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La nonviolenza e' in cammino. 593
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 593
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 25 Jun 2003 21:29:36 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 593 del 26 giugno 2003 Sommario di questo numero: 1. Daniele Lugli: sulla proposta di Lidia Menapace per le bandiere della pace 2. Paolo Oddone: sulla proposta di Lidia Menapace per le bandiere della pace 3. Vittoria Oliva: sulla proposta di Lidia Menapace per le bandiere della pace 4. Enrico Peyretti: sulla proposta di Lidia Menapace per le bandiere della pace 5. Lidia Menapace: lavoro e diritti dopo il referendum 6. Giulio Vittorangeli: note di un viaggio in Nicaragua 7. Rossana Rossanda interroga Maria Luisa Boccia su femminismo e sinistra 8. Norma Bertullacelli: sui gradini del palazzo 9. Eduardo Galeano: campioni 10. Rletture: Sibilla Aleramo, Una donna 11. Riletture: Grazia Deledda, Cosima 12. Riletture: Matilde Serao, Saper vivere 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. PROPOSTE. DANIELE LUGLI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE PER LE BANDIERE DELLA PACE [Ringraziamo Daniele Lugli (per contatti: daniele.lugli at libero.it) per questo intervento. La proposta cui si fa riferimento e' apparsa sul notiziario di ieri. Daniele Lugli e' il segretario nazionale del Movimento Nonviolento, e persona di squisita gentilezza e saggezza grande] Mi pare una buona idea. La propongo al coordinamento del Movimento Nonviolento ed ai vari organismi in cui siamo presenti. 2. PROPOSTE. PAOLO ODDONE: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE PER LE BANDIERE DELLA PACE [Ringraziamo Paolo Oddone (per contatti: warnews at kontrokultura.org) per questo intervento. Paolo Oddone e' coordinatore di "Warnews", che svolge un prezioso lavoro di informazione e documentazione sui conflitti bellici in corso (sito: www.warnews.it)] Sulla proposta di Lidia Menapace mi permetto di fare una proposta. Secondo me non si puo' chidere alla gente una cosa macchinosa come ricordarsi gli inizi di stagione o una qualche altra periodicita', in breve resterebbero pochi convinti e tanti indifferenti dimenticherebbero la bandiera nel cassetto. La cosa piu' semplice e immediata sarebbe, a mio avviso, stabilire, in accordo con tutti i gruppi pacifisti del mondo, una settimana per la pace all'anno, in occasione della ricorrenza di un evento simbolico ( ad esempio andrebbe bene il ricordo di un "effetto collaterale" che ha ucciso molti civili in una guerra contemporanea). In questa occasione, oltre ad esporre tutti le bandiere, si potrebbero organizzare incontri , convegni, dibattiti, mostre ecc. E magari organizzare anche raccolte di fondi a favore dei movimenti pacifisti che operano nelle zone di guerra. 3. PROPOSTE. VITTORIA OLIVA: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE PER LE BANDIERE DELLA PACE [Ringraziamo Vittoria Oliva (per contatti: huamboparanoico at tin.it) per questo intervento. Vittoria Oliva e' impegnata nell'esperienza informativa de "L'avamposto degli incompatibili"] Le bandiere della pace non debbono essere tolte. Si scoloriranno, si sbrindellerano, ebbene? Spendiamo tanti soldi per innumerevoli sciocchezze in occidente, si possono ricomprare le bandiere della pace, e' anche un sistema per autoifinanziarsi. E' anche un sistema per sapere quanti siamo convinti veramente della necessita' della pace, al di la' delle divergenze; se c'e' una guerra duratura perche' non ci debbono essere sempre le bandiere della pace? 4. PROPOSTE. ENRICO PEYRETTI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE PER LE BANDIERE DELLA PACE [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica (ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente] Capisco l'istanza che muove la proposta di Lidia Menapace e Giovanni Catti. La trovo un pochino complicata: 1) ad ogni cambio di stagione bisognerebbe fare una campagna pro-memoria, con esito incerto, perche' dimenticare e' facile; 2) una comparsa ogni tre mesi resta poco visibile, troppo diradata. * Per quel che puo' valere, faccio una proposta analoga e diversa: esporre la bandiera ogni fine settimana, ogni sabato e domenica (piu' le altre feste, se ti piace). Vantaggi: 1) e' piu' facile da ricordare, puo' diventare buona abitudine; 2) la comparsa ha un ritmo piu' serrato, e' piu' visibile; 3) la successione abbastanza ravvicinata - sui sette giorni - di esposizione-ritiro accentua la visibilita' del segno dato, tolto, rinnovato; 4) la frequenza settimanale della comparsa indica la costante attenzione e vigilanza degli espositori della bandiera. La quale, ricordiamolo a tutti, e' unica tra tutte le bandiere, nella storia umana: tutte le altre indicano patrie, eserciti, squadre, simboli di parte, appartenenze parziali e contrapposte, e sono spesso inferocite da simboli bestiali, o da croci militarizzate (come Erasmo denunciava), o da stemmi signorili; questa nostra e' la bandiera di tutti i colori, di tutte la parti, di tutti i popoli, di tutte le idee che vogliono convivere con le altre. Esclude soltanto chi esclude e si esclude. Abbiamo creato - meglio: ravvivato e moltiplicato - un archetipo profondo, un simbolo piu' grande e potente di quello che potevamo pensare all'inizio. Si', c'e' la bandiera dell'Onu, ma non e' cosi' diffusa e, in questo momento, non e' cosi' significativa, anche se sarebbe giusto che lo diventasse. Che ve ne pare? * Post scriptum. Con orgoglio: la mia e' esposta da novembre o dicembre (sicuramente prima di Natale), fissa tra cielo e terra da 7-8 mesi, e quali mesi! Ora non la rimuovo. La togliero' e la rimettero' solo quando ci sara' un sufficiente accordo sui tempi. 5. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: LAVORO E DIRITTI DOPO IL REFERENDUM [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001] Non ho mai apprezzato la cosiddetta "strategia referendaria" e considero l'alluvione dei referendum una sciagura e una pericolosa superficialita'. Ho pero' appoggiato con grande convinzione da subito il referedum sull'estensione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori alle piccole imprese. La prima ragione e' che col sistema maggioritario la migliore delle leggi (e le leggi nella loro articolazione sono certo in genere meglio del referendum che e' rozzo e non articolato) resta bloccata dalla maggioranza e dunque il referendum diventa lo strumento principe per sbloccare la situazione di stallo. Non e' la stessa cosa svuotare il parlamento in regime di proporzionale nel quale gll equilibri sono piu' mobil e incerti e nel maggioritario, che e' dato e non muta. Tuttavia difendo sempre la posizione che la legge del referendum propone: voto favorevole, voto contrario, astensione. Ma astensione, nel caso dei referendum, non significa disinteresse, bensi' che si considera la materia proposta non adatta al referendum. Se, per fare un esempio banale, qualcuno volesse sottoporre a referendum la misura della rete del tennis o del campo da calcio, la Corte potrebbe ammettere il quesito dato che non e' contro legge, ma il corpo elettorale potrebbe far capire ai proponenti che la materia non e' da referendum e quindi dare suggerimento di non votare. Dunque chi ha detto di non andare a votare considera l'estensione dell'art. 18 un particolare di poco conto? E su questo giudizio concordano governo, Ds, Margherita, Confindustria, Cisl e Uil? mi pare preocupante e vedo nell'incontro avvenuto subito dopo l'esito negativo del referendum, tra sindacati e confidustria, una ripresa di "concertazione" che probabilmente era il segreto desiderio di chi ha dato indicazione di astenersi. Era meglio dirlo, in democrazia i segreti fanno male. * Ma noi che abbiamo sostenuto il referendum abbiamo fatto tutto bene? Evidentemente no, anche se abbiamo raggiunto un quarto dell'elettorato e lo abbiamo trovato favorevole al quesito. Se si fosse raggiunto il quorum, l'estensione era certa. Ma in che abbiamo sbagliato? Credo che d'ora in avanti nulla che sia proposto da un solo soggetto possa aver successo nell'opinione di sinistra: bisogna sempre essere piu' proponenti alla pari, non raccattare via via adesioni. E' un altro modo di raccogliere forze, azioni e consenso, una pratica politica che non puo' piu' avere la forma un po' militarista delle "alleanze". In cio' abbiamo sicuramente sbagliato. A mio parere anche nella rappresentazione delle aziende interessate, che non sono piu' a base quasi famigliare, ma spesso imprese ad altissimo livello di tecnologia con personale di alto livello culturale e scolastico: e' un mondo che spesso non conosciamo e il cui rapporto con il sindacato di categoria e' difficile: si profila un passaggio come quello da operaio di mestiere al fordismo e dal fordismo all'operaio massa e dall'operaio massa al toyotismo e oggi a un rapporto piu' slegato e personale: ci manca una analisi aggiornata, mi sembra, su come e' fatto il rapporto col lavoro. E prima di tutto ci manca (o manca ai piu' in quanto sempre un po' patriarchi) una analisi della presenza ruoli tempi e forme del lavoro delle donne. Qui vediamo insieme il massimo di "arcaismo" (licenziamenti per maternita' o matrimonio, per rifiuto di accettare per buone le molestie) e il massimo di "avanzatezza" (alti livelli di scolarita' e competenza delle donne, permanenza di ruoli domestici, fine dello stato sociale, fortissima pressione per il "ritorno a casa delle donne" - fino ai sondaggi commissionati per far dire ai bambini che vogiono la mamma ad occuparsi dl loro tutto il giorno). * Siamo al confronto tra Il disegno di chi non vuole l'estensione dei diritti e l'avvio di una stagione nella quale bisognera' declinarli non in forma astratta e rigida, ma personalizzata e garantita come diritto uguale. Insomma non e' finita, come non e' finita la guerra di Bush e cominciano le imbarazzanti domande sulle sue bugie a proposito di armi irachene di distruzione di massa. Anche da noi conviene tenere aperte le domande sull'estensione del diritto al lavoro, ancorarlo nel Trattato costituzionale europeo (dove non c'e', sostituito da un risibile "diritto di lavorare") ecc.ecc. Con gli undici milioni di voti raggranellati si puo' fare molta strada non senza preoccuparsi di una opinione pubblica di destra che sta organizzandosi (come rivela la manifestazione della destra a Parigi contro gli scioperi del pubblico impiego, quasi una marcia dei 40.000). 6. TESTIMONIANZE. GIULIO VITTORANGELI: NOTE DI UN VIAGGIO IN NICARAGUA [Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it) e' uno dei fondamentali collaboratori di questo foglio, una delle figure piu' belle della solidarieta' internazionale, una delle persone migliori che ci e' capitato di incontrare nella vita] Gli incontri, svolti come coordinamento nazionale dell'Associazione Italia-Nicaragua, rappresentano un punto di vista "privilegiato" da cui osservare il Nicaragua. Sono un confronto aperto con quanto di vivo resiste, lotta ed incarna il conflitto sociale: organizzazioni sindacali, collettivi di donne, studenti, ong, associazioni di lavoratori, alcadie, ecc. ecc. Come dire la parte viva della societa' (intelligenza, capacita' critiche e antagoniste), erede del migliore sandinismo, portatrice di messaggi di speranza pur tra le mille difficolta'. Con una riflessione comune a tutti, sulle questioni socio-economiche legate al processo della globalizzazione neoliberista che prevede, per il continente americano, la creazione di un unico "mercato libero", di cui potranno beneficiare soprattutto i produttori nordamericani. Il riferimento costante e' al piano regionale centroamericano denominato Plan Puebla Panama (Ppp), visto come strumento per rilanciare l'Accordo continentale del libero commercio (Alca). * C'e' comunque un limite evidente nelle esperienze e nei movimenti che abbiamo incontrato, legato al fatto che non riescono a trovare la forza e, soprattutto, la compattezza