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La nonviolenza e' in cammino. 596
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 596
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 29 Jun 2003 02:04:32 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 596 del 29 giugno 2003 Sommario di questo numero: 1. Alessandro Marescotti: presentato il libro "Bandiere di pace" a Roma 2. Pierluigi Vito: sulla proposta di Lidia Menapace 3. Vittoria Oliva: ancora sulla proposta di Lidia Menapace 4. Giobbe Santabarbara: sulla proposta di Lidia Menapace e sulle nostre miserie 5. Riccardo Orioles: a Dachau 6. Carlo Maria Martini: tre cose sulla pace 7. Giovanni Scotto: ripensare la politica estera 8. Rosa Luxemburg: uno sguardo intorno a noi 9. Augusto Cavadi: un tabu' che non regge 10. Riletture: Germaine Greer, L'eunuco femmina 11. Riletture: Germaine Greer, La donna intera 12. Riletture: Pat Patfoort, Una introduzione alla nonviolenza 13. Riletture: Pat Patfoort, Costruire la nonviolenza 14. Riletture: Antonietta Potente, Gli amici e le amiche di Dio 15. Riletture: Antonietta Potente, Un tessuto di mille colori 16. La "Carta" del Movimento Nonviolento 17. Per saperne di piu' 1. INCONTRI. ALESSANDRO MARESCOTTI: PRESENTATO IL LIBRO "BANDIERE DI PACE" A ROMA [Da Alessandro Marescotti (per contatti: a.marescotti at peacelink.it) riceviamo e diffondiamo. Alessandro Marescotti, amico carissimo, e' presidente di Peacelink, fondamentale riferimento pacifista nella rete telematica (sito: www.peacelink.it). Ci sia concessa una notazione: tra tante cose buone e giuste, talune sconcertanti ingenuita' ed esagerazioni degli oratori ci sembrano in parte il frutto di un modo di parlare retorico e parenetico tanto leggero quanto nocivo, in parte sono purtroppo la "vulgata" di un movimento per la pace che dal legame col complesso e confuso movimento "no global" ha ereditato non pochi elementi linguistici ed ideologici di inquietante faciloneria, velleitarismo, mancanza di rigore. Raccomandiamo vivamente, va da se', la lettura del libro] Il 26 giugno a Roma si e' svolta la presentazione del libro "Bandiere di pace" promossa da PeaceLink, Megachip e campagna Pace da tutti i balconi. "Dobbiamo lanciare la seconda ondata di bandiere di pace. Sono grato a chi ha tenuto fuori le bandiere. Ora dobbiamo iniziare nuovamente ad esporle come prima perche' stanno preparando una nuova guerra, questa volta all'Iran". E' padre Alex Zanotelli che parla a conclusione della presentazione del libro "Bandiere di pace" nella sala Protomoteca del Campidoglio. E' dal Colle Capitolino della capitale che viene rilanciata la campagna "Pace da tutti i balconi". Zanotelli la ripropone con forza nel mutato quadro internazionale, subito dopo l'intervento di Giulietto Chiesa il quale traccia un'analisi grave della situazione e avverte: "La guerra non e' finita, anzi le forze Usa si stanno gia' disponendo al confine con l'Iran". Alex Zanotelli condivide le preoccupazioni di Giulietto Chiesa: "Non aspettiamo la vigilia della prossima guerra. Dobbiamo reagire subito. Ci stanno preparando alla guerra a piccole dosi, come per l'Irak. Il momento e' grave. Dobbiamo ripartire alla grande con le bandiere. Per tre motivi. Primo, perche' le bandiere devono rendere visibile preventivamente la nostra indisponibilita' alla guerra. Secondo, per dire no alla militarizzazione dell'Europa e a chi crede che il peso economico europeo possa contare solo con un corrispettivo peso militare. Terzo, per rispondere al linguaggio militarista di Bossi e di Borghezio che vorrebbero vedere tuonare i cannoni contro le navi degli immigrati. Per questo dobbiamo lanciare una campagna nuova: imbandieriamo daccapo l'Italia. Le bandiere della pace non vanno tolte ma semmai moltiplicate perche' la situazione e' grave". Alex Zanotelli lancia il suo invito a riproporre le bandiere dai balconi e dalle finestre d'Italia in sintonia con Giulietto Chiesa che poco prima aveva detto: "Non dobbiamo ritirare le bandiere. Le bandiere dilaghino ancora, siano nuovamente piene di bandiere le citta'". * Giulietto Chiesa sottolinea il progressivo spostamento verso l'Iran del mirino Usa: "Ormai hanno deciso: o con un sovvertimento dall'interno mediante un cambio di regime o con un sovvertimento dall'esterno mediante una guerra". Ed e' perentorio: "Dobbiamo sollevare il senso di allarme ed inquietudine. Non possiamo consolarci di quanto abbiamo fatto negli scorsi mesi, del livello di consenso raggiunto in passato. Cio' che della guerra passa nella mente a livello di massa e' un'informazione distorta e il quadro e' piu' grave di quanto possiamo immaginare. Negli Stati Uniti sono gia' stati effettuati i primi sondaggi di opinione per saggiare il livello di popolarita' di una guerra all'Iran, sondaggi che danno al presidente l'appoggio della maggioranza degli americani in caso di guerra per bloccare un eventuale programma atomico iraniano. Ma cio' che e' ancora piu' grave e' che la maggioranza degli americani, sempre secondo tali sondaggi, ritiene che Saddam Hussein abbia usato armi di distruzione di massa contro gli Usa. Non solo la maggioranza degli americani non sa che le armi di distruzione di massa non sono state trovate, ma e' addirittura convinta che tali armi siano state usate. Sono molto angosciato. Questo e' il risultato del disfacimento della democrazia negli Usa e del degrado e della distorsione dei mass media in quella nazione". Giulietto Chiesa invita i pacifisti a non cullarsi sui livelli di consenso ottenuti in passato. * Una piccola annotazione personale. Durante la presentazione del libro ho reso noto un elemento statistico apparentemente paradossale: sul sito di Peacelink infatti in questi giorni il numero degli utenti si e' dimezzato rispetto ai giorni della guerra ma il numero di pagine lette e' piu' che raddoppiato, per cui ad un calo delle visite si accompagna in parallelo un aumento della richiesta globale di informazione. Oggi la