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La nonviolenza e' in cammino. 595
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 595
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 27 Jun 2003 22:20:05 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 595 del 28 giugno 2003 Sommario di questo numero: 1. Seminario della Tavola della pace a Perugia 2. Osvaldo Caffianchi: ancora sulle dieci parole della nonviolenza in cammino da Assisi a Gubbio 3. Francesca Pilla intervista Vandana Shiva 4. Luciano Capitini: sulla proposta di Lidia Menapace 5. Diego Cozzuol: sulla proposta di Lidia Menapace 6. Mario Di Marco: sulla proposta di Lidia Menapace 7. Gianfranco e Isa Monaca: sulla proposta di Lidia Menapace 8. Enrico Morganti: sulla proposta di Lidia Menapace 9. Giordano Remondi: sulla proposta di Lidia Menapace 10. Giovanni Sarubbi: sulla proposta di Lidia Menapace 11. Maria G. Di Rienzo: guerralingua 12. Rossana Rossanda: il nostro presidente 13. Roberto Burla: aperto il sito della Caritas diocesana di Viterbo 14. La "Carta" del Movimento Nonviolento 15. Per saperne di piu' 1. INCONTRI. SEMINARIO DELLA TAVOLA DELLA PACE A PERUGIA Il XV seminario nazionale della Tavola della pace (il principale network pacifista italiano) avra' per tema "L'Europa che vogliamo costruire", e si terra' presso il Centro studi Villa Umbra (localita' Pila, Perugia) i giorni 28-29 giugno 2003. Per ulteriori informazioni: tel. 0755736890, e-mail: info at perlapace.it, sito: www.tavoladellapace.it 2. RIFLESSIONE. OSVALDO CAFFIANCHI: ANCORA SULLE DIECI PAROLE DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO DA ASSISI A GUBBIO [Si svolgera' dal 4 al 7 settembre 2003 la camminata da Assisi a Gubbio promossa dal Movimento Nonviolento come prosecuzione della marcia Perugia-Assisi per la nonviolenza che si tenne nel settembre 2000. In preparazione di questa iniziativa, cui tutte le persone amiche della nonviolenza sono chiamate a partecipare e contribuire (per informazioni, contatti, adesioni: e-mail: azionenonviolenta at sis.it; sito: www.nonviolenti.org), da alcuni mesi e' stato promosso un percorso di riflessione articolato in "dieci parole della nonviolenza", proponendo ogni mese una parola su cui riflettere. A questo percorso anche il nostro amico Osvaldo Caffianchi ha voluto contribuire improvvisando questi versi] 1. Forza della verita' Nell'afferrarsi alla verita' e' l'unica speranza, nella lotta con l'angelo si compie per l'intera notte la prova, e trovi il vero nome. * 2. Coscienza La giovinetta Antigone per prima seppe che viene l'ora in cui si deve dire di no. E' con quel no che sorge la coscienza e' la coscienza che fa luce al mondo. * 3. Amore Come insegno' di Mantinea la donna all'ateniese che sapeva l'arte piu' necessaria, della levatrice, l'amore e' cio' che unisce e cio' che salva ti strappa su' dalla palude e t'alza dove piu' pura e' l'aria e finalmente possiamo respirare. * 4. Festa Non l'ordine chiuso, non le solenni maschere del potere, non il passo che come lama cade e calpesta. Ma la danza, ma il volto ritrovato. * 5. Sobrieta' Non lasciare che a goccia a goccia ti secchino il midollo i simulacri. Nella misura e' l'unico segreto cio' che tu sprechi ad altri manchera' nel dissipare dissipi te stesso vuol esser sobria la felicita'. * 6. Giustizia Rendere bene per male avere misericordia non cedere di un passo all'oppressione. * 7. Liberazione Di questo dolore che e' di tutti lenire la piaga solo e' dato se di tutti e per tutti e con tutti si sceglie la parte, il cammino, l'amicizia. * 8. Potere di tutti Ascolta la voce dell'altro ed ascolta con piu' grande attenzione il silenzio dell'altro. Accogli la spina e la borraccia. Non ci si libera da soli non si compie da soli questo lungo viaggio. E come un bozzolo, chi non si apre perisce. * 9. Bellezza L'errore era nel credere che l'attimo fuggente fosse bello. Era l'errore nella fuga del tempo in fumo ed ombra. Era nell'occhio invece la bellezza era nel cuore, nel volto accarezzato. E quella luce resta per sempre. * 10. Persuasione Io che sempre appartenni al partito dei perplessi, che giusta il poeta di Augusta, di Treviri l'esule ardito, alle nobili idee sono uso chiedere cosa celino invisibile e che del sinolo di lancia e di scudo sempre sentii la spina nel cuore, pure volli viandante tra viandanti incamminarmi con questi compagni di pìeta' persuasi. 3. RIFLESSIONE. FRANCESCA PILLA INTERVISTA VANDANA SHIVA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 giugno 2003. Francesca Pilla, dottoressa in scienze poltiiche, scrive sul quotidiano "Il manifesto". Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003] L'incontro con Vandana Shiva avviene in un'affollata universita' napoletana, nella facolta' di scienze politiche della Federico II, circondata da studenti, attivisti, donne, che la tempestano di domande. Dopo il seminario organizzato dalla cooperativa "O' Pappece" sui temi della globalizzazione e sulle forme di resistenza ai sistemi monopolisti, e' una corsa per ascoltare ancora la fisica indiana che da oltre 15 anni si batte per contrastare le multinazionali arrivate in India a sfruttare i terreni e le comunita' locali. Vandana Shiva ha fondato un'organizzazione, Navdanya, che raccoglie dieci milioni di agricoltori indiani e che sostiene l'importanza della biodiversita' per combattere l'introduzione della monocoltura e la neocolonizzazione occidentale. Attualmente e' direttrice della "Fondazione per la scienza, la tecnologia e l'ecologia" ed e' fra i membri del Third world network, una rete internazionale di