necessaria. Comprensibile, visto che la sconfitta delle opposizioni politiche centroamericane (eredi dei movimenti di liberazione degli anni '80) ha lasciato i Paesi centroamericani in una situazione di delusione, particolarmente evidente in Nicaragua, dove la sfiducia e' generalizzata e le possibilita' di mobilitazioni sono minime, in una societa' in cui le battaglie quotidiane sono spesso legate alla sopravvivenza. Forte e' la sensazione di un popolo stanchissimo e senza speranza, molto timoroso e fatalista. Resta la convinzione che a questo popolo e' stato fatto pagare pesantemente l'aver osato alzare la testa con la rivoluzione sandinista. Certo il Fronte Sandinista (Fsln, come partito) ha messo del suo, e non e' poco, a partire dalla sconfitta elettorale del febbraio 1990. Inevitabilmente, viene il momento storico nel quale il mondo di chi sta attorno pone domande decisive e la risposta o e' giusta o e' sbagliata, nel senso che fara' crescere o spegnere la speranza di cambiamento. La risposta dell'Fsln e' stata in questo senso sbagliata, per questo l'alternativa della sinistra sandinista sembra poco praticabile, schiacciata fra l'eccessivo protagonismo del leader Daniel Ortega e l'atteggiamento affaristico e speculativo di molti dirigenti. * L'altro aspetto che colpisce, fortemente, ed in senso negativo, e' la perdita di memoria della esperienza sandinista, e l'estrema velocita', la rapidita', di come questo e' avvenuto: appena 13 anni fa in Nicaragua si chiudeva l'esperienza della rivoluzione sandinista, che tante speranze aveva suscitato nel mondo intero. Nel nome della "pacificazione" si e' fortemente "dimenticato", come se gli avvenimenti appartenessero ad un'altra epoca o ad altre genti. La sensazione e' quella di trovarsi davanti ad una societa' smemorata, pochissimo interessata al suo recente passato rivoluzionario. Questo problema dell'evanescenza della "memoria storica" ha, peraltro, dei punti in comune (pur con le dovute grandi differenze) con quanto succede da noi. Pensiamo alle giovani generazioni, anche nelle loro componenti piu' politicizzate sotto il segno no-global (un movimento che non a caso ha molto piu' a che fare con coordinate spaziali che non temporali), e non e' una sensazione rassicurante (ne' qui in Italia, ne' la' in Nicaragua), perche' segnala la rottura di un tessuto simbolico di esperienze storiche e significati ad esse connessi che nessuna "istituzione" sembra in grado di ricucire. * Il Nicaragua di oggi e' un paese a due velocita', dove contemporaneamente convivono il primo e il terzo mondo. Da una parte la ricchezza di una minoranza di ricchi e ricchissimi. L'oligarchia tradizionale, quella padrona delle terre, e quella entrata in Nicaragua dopo la prima sconfitta elettorale del Fronte Sandinista nel 1990. Dall'altra la poverta' e la miseria di una maggioranza di poveri e poverissimi. Cosi' la composizione sociale sta assumendo la figura di una clessidra, dove i poveri diventano sempre piu' poveri e dove i ricchi s'arricchiscono ancora di piu'. Alla fine, il contrasto stridente tra queste due realta' provoca uno spaesamento che si fa ancora piu' forte pensando alla rapidita' con cui la divisione si e' creata. In poco piu' di dieci anni, l'esperienza rivoluzionaria sandinista e' stata letteralmente fagocitata da un modello di sviluppo diametralmente opposto, e il Nicaragua e' diventato il secondo paese piu' povero dell'America Latina, dopo Haiti. Il volto della poverta' e dell'abuso e' rappresentato dalla condizione delle donne, e ha la faccia dei bambini, ancora piu' indifesi. Infatti, se il contesto del Paese e' fragile, la situazione delle donne e' ancora piu' fragile, a causa della pratica e di una cultura di discriminazione e sfruttamento maschilista. La rivoluzione del 1979 aveva mutato molti aspetti della condizione femminile, ma il ritorno di un'economia neoliberista di sfruttamento rende arduo il lavoro delle tante organizzazioni di donne che cercano di mantenere le conquiste degli anni '80, integrandole con le rivendicazione di Pechino. 7. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA INTERROGA MARIA LUISA BOCCIA SU FEMMINISMO E SINISTRA [Dal sito de "La rivista del manifesto" (www.larivistadelmanifesto.it) riprendiamo questa intervista di Rossana Rossanda a Maria Luisa Boccia apparsa nella citata rivista nel fascicolo n. 3 del febbraio 2000. Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste. Maria Luisa Boccia e' docente di storia della filosofia politica all'Universita' di Siena, e vicepresidente del Centro studi per la riforma dello Stato; tra le opere di Maria Luisa Boccia: L'io in rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, 1990; (a cura di), La legge e il corpo, 1997; (con Grazia Zuffa), L'eclissi della madre, 1998; La differenza politica, 2002] - Rossana Rossanda: Tentiamo un punto dei rapporti tra femminismo e sinistra. La sinistra ha detto a lungo che il femminisimo era uno dei suoi "nuovi soggetti". Questo non ha giovato alla chiarezza. Se ho ben capito, il femminismo ha messo in causa non il "che cosa" della politica ma il "come" della politica. E non e' sempre di sinistra lo sbocco cui arriva. - Maria Luisa Boccia: Una premessa. Occorre distinguere fra un pensiero comune del femminismo, che ha ormai una sedimentazione e consistenza, e le sue diverse anime divenute riconoscibili nel tempo. Nel movimento nascente l'esigenza primaria di rendere chiaro il conflitto ci ha indotto a mettere l'accento su quel che c'era in comune piuttosto che su quel che ci distingue e magari ci divide. Voglio dire che parlo da una certa posizione, non biografica, ma teorica e politica. - R. R.: Di una femminista formatasi nella sinistra? - M. L. B.: Si'. Il rapporto con la sinistra e' stato decisivo per la generazione centrale del femminismo, che e' stata la mia, formatasi nella vicenda del '68. Non penso che sia un dato biografico o sociologico, attiene a qualcosa di piu' profondo, iscritto nella storia