quantita' di pagine web lette dai pacifisti in alcuni casi supera quanto si leggeva durante la guerra. Cio' testimonierebbe non un riflusso o una "vacanza" del movimento pacifista, ma una forte voglia di informazione del suo nucleo piu' attivo. Invitato a commentare questo dato, Giulietto Chiesa risponde dicendo che non bisogna essere autoreferenziali e confondere internet con l'opinione pubblica: "Oggi i processi di formazione delle opinioni di massa passano attraverso certi programmi di intrattenimento, contano di piu' Mara Venier e "Il grande fratello" degli stessi telegiornali. Internet non rispecchia la situazione dell'opinione pubblica nel suo complesso. Non dobbiamo essere autoreferenziali e non possiamo consolarci della nostra forza. Questo e' invece il momento per sollevare inquietudine e allarme. Dobbiamo attaccare e contestare il sistema dei mass media. Non basta fare altra informazione. E' il cuore del sistema della comunicazione che va posto sotto un check-up continuo perche' e' quello che poi va a formare l'opinione pubblica a livello di massa". Giulietto Chiesa, sollecitato dalle domande del pubblico, parla del progetto di Nowar Tv (invitando a documentarsi sul sito www.nowartv.it) per il quale e' in contatto anche con Monicelli, la Castellina, Banca Etica: "Occorre creare tanti comitati locali e raccogliere due miliardi di vecchie lire. E poi avremo il nostro canale televisivo con cui, dopo le nove di sera, faremo il nostro controtelegiornale per dire dove hanno mentito. Possiamo raggiungere due o tre milioni di persone". * Si giunge a parlare di tv di quartiere (la cui attrezzatura di base non supera il costo di 500 euro) e l'assessore del Comune di Roma, Luigi Nieri, interviene esprimendo sostegno e apprezzamento per queste nuove modalita' di comunicazione (come Global Tv) e ricordando quanto sia stato importante al G8 di Genova - per i manifestanti - poter filmare e documentare quanto stava accadendo. L'assessore Nieri ha rilevato quale qualita' essenziale del libro "Bandiere di pace" proprio l'importanza di documentare, di non perdere la memoria di un grande fatto storico come l'esposizione di milioni di bandiere della pace. Nella presentazione del libro hanno parlato anche Luca Mucci, rappresentante della campagna Pace da tutti i balconi, e due autori del libro Bandiere di pace, Gisella Desiderato e Giuseppe Goffredo, che hanno ripreso ed esposto le linee essenziali dei loro saggi. Sono intervenuti anche Riccardo Troisi del nodo di Rete Lilliput di Roma, e Antonella Marrone, giornalista dell'"Unita'" che interviene sottolineando la necessita' della formazione di una cultura di pace. Fondamentale per la riuscita dell'evento e' stata l'azione fattiva e puntuale di Andrea La Spina della Cimarra che ha svolto il compito di referente organizzativo in loco e di collegamento con la stampa. * Alex Zanotelli ha avuto parole molto efficaci per definire il possibile ruolo del movimento pacifista: "Dobbiamo diventare societa' civile organizzata. Dobbiamo parlare, ascoltare, capire. E' in atto un cambiamento antropologico. Se Berlusconi non e' riuscito a convincere i suoi figli sulla guerra vuol dire che il tarlo del dubbio si e' diffuso". Alex Zanotelli, pur condividendo l'analisi preoccupata di Giulietto Chiesa, vede muoversi un fermento positivo ed e' convinto che non siamo in presenza di un riflusso del movimento per la pace. E aggiunge: "Dobbiamo far diventare la societa' civile un luogo di dibattito e di organizzazione in cui maturino delle proposte da passare poi ai politici. Su questo c'e' una differenza rispetto a D'Alema che dice che solo i partiti sono soggetti politici. Non e' cosi'. La societa' civile organizzata puo' diventare un soggetto politico. Lo si e' visto per la legge 185 sul commercio delle armi quando e' stata la societa' civile a richiamare i politici alle proprie responsabilita'. La societa' civile deve avere obiettivi politici e non farsi strumentalizzare dai partiti. I partiti rimangano fuori dagli organismi di rappresentanza della societa' civile la quale deve dotarsi di portavoce autonomi. Ai partiti spetta il compito di ascoltare e dialogare, riportando le proposte della societa' civile negli organismi di rappresentanza". Zanotelli riprende cosi' una delle tesi gia' espresse nel libro "Bandiere di pace". Un libro che, e' bene ricordarlo, puo' essere richiesto nelle librerie Feltrinelli e nelle Botteghe del commercio equo e solidale. Ogni gruppo locale puo' convocarsi e presentarlo alla propria citta': la "societa' civile organizzata" e' anche questo. 2. PROPOSTE. PIERLUIGI VITO: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE [Ringraziamo Pierluigi Vito (per contatti: bindalat at libero.it) per questo intervento. Pierluigi Vito, gia' obiettore di coscienza, e' impegnato nell'Azione cattolica, ed e' un amico di gentilezza e generosita' grandi] Quanto impiega una bandiera a stingersi, sbrindellarsi, ecc.? Diciamo due-tre mesi? o di piu? (dipende anche dalla qualita', dal clima, ecc.). Se il problema e' tenerla sempre linda e smagliante, un investimento di 5 euro a trimestre, il popolo della pace puo' anche concederselo. Diventerebbe anzi un'impulso alla sobrieta': ricavare nel proprio bilancio lo spazio per questo segno di pace. Ecco perche' si puo' puntare a una scelta piu' radicale, quella di tenerla sempre esposta per assumerla come "memento" quotidiano, simbolo di un atteggiamento di vita che si fa prassi di pace. Riguardo alle varie ricorrenze, se proprio si vuole si possono pensare altre caratterizzazioni. Il 2 giugno, sinceramente, troverei piu' indicato esporre il tricolore, anche per non lasciarlo in mano solo a militari e nazionalisti paranoici: ci possiamo anche non sentire italiani, ma per fortuna o purtroppo lo siamo. 