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica (ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente] "Giusto o sbagliato, e' il mio paese". Questo detto non e' giusto, ma sbagliato. Piu' del mio paese vale la giustizia. Se il mio paese sbaglia, mio paese e' la giustizia. 5. RIFLESSIONE. FRANCESCO TULLIO: DISOBBEDIRE O RESISTERE? [Ringraziamo Francesco Tullio (per contatti: psicosoluzioni at francescotullio.it) per averci messo a disposizione questo intervento. Francesco Tullio, amico della nonviolenza, docente di psicoterapia breve all'Universita' di Perugia, e' uno dei piu' noti peace-researcher, gia' presidente del Centro Studi Difesa Civile (sito: www.pacedifesa.org). Ci sia consentito di notare almeno che ci pare che in un passo di questo per vari aspetti utile e nitido intervento si sottovaluti con soverchio candore la gravita' dell'attacco eversivo alla democrazia e alla legalita' specificamente e consapevolemente condotto dall'attuale coalizione governativa e dal suo demiurgo e padrone] 1. Introduzione Nella resistenza nonviolenta la lotta per qualcosa e' piu' importante della lotta contro qualcuno. Il tema della resistenza serpeggia attualmente in Italia, sia nel movimento per la pace in seguito alla guerra in Iraq, sia in alcuni ambienti politici ed istituzionali, in seguito alla controversia in atto fra esecutivo e magistratura. Ovviamente la situazione e' complessa e la valutazione se passare alla resistenza non facile. Il conflitto attuale puo' essere letto, dal punto di vista dei pacifisti, come il sovrapporsi di diversi conflitti, fra esecutivo e magistratura, fra diversi governi del pianeta, fra lo sviluppo basato sul petrolio e lo sviluppo ecocompatibile, fra privilegi precostituiti e crisi politica, economica e psico-sociale, fra visioni diverse del mondo in un caleidoscopio talvolta troppo turbolento di colori, di forme, di velocita' e suoni diversi. Le metodologie attive della resistenza nonviolenta sono una delle radici della difesa civile, intesa come difesa attiva degli abitanti di una comunita' rispetto alla eventuale invasione di potenze straniere o a degenerazioni autoritarie interne (1). Alcune precedenti ricerche del Centro studi difesa civile (Csdc) si sono occupate in specifico della resistenza popolare e nonviolenta (2). Il Csdc si e' pero' occupato anche del ruolo della societa' civile per la trasformazione costruttiva dei conflitti (3), e per la costruzione di un ordine mondiale democratico, cioe' per una globalizzazione etica (4). Resistere per il Csdc non significa solo disobbidire ed opporsi, ma soprattutto continuare, malgrado le condizioni piu' difficili, a costruire rapporti di dialogo, tolleranza e solidarieta', a tessere relazioni economiche e politiche etiche, a continuare a proporre e favorire modelli di sviluppo innovativi e rispettosi dell'ambiente e del prossimo, a modellare le Istituzioni sempre piu' vicine alla gente ed allo spirito della civilta'. Per fare questo dobbiamo evitare di cadere nelle chimere dello scontro risolutivo, nella illusione delle azioni radicali, nelle concezioni paranoidee. La difesa civile e la resistenza nonviolenta si sono arricchite in questi ultimi anni delle conoscenze della comunicazione (5) e della epistemologia sistemica delle scienze (6). Da questi approcci scientifici provengono alcune importanti riflessioni e spiegazioni di quello che la pratica della nonviolenza gia' metteva in campo e che hanno a che fare con il modo di comunicare con la controparte e con gli alleati. Il Centro studi difesa civile puo' offrire degli spunti a coloro che evocano la resistenza, pensando magari soprattutto ad una impostazione di contrasto, con azioni di contrapposizione e di disobbedienza civile. Magari chi pensa alla resistenza in questi termini lo fa all'interno di un impegno teso ad arginare il ricorso alle azioni violente da parte di un movimento e di una societa' civile esasperati. Tuttavia prima di mettere in atto le azioni concrete della resistenza, e' indispensabile valutarne rischi ed opportunita', considerare la migliore e la peggiore alternativa possibile (7) sia ad una soluzione concordata al conflitto che alla applicazione della resistenza stessa. E' necessario specificare, a meno che non si voglia fare dell'impulsivita' reattiva una bandiera: 1. per quale diritto, 2. per quali finalita' ed obiettivi, a favore di cosa o chi, 3. come, con quali metodi e strumenti, 4. quando, a quali condizioni, sara' necessario ed utile applicare anche le azioni specifiche collettive della