dell'emancipazione. Questa ha ormai due secoli, nei quali emancipazione femminile ed emancipazione sociale si sono strettamente intrecciate. Nascono insieme, cominciano con la Rivoluzione francese, traversano assieme tutto l'Ottocento, Marx e il movimento operaio. Insomma si incrociano nel bene e nel male. - R. R.: Perche' nel bene e nel male? - M. L. B.: Nel bene perche' producono grandi trasformazioni nella condizione delle donne e anche nella loro soggettivita'. Nel male perche' il problema delle donne viene letto come una delle questioni sociali fra le altre. Il movimento operaio pensa che sia l'ordinamento sociale a produrre la condizione femminile. E' vero il contrario: ogni ordinamento sociale si configura a partire dal rapporto tra uomo e donna, per millenni e' concepito come rapporto tra superiore e inferiore. Ed ha al centro la sessualita' e la procreazione, non i ruoli sociali. - R. R.: Intendi dire che la divisione dei ruoli e' essa stessa una proiezione del rapporto originario fra uomo e donna? - M. L. B.: Voglio dire che il rapporto fra i sessi, la differenza sessuale, impronta sia i codici sociali sia la materialita' della vita. La mia generazione ha incontrato la "questione femminile" nel Pci come un capitolo, piu' o meno importante, della questione sociale. Ma non e' cosi'. Non si spiega il rapporto fra i sessi aggiungendolo nel meccanismo di questa o quella formazione sociale. La relazione fra i sessi non e' una delle relazioni sociali, le donne non sono un soggetto sociale, unificato dagli interessi o dal ruolo. Su questo il femminismo degli anni Settanta opera una cesura radicale. - R. R.: E la sinistra non l'ha accettata? - M. L. B.: La sinistra ne e' inevitabilmente messa in questione. Noi femministe abbiamo posto un'esigenza di revisione in senso forte del modo con il quale la politica formulava la questione delle donne. Piu' esattamente, la teoria democratica della politica, perche' la sinistra prende corpo in essa, ne articola premesse e sviluppi, ne usa vocabolario e concetti. Il nostro discorso non e' un capitolo in piu' del testo democratico. Ne scompagina il lessico. - R. R.: Ricordo la discussione nei gruppi su che cosa viene prima, il rapporto fra i sessi o il rapporto di produzione. - M. L. B.: Appunto. Anche nel Pci e perfino fra le donne era diffusa una critica a noi femministe: eravamo soggettiviste, privilegiando la sessualita', privilegiavamo questioni private cui sono sensibili le elites. E qualche forzatura o rischi di questo tipo ci sono stati. Ma il vero interrogativo che si doveva affrontare era: il discorso che sta emergendo fra le donne parla solo di esse o dell'intera societa'? E' fondato? Perche' emerge ora? La nostra risposta e' che il modo col quale si e' costruito il confine fra privato e pubblico e' decisivo per analizzare una societa', e quindi per governarla. Se non si riconsidera che cosa riguarda il governo pubblico, alla luce del mutare delle relazioni personali, per esempio dei rapporti familiari, non c'e' ordine. Come ha scritto Carol Pateman, le teorie politiche della modernita', dal seicento ad oggi, ci raccontano una parte della storia, quella del contratto sociale, e tacciono su quella del contratto sessuale. Questo silenzio e' all'origine della distinzione fra privato e pubblico, che "ordina" le societa' moderne. Questo "ordine" il femminismo lo ha messo in causa. - R. R.: A lungo e' stato considerato privato anche il rapporto fra capitale e lavoro. Marx lo immette nel politico e rideclina la politica in questa ottica. Voi non avete detto che "il privato e' politico"? - M. L. B.: Noi abbiamo detto che "il personale e' politico". E' importante la differenza. La nostra formulazione mette in questione sia il privato sia il politico, per come si sono costituiti. E lo fa a partire dalle pratiche soggettive, dalle modificazioni di se' e delle relazioni. Quando affermiamo "la sessualita' e' politica", intendiamo che quel che accade fra un lui e una lei, come singoli nella loro casa, dove l'occhio pubblico non dovrebbe entrare, e' politica. E facciamo politica su questo. Certo, c'e' stato anche un travisamento quando si e' voluto trasferire il nostro assunto - la sessualita' e' politica - nelle sedi istituzionali e nei codici, per esempio affidando al giudice di decidere che cosa sia lecito, e "politicamente corretto" o no, in quel che accade fra un uomo e una donna; penso alla legge sulla violenza sessuale, le molestie sessuali. Non funziona il puro e semplice trasferimento di queste problematiche al piano istituzionale, a cominciare dai codici linguistici, da quelli del diritto. Non dico che essi non hanno piu' alcun senso, dico che vanno problematizzati. Quando una parte del femminismo ha cercato questo passaggio sul terreno istituzionale, ha "tradito" una delle nostre piu' importanti acquisizioni: l'alfabeto stesso dei codici societari e' sessuato al maschile. - R. R.: Non e stata una presa di coscienza tranquillizzante. - M. L. B.: Soprattutto e' avvenuta nel vivo d'una vicenda che ci modificava, non in una accademia. Parlo di me. Sono cresciuta da emancipata, dando per scontati i vantaggi dell'emancipazione, senza interrogarmi sul mio esser donna e sui miei rapporti con le donne. Quando ne ho preso coscienza ho dovuto riattraversare tutta la mia formazione, il mio essere marxista e comunista, e capire perche' avessi tagliato, considerandole irrilevanti, questioni decisive, a cominciare dal fatto che prima di essere comunista e intellettuale ero una donna. - R. R.: E che cosa cambia quando si capisce che si e' prima di tutto una donna? - M. L. B.: Ti rispondo con le parole di Virginia Woolf ne "Le tre ghinee". Dovunque ci troviamo, a scuola o in tribunale, alle corse o in casa, in un partito o in uno stato, dobbiamo pensare che cosa e' la civilta' in cui viviamo, e perche' prendervi parte. Quale spazio vi ha una donna, a quali aspettative e' assegnata? Questa presa di distanza e' l'estraneita'. L'estraneita' non