3. PROPOSTE. VITTORIA OLIVA: ANCORA SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE [Ringraziamo Vittoria Oliva (per contatti: huamboparanoico at tin.it) per questo intervento. Vittoria Oliva e' impegnata nell'esperienza informativa de "L'avamposto degli incompatibili" ed in numerose iniziative per i diritti dei migranti, per l'abolizione degli incostituzionali centri di detenzione, nella solidarieta' concreta con gli oppressi] Riporto queste parole di Enrico Peyretti [da "La nonviolenza e' in cammino" n. 593] per ribadire la mia convinzione che le bandiere della pace non debbono essere tolte. Peyretti in merito alla bandiera della pace dice: "la quale, ricordiamolo a tutti, e' unica tra tutte le bandiere, nella storia umana: tutte le altre indicano patrie, eserciti, squadre, simboli di parte, appartenenze parziali e contrapposte, e sono spesso inferocite da simboli bestiali, o da croci militarizzate (come Erasmo denunciava), o da stemmi signorili; questa nostra e' la bandiera di tutti i colori, di tutte le parti, di tutti i popoli, di tutte le idee che vogliono convivere con le altre. Esclude soltanto chi esclude e si esclude. Abbiamo creato - meglio: ravvivato e moltiplicato - un archetipo profondo, un simbolo piu' grande e potente di quello che potevamo pensare all'inizio". Vorrei che tutti tenessero presente queste parole, perche' a volte capita che uno fa le cose senza sapere che significato e valenza reale prendono poi nell'immaginario collettivo. In effetti e' vero, questa bandiera e' diventata un archetipo, che tra l'altro ha avuto pure la capacita' di unire al di la' di tutte le differenze ideologiche; perche' ammainare la bandiera della pace? E' stata dichiarata la pace? non mi pare. C'e' la pace? c'e' solo la prospettiva di una guerra infinita e duratura. Anzi io la porterei pure a Lampedusa, farei una manifestazione nazionale a Lampedusa con tante bandiere della pace. Perche' dovremmo ammainare la bandiera quando al governo c'e' chi dice che vuole adoperare il cannone contro i migranti, per esempio? Ora a dire la verita' io non vedo la necessita' di tanti ripensamenti su questa bandiera. Credo che quanto piu' e' difficile a maggior ragione vada esposta e portata in piazza. Io non la togliero' di certo, pure se fossi la sola a metterla, e non le faro' certo fare la fine della freccia dei carabinieri, che ora funziona e ora non funziona. Quando sara' scolorita me la faro' da sola... Oltretutto siccome poi i movimenti hanno flussi e riflussi, alti e bassi, e' scontato che tanti toglieranno la bandiera, soprattutto quando non sara' bella da vedere... Ma io vedo pure che tanti pervicacemente la tengono. E per me la speranza sta in queste persone. I simboli sono importanti, specialmente quando sono simboli positivi, ed io di simboli positivi ne vedo proprio pochi attualmente... 4. PROPOSTE. GIOBBE SANTABARBARA: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE E SULLE NOSTRE MISERIE [GiobbeSantabarbara e' uno dei principali redattori di questo notiziario, e sembra che sappia scrivere solo cosi'; compatite] 1. Dal balcone del mio appartamento sventola ancora la bandiera della pace; battezzata da un uccellino, aspetto che la lavino le prossime piogge. Non l'ho piu' tolta, credo per pigrizia. Non so quando lo faro'. 2. Che la guerra in Iraq continui, non ne ho mai dubitato. Continuera' almeno finche' vi saranno truppe euroamericane d'occupazione. Poi, se mai quelle truppe d'occupazione se ne andranno (a seguito di un lungo stillicidio di morti, probabilmente; visto che noi non siamo stati capaci d'impedire che vi s'installassero), forse continuera' altrimenti, ma le televisioni e i giornali del nord del mondo non saranno piu' li' per dircelo. 3. E - se cosi' posso esprimermi - non e' mai finita neppure la seconda guerra mondiale, a onor del vero: la guerra che Hitler non perse del tutto se riusci' a disseminare non solo i suoi complici ma soprattutto la sua ideologia e i suoi metodi un po' ovunque nel mondo, incistandoli nei suoi stessi avversari; e non fini' anche perche' vi fu la bomba di Hiroshima, dopo della quale la guerra e' entrata in una nuova fase, in cui anche la pace, cosi' come la intendono i potenti, e' un pezzo di guerra, della guerra che l'intera umanita' puo' annientare in un soffio. Sarebbe bene non dimenticare. 4. Ci ho messo parecchio prima di decidermi a sciorinar la bandiera arcobaleno al balcone. Primo, perche' non mi piacciono i feticci, e meno che mai le bandiere, se non una, quella rossa che ho sempre considerata lo straccio che dice il dolore e la verita' degli ultimi (c'e' una poesia di Pasolini su questo, che sento magnifica; e un articolo di Fortini che nitidamente spiega che quella bandiera e' la bandiera dei fucilati da Stalin, non di Stalin e dei suoi infiniti sgherri e compari e discepoli). Secondo, perche' temevo potesse implicare un equivoco, l'equivoco secondo cui bastava testimoniare il proprio "dissenso" - come si dice oggi, offendendo i dissenzienti veri che finirono nel gulag - e cosi' eludere il dovere della concreta lotta contro la guerra, lotta che e' da condurre non a passeggiate e raduni e salotti tv (non dico dell'idiota spaccar vetrine, la cui unica utilita' e' quella di favorire gli affari di Charlot nel "Monello"), ma con l'azione diretta nonviolenta che praticamente fronteggi e contrasti la macchina bellica e i poteri assassini: operativamente, sul terreno. Terzo, perche' sono lento a decidermi in generale, e riottoso dinanzi alle cose che vengono proposte in toni entusiasti. Sono un vecchio marxista leopardiano, cresciuto alla scuola di Timpanaro e Fortini, ho letto da giovane Il nipote di Rameau, vorranno perdonarmi i lettori. 5. Ma per strada mi sono convinto che quel gesto, per poco che fosse, valeva la pena. Ed ho fatto io pure lo sforzo di appendere il drappo al ferro, vincendo tutte le mie riserve di spaccacapelliinquattro e di rigido aniconista. E, perplesso ancora, ho dato retta a Diego e Nicoletta, e Lidia, ed Enrico, e Marigia, e Dario, e tante e tanti ancora. 