resistenza nonviolenta. Queste azioni possono comprendere un ostacolamento dell'azione dell'altro, la insubordinazione, la esecuzione passiva ed inefficace degli ordini, il boicottaggio, ma devono essere comunque sempre accompagnate da chiare e forti proposte costruttive e devono offrire la opportunita' anche per la controparte di uscire onorevolmente dal conflitto. Non va escluso che in una prima fase queste azioni possano essere trattate dalla potenziale controparte e da segmenti delle Istituzioni come semplici azioni di disobbedienza ed opposizione. A mio avviso spetta a chi volesse applicare tale forma di resistenza rimarcare soprattutto e rendere evidente all'opinione pubblica tutta (anche quella che appoggia la controparte) la valenza costruttiva e la disponibilita' a recuperare il dialogo da condizioni di giustizia. Non bisogna cadere negli errori tattici che portano dalla contrapposizione allo strappo e che possono aprire la strada al confronto violento. Durante la applicazione di atti violenti e repressivi della controparte la strategia della resistenza nonviolenta potrebbe cambiare per la determinazione con cui vengono portate avanti le azioni, ma non nella sostanza della disponibilita' al dialogo nella giustizia. Una volta messe in atto ci si trova in una fase di scontro con implicazioni non sempre piacevoli e la possibilita' di andare incontro ad una serie di morti. E' pertanto necessario evitare le fughe in avanti di frange sia pur comprensibilmente inquiete del movimento della pace, e sapersi muovere in modo compatto, consensuale e trasparente. Bisogna evitare di cadere in alleanze ambigue o in ingenue commistioni come quelle di Genova 2002, perche' esse possono diventare il pretesto utile ai falchi delle varie parti per esasperare il confronto e scatenare la violenza. Vi sono specifiche tecniche per impedire questa strumentalizzazione. Esse passano da un lato attraverso il deciso contenimento e l'eventuale ripudio dei facinorosi all'interno del movimento, dall'altro attraverso specifiche forme e contenuti della comunicazione che non permettano alle parti di interpretare e divulgare arbitrariamente informazioni tendenti alla esasperazione dello scontro. * 2. Diritto di resistenza o resistenza per il diritto? La resistenza non e' "disobbedienza" ma "fedelta' alla Costituzione". Il Csdc ha deciso di avviare un dibattito sulla applicabilita' della resistenza popolare e nonviolenta nella fase politica attuale. Giorgio Giannini ha scritto un articolo sul diritto di resistenza nonviolenta nella Costituzione italiana (8). Egli ha evidenziato il diritto di resistenza nella sua componente di obbedienza o meno all'autorita' costituita. Per gli antichi cristiani veniva prima l'obbedienza verso Dio che non l'obbedienza alle leggi dello Stato. L'approccio di Giorgio e' la ricerca del riconoscimento giuridico del diritto-dovere di resistenza all'oppressione. Questo diritto trova fra l'altro spazio esplicito nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America nel 1776 e poi in numerose altre Costituzioni. Nella Costituzione italiana una formulazione esplicita non fu invece accolta, ma il diritto di resistenza e' implicitamente legittimato fra l'altro nel principio di sovranita' popolare (9). Peraltro Giorgio ci segnala l'importante distinzione fra resistenza e rivoluzione. La resistenza mira alla conservazione del regime politico (purche' democratico) e quindi e' uno strumento di garanzia per la sua esistenza (10), la rivoluzione mira al rovesciamento del regime politico. Nel nostro ordinamento vi sono inoltre varie norme che stabiliscono la legittimita' della resistenza individuale di fronte al provvedimento illegittimo dell'autorita' e/o al comportamento arbitrario di un pubblico funzionario. L'art. 4 del dll n. 288 del 1944 legittima la resistenza attiva (non solo passiva) ad un pubblico ufficiale o ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario, qualora queste funzioni pubbliche siano esercitate in modo arbitrario. L'art. 650 del Codice Penale legittima la disobbedienza contro provvedimenti non "legalmente dati" dall'autorita', cioe' emanati arbitrariamente e quindi illegittimi. Grazie alla ricerca di Giorgio, possiamo trarre la conclusione che e' legittima la resistenza collettiva contro ordini, decisioni o comportamenti che siano in contrasto con i principi costituzionali, e che vengano adottati non solo da pubblici funzionari o dalle autorita', ma anche da organi costituzionali, quali governo e Parlamento, che rappresentano lo