e' indifferenza, non e' astensione, non e' ritiro aventiniano nei luoghi "protetti" del separatismo, come spesso la si e' voluta intendere. Non significa pensare e pensarsi in un altro mondo, il mondo e' questo, e' uno, e le donne sono in esso dovunque. Questa e' stata la grande trasformazione rispetto ai secoli andati, e non l'ha prodotta soltanto il femminismo, viene dalle guerre mondiali, dalla presenza crescente nel lavoro e nelle attivita' extradomestiche, che mutano il rapporto intimo, non solo esteriore, di una donna con la femminilita'. Ed e' in questo scenario che sorge l'interrogativo sulla differenza dei sessi. Perche' delle due l'una: o dell'esser donna non sappiamo che farcene (ma a questo molto resiste, il corpo resiste) oppure dobbiamo significare diversamente noi stesse e il mondo, e come parteciparvi. Dobbiamo - dice la Woolf - ripensarlo, rinominarlo, farlo nostro. Questa e' stata la rivoluzione della differenza. Non ha i canoni delle rivoluzioni politiche perche' il suo obiettivo non e' il potere. E infatti e' partita dai paesi, e dalle fasce sociali, dove le donne non pativano piu' una discriminazione evidente, erano gia' in una condizione di parita'. - R. R.: Pensi che un uomo si senta maggiormente in continuita' con la sfera pubblica? - M. L. B.: Penso di si', anche se detto cosi' e' troppo semplice. E poi un mutamento radicale in un sesso non puo' non riflettersi anche nell'altro sesso. E infatti la crisi del maschile e' tema di discorso e rappresentazione anche da parte degli uomini. Ma si declina prevalentemente nelle relazioni private, nella coscienza di se', non nella sfera pubblica, mentre io credo che fra crisi della politica e crisi del patriarcato ci sia piu' di un collegamento. - R. R.: Ma che significa che le donne debbono ripensare se stesse? Non si rischia di riproporre la femminilita' tradizionale come valore? Oppure non c'e' una tentazione di essenzialismo? - M. L. B.: Non credo che vi sia un'identita' femminile originaria, misconosciuta, su cui poggiare la differenza. Intendiamoci: il femminismo ha riattraversato la vicenda delle donne, mettendo in luce il loro apporto fondamentale; ad esempio ha dimostrato come il lavoro di riproduzione sociale, non calcolato ne' retribuito, sia condizione della produzione. Ma e' vero che in questa lettura hanno preso forma alcune tendenze essenzialiste, ad esempio quella che chiamo "femminilizzazione del riformismo", che ha segnato fortemente il rapporto fra femminismo e Pci, in particolare nella Carta delle donne, elaborata alla fine degli anni '80, per iniziativa di Livia Turco. Il Pci, facendo propria la teoria della differenza, e' stato chiamato a riformulare la sua politica, e infatti si e' parlato allora di un partito "di donne e di uomini". Per un verso e' stato un riconoscimento importante della soggettivita' femminile, delle relazioni fra donne, dell'autonomia della loro elaborazione, insomma del patrimonio politico prodotto dal femminismo nella differenza. Per altro verso, questa innovazione si traduce nel declinare in politica compiti tradizionalmente "femminili", dei quali le donne sono chiamate a farsi carico nel governo pubblico: il lavoro di cura, l'assistenza ai deboli, dall'infanzia agli anziani. Cosi', con rare eccezioni, sono stati attribuiti i ministeri nei governi di centrosinistra. Fin dall'elaborazione della Carta questa riduzione della differenza ai contenuti tradizionali della femminilita' ha visto alcune di noi in aperto conflitto. - R. R.: Tu dirigevi la rivista "Reti". Perche' l'hai chiusa prima che il partito ne decretasse la fine? - M. L. B.: Era una fine. Era ormai conclusa una fase di scambio fecondo, anche se non privo di ambiguita'. Nel passaggio dal Pci al Pds il fraintendimento e' ancora piu' forte, con due conseguenze: una, che si arresta nelle sedi politiche l'elaborazione femminile prodotta da quel diverso sguardo sul mondo che e' l'estraneita'; l'altra, che il protagonismo femminile e' sempre piu' orientato alla competizione per il potere anche tra donne. - R. R.: E' questo "sguardo diverso" che vi induce a denuciare nel documento "La porta di vetro", firmato da te, Gloria Buffo e Ida Dominijanni, la crisi della politica? - M. L. B.: Questa crisi e' manifesta da tempo. Negli anni '70 la politica ha vissuto delle convulsioni, ma e' stata ancora ricca, mentre negli anni '80 ha ristagnato in una separazione crescente dalla societa' che subiva modificazioni importanti anche se di segno diverso. Negli anni '90 questa divaricazione e' diventata rovinosa. Ma e' stato diverso per la politica delle donne: negli anni '80, il femminismo ha continuato a crescere, ha prodotto teoria, libri, riviste, convegni, centri, con un rapporto non subalterno alle istituzioni, ha coinvolto donne piu' giovani. E' negli anni '90 che la crisi investe anche noi, che avevamo visto e nominato prima e meglio di altri la crisi dei partiti, del rapporto societa'/stato. Penso a un Convegno del Crs nel 1993 ("Voce e silenzio. Le donne nella crisi politica degli anni '90"), dove mettevamo a fuoco i principali punti di sofferenza della politica: essa era sempre meno capace di rappresentare la societa' e le sue modificazioni, e con questo andava in tilt il sistema di delega e scambio fra sfera istituzionale e soggetti ed esperienze sociali. Il meccanismo della rappresentanza si e' rivelato asfittico, riducente e omologante. Non e' che non rappresenti le donne, perche' saprebbe rappresentarle soltanto come gruppo di interesse, e le donne non sono un gruppo di interesse, sono in tutte le classi. E' che non sa piu' rappresentare neanche i gruppi sociali, perche' dovunque si fanno piu' complessi, esprimono bisogni che alla lettera non vengono compresi dai meccanismi politici attuali. Mi limito a citare la questione della singolarita' della persona o individuo, da sempre sottovalutata nella sinistra e sempre piu' al centro di controversie decisive. Se a bisogni come questi o altri la sinistra non da' risposta, altri