6. Non mi piacciono le esagerazioni, e nel movimento per la pace di sciocchezze sesquipedali se ne dicono in quantita' pari a quelle della propaganda di guerra, con l'aggravante che per noi la verita' dovrebbe essere un valore e un criterio e una scelta. Mi ripugnano i trionfalismi, massime quelli irragionevoli. Farsi tra noi tanti salamelecchi per aver fatto - come dire - garrire una stoffa, mi pare smodato; come mi pare insensato complimentarsi l'un l'altro per la mera estensione del movimento per la pace in Italia e nel mondo, succubi di una logica stravolta da sfilata di moda o peggio da adunata oceanica. Poiche' il nocciolo della questione e' che ancora una volta non abbiamo saputo impedire la guerra, che era l'unica cosa che contava. E non abbiamo saputo fermare la guerra perche' non abbiamo saputo fare la scelta della nonviolenza, la scelta della lotta nonviolenta, la scelta dell'azione diretta nonviolenta per contrastare e paralizzare e disarmare gli eserciti assassini e i loro comandi onnicidi. 7. Cosicche' questa riflessione mi pare utile a condizione che non si ricada per l'ennesima volta nella situazione dell'abusato apologo cinese: che si guardi il dito che indica la luna, invece della luna dal dito indicata; occorre, mi sembra, che si ragioni su quanto di concreto e' da farsi, e che la scelta dell'esposizione delle bandiere della pace, per un giorno o un anno o per sempre, comunque segnala. Come fosse una spina nella carne. 8. Mi sembra preziosa questa nostra comune riflessione, vorrei che proseguisse, e che andasse piu' in profondita'. E confido, anzi bramerei, che Lidia, quando vorra', raccogliesse quanto sta emergendo e ne ricavasse e restituisse anche ulteriori proposte di pensiero e di azione. Ahime', che chiusa mazziniana che mi denuncia per quel vecchio barbogio che sono. 5. RIFLESSIONE. RICCARDO ORIOLES: A DACHAU [Da "Tanto per abbaiare" n. 184 del 23 giugno 2003 riprendiamo questo articolo. Riccardo Orioles (per contatti: riccardoorioles at libero.it), che con "Tanto per abbaiare" redige la piu' appassionante e commovente impresa di giornalismo critico nella rete telematica, e' giornalista eccellente ed esempio pressoche' unico di rigore morale e intellettuale (e quindi di limpido impegno civile); militante antimafia tra i piu' lucidi e coraggiosi, ha preso parte con Pippo Fava all'esperienza de "I Siciliani", poi e' stato tra i fondatori del settimanale "Avvenimenti"; ha formato al giornalismo d'inchiesta e d'impegno civile moltissimi giovani. Per gli utenti della rete telematica vi e' la possibilita' di leggere una raccolta dei suoi scritti (curata dallo stesso autore) nel libro elettronico Allonsanfan. Storie di un'altra sinistra. Sempre in rete e' possibile leggere una sua raccolta di traduzioni di lirici greci, ed altri suoi lavori di analisi (e lotta) politica e culturale, giornalistici e letterari. Attendiamo ancora che un editore ne faccia un libro - come dire: cartaceo - che possa raggiungere una concretamente piu' vasta area di lettori (i tanti non utenti di internet). Come Centro di ricerca per la pace di Viterbo abbiamo anni fa ristampato in opuscolo due suoi interventi: Gattopardi e garibaldini, Viterbo 1992; e L'esperienza de "I Siciliani", Viterbo 1998. Due ampi profili di Riccardo Orioles sono in due libri di Nando Dalla Chiesa, Storie (Einaudi, Torino 1990), e Storie eretiche di cittadini perbene (Einaudi, Torino 1999)] A Dachau, ridente cittadina della Baviera, nessuno dei quindicimila abitanti - tutte brave persone, gemutlich, casa chiesa e partito - sapeva niente delle attivita' che si svolgevano nel campo di raccolta alle porte della citta'. "Non sono affari nostri. Lasciateci lavorare". Quando gli americani conquistarono la citta', fecero una bella retata di cittadini perbene, gli dettero un badile per uno e li costrinsero, a baionette puntate, a entrare nel campo, a guardare coi loro propri occhi le cataste dei morti, e a seppellirli con le loro mani. Le donne, gli uomini e i bambini che sono affogati in solitudine nel nostro mare non sono stati uccisi da una forza della natura. Sono stati assassinati dai buoni cittadini di Treviso, viso per viso, uno per uno. Non vi spiego perche', e se avete bisogno di spiegazioni allora chiedetevi anche perche' erano degli assassini i buoni borghesi di Dachau. La colpa non era di Hitler, e non e' di Bossi. Costoro, orrende maschere della disumanita' collettiva, non sarebbero riusciti a gasare nemmeno un ebreo, ad annegare nemmeno un tunisino, se non avessero avuto alle spalle, a milioni e milioni, convinti e soddisfatti di se stessi, i volenterosi elettori di Dachau e di Treviso. In questo stesso momento, da qualche parte del mare, un essere umano agonizza nell'acqua come sotto lo Ziklon-B. Non dicano "io sono innocente". Non saranno assolti. Mi dicono, e se e' vero ne sono orgoglioso, che c'e' stata una vera sollevazione fra gli ufficiali della nostra Marina all'annuncio di Bossi di mandare le nostre navi all'assalto, in acque internazionali, degli immigrati. A questa sollevazione si deve la veloce smentita del ministro della Difesa; resta che la proposta assassina e' stata fatta ("Voglio sentire il cannone") e che questa proposta disonora chi l'ha fatta e chi l'ha applaudita. Io non sono di Treviso, grazie a Dio. Non ho niente a che fare con loro, e non accetto che gente nazista, che da' il settanta per cento dei voti a un Gentilini ("travestirli da leprotti e poi cacciarli"), si permetta di farsi passare per italiana. Hanno ragione Bossi e gli altri: l'Italia finisce prima di Treviso. Si tengano i loro Goebbels e i loro Benetton, sbarazzino della loro vergogna il paese, e se ne vadano al diavolo dove vogliono loro. Non li rimpiangeremo. * Mentre questo miserabile intreccio di politicantismo e ferocia offre un'orrenda immagine degli italiani, ecco che degli italiani stanno per annegare. E' Mohamed a tuffarsi, ad afferrare il primo e il secondo corpo che si dibatte e a portarli a riva. E in quel momento dall'acqua arriva un altro grido d'aiuto, di un bambino: ed ecco che il tunisino ansimante si tuffa ancora, tenta qualche bracciata, muore nel tentativo di salvare un altro italiano. Non si permetta il presidente della Repubblica di dare una medaglia a Mohamed Habib, al tunisino: le medaglie italiane, in questo momento, sporcano piuttosto che premiare. Chieda piuttosto perdono in ginocchio, a nome di tutti gli italiani nei confronti di tutti i tunisini, delle vili parole sbraitate da un ministro italiano contro i loro morti. 