Stato-apparato. Giorgio ci indica che per noi questa legittimita' e' ulteriormente definita dall'art. 54 della Costituzione che sancisce: "Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini, cui sono affidate le funzioni pubbliche, hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento" (11). La fedelta', specifica ancora Giorgio, non significa obbedienza all'autorita' quando questa agisce in contrasto allo spirito della Costituzione. Noi del Csdc ci sentiamo vincolati a questa Costituzione ed agiremo nella fedelta' ad essa, al suo spirito. Richiamiamo il movimento ad essere esplicito ed univoco su questo punto. Chi non lo fosse non pueo' essere un nostro alleato. L'aspetto giuridico riguardo alla possibile legittimazione della resistenza si interseca con altre due dimensioni: la legittimazione alla gestione del potere, cioe' all'uso che se ne fa, e la legittimazione all'uso della violenza di cui parlero' in seguito (12). Prima quindi di avviare una resistenza bisogna stabilire se gli atti di una autorita' configurano un comportamento non fedele allo spirito della Costituzione, che scavalca i principi costituzionali e le funzioni che le leggi del nostro Stato gli affidano. Va anche chiarito se i suoi atti corrodono realmente la impalcatura dello Stato democratico, basata sulla divisione dei poteri. Prendiamo ad esempio le affermazioni del presidente Berlusconi contro la magistratura. Diffido di chi da' giudizi frettolosi in tal senso, che a me appaiono piuttosto pre-giudizi. Io parto dalla certezza che il Presidente del Consiglio e' fedele alla Costituzione ed a questa vada richiamato come d'altra parte sta facendo con fermezza e garbo il Presidente della Repubblica, nostro garante e riferimento. Il fatto che Berlusconi si sia lasciato andare ad esternazioni "politically uncorrect" va per ora letto alla luce dell'essere italiano, della polemica politica, della passionalita' che e' emersa e questo non e' un danno, ma un potenziale. Tutto il suo apparato di costruzione comunicativa, con le scientifiche preparazioni strategiche e l'imperativo del controllo e' saltato in questo frangente mostrando, nella difficolta', un lato umano del primo ministro. Il fatto che Berlusconi sia in fondo meno ingessato di quanto voglia apparire e' a mio avviso un fatto positivo e va valorizzato non ridicolizzato o aggredito. Le mie affermazioni a qualcuno appariranno ingenue e illusorie, ma non lo sono. Noi ci prepariamo al peggio e siamo pronti. La nostra forza sta proprio nel non aggredire la controparte con affermazioni a riguardo delle sue supposte intenzioni che alimentano il circolo vizioso, la escalation del conflitto, e rischiano di diventare una profezia che si autoavvera. E' sbagliato soffiare sul fuoco e cercare di strumentalizzare le dichiarazioni emozionali del Primo Ministro. Dietro all'errore c'e' l'uomo e con l'uomo si puo' discutere, dopo la sfuriata. Anche noi dobbiamo essere pronti a discutere con la nostra disposizione tranquilla e ferma ancorata al riferimento costituzionale. Non c'e' alcun bisogno di sbraitare. Gridare, minacciare, agitarsi e' controproducente. Non vogliamo la lotta, che peraltro non si improvvisa, la percorreremo solo come ultima ratio e dopo aver chiarito quali sono i paletti invalicabili. Il Presidente della Repubblica li sta indicando. La revisione, anche implicita, del comportamento di Berlusconi deve poter innescare la trasformazione del conflitto fra esecutivo e magistratura. Ci vuole quindi la specifica volonta' reciproca di non abusare degli errori dell'altro, di non usare linguaggi che alimentano la spirale dello scontro per fini elettorali ed allora le Istituzioni potranno uscirne piu' forti. Facciamo in modo che il conflitto in questo caso si trasformi in opportunita'. Uno spiraglio di speranza proviene dalla intuizione che un cartello trasversale del buonsenso potrebbe favorire un processo gia' in atto. Una quota dell'elettorato comincia infatti ad essere esasperata delle forme aggressive, dispregiative ed offensive della comunicazione politica ed i veri democratici possono abilmente facilitare la penalizzazione di chi dovesse continuare a farne ancora uso, anziche' lanciarsi a loro volta nelle accuse e negli improperi. Nello stagno torbido delle comunicazioni propagandistiche non si capisce chi inquina le acque. Bisogna prima smettere di rimestare. * 3. Resistenza per cosa? La mia tesi e' che la resistenza debba essere soprattutto un processo di ri-appropiazione dei meccanismi della partecipazione e della costruzione democratica