associazioni per lo sviluppo e le relazioni Nord-Sud. Definita la "santona no global", ha sempre detto di preferire l'espressione "pro local" a "no noglobal". Ma in un'accezione atipica perche' "la dicotomia locale/universale - scrive nel volume Sopravvivere allo sviluppo, Isedi - e' mal posta se applicata alle tradizioni indigene e occidentali del sapere, perche' il sapere occidentale e' una tradizione locale che si e' diffusa nel mondo attraverso la colonizzazione intellettuale. L'universale si diffonde come sistema aperto. Il locale globalizzato si diffonde invece con la violenza e l'inganno. Il primo livello di violenza che si riversa sui saperi locali e' quello di non riconoscerli come tali". I suoi testi - molti dei quali pubblicati in Italia: Monocolture della mente, Bollati Boringhieri; Biopirateria, Cuen; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi; Terra madre, Utet, edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo; Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli; Le guerre dell'acqua, Feltrinelli - hanno rappresentato e rappresentano una vera "didattica" per il movimento no global. Sono testi dove Vandana Shiva pone l'accento sull'ecologia sociale come metodo di resistenza e di costruzione di alternative alle conseguenze di uno sviluppo fondato sulla distruzione ambientale che induce i paesi poveri a sottoscrivere e applicare i programmi di aggiustamento strutturale decisi dal Fondo monetario internazionale, che comportano sempre drastici tagli al welfare state e una politica di privatizzazione dei "beni comuni", come l'acqua, l'elettricita', i trasporti, le risorse naturali. Con i suoi vestiti colorati e un sorriso calmo, la "donna dell'Himalaya" ascolta e risponde senza fretta, camminando nel centro storico napoletano. Alla fine raggiungiamo un bar dove mediattivisti indipendenti e giornalisti preparano le telecamere, i registratori, le penne e i blocchetti e anche in questo caso vale il principio della condivisione. - Francesca Pilla: Lei ha contribuito a sviluppare in India un'ampia opposizione agli effetti della globalizzazione economica. Inoltre, ha spesso sottolineato la necessita' di un'allenza con i gruppi di attivisti nel Nord del pianeta. A che punto e' la tessituta della rete Nord-Sud? - Vandana Shiva: Tutti vogliamo convertire i discorsi in pratiche d'azione. Abbiamo pero' livelli e condizioni differenti. Questo non e' un problema, bensi' una risorsa. Ritengo che ogni luogo abbia il suo specifico livello d'interazione e discussione e non si devono imporre le proprie dinamiche di discussione ad altri. Con queste premesse dobbiamo costruire una rete di solidarieta' con il Sud e con i paesi dell'Est Europa unendo le energie, condividendo le esperienze e rispettando le differenze. E' su questa strada che gli attivisti occidentali devono combattere le proprie battaglie. Non si tratta di un soccorso etico o morale, ma di un meccanismo fondamentale per cambiare i giochi del potere. In questo momento, per esempio, i polacchi stanno tentando di difendere le loro fattorie che presto saranno risucchiate nelle logiche del mercato mondiale, ma i leaders politici di Varsavia fanno accordi per consentire l'espropriazione da parte delle multinazionale dell'agro-business. Una delle sfide del movimento dei movimenti e' riuscire a unire le forze dei paesi dell'Est con quelli del Sud del mondo per ribellarsi e difendere i propri spazi si autonomia. - F. P.: Cosa vuol dire in concreto? - V. S.: Certo non bastano gli appuntamenti internazionali, come possono essere i forum sociali continentali. In Occidente, ad esempio, e' importante modificare le azioni quotidiane, trasformandole in testimonianza politica. Decidere cosa comprare o mangiare, come vestirsi o viaggiare per esempio sono tutte azioni attraverso le quali si puo' fare politica e opposizione alle multinazionali. Devo ammettere che molti si stanno muovendo in questa direzione, ma non e' ancora abbastanza. Il cambiamento passa nel decentramento e nella diversificazione, deve cioe' creare pluralismo culturale e biologico in contrapposizione alla concezione di comunita' fondata sulla fabbrica, produttrice di monocolture insostenibili in natura e nella societa'. Difendere quello che hai e non consentirne la distruzione e' un bisogno primario per ogni individuo. Ma ripeto: voi in Occidente dovete riuscire a unirvi al Sud e all'Est dove il decentramento e la diversificazione ancora esistono. - F. P.: Certo e' un passaggio fondamentale, ma non cosi' scontato e automatico... - V. S.: In agricoltura il collegamento, il dialogo tra piccoli agricoltori e' un principio essenziale per portare avanti qualsiasi battaglia. Ritengo che questa sia la componente principale in ogni luogo: abbiamo bisogno che sia cosi' anche in Europa. Vedi, l'uniformita' e la centralizzazione sono alla base del degrado ecologico e sociale di tutto il pianeta. Un precesso "degenerativo" che, invece di fermarsi, si sta diffondendo nei paesi in via di sviluppo. Cosi' nel Sud, ma anche in Europa, invece di tendere alla differenziazione ci si uniforma al modello industriale e agricolo statunitense. La maggioranza dei cittadini europei non vuole un appiattimento delle politiche nazionali sulle logiche della globalizzazione economica. E tuttavia i governi europei costantemente disattendono le aspettative di una migliore qualita' della vita con una politica che, mentre induce a credere nella possibilita' di riforme sociali, propone parallelamente l'asservimento delle comunita' locali alle grandi multinazionali. Attualmente, coesistono due sistemi: la monocoltura statunitense e i sottosistemi della diversita'. Molti studiosi, e io con loro, sono convinti che il secondo modello sia piu' produttivo. L'Europa e' seduta al centro, cosi' puo' ancora decidere di andare verso la diversita', la democrazia, il rispetto delle differenze o, al contrario, verso la monocoltura. - F. P.: Nella prima settimana di luglio a Napoli si terra' il secondo appuntamento dei gruppi e delle associazioni per costruire il Forum sociale del Mediterraneo di Barcellona. Le difficolta' di riunire attorno a un tavolo realta' cosi' diverse, come possono essere quelle italiane, libanesi, tunisine, alegrine, spagnole appare enorme... - V. S.: Ogni politica innovativa costruisce le proprie basi secondo le condizioni di attuabilita' in un dato momento storico. Non penso che bisogna essere disfattisti e insicuri in quello che organizziamo, ma guardare il contesto e cogliere il potenziale. Ci sono dei problemi nel Mediterraneo come ci sono in India. In ogni situazione esiste un potenziale, ma puo' essere raccolto solo attraverso la nostra determinazione. Sono convinta che in nessun luogo ci saranno mai le condizioni ideali per coinvolgere le comunita'. Dipende molto da noi. Finche' le persone saranno creative e solidali, pronte a condividere le esperienze, potranno provocare uno piccolo cambiamento. Ma poi sappiamo che i piccoli cambiamenti possono crescere, irrobustirsi, germineranno e i nuovi germogli inizieranno a fiorire. La transizione alimenta cioe' se stessa. Per troppo tempo in politica si e' adottata una parola che non posso sopportare: "posizione". La realta' non e' una posizione, e' un processo. "Posizione" e' una parola artificiale, io non ho una posizione, il mio e' un cammino, un percorso, un impegno in divenire. Raccogliamo i frammenti dei processi, le evoluzioni. Tutti noi non siamo esseri stagnanti con posizioni immutabili. E' necessario comprendere quali energie possiamo mettere in campo e capire chi e che cosa e' agli antipodi della nostra idea di societa'. Personalmente, ritengo le multinazionali alimentari agli antipodi della mia comunita' e le combatto, mentre posso convivere con i contadini e i loro piccoli commerci. Sbaglia chi propone la chiusura, l'assenza del mercato. I contadini nelle piu' isolate regioni dell'Himalaya hanno costituito un mercato, fondato sul baratto e' vero, ma questo dimostra che nessuna societa' e' mai stata totalmente chiusa. - F. P.: I progetti del futuro? - V. S.: Partecipo a una commissione sul futuro alimentare organizzata in Toscana che crede in una politica della diversita', della localizzazione ed e' contraria all'agricoltura biochimica. I gruppi impegnati nei lavori, un team globale con i principali attivisti del mondo, stanno cercando di costruire difese per il futuro contro lo sviluppo distruttivo e l'ecologia del terrore. L'idea e' quella di formare una commissione mondiale e spingere i governi a promuovere la diversita'. Poi c'e' la battaglia in India contro la privatizzazione dell'acqua. Da un anno e mezzo abbiamo dato vita a un movimento chiamato "water liberation" per la difesa della sovranita' comunitaria sull'acqua. Il mese scorso abbiamo conseguito un successo contro la privatizzazione del fiume Shivnat costringendo il governo a rescindere il contratto con la Coca cola. Un progetto che prevedeva un'imponente diga che avrebbe spostato tutti i villaggi, nel raggio di due miglia dalle rive del fiume. Le donne si sono battute per un anno, poi la corte suprema ha deciso di sostenere le comunita' locali, definendo il piano un'appropriazione illegale. Ora stiamo cercando di impedire la privatizzazione delle rive del Gange. Una societa' francese ha intenzione di prelevare 635 milioni di litri per spostarli nelle condotte di Dheli. Contrastiamo anche il megaprogetto di 200 miliardi di dollari per spostare il corso naturale della maggioranza dei fiumi indiani. Far confluire l'acqua nelle grandi citta' e nelle aree industriali significherebbe sottrarre un bene primario per dieci anni alle comunita' lungo la riva. Per il prossimo futuro invece uno degli appuntamenti cui partecipero' sara' la mobilitazione per fermare il Wto, che si riunira' a Cancun in settembre. Il primo obiettivo degli attivisti globali e' infatti fermare il Wto prima che renda irreversibili i meccanismi che mettono in ginocchio i contadini e i piccoli produttori nel Sud del mondo. - F. P.: Lei si e' battuta contro le guerre contro l'Afghanistan e l'Iraq, condotte in nome della lotta al terrorismo. Lei cosa pensa del concetto di guerra preventiva? - V. S.: La parola terrorismo ha un significato complesso. Terrorismo e' un sistema che porta appunto terrore e diffonde paura. Il terrorismo arriva nell'economia indiana e trascina via con se' le sicurezze dei contadini, li catapulta con forza nella societa' del XXI secolo. L'11 settembre tutti gli occhi erano puntati sulle due torri del World trade center che crollavano. Molti hanno scritto parole toccanti sulle vittime delle Twin Towers. Quell'impeto di commozione e solidarieta' ha coinvolto anche me. Quel giorno io ero in un piccolo villaggio tra le montagne, chiamato Evisa. E quel giorno 23 persone sono morte di stenti. Sottrarre le risorse alle comunita', avere coscienza di provocarne la morte fisica, spingere i contadini a coltivare per il mercato e' terrorismo a banda larga, e' la profonda e permanente violenza quotidiana in ogni societa'. L'11 settembre e' un giorno solo e ha distrutto due palazzi in una citta'. La globalizzazione e' l'11 settembre ogni giorno, in ogni momento. 