6. RIFLESSIONE. CARLO MARIA MARTINI: TRE COSE SULLA PACE [Questo testo di Carlo Maria Martini, scritto a Gerusalemme il 12 marzo 2003, abbiamo estratto dal sito di "Namaste" (www.namaste-ostiglia.it), che a sua volta lo riprende da "Giovani e missione" (www.giovaniemissione.it). Carlo Maria Martini, gia' arcivescovo di Milano, e' una delle figure piu' prestigiose della cultura della pace] Sono passati sei mesi da quando ho terminato il ministero attivo come Arcivescovo e in molti mi domandano, anche solo implicitamente, le ragioni del silenzio "sabbatico" tenuto in questo periodo, invitandomi a romperlo in qualche occasione particolare. Vorrei anzitutto precisare che non si tratta di un silenzio che si potrebbe un po' definire come "dispettoso" (cioe' di chi si tira fuori dai problemi con senso di superiorita' o di sufficienza), ne' del silenzio detto "ossequioso", quello cioe' di chi ha paura di disturbare autorita' politiche o ecclesiastiche: si tratta di un silenzio che vorrei definire "rispettoso", che tiene conto cioe' della mia nuova situazione di vita, del mio abitare in parte a Roma e in parte a Gerusalemme, e degli equilibri delicati che tutto cio' comporta. Ma vorrei definirlo al meglio un silenzio "sabbatico", ricordando quelle parole che noi sacerdoti anziani citiamo ancora della Bibbia latina "sabbato quidem siluerunt secundum mandatum" (Lc 23, 56) dove la Bibbia della C.E.I. traduce "il giorno di sabato osservarono il riposo, secondo il comandamento", che e' poi quel medesimo antico comandamento che impone, per la sanita' stessa dell'uomo e in ordine al servizio dell'Altissimo, l'alternarsi di lavoro e di riposo, e quindi anche di parola e di pause di silenzio. Ma vi sono pure occasioni e situazioni che invitano a fare eccezione a questa regola, per ragioni gravi. E terribilmente grave e' certamente la situazione delle attuali minacce alla pace e delle violazioni della pace, messe in questi giorni ancora piu' in rilievo da grandi e corali desideri di pace. Ci si deve certamente rallegrare di questa grande, spontanea, diffusa, praticamente unanime volonta' di pace. Vi e' in essa un riflesso del desiderio di quella pace che e' dono di Dio, della pace offerta a Betlemme agli uomini che Dio ama. Questa volonta' e questa ansia di pace, che totalmente condividiamo, ci spingono pero' a ricordare tre cose. * La prima e' che la pace ha un costo. Mi diceva un amico qualche tempo fa, parlando della sua esperienza come straniero in una societa' travagliata da conflitti: questa societa', nelle sue espressioni migliori, vuole sinceramente la pace, ma non sa decidersi a pagarne il prezzo. Va infatti ricordato che persino quel fiore raro e prezioso del Vangelo che talora viene chiamato (con una semplificazione terminologica) "nonviolenza", ha un prezzo preciso: "a chi ti vuole chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello" (Mt 5, 40). Cio' significa che bisogna essere disposti a pagare un prezzo e a rinunciare anche a qualcosa a cui si avrebbe pure diritto. Non basta dunque invocare la pace: bisogna essere disposti a sacrificare anche qualcosa di proprio per questo grande bene, e non solo a livello personale ma pure a livello di gruppo, di popolo, di nazione. * Una seconda cosa che menzionerei e' che la pace non e' mai un edificio solido, costruito compatto una volta per tutte, ma somiglia piuttosto ad una tenda, ad un castello di sabbia, da custodire e da ricostruire sempre con infinita pazienza ("settanta volte sette" direbbe Gesu', cfr. Mt 18, 22). In altre parole, non e' sufficiente rifarsi soltanto a considerazioni etico-politiche (chi ha ragione, chi ha torto, chi e' l'aggressore, chi e' l'aggredito, l'uso della legittima difesa, l'eventuale possibilita' di una guerra giusta, ecc.). Occorre avere il coraggio di proclamazioni profetiche, che tengano conto della precarieta' e peccaminosita' della situazione umana storica. Infatti la prima e perenne difficolta' nella costruzione della pace nella citta' degli uomini risiede in un dato antropologico che la Bibbia ricorda fin dalle prime pagine e cioe' che "l'istinto del cuore umano e' incline al male fin dalla adolescenza" (Gen 8, 21). Ogni volonta' costruttiva della pace si scontra con la ineludibile aggressivita' umana, col desiderio insito in tanti di noi, persone e gruppi, di possedere cio' che e' dell'altro, di avere piu' dell'altro, meglio dell'altro, togliendolo, se non c'e' altro mezzo, anche con la forza. Tutto cio' costituisce una dimensione tragica dell'esistenza che non e' lecito ignorare, fare come se non esistesse. In questo senso la sola e astratta sollecitazione di atteggiamenti belli ma carichi di utopia, senza inserirli nel contesto reale della struttura, dei bisogni e delle miserie umane, minaccia alla fine la causa stessa della pace. Non per niente una delle tradizioni bibliche piu' antiche dice che la prima citta' fu fondata da Caino, allo scopo certamente anche di contenere e arginare quelle aggressioni scatenate che alla fine avrebbero potuto uccidere lo stesso Caino (cfr. Gen 4, 17). Il conflitto, l'uso della forza, la possibilita' dello scatenarsi della violenza, sono dati di cui si deve tener conto nel programmare la vicenda umana, cio' che e' compito soprattutto dei politici. E' percio' inevitabile, per la pace di questo mondo, ideale sommo e sempre da perseguire con indomito coraggio, ritessere continuamente le fila di una concordia che non si illuda di sradicare del tutto l'aggressivita', ma che si proponga il