del consenso. La resistenza dei singoli e dei gruppi andrebbe rivolta all'inquinamento demagogico delle strutture verticistiche. In questo processo c'e' anche da tenere presente il delicato risvolto culturale del consumismo e, particolarmente nei periodi di crisi, della diffusione del pensiero manicheo. La resistenza quindi assolutamente non e' orientata contro il governo, almeno non in questa fase, ma contro un sistema complesso e per sua natura sfuggente, camaleontico, che non considera la necessita' di un cambiamento sostanziale dei rapporti produttivi, la valorizzazione della qualita' della vita rispetto al prodotto interno lordo, del risparmio rispetto alla produzione ed ai consumi, del diritto dei popoli rispetto agli interessi precostituiti, i diritti delle generazioni future e del pianeta rispetto a quelli del benessere materiale attuale. La resistenza nonviolenta va dunque applicata ai modelli di sviluppo e di gestione del potere non rispettosi del prossimo, dell'ambiente e delle generazioni future, e va intesa come riappropriazione dei meccanismi della partecipazione e della costruzione democratica del consenso. Questa riappropriazione dovra' essere etica ed internazionale nel senso che la spirito della democrazia e' una ricerca ed un dialogo costante, non una esportazione di modelli preconfezionati. La vera democrazia e' pertanto il processo stesso, la duttile disponibilita' a rispettare e discutere con tutti i popoli e le culture del pianeta per trovare ragionevoli soluzioni progressivamente piu' efficaci alle ragionevoli istanze di tutti. La situazione italiana attuale appare a molti sconfortante ed esiste una tendenza a semplificare la situazione individuando in Berlusconi e nel suo governo la causa delle difficolta', delle ingiustizie, della guerra. Io non credo in questa semplificazione. Il processo di deterioramento e' molto piu' complesso, le responsabilita' sono diffuse. Possiamo provare a discuterne distinguendo diversi piani. In particolare nel nostro paese possiamo discutere delle responsabilita' in merito: 1) ai problemi dell'inquinamento/qualita' della vita/scelte di sviluppo; 2) alla guerra ed all'espansionismo; 3) alla crisi della giustizia. Ad esempio sulle scelte di sviluppo ed il conseguente espansionismo economico dobbiamo riconoscere il ruolo pervasivo del consumismo con le sue responsabilita' diffuse a quasi tutti i cittadini del primo mondo ed a molti degli altri, non solo ai capi di stato ed industriali. In questa fase storica dove non ci sono state lesioni unilaterali ed univoche alla struttura democratica della societa', ma il processo di disgregazione e' sottile e le responsabilita' condivise, le recenti affermazioni di Berlusconi contro la magistratura, potrebbero anche mirare ad una lesione in tal senso ma personalmente ritengo, come ho scritto in precedenza, che egli sia fedele alla Costituzione e che si sia trattato di una umana e addirittura salutare caduta di stile. Senza un adeguato connettivo culturale la ipotetica cura della resistenza, immaginata in termini eroici come contrapposizione ad un potere dispotico, puo' provocare danni piu' gravi dei sintomi. Anche rispetto alla crisi della giustizia e' opportuno evitare che ci si focalizzi soltanto sulle esternazioni di Berlusconi e si trascurino le responsabilita' diffuse. Se non ci dovessimo riassumere tutti le nostre quote di responsabilita' e non trovassimo le vie per nuove forme di gestione funzionale della giustizia, il pur nobile senso del dovere di alcuni magistrati rischia di essere sterile ed agli occhi di qualche indagato fra i molti sfuggiti alla legge, ingiustamente persecutorio. La resistenza va indirizzata insomma prima di tutto contro il pensiero e la cultura manichea. Si tratta cioe' della resistenza all'inquinamento, non solo quello reale di aria acqua e terra, ma anche quello metaforico-semantico, cioe' alla demagogia. La demagogia, la bassa furbizia, la manipolazione, la strumentalizzazione, l'arroganza non sono solo tipici della politica ma anzi sono caratteristiche diffuse nella societa', che si evidenziano nelle relazioni umane a tutti i livelli nella perenne lotta fra correttezza, fratellanza e solidarieta' ed avidita', egocentrismo ed utilitarismo. Queste caratteristiche dei comportamenti umani talvolta si aggregano politicamente fino a far prevalere scelte e forme del potere che cercano di favorire non la maturazione della democrazia ma interessi di gruppi parziali e lo svincolamento dalle leggi morali e giuridiche. Tuttavia identificare con