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La nonviolenza e' in cammino. 591
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 591
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 24 Jun 2003 00:08:23 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 591 del 24 giugno 2003 Sommario di questo numero: 0. Comunicazione di servizio 1. Lidia Menapace ricorda Luigi Pintor 2. Luce Fabbri: la salvezza 3. Maria G. Di Rienzo: nell'alternativa non c'e' posto per la violenza 4. Enrico Peyretti: impegno di pace e critica della critica 5. Severino Vardacampi: la nonviolenza e' lotta. Contro tutte le violenze 6. Elisa Kidane: "Raggio", con occhi e cuore di donna 7. Augusto Cavadi ricorda Candida Di Vita 8. Angela Giuffrida: guardare il mondo con i nostri occhi 9. Giobbe Santabarbara: ancora 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 0. COMUNICAZIONE DI SERVIZIO Repetita iuvant. Ricordiamo che i nostri messaggi non contengono mai allegati. Ricordiamo anche a tutti i nostri interlocutori di aggiornare gli antivirus. 1. MEMORIA. LIDIA MENAPACE RICORDA LUIGI PINTOR [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per questo ricordo. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001. Luigi Pintor e' nato nel 1925 a Roma, fratello di Giaime, antifascista, giornalista a "L'Unita'" dal 1946 al 1965, parlamentare, radiato dal Pci nel 1969 per aver dato vita al "Manifesto", dapprima rivista e poi quotidiano su cui ha scritto fino alla scomparsa, alcune settimane fa. Straordinario corsivista politico, univa una prosa giornalistica di splendida bellezza ad un rigore morale e di ragionamento di eccezionale nitore. Opere di Luigi Pintor: I mostri, Alfani, Roma; Servabo, Bollati Boringhieri, Torino; Parole al vento, Kaos, Milano; La signora Kirchgessner, Bollati Boringhieri, Torino; Il nespolo, Bollati Boringhieri, Torino; Politicamente scorretto, Bollati Boringhieri, Torino; I luoghi del delitto, Bollati Boringhieri, Torino] Quando Luigi Pintor se n'e' andato - un po' piu' di un mese fa - ero "irreperibile" e non ho preso parte a nulla. Poiche' mi pare sempre giusto non lasciare che le memorie si spengano solo per disattenzione, ecco due parole su di lui, dal mio punto di vista. Del "gruppo storico" del "Manifesto" Luigi era quello con il quale ho avuto minore intrinsechezza, tuttavia un grande affetto. Era un uomo elegantissimo, sembrera' una osservazione frivola, ma non ho niente contro la frivolezza: mai un colore sbagliato, mai una disarmonia in un vestire povero e casuale - come si diceva -: pensate che cio' non esprima anche una specie di armonia interiore? era un pianista eccellente e un grande amante della musica e credo che il vestire cosi' "accordato" nella sua semplicita' avesse qualcosa a che fare con cio'. Ho avuto piu' familiarita' con i suoi figli, con Giaime soprattutto, che era un giovane tormentato, intellgente e bloccato da una parentela pesante e da un nome pesantissimo, e con la figlia pure timidissima silente. Che un padre come Luigi non fosse facile lo si puo' capire. Tra i dolori piu' cocenti della sua vita vi furono tutte le morti che lo hanno preceduto (il fratello, la moglie, i due figli): cosa che lo segno' nel profondo anche se secondo una etica molto severa non lo mostro' mai. Ma a me era molto legato in una maniera ritenuta e un po' sotterranea (tra una piemontese e un sardo si da' facilmente). * Ricordo le sue sferzanti lezioni di giornalismo ai ragazzi e ragazze che, non avendo soldi per tenere molte persone a pagamento nei mesi delle prime estati del giornale, invitavamo a fare pratica. Arrivavano da ogni dove, appassionati muti atterriti dalle statue famose che molti e molte di noi gia' erano, e stavano a sentire. La pedagogia di Luigi era feroce: quando d'estate ci sono quei giorni vuoti nei quali le agenzie ti danno solo le gare di nuoto, le temperature e chi ha vinto a bigliardino in Australia, si sedeva alla scrivania e con quel volto da tartaruga e gli occhi quasi sempre semichiusi, chiedeva se qualcuno avesse un argomento da proporre e al malcapitato che si lanciava in una lezione sui Sahrawi, dopo averlo ascoltato per dieci minuti con silenziosa imperturbabilita', rispondeva: "Hai proprio ragione, stamani dal giornalaio e sul bus tutti si domandavano: 'Ma che fanno i Sahrawi?'", e poi apriva gli occhi e aggiungeva: "Le notizie sono tali