daranno soluzioni magari regressive. Penso all'enfasi sulla personalizzazione, dal maggioritario al partito del leader, al presidenzialismo, al governo del premier. E' tutto un tentativo di sostituire i meccanismi di rappresentanza con quelli di identificazione. - R. R.: Il sistema politico non accetta la vostra critica? - M. L. B.: Si chiude a riccio. Ma con questo approfondisce la sua crisi. Che vi sia un deficit di rappresentanza e' ormai un'evidenza. Vale per i partiti come per lo stato. Ma invece di chiedersi perche' il tradizionale edificio della democrazia mostra crepe da tutte le parti, la sinistra si affanna a difenderlo. Si e' scordata quel che il Pci sapeva della democrazia, come praticarla e criticarla. - R. R.: Si puo' obiettare che questa non rappresentativita' ha anche radici diverse, non sta tutta nell'oscuramento del contratto sessuale. - M. L. B.: Come sempre gli intrecci sono molti. Ma non sono affatto disposta a considerare il silenzio sul rapporto fra i sessi una causa fra le altre. E' il silenzio originario, averlo eluso e' il primo peccato di distanza dalla realta', che attraversa le civilta' e conforma i codici. L'attuale sterilita' della politica viene da qui. Il rapporto piu' profondamente modificato e' quello fra uomo e donna, investe tutta la societa, la cambia. - R. R.: Una parte del femminismo cavalca pero' le soluzioni che il ceto politico si da', e anche la parte che non le apprezza tende a valorizzare il mercato rispetto alla politica. Molte femministe si dichiarano finalmente libere dalla catalogazione "a sinistra" e c'e' chi scopre che il capitale d'impresa puo' dare uno sbocco alla "liberta' femminile". - M. L. B.: Una parte delle donne, e non solo nel Pds, ha visto nella crisi delle forme politiche un'occasione per mettere a frutto in riforme concrete il nostro patrimonio critico. Ma qui di nuovo s'e' operata una cesura: tutte le iniziative volte a rendere le istituzioni piu praticabili per le donne sono risultate, alla fine, un modo di inserirsi nel gioco del potere, adeguandosi alle sue regole. Ci sarebbe un bilancio da fare, nessuna puo' farlo da sola. Certo in questo tornante l'intera geografia del femminismo italiano e' cambiata. - R. R.: Non sottovaluti l'89? - M. L. B.: No, e' stata una grande cesura. Ho scritto su "Reti" che non si poteva considerare la fine del Pci e del comunismo - assimilati alle idee e storie dei "socialismi reali" - un contributo alla liberta' femminile. Eppure e' quanto hanno dichiarato molte donne per motivare il loro consenso con Occhetto. Per me il nodo era e resta un altro: perche' i partiti comunisti non hanno assunto fino in fondo Marx come un grande pensatore della liberta'? Perche' hanno sottolineato l'eguaglianza, fino a ritenere che ai suoi fini la liberta' si dovesse sacrificare? - R. R.: E' che Marx e' un pensatore delle condizioni materiali della liberta', e la liberta' di possedere gli strumenti di produzione istituisce un rapporto diseguale fra datore di lavoro e lavoratore. Quest'ultimo nel rapporto di produzione non e' libero. Non metterei dunque un prima e un dopo fra uguaglianza e liberta'. Ma per tornare alla crisi della politica, mi pare che nella vostra analisi si riduca il peso che il politico continua ad avere. Se e' in crisi la rappresentanza, non lo e' il potere. Il politico non cessa di decidere, e dalla societa' non gli viene altra risposta se non il disinteresse mentre decide, e poi un crescere dell'indifferenza al momento di votare. Pensa alla guerra nel Kosovo. - M. L. B.: Io distinguo tra politica e potere, anche se questo appare a molti, e forse anche a molte, una astruseria o un'ingenuita'. Ma la politica e' grande quando non e' solo o anzitutto lotta per il potere. Penso alla distinzione di Mario Tronti tra grande e piccolo Novecento. La politica e' stata la lingua unificante nella prima parte di questo secolo: ha permesso di riconoscere differenze e civilizzare il conflitto, anche nelle forme terribili della guerra. E' questa dimensione civile, simbolica della politica che ha dato misure e senso al potere e alla lotta per il potere. Oggi il potere politico viene esercitato da un ceto arrogante perche' autoreferenziale, incapace di darsi misura. Ti chiedo: le decisioni che esso prende, anche quelle grandi come la guerra, testimoniano di una sua egemonia, per dirla con una parola forte della tradizione di sinistra? A questo potere e' riconosciuta autorita'? Detto altrimenti, quanto oggi la decisione della sfera politica incide nel governo della societa' o quanto esso procede da altre fonti, per altre vie e con altri codici? Rispetto ai saperi politico-tecnologici, le decisioni del Politico sono spesso in posizione seconda: vengono dopo, ne sono in buona misura determinate. Per esempio, e' quanto accade nella procreazione. Per la guerra andrebbe fatta una riflessione analoga. Io non credo che decidere una guerra sia segno di forza, di ritorno alla grande politica. Il potere politico e' oggi piu' pericoloso perche' e' debole. - R. R.: Si potrebbe discutere. C'e' nel discorso del femminismo che tu rappresenti una coerenza, ma nello stesso tempo una grande distanza fra il radicalismo dei principi e la capacita' e perfino la voglia di intervento. Il politico consegna all'economia il governo della societa', o appunto la guerra alla Jugoslavia. E il femminismo non interviene. O almeno non in modo da stabilire condizioni. Non sottovaluto la pressione: non c'e' stata una opinione di massa contro la guerra, e tanto meno contro la devoluzione dei meccanismi regolativi della societa' al mercato. Mi limito a dire che le donne o tacciono o condividono. Eppure non si tratta di scelte astratte, incidono sulla vita materiale, corporea di gran parte della gente e del mondo. O questo vi e' indifferente? - M. L. B.: Non lo penso affatto. Obietto: dove mi debbo collocare per comprendere, scegliere e anche incidere, se e come posso? Non mi convince che mi debbo collocare il piu' vicino