certezza la responsabilita' di tale processo in una sola parte dell'insieme sociale, simbolizzate da uno o pochi uomini, rischia di essere illusorio e controproducente. Come infatti e' stato possibile, se non per le nostre contraddizioni interne, per le debolezze, le incoerenze, le furbizie, le immaturita' anche della nostra parte (nota bene: qualunque sia la parte nostra). Il rischio e' che tale atteggiamento che segue alla convinzione "tutto il bene dalla nostra parte, tutto il male dalla loro" agisca come una profezia che si autoavvera, che favorisca lo sviluppo di un potere piu' rigido, piu' impermeabile e piu' bieco. I temi verso cui possiamo pensare di orientare la resistenza sono l'approccio cinico al potere, non le persone, le visioni monocausali dei problemi e delle difficolta' della vita che vengono fatte proprie talvolta dal governo, dall'opposizione, dalla scienza. Distinguendo i problemi dalle persone avremo qualche probabilita' in piu' di contribuire ad invertire il processo vizioso, creando le condizioni per fermare chi mettera' in atto scelte e comportamenti non conformi alla Costituzione. La resistenza nel contesto italiano non puo' che partire dalla riappropriazione dei meccanismi della partecipazione e della costruzione democratica del consenso e degli strumenti di pace all'interno dello stesso movimento pacifista, dal rilancio dei processi di rappresentanza corretti e di controllo sulla gestione del potere, a partire dal nostro piccolo, evitando manipolazioni e strumentalizzazioni. Per quanto riguarda la dimensione internazionale una possibilita' da prendere in considerazione e' la possibilita' di sincronizzare a livello mondiale i consumi critici, facendo leva sulla costituzione di nuove reti comunicative orizzontali e selezionando collettivamente le aziende da favorire per il loro approccio etico, penalizzando quelle coinvolte in procedure scorrette e nell'appoggio alle dittature ed alle guerre. In questo senso vedo la possibilita' di continuare il dibattito di Porto Alegre che porti alla scelta di una strategia impostata sul rinforzo e la legittimita' della rete comunicativa/partecipativa, alla scelta di fasi e di priorita' condivise, alla scelta di modalita' di rappresentanza che escludano gli iperattivi sgomitanti e rampanti (che possono tranquillamente continuare a dare il loro contributo in termini di servizio e non di autogratificazione delle illusioni di onnipotenza e/o acquisizione di vantaggi narcisistici) e selezionino alcune personalita' dai diversi continenti di sicura credibilita' morale ed equilibrio personale. La nostra resistenza potrebbe anche essere teoricamente in futuro orientata verso le istituzioni, se esse perdessero la loro qualita' democratica. Ma finche' non e' questo il caso, la resistenza non puo' essere orientata verso le Istituzioni. Sarebbe una sciocchezza. Il loro sfascio definitivo comporterebbe una fase di confusione che a qualcuno sembrera' anche utile, ma che libererebbe grandi quantita' di violenza immagazzinata dalle stesse Istituzioni e dai cittadini, con un carico di ingiustizie intollerabili per la coscienza civile. Non siamo pacifisti a senso unico. Prima dunque dovremmo predisporre le Istituzioni nuove e non trovarci come gli americani a Bagdad, ad essere impotenti di fronte al disordine, ai saccheggi, alle faide, alle vendette personali. * 4. Resistere come? L'idea di resistenza alla quale posso aderire consiste in un processo con un principio invalicabile della nonviolenza. La resistenza nonviolenta non e' "disobbedienza" ma "fedelta' alla Costituzione." Essa comprende un insieme di metodi ed azioni per impedire una invasione straniera o una degenerazione interna, colpi di stato o abusi del potere da parte di qualche autorita' costituita. La disobbedienza civile e' una delle possibile tecniche della resistenza, ma non la sola. Altre importanti e recenti tecniche derivano dalla ricerca e le esperienze per la gestione costruttiva dei conflitti, dalle teorie della comunicazione e dalla teoria dei sistemi. Si parte da questo presupposto: Le affermazioni provocatorie e bellicose della controparte sono determinate in parte da una carica di inquietudine, comprensibilmente umana, legata al nervosismo per la situazione difficile che si sta affrontando e che e' materia del contendere. La nostra comunicazione non deve assolutamente cadere in questa trappola, perche' altrimenti si generano una serie di problemi ulteriori, malintesi, rancori, ecc. La nostra comunicazione quindi resta sempre rispettosa, disponibile