4. PROPOSTE. LUCIANO CAPITINI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE [Ringraziamo Luciano Capitini (per contatti: capitps at libero.it) per questo intervento. Luciano Capitini e' impegnato nel Movimento Nonviolento, nella Rete di Lilliput, e in numerose altre esperienze e iniziative nonviolente] Si', occorrera' inventarsi qualcosa... parliamone. 5. PROPOSTE. DIEGO COZZUOL: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE [Ringraziamo Diego Cozzuol (per contatti: sito at bandieredipace.org) per questo intervento. Diego Cozzuol fa parte del coordinamento della campagna Pace da tutti i balconi (sito: www.bandieredipace.org), di cui e' stato uno degli ideatori] Volevo cogliere l'occasione per comunicarvi e soprattutto condividere con voi le motivazioni che hanno spinto noi del coordinamento della campagna "Pace da tutti i balconi" a invitare i cittadini a mantenere esposta la bandiera della pace anche oltre la fase "mediaticamente visibile" del conflitto iracheno. I mesi di osservazione "da vicino" del fenomeno, i molti contatti avuti col trascorrere del tempo, ci hanno restituito un volto della campagna molto diverso da come lo avevamo immaginato il 15 settembre 2002. Allora l'obiettivo sperato era unicamente quello di riuscire grazie al lavoro di diffusione locale dell'iniziativa e delle bandiere da parte delle associazioni e ong nazionali che a mano a mano davano la loro adesione, a stimolare un fenomeno che potesse diventare un sufficiente strumento di pressione politica contro la scelta scellerata di una partecipazione italiana al conflitto in Iraq. Quando ad un certo punto le bandiere hanno cominciato a comparire dappertutto e i numeri sulla diffusione sono diventati astronomici, ci siamo resi conto che non solo non era piu' possibile, ma perdeva anche senso tentare di "governare" o cercare di "pilotare" il fenomeno. Non eravamo piu' di fronte ad una campagna nel senso classico del termine ossia una mobilitazione collettiva che attende indicazioni da un coordinamento, ma di fronte ad un gesto che rappresentava una presa di coscienza civica da parte dei cittadini, un simbolo attraverso il quale ognuno poteva esprimere il suo consenso al valore fondamentale ed alto della pace. La bandiera ormai si diffondeva per canali autonomi, ma la cosa a dir la verita' non ci ha preoccupati, anzi, e' il fine ultimo di ogni campagna raggiungere la presa di coscienza personale dei cittadini. In questo senso, non "funzionando" piu', la campagna ha funzionato in pieno. L'impatto politico c'e' stato e si e' dimostrato molto piu' forte di quello da noi preventivamente sperato proprio quando il fenomeno ha perso la sua fase "pilotata" o "indotta" dall'alto, per configurarsi come un'autoaffermazione di volonta' dei cittadini "dal basso". La prova evidente di cio' e' che a tutt'oggi molti non sanno nemmeno dell'esistenza di una campagna e di un coordinamento, nemmeno all'interno delle associazioni, ma allo stesso tempo nessuno ignora l'importanza del fenomeno. (per prendere atto di cio' che comunque e' stata la campagna basta visitare il sito www.bandieredipace.org). Giunti a questo punto inoltre non potevamo piu' dire che tutte le bandiera della pace esposte rappresentassero a senso unico una protesta contro il conflitto iracheno. * Per molti la propria bandiera ha fatto comprendere che il mondo e' costantemente ferito da conflitti e che i conflitti nascono da ingiustizie che si perpetrano spesso a causa del nostro stile di vita. Per altri le bandiera al balcone sono divenute persino uno stimolo sempre presente a gesti di pace nella propria casa, nella propria famiglia. Per altri ancora la propria bandiera ha svelato l'animo del proprio vicino, in bene e talvolta in male. Un ampio panorama di queste "letture" e "motivazioni" della bandiera lo possiamo trovare sfogliando il database messo a disposizione da Peacelink, nel quale 13.500 persone hanno segnalato la propria bandiera appesa con la possibilita' di lasciare per l'appunto un commento (http://db.peacelink.org/volontari/search2.php?id=5). * Ecco allora la questione: se le bandiere sono diventate strumento espressivo fortemente personale, se ogni bandiera rappresenta una declinazione personalizzata della parola "pace", se ogni cittadino l'ha esposta compiendo un gesto completamente attivo e responsabile e per questo veramente civico (finalmente), come possiamo credere di detenere l'autorita' necessaria per "dare indicazioni"? Ogni cittadino e' stato libero di esporla; ogni cittadino decidera' il momento del ritiro a seconda della motivazione con la quale l'ha esposta. Chi l'ha esposta contro la guerra all'Iraq e crede che la guerra sia finita, l'ha gia' tolta. Chi l'ha esposta contro la guerra all'Iraq e ha capito che la guerra non e' terminata, la tiene ancora esposta. Chi ha capito che di guerra nel mondo si muore ogni giorno la terra' esposta ancora per molto. Chi ha esposto la bandiera perche' ha capito che la pace e' la via del mondo di domani la terra' al proprio balcone a vita. Non sembri questa una posizione un po' deresponsabilizzata da parte nostra, e' piuttosto una scelta che vuole rispettare la presa di coscienza dei cittadini e pone completa fiducia in loro. Una posizione che si preoccupa di scongiurare qualsiasi "manipolazione" delle bandiere, anche magari fatta in buona fede e con le migliori intenzioni. * E a quanto pare la cosa funziona: non e' assolutamente incredibile che ci siano ancora tante bandiere che continuano a sventolare dai balconi di ogni citta' e paesino? A questa motivazione sopra descritta ne aggiungo un altro