compito, piu' modesto ma insieme piu' realistico, di moderarla fino al punto da preferire talora anche un compromesso, in cui ciascuno debba concedere qualcosa a cui avrebbe teoricamente diritto, in vista del superamento di una litigiosita' violenta e senza fine. Si tratta cioe' di superare il solo punto di vista etico-politico per accedere a quel profetico "porgi l'altra guancia" (cfr. Mt 5, 39) che non crediamo sia cosi' utopico come sembrerebbe a prima vista. La difficolta' perenne di una politica della pace (che sara' sempre una pace fragile e minacciata) sara' infatti proprio nella determinazione del punto di equilibrio tra le ragioni delle parti in causa e le possibilita' pratiche di gestirle senza conflitto violento, in una sana dialettica che conduca tutti i contendenti alla rinuncia di qualcosa di proprio in vista della ricerca del maggior bene comune concretamente realizzabile qui e ora. * La terza verita' da ricordare e' che, per tutti i motivi detti sopra, una pace seria e duratura, la' dove persistono ragioni gravi di conflitto, ha sempre un po' del "miracoloso", dell'improbabile, del "dono dall'alto" ("Vi do la mia pace. Non come la da' il mondo, io la do a voi", Gv 14, 27) e percio' chi crede in Dio la deve chiedere nella preghiera con tutte le forze e anche chi non crede la deve invocare dal fondo della propria coscienza pronto a sacrificarsi con tutto se stesso. Occorre cercare la pace possibile e intercedere per essa con quella instancabilita' con cui pregava Gesu' nell'orto degli Ulivi "ripetendo le stesse parole" (Mt 26, 44), con quella costanza, perseveranza, creativita' e tenacia di cui ci da' esempio papa Giovanni Paolo II. Come afferma il Concilio Vaticano II, la pace (che e' molto di piu' che non l'assenza di guerra o la presenza di un fragile armistizio) e' il dono che va invocato e ricercato con l'aiuto di tutti: "La pace terrena che nasce dall'amore del prossimo, e' immagine ed effetto della pace di Cristo, che promana da Dio Padre" (Gaudium et spes, n. 77). Di qui si puo' anche intendere il senso vero e profondo del famoso e sapiente detto biblico "opus iustitiae pax" (cfr. Is 32, 7): "effetto della giustizia sara' la pace". Si', la pace non puo' che essere frutto della giustizia, ma la pace di questo mondo non sara' soltanto il risultato di una giustizia mondana perfetta, che non si avrebbe mai nelle attuali aggrovigliate condizioni storiche, ma frutto di quella giustizia che e' al momento ottenibile anche a prezzo di sacrifici e rinunce di singoli e di gruppi in vista di un bene comune piu' alto e condiviso. La pace percio' alla fine e' opera di una giustizia che partecipa della giustizia divina, di una giustizia cioe' che e' anche perdonante, misericordiosa, riabilitante, capace di dimenticare i torti subiti. 7. RIFLESSIONE. GIOVANNI SCOTTO: RIPENSARE LA POLITICA ESTERA [Ringraziamo Giovanni Scotto (per contatti: e-mail: gscotto at zedat.fu-berlin.de, sito: http://userpage.fu-berlin.de/~gscotto/) per averci messo a disposizione questo suo articolo gia' apparso su "Azione nonviolenta" del maggio 2003. Giovanni Scotto e' uno dei piu' importanti studiosi italiani nell'ambito della peace research, studioso e amico della nonviolenza; ricercatore presso il "Berghof Research Center for Constructive Conflict Management" di Berlino; collabora con l'"Institute for Peace Work and Nonviolent Settlement of Conflicts" di Wahlenau e con il "Centro studi difesa civile" di Roma. Tra le opere di Giovanni Scotto: con Emanuele Arielli, I conflitti, Bruno Mondadori, Milano 1998; sempre con Emanuele Arielli, La guerra del Kosovo, Editori Riuniti, Roma 1999] La guerra annunciata si e' compiuta. E' ancora troppo presto per valutare appieno le conseguenze dell'attacco angloamericano all'Irak. Mentre la guerra e' stata piu' breve di quanto molti si aspettavano, i primi giorni del dopoguerra, con l'il caos e i saccheggi nelle grandi citta' irachene, mostrano che al momento le forze occupanti non hanno ne' l'interesse, ne' la capacita' di garantire un minimo di ordine nel paese. Intanto gli strateghi folli dell'amministrazione statunitense sembrano gia' affilare le armi contro il prossimo nemico, la Siria: e speriamo che rimangano soltanto esercizi retorici. Quel che e' certo e' che gli Stati Uniti hanno dato un colpo micidiale a un pilastro dell'insieme di regole che governava il sistema internazionale dal dopoguerra. Certo la superpotenza era gia' intervenuta militarmente, in maniera diretta o indiretta, in tanti stati. Ma la sensazione e' che oggi una soglia sia stata superata, che il modo di agire degli Stati Uniti sia diventato quello di una potenza imperiale, che sfrutta come e quando vuole la sua superiorita' militare. Questa mutazione sembra essersi compiuta nel giro di pochi mesi. Se questo e' vero, vuol dire che e' arrivato il momento di ridiscutere i rapporti con la superpotenza alleata dell'Italia, ed in particolare riesaminare il senso della Nato, che del vecchio ordine era parte integrante, e la necessita' della concessione di basi alle forze militari statunitensi. Due erano le caratteristiche portanti dell'alleanza nel passato: il fatto di inquadrarsi nel sistema delle Nazioni Unite e la sua natura difensiva. Tralasciamo per brevita' il fatto che in sostanza nemmeno in passato questi principi erano rispettati e che la mutazione e' stata a lungo preparata. Il comportamento dell'alleato dominante oggi ha definitivamente affossato quei principi. La dottrina della guerra preventiva fa strame della funzione difensiva delle forze armate atlantiche; l'unilateralismo della superpotenza ha messo in un angolo le istituzioni internazionali. Da una idea di difesa militare collettiva ci ritroviamo dentro un sistema di sicurezza imperiale, dove il partner piu' potente puo' fare quel che vuole, incluso prendere decisioni (come la guerra di oggi) che in prospettiva mettono a rischio la sicurezza interna dell'alleato piu' debole. Perche' e' chiaro che, anche