ad ascoltare le ragioni dell'altro ed a trovare soluzioni innovative al problema, addirittura essa punta a creare nell'altro la disponibilita' alla soluzione del problema. Questo approccio spesso facilita la controparte anche a superare le proprie contraddizioni e le proprie "arroganze", ma ovviamente non sempre. Le azioni dirette nonviolente scattano allora laddove la controparte agisce in modo non conforme alle leggi, laddove impone regole e prassi non corrispondenti ai principi costituzionali. Non c'e' bisogno della minaccia prima di mettere in atto le specifiche e concrete tecniche ed azioni nonviolente. Queste sono infatti anche esse rispettose delle persone, degli antagonisti, pur provocando un danno economico oppure una sollecitazione morale forte e dirompente sulla volonta' prevaricatrice dell'avversario. Tuttavia e' importante segnalare in modo chiaro oltre quale intollerabile punto scatteranno le sanzioni nonviolente. Affinche' le azioni nonviolente siano efficaci sono necessarie alcune condizioni che vanno prima verificate e costruite. Sicuramente c'e' bisogno nel fronte che la applica di compattezza, adesione morale, una strategia credibile, ecc., fattori per nulla scontati. Inoltre la controparte deve essere recettiva al "danno" economico o alla sollecitazione morale che l'azione diretta nonviolenta gli provoca e che deve essere sempre accompagnata da un chiaro messaggio di disponibilita' ad andare oltre l'azione stessa per identificare soluzioni che siano rispettose delle ragionevoli esigenze delle varie parti in conflitto, quindi anche dell'avversario. Ma in questa fase politica il punto che a me sembra centrale e' la forma della comunicazione con l'avversario che non si intende distruggere ma recuperare alla reale disponibilita' al dialogo, alla democrazia ed al rispetto del prossimo e dei principi costituzionali. Un punto importante per la crescita culturale della resistenza nonviolenta sta nella estensione della consapevolezza e dei comportamenti nonviolenti. Dobbiamo allargare il concetto ora usato da molti come scelta di non colpire mai le persone fisicamente (che gia' comunque e' un buon inizio) anche al senso morale di non ferirle mai, rilevare si' le loro contraddizioni, indicare i comportamenti e le scelte inaccettabili, ma evitando approcci accusatori. Questi rendono piu' difficile la loro revisione, il passaggio a modalita' piu' adeguate. Insistere quindi con la fermezza e la forza della ragione indicando il disaccordo verso gli atti della persona ma continuando ad indicare il rispetto verso la persona stessa. Nella cultura della gestione costruttiva dei conflitti (Ury-Fisher) questo si riassume nei termini "duri con il problema, morbidi con le persone". In termini politici si traduce in duri con i problemi, con gli atti, con le scelte antidemocratiche o non rispettose di altre popoli, soggetti, realta' viventi, ma fermi e cortesi nel cercare di salvare il concetto e lo spirito della democrazia dichiarato, anche se non sempre rispettato, dalle Istituzioni stesse. Vuol dire facilitare attraverso il dialogo non offensivo, il processo di ri-identificazione dei rappresentanti delle istituzioni nei principi dichiarati delle stesse istituzioni. La resistenza nonviolenta non e' mai rivolta contro le persone ma contro i loro atti illegittimi, per interromperli e ristabilire l'ordine. Non si cade nella posizione paranoidea che sollecita atteggiamenti eroici da parte di "noi che siamo il bene ed abbiamo ragione" contro "loro che portano la responsabilita' per tutte le miserie del mondo e fanno tutto per pura cattiveria". Non c'e' alcun autocompiacimento, non c'e' esaltazione, non c'e' eccitazione per lo scontro, ne' il bisogno interiore di identificare un nemico sul quale scaricare la propria rabbia ed aggressivita'. Si tratta soprattutto di continuare a lavorare per la tolleranza, la giustizia, la democrazia, malgrado le aumentate difficolta', senza per questo cadere nel circolo vizioso delle accuse reciproche prima, delle ritorsioni poi; con la fermezza della volonta' e nella sobrieta' del linguaggio. Nella nonviolenza vengono superati il sarcasmo, le illazioni, le interpretazioni delle intenzioni dell'altro, la ritorsione e la vendetta, per concentrarsi sulla soluzione creativa ed innovativa, che permette di andare oltre il conflitto. Come gia' dicevamo, le azioni dirette possono anche comprendere l'ostacolamento dell'azione dell'altro, la insubordinazione, l'ostruzionismo, la esecuzione passiva ed inefficace degli ordini, il boicottaggio, ma