paio molto importanti. Se percorriamo infatti il fenomeno, ci rendiamo conto che la bandiera ai balconi ha avuto estrema efficacia sia perche' e' esteticamente bella e armoniosa, e quindi capace di auto-pubblicizzarsi, ma soprattutto perche' e' rimasta sui balconi in maniera costante. Come avrebbe potuto incidere la bandiera della pace esposta per uno o per qualche giorno? E proprio questa esposizione costante l'ha trasformata da simbolo a testimone della volonta' di pace di chi l'ha esposta, per chi l'ha esposta e per chi la vede. Le bandiere esposte pur diminuite di numero continuano a "lavorare" in maniera ininterrotta, efficace, implacabile, invitando con la loro presenza ad operare per instaurare una cultura della pace. Ha senso depotenziare questa testimonianza ancora in atto facendole togliere dai balconi? Ancora, bisogna che consideriamo che, oltre a tutte le guerre attualmente in corso, e' in fase avanzata di preparazione un nuovo conflitto che si inserisce nella stessa linea strategica che ha portato al conflitto Iracheno e che per le stesse dinamiche coinvolgera' nuovamente da vicino il nostro paese, ovvero una guerra contro l'Iran. Non ha senso che proprio dalle associazioni e dai movimenti impegnati per la pace partano segnali di "abbassamento della guardia". * Queste motivazioni a mio avviso sono gia' sufficienti per superare il disagio di carattere prettamente estetico della progressiva scoloritura dovuta all'esposizione al sole. In ogni caso non credo si possa lanciare un invito a togliere le bandiere dai balconi motivandolo con il solo fatto che sotto il sole estivo sbiadiscono. E' un motivo un po' troppo "debole". Ognuno di noi in questi mesi si e' preso cura della propria bandiera senza che nessuno glielo suggerisse: l'ha ristesa dopo che il vento l'arrotolava sul davanzale o sulla ringhiera della terrazza, l'ha lavata quando era sporca. Non c'e' bisogno di tutori o consiglieri per queste cose. Per lo stesso motivo, credo che chi vuole tenere esposta la bandiera a lungo valutera' se ad un certo punto la bandiera troppo scolorita non vada sostituita con una nuova. Per molti cittadini il valore simbolico che ha assunto la bandiera della pace al proprio balcone val bene un'annuale spesa di 5 euro per una bandiera, parte dei quali poi vanno come offerta a qualche associazione. * Per il motivo poi della testimonianza continuativa sopra descritta, e per l'oggettiva impossibilita' di avvisare tutti i cittadini italiani su una data o su piu' date, direi che non ha forse tanto senso che sprechiamo energie a riguardo. Il gesto della bandiera ha funzionato e continua a funzionare; lasciamolo stare e evitiamoci la preoccupazione di "gestirlo": e' un segno che oramai e' stato compreso, assimilato e fatto proprio dai cittadini. Se come associazioni e movimenti intendiamo renderci solleciti nei riguardi della bandiera deve essere casomai per difenderne il valore trasversale e universale, per garantire ai cittadini una difesa nei riguardi di eventuali manipolazioni del simbolo dai vari "centri di potere" di turno, da eventuali attacchi di diffamatori da parte di qualche media... Queste sono cose senz'altro alla nostra portata e delle quali i cittadini necessitano. * Veramente utile e urgente sarebbe invece cercare come movimenti e associazioni impegnati per la pace di ingegnarci a trovare altri e nuovi messaggi e gesti intelligenti. Piu' pragmaticamente, visto che infilare un altro successo pari alla bandiera e' oggettivamente difficile, non sarebbe male trovare delle modalita' unitarie di azione. Tipo cominciare a collaborare tutti con qualche iniziativa sotto il segno della bandiera della pace. Come potete prendere atto dal contributo di Mariagrazia Bonollo [apparso sul notiziario di ieri], la formula adottata per l'Arena di Pace possiede le credenziali per diventare una modalita' di proposta locale in continuita' con le bandiere ai balconi. Noi come coordinamento ci abbiamo creduto e continuiamo a crederci. Trasportare questa formula nel locale, pur in maniera opportunamente ridotta, con la sua modalita' propositiva a 360 gradi sui vari temi e ambiti legati alla pace significa dare ai cittadini la possibilita' di approfondire e radicare le motivazioni a favore della pace, di conoscere ambiti nei quali impegnarsi attivamente, di vedere in faccia e stringere legami con persone della medesima sensibilita'. "Arene" o Piazze di Pace che dir si voglia da proporre da parte delle associazioni e realta' locali su un canovaccio o un'impostazione generale ma realizzabili in maniera autonoma e personalizzata a seconda delle sensibilita' locali sono a nostro avviso una possibilita' proponibile e alla portata, e avrebbero il pregio di riferirsi strettamente alla bandiera e rimotivarla. Questa e' una proposta, ma non deve essere ne' l'unica ne' pretende d'essere esaustiva. Insomma, concludendo, il senso della nostra posizione e': lavoriamo tutti per offrire nuove motivazioni e occasioni di approfondimento e impegno per la pace ai cittadini, ma lasciamoli completamente padroni del loro segno. Queste nostre osservazioni e riflessioni sono il risultato di nove mesi di esperienza, di osservazioni e di contatti quotidiani con persone, associazioni, istituzioni ed enti locali sul fenomeno. 