se volessimo definire l'interesse del nostro paese alla maniera degli "esperti di sicurezza", questa guerra puo' farci solo male, esacerbando le frange estremiste del fondamentalismo e preparando il terreno a nuovi attentati terroristici in tutto il mondo, Italia inclusa. Sono percio' venuti a mancare del tutto i presupposti che erano alla base della stretta alleanza militare tra Italia e Stati Uniti. Per questo e' urgente aprire una discussione nella politica e nella societa' italiana sulla permanenza del nostro paese nell'alleanza e sulla concessione delle basi militari agli Usa. La nonviolenza offre una strada radicalmente diversa alla sicurezza: questa non viene intesa come garantita dalla strapotenza delle armi, ma dalla solidita' interna e dalla capacita' di instaurare rapporti costruttivi con l'esterno. Solidita' interna vuol dire diverse cose: resistienza nei confronti di eventuali attacchi esterni, capacita' di offrire una difesa popolare nonviolenza, una economia non dedita allo sfruttamento e alla rapina altrui. La creazione di rapporti costruttivi con altri popoli e paesi presuppone la costruzione di una politica estera di pace, della quale abbiamo gia' parlato e di cui certamente continueremo a occuparci. Ma non dimentichiamo che la novita' non e' solo la guerra, ma anche il movimento diffuso, capillare, senza pari, che abbiamo di fronte oggi. Milioni di persone con cui parlare; le paure, speranze e idee per un mondo nuovo da condividere, da capire; una capacita' di pace da far crescere e maturare. E' urgente parlare di nuovo, a tutti, di difesa alternativa, di sicurezza alternativa. Trovare spazi, nei media, nella societa', nella politica, per rimettere in questione la Nato e la concessione delle basi agli Stati Uniti. Se riusciamo a innescare un confronto ampio su una nuova sicurezza, su una politica estera di pace, e in definitiva sul superamento della nostra dipendenza militare dall'impero, forse scopriremo di poter raggiungere molte piu' persone di quanto crediamo. In fondo sappiamo bene che la nonviolenza fa miracoli. 8. MAESTRE. ROSA LUXEMBURG: UNO SGUARDO INTORNO A NOI [Da Rosa Luxemburg, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma 1967, 1976, p. 447. E' un passo da La crisi della socialdemocrazia, la celebre "Juniusbroschuere" scritta nel carcere in cui era detenuta per la sua opposizione alla guerra, e pubblicata nel 1916. Rosa Luxemburg, 1871-1919, e' una delle piu' limpide figure del movimento dei lavoratori e dell'impegno contro la guerra e contro l'autoritarismo. Assassinata, il suo cadavere fu gettato in un canale e ripescato solo mesi dopo; ci sono due epitaffi per lei scritti da Bertolt Brecht, che suonano cosi': Epitaffio (1919): "Ora e' sparita anche la Rosa rossa, / non si sa dov'e' sepolta. / Siccome ai poveri ha detto la verita' / i ricchi l'hanno spedita nell'aldila'."; Epitaffio per Rosa Luxemburg (1948): "Qui giace sepolta / Rosa Luxemburg / Un'ebrea polacca / Che combatte' in difesa dei lavoratori tedeschi, / Uccisa / Dagli oppressori tedeschi. Oppressi, / Seppellite la vostra discordia". Opere di Rosa Luxemburg: segnaliamo almeno due fondamentali raccolte di scritti in italiano: Scritti scelti, Einaudi; Scritti politici, Editori Riuniti (con una ampia, fondamentale introduzione di Lelio Basso). Opere su Rosa Luxemburg: Lelio Basso (a cura di), Per conoscere Rosa Luxemburg, Mondadori; Paul Froelich, Rosa Luxemburg, Rizzoli; P. J. Nettl, Rosa Luxemburg, Il Saggiatore; Daniel Guerin, Rosa Luxemburg e la spontaneita' rivoluzionaria, Mursia; AA. VV., Rosa Luxemburg e lo sviluppo del pensiero marxista, Mazzotta] Che cosa significa "regresso nella barbarie" al grado ora raggiunto dalla nostra civilta' europea? Finora tutti noi abbiamo letto e ripetuto senza pensarci queste parole, senza sospettare la loro terribile gravita'. Uno sguardo intorno a noi in questo momento ci dimostra che cosa significa un regresso della societa' borghese nella barbarie. Questa guerra mondiale - ecco un regresso nella barbarie. Il trionfo dell'imperialismo porta all'annientamento della civilta' - sporadicamente per la durata di una guerra moderna e definitivamente se il periodo ora appena iniziato delle guerre mondiali dovesse continuare indisturbato il suo corso alle estreme conseguenze. 9. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: UN TABU' CHE NON REGGE [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione questo suo articolo gia' apparso nell'edizione palermitana de "La repubblica" del 18 giugno 2003. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda ed.; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)] Senza voler minimamente anticipare le conclusioni investigative e giudiziarie - ed attenendosi rigorosamente ai dati accertati sinora - eventi tragici come la morte violenta per strangolamento del parroco di Mazara del Vallo ripropongono all'opinione pubblica degli interrogativi non del tutto oziosi. Una prima questione, sollevata da parte di preti stessi gia' da alcuni decenni, concerne in modo particolare il Meridione: perche' e' prevalsa la consuetudine del ministro ordinato di vivere da solo, o con una sorella o con una Perpetua, e non in assetto comunitario con altri colleghi impegnati nello stesso territorio? Perche' questo inchiodare i giovani sacerdoti ad un'esistenza di solitudine o, in alternativa (forse peggiore per la loro maturazione psicologica), ad una vita di eterni figli di famiglia incapaci di tagliare il cordone ombelicale? Ma questa prima domanda rimanda ad una seconda questione piu' radicale: perche' tutte le chiese cristiane (ortodossa, luterana, calvinista, anglicana...), radicate nell'unico vangelo di Cristo, accettano serenamente l'eventuale matrimonio dei presbiteri (come avveniva sin dai primissimi secoli della storia ecclesiale) e solo i cattolici s'incaponiscono nell'obbligatorieta' giuridica del celibato? In Sicilia, Calabria e Basilicata vivono gli unici preti-sposati (o, per