devono essere sempre accompagnate da forti e comprensibili proposte costruttive e di riconciliazione. Infatti la nonviolenza lascia sempre alla controparte la possibilita' di uscire onorevolmente dal conflitto. Prima di mettere in atto le azioni concrete della resistenza, e' indispensabile valutarne rischi ed opportunita', considerare la migliore e la peggiore alternativa possibile sia ad una soluzione concordata al conflitto che alla applicazione della resistenza stessa. Bisogna anche chiarire per quale diritto, per quali finalita' ed obiettivi (a favore di cosa), come (con quali metodi e strumenti), quando ed in quali condizioni, diventa necessario ed utile applicare queste azioni dirette. Una volta messe in atto ci si trova in una fase di scontro con implicazioni per nulla piacevoli e la possibilita' di andare incontro ad una serie di morti E' pertanto necessario evitare le fughe in avanti di frange comprensibilmente inquiete del movimento della pace, perche' esse possono diventare la miccia utile ai falchi della controparte per esasperare il confronto e scatenare la repressione. * Note 1. Si veda La Difesa civile e il progetto Caschi Bianchi. Peacekeepers civili disarmati, a cura di F. Tullio, Franco Angeli, Milano 2000. Si tratta della prima ricerca di strategia mai svolta da obiettori di coscienza per il Ministero della Difesa. Commissionata dal Centro Militare di Studi Strategici (Cemiss, facente parte del Casd, Centro Alti Studi Difesa, Ministero della Difesa) la ricerca e' stata finanziata con 7 milioni di lire a fronte di una spesa totale quantificabile in 30 milioni di lire e poi pubblicata a parte a spese dello stesso Cemiss. 2. Con il contributo del Comitato per il cinquantennale della Resistenza e della Guerra di Liberazione fu organizzato il convegno: La lotta non-armata nella Resistenza, tenutosi a Roma il 25 ottobre 1993; Gli atti a cura di G. Giannini furono pubblicati in proprio, Roma, 1993; La Resistenza non-armata, convegno tenutosi a Roma il 24 -25 novembre 1994, atti a cura di G. Giannini, pubblicati dalla Coop. editrice Sinnos, Roma nel 1995; L'opposizione popolare al fascismo, convegno tenutosi a Roma il 27-28 ottobre 1995, atti a cura di G. Giannini, pubblicati dalle Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi 1996; 3. Le Ong e la trasformazione dei conflitti. Le operazioni di pace nelle crisi internazionali. Analisi, esperienze, prospettive, a cura di F.Tullio, Edizioni Associate/ Editrice Internazionale, Roma, maggio 2002. Questa ricerca fu commissionata e finanziata per intero con 30 milioni di lire, dall'ufficio Onu, Dgapm, Ministero degli Affari Esteri, e e' stata pubblicata a spese dell'editore. 4. Si veda a tale proposito: Una Forza non armata sotto l'egida dell'Onu, utopia o necessita'?, convegno tenutosi a Roma nell'ottobre 1987; gli atti a cura di F. Tullio furono pubblicati da Edizioni Formazione e Lavoro, Roma 1988. 5. Watzlawick, Paul (a cura di), Die erfundene Wirklichkeit, Piper und Co. Verlag, Muenchen; trad it.: La realta' inventata, Feltrinelli, Milano 1988; P. Watzawick, J. H. Beavin, D. D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana: studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi, Astrolabio, Roma 1971. 6. von Bertalanffy, L. (1956), "An outline of general system theory" in English journal of philosophy of science; trad .it.: Teoria generale dei sistemi, Isedi, Milano1969; Bateson Gregory (1972), Steps to an ecology of mind, New York; trad. it.: Verso una ecologia della mente, Adelphi, Milano1978. 7. Roger Fisher e William Ury, L'arte del negoziato, Mondadori, Milano 1995. 8. Pubblicato su "Carta Almanacco", del 24/30 aprile 2003 e sul sito del Csdc (www.pacedifesa.org). 9. A tale proposito sono significative le note di Giorgio nel suo articolo. 10. Evidente che qui il termine regime sta per organizzazione democratica, non per oligarchia. 11. Giorgio aggiunge: "Non si deve pero' confondere il dovere di fedelta' con quello di obbedienza. Sono infatti due concetti diversi: la fedelta' alla Repubblica precede, logicamente e concettualmente, l'osservanza delle leggi dello Stato. Pertanto, il dovere di fedelta' alla Repubblica, e quindi alla Costituzione ed in particolare ai principi fondamentali in essa stabiliti, prevale sul dovere di obbedienza, di cui peraltro costituisce il presupposto giuridico. Quindi, in caso di contrasto delle leggi in vigore con i principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, e' sempre l'obbedienza a questi ultimi che prevale sull'obbedienza alle leggi. Peraltro, la semplice obbedienza alle leggi non esaurisce l'obbligo di fedelta' alle Istituzioni, che richiede un comportamento concreto in sintonia con i principi fondamentali sanciti dalla carta costituzionale". 