6. PROPOSTE. MARIO DI MARCO: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE [Ringraziamo Mario Di Marco (per contatti: mdmsoft at tin.it) per questo intervento. Mario e' responsabile degli obiettori di coscienza in servizio civile presso la Caritas diocesana di Viterbo, ed e' uno dei fondamentali punti di riferimento a Viterbo per tutte le persone di volonta' buona] Pur avendo esposto la bandiera a partire da dicembre scorso, quando ancora "non era di moda", l'ho tolta gia' da diversi giorni proprio perche', come dice Lidia Menapace, temevo divenisse abituale vederla e quindi perdesse il valore che aveva avuto, derivato da precise circostanze. Ritengo dunque opportuno esporla per sottolineare messaggi specifici e penso che l'inizio delle stagioni ed il 2 giugno possano andar bene, ma, accanto a queste date, ne andrebbero individuate altre, comunque importanti. Ad esempio penso che nel nostro Paese sia opportuno esporre le bandiere anche nella settimana di Natale e in quella di Pasqua, anche se non tutti sono cristiani credenti. 7. PROPOSTE. GIANFRANCO E ISA MONACA: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE [Ringraziamo Gianfranco e Isa Monaca (per contatti: giamo at everyday.com) per questo intervento. Gianfranco e Isa Monaca, costruttori di pace, collaborano alla bella rivista "Tempi di fraternita'" (sito: www.tempidifraternita.it); un bel profilo biografico di Gianfranco e' nel sito www.astilibri.com] Ci siamo consultati in casa e siamo del parere di lasciare le bandiere (noi ne abbiamo tre) appese come si trovano, e se si va in vacanza si portano e si appendono nell'albergo o pensione o seconda casa o agriturismo o bed & breakfast o dove si va. E' importante pero' dirlo e motivare la decisione: la bandiera della pace non si ammaina. Sul palazzo del Quirinale mica si toglie la bandiera nazionale? E se si rovina o si stinge, banissimo, la si puo' sempre rinnovare. Ma, ripetiamo, bisogna farlo sapere a tutti, nei limiti del possibile (stampa nazionale e locale e porta a porta). 8. PROPOSTE. ENRICO MORGANTI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE [Ringraziamo Enrico Morganti (per contatti: pov1934 at iperbole.bologna.it) per questo intervento. Enrico Morganti e' presidente del Centro servizi volontariato bolognese] Sono d'accordo con quanto riportato dal n. 592 della newsletter. Quello che Lidia Menapace propone, lo abbiamo fatto ad inizio giugno. 9. PROPOSTE. GIORDANO REMONDI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE [Ringraziamo Giordano Remondi (per contatti: ed.camaldoli at lina.it) per questo intervento. Giordano Remondi e' monaco di Camaldoli, e limpido costruttore di pace] Sulla questione della bandiera della pace ancora esposta: 1. Noi l'abbiamo in tre posti: Eremo e Monastero di Camaldoli e poco piu' in basso le monache camaldolesi, a dieci chilometri. Essendo d'estate, col movimento che abbiamo, non mi pare logico toglierle e credo che siano intuibili i motivi. Oltretutto abbiamo un convegno sulla "Pacem in terris" per il ponte di Ognissanti. 2. Concordo con il dubbio pratico, ma altre soluzioni mi trovano incerto sulla loro opportunita', come altri hanno gia' detto. 3. Ma la guerra e' davvero finita? Lasciamo stare l'Iraq, perche' le sabbie mobili anche della nostra partecipazione italiana bisognera' che con l'autunno ci si dia una "regolata" per uscirne. E Israele-Palestina? E il Congo? tanto per non dimenticarci dei piu' grossi conflitti. 10. PROPOSTE. GIOVANNI SARUBBI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE [Ringraziamo Giovanni Sarubbi (per contatti: gsarubb at tin.it) per questo intervento. Giovanni Sarubbi, amico della nonviolenza, promotore del dialogo interreligioso, dirige l'eccellente rivista e sito de "Il dialogo" (www.ildialogo.org)] Non so chi ha avuto per primo l'idea delle bandiere per la pace ai balconi. Chiunque sia stato ha avuto una grande idea, semplice da mettere in pratica e coinvolgente. La gente ha capito immediatamente di cosa si trattava ed istintivamente ha aderito, senza tanti ragionamenti. Voler istituzionalizzare un movimento spontaneo, cresciuto con un porta a porta basato sull'emulazione di cio' che si vedeva fare agli altri, credo sia un errore. Lasciamo che la gente spontaneamente faccia cio' che crede della bandiera che ha esposto al proprio balcone. L'importante e' aver suscitato un vasto movimento di opinione a favore della pace. 11. RIFLESSIONE. MARIA G. DI RIENZO: GUERRALINGUA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] Ogni guerra e' guerra contro le parole, oltre che contro le persone. Nessun guerrafondaio si dichiarera' "fiero" degli effetti di una bomba a grappolo, ma sara' sicuramente "fiero" delle proprie truppe, del loro coraggio e delle loro "giuste" intenzioni. Quando una guerra finisce sotto i riflettori dei nostri media (quando ne viene scelta una, non quando ne scoppia una, perche' di quelle in corso non ci sta parlando nessuno), subito cominciamo a sentire discorsi in una sorta di neolingua. Nel famoso romanzo 1984 di George Orwell, la neolingua era un linguaggio politico disegnato allo scopo di restringere la capacita' di pensiero dei cittadini, al punto che essi non avevano termini per ideare liberamente alcunche'. In 1984 la liberta' e' definita come schiavitu', e la schiavitu' come liberta': questo per convincere ciascuno ad essere uno schiavo felice e consenziente. Non e' sorprendente, percio', che chi da' inizio alle guerre voglia restringere la capacita' di pensiero altrui al fine di ottenere accettazione e sostegno. Seguendo la lezione orwelliana chiamero' il loro linguaggio "guerralingua". Ogni guerra ha il suo vocabolario. * La seconda guerra mondiale introdusse nel linguaggio di tutti i giorni nuove parole come "blitz" il cui significato si e' poi distanziato da quello originario; inoltre, le sue suggestioni sono ancora all'opera: poiche' gli Usa