possibile al Politico; per intenderci, sporcarsi le mani, partecipare nelle sue sedi e farsi coinvolgere nel suo gioco. Prendere distanza non vuol dire indifferenza ne' condanna all'impotenza; permette anzi di riscoprire una verita': la politica non si riduce al Politico. Ed e' la politica che abbiamo bisogno di reinventare. Nei partiti attuali, nessuno escluso, essa non si respira piu'. Non credo che "difenderli" consenta di reintrodurla. E' patetico e insieme disperante il gran parlare di perdita di identita' o di anima che si fa a sinistra. Ma non vi e' partito che sappia come ricominciare ad essere societa', non soltanto ad evocarla. La politica non dovrebbe ricominciare dalle pratiche di modificazione, di conflitto nei luoghi delle esperienze effettive? Altrimenti come "contare"? Hai parlato di debolezza dell'opinone contraria alla guerra. Ma questo non e' dovuto all'assenza di un fare politico concreto nei luoghi delle relazioni ed esperienze sociali concrete? Come puo' prender corpo una opposizione forte e visibile di fronte a una decisione di questa importanza, se la politica non e' piu' intessuta alla vita ma si e' ridotta oltre "la porta di vetro"? Come abbiamo scritto in quel testo, oggi partecipare vuol dire perlopiu' schierarsi, pro o contro, per questo o per quello. A volte e' doveroso farlo e sulla guerra molti/e di noi l'hanno fatto, hanno preso una posizione. Ma questo non da' forza di modificare e spostare altri ed altre; in ultima istanza non parla neppure al Politico. Piu' che schierarsi e' necessario produrre atti e parole che reintroducano la politica nel vivo degli scambi sociali. So che e' difficile, e assieme sembra troppo poco. Ma e' soltanto questo nesso che puo' condizionare i poteri, incidere sul Politico. 8. INIZIATIVE. NORMA BERTULLACELLI: SUI GRADINI DEL PALAZZO [Ringraziamo Norma Bertullacelli per questo intervento. Norma Bertullacelli (per contatti: norma.b at libero.it), insegnante, amica della nonviolenza, collaboratrice di questo foglio, e' impegnata nella "Rete controg8 per la globalizzazione dei diritti" di Genova] La guerra in Iraq continua (morti sei soldati inglesi due giorni fa; quanti iracheni non e' dato sapere). E continua a dimostrarsi inutile, perche' non ha affatto risolto il problema del terrorismo internazionale; illegale, perche' in contrasto con il diritto internazionale e con le leggi nazionali degli stessi stati partecipanti; criminale, perche' continua a provocare vittime innocenti. E continuano le trenta guerre sparse per il pianeta, quelle che "non fanno notizia". E si continua a morire di fame, di malattie curabili, di immigrazione. Consapevoli della sproporzione di mezzi, anche i pacifisti genovesi continuano a ritrovarsi ogni mercoledi' dalle ore 18 alle 19 sui gradini del palazzo ducale di Genova. E' un'iniziativa che si ripetera' anche oggi, per la settantatreesima settimana. 9. RIFLESSIONE. EDUARDO GALEANO: CAMPIONI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 giugno 2003. Eduardo Galeano e' nato nel 1940 a Montevideo (Uruguay). Giornalista e scrittore, nel 1973 in seguito al colpo di stato militare e' stato imprigionato e poi espulso dal suo paese. Ha vissuto lungamente in esilio fino alla caduta della dittatura. Dotato di una scrittura nitida, pungente, vivacissima, e' un intellettuale fortemente impegnato nella lotta per i diritti umani e dei popoli. Tra le sue opere, fondamentali sono: Le vene aperte dell'America Latina, recentemente ripubblicato da Sperling & Kupfer, Milano; Memoria del fuoco, Sansoni, Firenze; il recente A testa in giu', Sperling & Kupfer, Milano. Tra gli altri suoi libri editi in italiano: Guatemala, una rivoluzione in lingua maya, Laterza, Bari; Voci da un mondo in rivolta, Dedalo, Bari; La conquista che non scopri' l'America, Manifestolibri, Roma; Las palabras andantes, Mondadori, Milano] Durante quarantacinque anni, l'iracheno Ahmed Chalabi ha mangiato il duro pane dell'esilio. Per alleviare le proprie penurie ha fondato una banca, la Petra Bank, in Giordania. Quando la banca e' fallita Chalabi ha cambiato paese. Per strada e' evaporata una scia di cinquecento milioni di dollari e migliaia di azionisti svaligiati. Nel 1992 i tribunali giordani l'hanno condannato in contumacia a vent'anni di carcere e ai lavori forzati. In quello stesso anno e' nato a Londra il Congresso nazionale iracheno, e Chalabi e' stato consacrato leader dell'opposizione democratica contro la corrotta tirannia di Saddam Hussein. I risentiti, che non mancano mai, hanno cospirato contro di lui negli anni seguenti, e lo hanno accusato di essersi ritrovato in tasca alcuni dei contributi della Cia. In uno dei suoi atti di distrazione, secondo le denunce, Chalabi ha intascato quattro milioni di dollari. Nulla di tutto cio' ha impedito a Chalabi di diventare il consigliere prediletto delle forze che hanno recentemente invaso il suo paese. La sua collaborazione ha reso possibile agli invasori di mentire con ammirevole sincerita' prima, durante e dopo la macelleria che hanno messo in pratica. E il presidente Bush ha potuto confermare di aver scelto bene. Questo alleato pratica gli stessi costumi dei suoi amici nell'impresa Enron. Dal 1958 Chalabi non calpestava il suolo iracheno. Alla fine e' tornato. E' il cucciolo preferito delle truppe d'occupazione. * In Afghanistan il cucciolo prediletto delle truppe d'occupazione e' Hamid Karzai, che finge d'essere il presidente. Prima dell'Iraq, l'Afghanistan e' stato il pezzo di mappamondo scelto per i bombardamenti contro la Geografia del Male nel nuovo millennio. Grazie alla fulminante vittoria degli invasori, ora c'e' la liberta'. Per i narcotrafficanti. Secondo diversi organismi specializzati dell'Unione europea e delle Nazioni Unite, questo paese e' diventato il principale fornitore mondiale di oppio, eroina e morfina. Secondo le stime di questi organismi, nel primo anno della liberazione la produzione di droghe e' aumentata di oltre diciotto volte: da 185 tonnellate