12. Intendo pero' affrontare prossimamente questa griglia di riflessione non solo per la valutazione delle azioni del governo e delle Istituzioni, ma anche applicandola a partiti e movimenti. 6. RIFLESSIONE. GIOVANNA BOURSIER: I ROM E L'EUROPA [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo luglio 2003. Giovanna Boursier e' una studiosa che ha dedicato particolare attenzione ed importanti ricerche alla storia e alla cultura dei rom] "La minoranza rom e' da secoli vittima di discriminazioni". Per una volta a dirlo non siamo noi ma il presidente della Banca mondiale in persona, James Wolfensohn, che ha anche aggiunto: "La poverta' di queste popolazioni e' uno dei problemi centrali che i paesi candidati a entrare nell'Unione europea devono ancora affrontare prima del loro ingresso". Tutto questo l'altroieri a Budapest, in una conferenza organizzata dalla Banca mondiale e dall'Open Society Institute del finanziere americano George Soros, il quale ha poi invitato governi, ong e organizzazioni rom dei vari paesi a dotarsi di strumenti per avviare progetti di inclusione delle minoranze rom entro il 2005. Perche', ha specificato, bisogna prepararsi al futuro e lavorare sul lungo periodo. Forse anche per questo negli ultimi anni la Banca mondiale (in particolare proprio a partire dalla presidenza Wolfensohn nel 1995) ha avviato studi e ricerche che mostrano indiscutibilmente come gli oltre sei milioni di rom dell'Europa centrale vivano una vita indegna, con livelli di poverta' durissimi, tassi di disoccupazione enormi e crescenti e problemi sanitari devastanti. Le ricerche dicono che in Romania, dov'e' la minoranza rom piu' consistente di quell'area - circa due milioni e mezzo di persone - l'aspettativa di vita di un rom e' di 15-20 anni inferiore a quella della popolazione maggioritaria, che la meta' dei rom e' analfabeta e che un quarto di loro e' senza lavoro e senza prospettive. In Ungheria il quaranta per cento degli abitanti rom - che sono circa mezzo milione - vive sotto la soglia minima di poverta' con meno di quattro dollari al giorno. In Europa esiste quindi un'area compatta densamente popolata di rom, dove, come ha infine chiarito Anna Diamantopoulou - commissario per gli affari sociali dell'Unione europea - i problemi delle minoranze rom sono evidenti e, "con l'ingresso di questi paesi nell'Unione, li vedremo moltiplicati su larga scala". Anche perche', come aggiungono ancora i risultati statistici dell'istituto, ci sono aree, per esempio in Slovacchia, dove quella che e' oggi una minoranza disoccupata ed emarginata di poco meno di mezzo milione di persone, potrebbe diventare, nel giro di una sessantina d'anni, maggioranza della popolazione. Se per chi si occupa della realta' e delle condizioni di vita dei rom europei niente di tutto questo rappresenta una novita', e' vero anche il fatto che adesso appelli e raccomandazioni a favore di un popolo da sempre perseguitato arrivano dall'alta finanza americana. Il che, se da una parte puo' stupire, deve insieme far riflettere. In realta' per le organizzazioni e associazioni di rom nei paesi dell'est non e' una novita' che George Soros da qualche tempo si interessi di loro. La novita' e', per noi, che lo dica, e perdipiu' in una sede tanto istituzionale. Oltre all'evidenza dell'interesse americano nell'ex impero sovietico puo' essere importante ragionare sul fatto che oggi, per chi vuole governare e dominare il mondo, le politiche di controllo - e quindi di assimilazione - possono apparire piu' efficaci di quelle discriminatorie. Il che - senza illusioni - potrebbe almeno far ragionare un paese come il nostro. Dove, invece, rom e sinti ormai stanziali da decenni continuano a vivere segregati nei campi nomadi, accatastati nei ghetti della civilta' contemporanea, dove vengono catapultati anche quelli che arrivano disperati da guerre e persecuzioni. Quelli di cui parlano Wolfensohn e Soros. Ormai sono migliaia e migliaia, senza diritti e ignorati dalle politiche nazionali. Sembrano interessare solo chi continua a volerli invisibili e altrove e puo' continuare a scatenare, impunito, beceri istinti di razzismo e violenza. Come e' accaduto, solo tre giorni fa, a Saviano. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 600 del 3 luglio 2003
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