facevano parte degli Alleati, e i nemici erano l'Asse, quest'ultima parola ha un fascino a cui Bush non sa resistere. L'Asse del Male non potra' mai divenire l'Alleanza del Male, anche se significa la stessa cosa. Forse a causa della sua dichiarata temperatura, la Guerra Fredda ha lasciato meno tracce nel nostro vocabolario, tranne che in quello di Berlusconi, che se non usa "cortina di ferro" o "muro di Berlino", vede "sovversivi rossi" e "complotti comunisti" dietro ogni angolo. La guerra di Corea ci ha portato il concetto di "lavaggio del cervello": l'unica spiegazione possibile per il crollo nervoso dei soldati statunitensi era che i coreani possedessero una segreta arma psicologica che "lavava" via dai loro cervelli tutto il magnifico addestramento bellico. La guerra del Vietnam ci ha lasciato in eredita' linguistica i "body bag" e il "fuoco amico". L'invasione della Cambogia fu riportata come "incursione" ed ufficialmente descritta come "azione di polizia" (il Presidente Usa poteva intraprendere un'azione di polizia senza l'approvazione del Congresso): i poliziotti erano talmente maldestri che due milioni di persone morirono durante questo ripristino della legalita'. * Il primo Premio Guerralingua va senz'altro, in ordine di tempo, al Colonnello dell'aeronautica statunitense che, nel 1974, disse ai giornalisti: "State sempre a dire che bombardiamo, bombardiamo, bombardiamo. Non e' un bombardamento, e' sostegno aereo alle truppe". La guerralingua e' stata particolarmente prolifica nel costruire sostituti dei verbo "uccidere": spazzare via, eliminare, neutralizzare, ecc., nel tentativo di rendere i campi di battaglia, nel nostro pensiero, meno disturbanti. Notate, prego, che si tratta di termini (come per "danno collaterale") che si riferiscono in origine a qualcosa di inanimato, o di "meno" che umano. Nessuno vuole pensare di star uccidendo altri esseri umani, neppure quando lo fa. Inoltre, la guerralingua ha inventato le "parole camaleonte", quelle che cambiano colore a seconda di chi le dice: i cosiddetti "irregolari", ovvero combattenti non identificabili immediatamente da un'uniforme, possono essere "guerriglieri" o "terroristi" se prendono il governo e cio' non piace agli Usa (Nicaragua), ma se sono irregolari spalleggiati dagli Usa stessi diventano "contras" (sempre Nicaragua). I terroristi di un paese diventano i combattenti per la liberta' di un altro paese... Pensate: fino alla guerra del Vietnam, i nomi delle "operazioni" erano tenuti segreti sino al completamento delle stesse, come per "Operation Overlord" che si riferiva allo sbarco in Normandia. A partire dalla prima guerra del Golfo (Operazione Scudo nel Deserto, Tempesta nel Deserto) non solo sono immediatamente pubblicizzati, ma vengono creati con criteri di marketing. Ovviamente "Operazione Liberta' Duratura" e' piu' attraente di "Operazione Ammazza i Terroristi". E inneggiare alla liberta' dell'Iraq ottiene maggior sostegno che chiamare una guerra "Operazione rovescia il governo iracheno e impadronisciti dei pozzi di petrolio". La guerra del Golfo ha seminato nel nostro linguaggio le "bombe intelligenti", gli "interventi chirurgici" (sembra quasi che un dottore stia guarendo il bersaglio, invece che distruggerlo), i "bombardamenti di precisione" e, come detto, i "danni collaterali"; la questione che questa terminologia solleva e' la seguente: se i bombardamenti sono cosi' precisi e chirurgici, com'e' che ci sono i "danni collaterali"? Nella guerra all'Iraq, le armi biologiche e chimiche sono diventate "armi di distruzione di massa", nel tentativo di focalizzare la nostra attenzione sui loro terrificanti risultati, anziche' sulla loro natura. * Naturalmente, tali operazioni linguistiche non sono limitate alle guerre. L'uso della parola "liberta'" in Italia e' diventato osceno da quando se ne e' appropriata la destra: la liberta' del mercato, la liberta' dell'impresa, ad esempio, riferiscono a concetti del lavoro umano lo status di "soggetti agenti", quasi di figure umane. Ma sono gli esseri umani a potere e dover esercitare le loro liberta', non i loro prodotti. Un altro esempio e' la mutazione dei "licenziamenti" in "ristrutturazione dell'azienda". Quando ci si trova a spasso con la lettera di licenziamento in tasca, dev'essere di vero conforto pensare che non ci hanno, in realta', dato una pedata nel didietro come pensiamo: siamo stati semplicemente "ricollocati"... 12. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: IL NOSTRO PRESIDENTE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 giugno 2003. Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste] Quella parte del popolo italiano che crede nell'etica repubblicana cui eravamo giunti dopo il 1948 non capisce che il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi abbia firmato la legge che salva Silvio Berlusconi dal processo di Milano. Non mette in dubbio che egli abbia rispettato la lettera della procedura nei molti interventi fatti sulla proposta governativa, per emendarla dei suoi aspetti meno presentabili; cosi' aveva fatto anche con la legge Cirami. Ma le ha emendate, queste leggi, per farle passare, per lubrificare le intemperanze di una maggioranza che lede il senso comune dei cittadini - stavolta in quel principio elementare per il quale tutti sono uguali davanti alla legge. Si era sperato che il presidente intervenisse a bloccare la "Casa delle liberta'" almeno quando esagera, magari avvertendo il premier in tempo dei limiti che il Colle considerava invalicabili, evitando cosi' il clamore d'un rinvio alle camere. Ciampi non l'ha