essere piu' precisi: gli unici sposati consacrati preti) del mondo: sono i sacerdoti cattolici di rito greco dipendenti dall'Eparchia di Piana degli Albanesi e dalle altre diocesi analoghe. Costituiscono un'eccezione che rende ancora meno comprensibile la regola generale. Si potrebbe obiettare che cosi' si toccano problematiche interne alla Chiesa cattolica e, al limite, addirittura appartenenti alla sfera intima degli individui. A parte la considerazione che la Chiesa cattolica non e' fatta solo da preti, frati e suore, ma - in larghissima maggioranza - da "fedeli laici" cui non si puo' negare il diritto di riflettere a voce alta, si potrebbe aggiungere che anche il mondo dei laici "esterni" all'istituzione ha diritto di ragionare - con tutta la delicatezza necessaria - sui principi etici della comunita' cattolica. Proprio come ha diritto di vagliare, alla luce della Costituzione e delle leggi statali, le linee teoriche e pratiche di fondo delle comunita' islamiche, delle sette religiose orientali, della massoneria, dei partiti rivoluzionari di sinistra... Nel caso particolare della Chiesa cattolica, poi, si tratta di una presenza radicata e diffusa dal Monte Bianco all'Etna (come in molti si affrettano a ricordare quando si tratta di giustificare certi privilegi, come ad esempio la frequenza in Rai di servizi radio-televisivi sui viaggi del papa, trasmissioni sugli anniversari dei concili, sceneggiati a puntate sulla vita di santi e sante, dibattiti a piu' voci su miracoli e sindoni). Poiche' i preti non vivono in una campana di vetro, ma a contatto quotidiano con uomini e donne, giovani e bambini, le loro scelte sessuali sono private sino a un certo punto. Le statistiche, piu' o meno attendibili, di cui danno periodicamente notizia alcuni organi di stampa specializzati (vedi, in Italia, l'agenzia "Adista" di Roma) non sono certo tranquillizzanti: preti pedofili, preti che sfruttano sessualmente le suorine giovani - e con famiglie indigenti alle spalle - provenienti dal Terzo e Quarto Mondo, preti che praticano abitualmente o occasionalmente l'omosessualita' con adulti consenzienti, preti che hanno relazioni sentimentali clandestine con donne nubili o sposate. Insomma, tutto un vasto campionario che non elimina certo il numero consistente di sacerdoti sostanzialmente fedeli alla promessa di castita' celibataria ma che lo rende meno compatto di quanto non si possa sospettare in base alle posizioni ufficiali del Magistero. Senza contare quel mare di sofferenze interiori patite dagli uomini e dalle donne che vogliono a tutti i costi restare fedeli ad una promessa giovanile: sofferenze che provocano nevrosi e psicopatie su cui il prete cattolico e psicanalista Eugen Drewermann si e' soffermato in un libro (I funzionari di Dio. Psicogramma di un ideale) tradotto in diverse lingue ma pagato con la riduzione allo stato laicale. Proprio l'abozione dell'obbligatorieta' del celibato ecclesiastico rientra nei punti programmatici che, da una decina di anni, porta avanti un movimento ecclesiale internazionale ("We are the Church") cui hanno aderito circa cinque milioni di persone nel mondo e che puo' contare, in Italia in generale e in Sicilia in particolare, sul sostegno di circa cinquantamila persone. Si tratta comunque, ad avviso di alcuni esperti, di un obiettivo parziale. La questione e' piu' complessa e piu' profonda. Un prete sposato non e' ancora necessariamente un prete che viva, come gli apostoli e i loro primi successori, in un contesto di normalita' comunitaria. Non e' un prete che deve sudare per guadagnarsi il pane, preoccuparsi del suo futuro professionale, affrontare senza privilegi le difficolta' ordinarie della burocrazia e delle relazioni sociali: non e', insomma, un credente fra gli altri che - secondo l'auspicio del Concilio Vaticano II - condivide effettivamente, e non solo 'spiritualmente', "le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono". Quando (come avviene oggi solo per alcuni preti dei quartieri difficili o dei paesini sperduti in montagna) nessun ministro di Dio - vescovi e papi compresi - vivra' piu' in ville recintate, con sistemi di allarmi e cani da guardia, sara' un giorno piu' luminoso per la Chiesa cattolica: e un segno di speranza anche per la societa' civile. 10. RILETTURE. GERMAINE GREER: L'EUNUCO FEMMINA Germaine Greer, L'eunuco femmina, Bompiani, Milano 1972, 1979, pp. XXIV + 380. Questo libro del 1970 a noi pare ancora un punto di riferimento fondamentale. 11. RILETTURE. GERMAINE GREER: LA DONNA INTERA Germaine Greer, La donna intera, Mondadori, Milano 2000, 2001, pp. 396, euro 8,26. Ancora un libro di grande acume e finezza. 12. RILETTURE. PAT PATFOORT: UNA INTRODUZIONE ALLA NONVIOLENZA Pat Patfoort, Una introduzione alla nonviolenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Verona 1988, pp. 32. Un utile opuscolo della biologa e antropologa belga, tra le piu' note formatrici alla nonviolenza (per richieste: azionenonviolenta at sis.it). 13. RILETTURE. PAT PATFOORT: COSTRUIRE LA NONVIOLENZA Pat Patfoort, Costruire la nonviolenza, La Meridiana, Molfetta (Ba) 1992, pp. 128, lire 22.000. Un utile testo introduttivo "per una pedagogia dei conflitti". 14. RILETTURE. ANTONIETTA POTENTE: GLI AMICI E LE AMICHE DI DIO Antonietta Potente, Gli amici e le amiche di Dio, Icone, Roma 2000, pp. 112, euro 5,16. Nato da cinque serate di dialogo a Roma nel gennaio 2000, questo libriccino ci restituisce in freschezza e profondita' meditazioni e suggestioni della sempre sensibile e generosa teologa domenicana. 15. RILETTURE. ANTONIETTA POTENTE: UN TESSUTO DI MILLE COLORI Antonietta Potente, Un tessuto di mille colori, Icone, Roma 2001, pp. 80, euro 3,62. Tre saggi per una riflessione sulle differenze (di genere, di cultura, di religione). 16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 17. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 596 del 29 giugno 2003
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