e' passata a 3.400, equivalenti a circa milleduecento milioni di dollari, e nei mesi seguenti ha continuato a crescere. Persino Tony Blair ha riconosciuto, nel gennaio di quest'anno, che dall'Afghanistan proviene il 95 per cento dell'eroina che si consuma in Gran Bretagna. Il governo di Karzai, che controlla solo la citta' di Kabul, lascia fare. Dei suoi sedici ministri, dieci hanno passaporto americano. Lui stesso, gia' funzionario dell'impresa petrolifera americana Unocal, vive circondato di soldati del Pentagono che gli dettano ordini e vigilano sui suoi passi e sui suoi sogni. Gli invasori dovevano fermarsi due mesi, aveva annunciato Karzai, ma sono ancora li'. Per l'appunto: gli incorruttibili guerrieri della lotta alla droga nel mondo si sono insediati in Afghanistan per garantire coltivazioni libere, frontiere libere, traffico libero. Della ricostruzione di questo paese distrutto gia' non si parla piu'. Ahmed Karzai, fratello del presidente virtuale e alto esponente del governo, si e' da poco lamentato: "Che cosa ci hanno dato? Niente. Il popolo e' stanco, e io non so piu' che dirgli". * Il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale non sparano missili. Con altre armi bombardano i paesi, li conquistano e occupano le loro rovine. Dopo aver sventrato l'Argentina, le due potenze hanno inviato all'inizio di quest'anno una missione speciale per rovistare tra i suoi conti. Uno dei membri di questa polizia finanziaria, Jorge Baca Campodonico, avrebbe dovuto occuparsi dell'evasione fiscale. Era un esperto del ramo. Sa molto sulle frodi perche' e' abituato a commetterne. Nel suo paese, il Peru', e' ricercato per vari procedimenti penali. Appena atterrato a Buenos Aires, la polizia l'ha catturato. Il Fondo monetario internazionale ha pagato la cauzione e ha investito una fortuna in avvocati per impedire l'estradizione del suo funzionario. * La Fifa, piu' o meno l'equivalente calcistico del Fmi, veglia sulla trasparenza del piu' lucroso degli sport. Ricardo Teixeira adempie a questa nobile missione in Brasile. Cosi' decise suo suocero, Joao Havelange, quando della Fifa era il re. Il Brasile, paese magico, produce giocatori prodigiosi, dirigenti milionari e club rovinati. Alla fine del 2001, dopo tre anni e duemilaquattrocento pagine di investigazioni da parte di due commissioni, il senato ha deciso di chiedere il processo a carico di Teixeira e di altri sedici dirigenti. Di conseguenza Joseph Blatter, che da Havelange ha ereditato il trono della Fifa, ha minacciato di ritirare il Brasile dai Mondiali del 2002 "se si continuera' a frugare in questi argomenti". Contro Teixeira c'erano prove in abbondanza: malversazioni, deviazione di prestiti, riciclaggio di denaro, evasione fiscale, falsificazione di documenti e un'altra ventina di delitti che avevano ingrassato il suo patrimonio personale e messo in ginocchio il calcio piu' vincente del mondo. Avrebbe dovuto trascorrere parecchie vite dietro le sbarre, non ci ha passato neanche un giorno. Teixeira continua a essere il signore della pelota del proprio paese. In piu', adesso occupa un incarico molto importante nella cupola della Fifa: e' il responsabile della giustizia e del gioco pulito nel calcio mondiale. * Non e' di calcio la Coppa del mondo che si disputa ogni anno nella citta' francese di Moncrabeau. Vi competono i migliori bugiardi del genere umano. Gli aspiranti alla corona giurano di dire la falsita', tutta la falsita', nient'altro che la falsita'. Questo articolo, che pure sottolinea i meriti di qualche possibile candidato, non menziona Silvio Berlusconi e Carlos Menem. Sono fuori concorso. Sono imbattibili. Giammai hanno corso il rischio di dire la verita', tutta la verita' o magari anche soltanto un minuscolo pezzettino della verita'. Per non uscire dai margini della legge, situazione un poco sgradevole, Menem l'ha comprata: l'ha comprata con i soldi che gli sono rimasti dalla vendita del suo paese. Berlusconi se ne e' fatta una per se': ha gettato nell'immondizia la legge vecchia e l'ha cambiata con una legge nuova, cucita su misura nella sartoria Italia. Berlusconi continua a governare. Menem e' stato licenziato dal popolo argentino. Ma presto o tardi riapparira', al servizio dell'umanita', dirigendo qualche organismo internazionale contro la corruzione, il narcotraffico e la vendita di armi. Ne sa parecchio. 10. RILETTURE. SIBILLA ALERAMO: UNA DONNA Sibilla Aleramo, Una donna, Torino 1906, Feltrinelli, Milano 1950, 1994, pp. XVI + 224, lire 10.000. Il primo romanzo di Sibilla Aleramo fu piu' che una ricerca, un programma e una testimonianza morale e civile, un'apertura attraverso cui un lucido punto di vista e un sentire denso e nitido di donna irrompeva nel corpo e nella storia della cultura ben piu' che nella letteratura italiana. 11. RILETTURE. GRAZIA DELEDDA: COSIMA Grazia Deledda, Cosima, nella "Nuova antologia", 1936, poi in volume presso Treves, Milano 1937, ora anche in Eadem, I grandi romanzi, Newton Compton, Roma 1993, pp. 955-1022 (questo volume contiene anche Il vecchio della montagna, Elias Portolu, Cenere, L'edera, Colombi e sparvieri, Canne al vento, Marianna Sirca, La madre, Annalena Bilsini, con una prefazione del recentemente scomparso Giacinto Spagnoletti, per complessive pp. 1.024, lire 9.900). E' l'ultimo romanzo della Deledda, apparso postumo, una appena lievemente velata autobiografia. 12. RILETTURE. MATILDE SERAO: SAPER VIVERE Matilde Serao, Saper vivere. Norme di buona creanza, Tocco, Napoli - Landi, Firenze 1900, Passigli, Firenze 1989, pp. VIII + 248, lire 16.000. Come sapeva bene Norbert Elias, se si leggessero i vecchi manuali di buone maniere, quante cose si capirebbero (ed anche, ci sia consentito dire, quante sciocchezze si eviterebbe di dire e di fare; e magari la si pianterebbe di spacciare per nonviolenza quella che e' solo buona educazione). 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 593 del 26 giugno 2003
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