fatto, ci ha detto, per salvare l'onorabilita' del premier mentre sta per assumere anche la presidenza del semestre europeo. E qui non siamo a un problema di procedure ma di giudizio morale e politico. Morale perche' pensa dunque cosi' male o di Berlusconi o dei magistrati da ritenere che sarebbe stato senz'altro condannato. Politico perche' sbaglia se crede di salvare in questo modo l'onorabilita' dell'Italia e del suo governo. Capisco che un capo dello stato non si trova nella condizione piu' agevole per sentire quel che si pensa di noi in Europa: non e' a lui che vanno a dire quel che dicono a noi semplici cittadini. Dicono che siamo un paese senza vergogna, che abbiamo un premier che non ha il senso della decenza, domandano: come permettete che questo avvenga? non vi sentite umiliati? * Il nostro presidente della Repubblica di questo non ha contezza, cosi' come, se ha fatto ieri un gesto di cortesia verso il ministro Pisanu, svillaneggiato dalla Lega che ne chiede le dimissioni, non sembra turbato dall'immagine di se' che da' un governo quando considera al piu' delle battutacce quelle della Lega, che domandano di "contrastare attivamente" con i mezzi della Marina militare i barconi degli infelici che cercano di approdare alle nostre coste. E questo mentre almeno duecento cadaveri stanno fluttuando a sud della Sicilia, e non sono i primi e di questo passo non saranno gli ultimi. Il nostro presidente si commuove sull'evento rappresentato dalla Costituzione europea, la quale su questo punto rimanda spensieratamente alle leggi di ogni stato, per cui per l'Italia la Bossi-Fini va benissimo, anzi potra' peggiorare se cosi' vorra' la "Casa delle liberta'". * Carlo Azeglio Ciampi e' molto attento alla lettera della Costituzione, che, e' vero, non gli concede molto. Lo e' anche se talvolta la forza un poco, come e' stato nel caso della guerra all'Iraq, quando di fatto l'Italia l'ha votata sotto la copertura di un eventuale permesso delle Nazioni Unite che avrebbero messo sotto i piedi la carta propria e quella della Costituzione. Non e' della sua correttezza che si puo' dubitare, e' sulla sua cultura che bisogna riflettere. E' un modesto conservatore, che ha resuscitato i riti piu' tradizionali della patria e fa sventolare su tutta la penisola migliaia di bandiere dal colore rettificato, ma non si interroga sui principi morali della cittadinanza e della convivenza cui eravamo arrivati, con gran parte dell'Europa, e che stanno prima e a monte della Costituzione. E che la crudelta' della globalizzazione rende piu' pressanti. Una cultura e' piu' che una legge, la si ha o non la si ha. Interventi e assenze, parole e silenzi del nostro presidente parlano della sua. 13. INFORMAZIONE. ROBERTO BURLA: APERTO IL SITO DELLA CARITAS DIOCESANA DI VITERBO [Ringraziamo gli amici della Caritas di Viterbo per questa buona notizia. Don Roberto Burla e' direttore della Caritas diocesana di Viterbo, e un amico molto caro. Il sito della Caritas diocesana e' www.caritasviterbo.it] Come ha detto il Santo Padre, la pace passa anche "attraverso innumerevoli gesti di pace". L'apertura del sito web della Caritas diocesana, avvenuta in questi giorni, e' innanzitutto uno di questi gesti, semplice ma probabilmente necessario per chi, volendo essere vicino ai problemi degli uomini, e' chiamato a parlare gli stessi linguaggi, compreso quello di internet, il piu' diffuso nel villaggio globale. In tal modo la Caritas, come vuole il suo statuto, si impegna nella promozione della testimonianza della carita' in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell'uomo, della giustizia e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica. Come ci si puo' aspettare, il sito porta sul web l'identita', la struttura, l'organizzazione e le attivita' della Caritas diocesana ed allo stesso tempo apre una finestra sui grandi temi planetari che interpellano la coscienza dell'uomo di oggi, quali la pace, la giustizia, le vecchie e nuove poverta', i problemi dello sviluppo, l'immigrazione. Ma non ci si vuole limitare al solito statico depliant cibernetico da visitare una volta e basta, bensi', oltre a garantire un aggiornamento frequente su cio' che accade, il sito offre a tutte le realta' no-profit viterbesi (ma anche ad istituzioni ed altre entita' interessate) un nuovo strumento per la promozione delle proprie attivita': "Appuntamenti di pace". Si tratta di un calendario comune destinato a raccogliere gli annunci, gli appelli e qualche notizia circa le iniziative locali che si svolgono dentro e fuori il mondo ecclesiale viterbese nel campo della pace, della giustizia e della solidarieta'. In tal modo chi organizza le iniziative puo' capire quali sono le date migliori per proporle, evitare sovrapposizioni e magari coordinarsi con altre realta' per raggiungere gli obiettivi in modo piu' efficace. Chi invece e' interessato a partecipare a tale genere di iniziative potra' contare su un quadro organico e aggiornato che, quando raggiungera' una certa consistenza, sara' diffuso anche via e-mail ed in forma cartacea. Invitiamo dunque tutti a visitare il sito e, in particolare, ci rivolgiamo alle realta' che operano nel campo della solidarieta', della pace, della giustizia sociale, della difesa dei dirittti, a farsi presenti sin da subito segnalandoci le iniziative gia' programmate o anche solo comunicandoci la propria e-mail e l'eventuale sito web. 14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 15. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 595 del 28 giugno 2003
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