se le persone le accolgono, non se ci fai su' una lezione; e un articolo non e' un volantino". E comunque faceva vedere che studiando le agenzie qualcosa si trova sempre. Era tremendo. * Di personale ricordo che una volta ci incontrammo a un dibattito e mi domando': "Lidia, ti ho fatto qualche torto?", e alla mia negazione accompagnata dal dire che del resto se ricevo torti o ho bisogno di aiuto parlo, non mi tengo dentro nulla, mi disse: "Ti ho sognato un paio di volte che avevi bisogno di me e non arrivavo a fare nulla". Quasi quasi mi fece dispiacere di non avere nulla da chiedergli. Era per molti versi un uomo di cultura molto tradizionale, ma di una sensibilita' artistica che lo faceva capace di inspiegabili finezze come di giudizi sferzanti e impietosi. 2. MAESTRE. LUCE FABBRI: LA SALVEZZA [Questo frammento abbiamo estratto dall'intervista di J. M. Carvalho Ferreira a Luce Fabbri apparsa nei numeri 6 e 7 del 1997 e 1998 della rivista libertaria portoghese "Utopia" col titolo Entrevista a Luce Fabbri (in rete nel sito www.azul.net/m31/utopia). Luce Fabbri, pensatrice e militante anarchica, educatrice profonda e generosa, un punto di riferimento per tutti gli amici della dignita' umana e della nonviolenza. Nata il 25 luglio 1908, figlia di Luigi Fabbri (il grande militante e teorico libertario collaboratore di Errico Malatesta), dal 1929 in esilio dapprima a Parigi, poi a Bruxelles e via Anversa in America Latina, a Montevideo in Uruguay, ove da allora risiedera' (ma ancora sovente molto viaggiando); la morte la coglie il 19 agosto 2000, operosa fino alla fine, sempre attiva, generosa, mite, accogliente; sempre lucida, sempre limpida, per sempre Luce. Opere di Luce Fabbri: per un primo avvio segnaliamo l'ampia e preziosa intervista a cura di Cristina Valenti: Luce Fabbri, vivendo la mia vita, apparsa su "A. rivista anarchica" dell'estate 1998 (disponibile anche nella rete telematica alla pagina web: http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/247/22.htm ). Tra le sue opere in volume ed in opuscolo segnaliamo: a) scritti politici: Camisas negras, Ediciones Nervio, Buenos Aires 1935; (con lo pseudonimo Luz D. Alba), 19 de julio. Antologia de la revolucion espanola, Coleccion Esfuerzo, Montevideo 1937; (con Diego Abad de Santillan), Gli anarchici e la rivoluzione spagnola, Carlo Frigerio Editore, Lugano 1938; La liberta' nelle crisi rivoluzionarie, Edizioni Studi Sociali, Montevideo 1947; El totalitarismo entre las dos guerras, Ediciones Union Socialista Libertaria, Buenos Aires 1948; L'anticomunismo, l'antimperialismo e la pace, Edizioni di Studi Sociali, Montevideo 1949; La strada, Edizioni Studi Sociali, Montevideo 1952; Sotto la minaccia totalitaria, Edizioni RL, Napoli 1955; Problemi d'oggi, Edizioni RL, Napoli 1958; La libertad entre la historia y la utopia, Ediciones Union Socialista Libertaria, Rosario 1962; El anarquismo: mas alla' de la democracia, Editorial Reconstruir, Buenos Aires 1983; Luigi Fabbri. Storia d'un uomo libero, BFS, Pisa 1996; Una strada concreta verso l'utopia, Samizdat, Pescara 1998; La libertad entre la historia y la utopia. Tres ensayos y otros textos del siglo XX, Barcelona 1998; b) volumi di poesia: I canti dell'attesa, M. O. Bertani, Montevideo 1932; Propinqua Libertas, di prossima pubblicazione; c) scritti di storia e di critica letteraria: Influenza della letteratura italiana sulla cultura rioplatense (1810-1853), Ediciones Nuestro Tiempo, Montevideo 1966; L'influenza della letteratura italiana sulla cultura rioplatense (1853-1915), Editorial Lena & Cia. S. A., Montevideo 1967; La poesia de Leopardi, Instituto Italiano de Cultura, Montevideo 1971; Machiavelli escritor, Instituto Italiano de Cultura, Montevideo 1972; La Divina Comedia de Dante Alighieri, Universidad de la Republica, Montevideo 1994. Ad essi si aggiungono i saggi pubblicati nella "Revista de la Facultad de Humanidad y Ciencias" di Montevideo, e gli interventi e le interviste su molte pubblicazioni, e le notevoli traduzioni - con impegnati testi propri di introduzione e commento - (tra cui, in volume: di opere di Nettlau, di Malatesta, del padre Luigi Fabbri, e l'edizione bilingue commentata del Principe di Machiavelli). Opere su Luce Fabbri: un punto di partenza e' l'utilissimo dossier, Ricordando Luce Fabbri, in "A. rivista anarchica", n. 266 dell'ottobre 2000, pp. 28-41] Se sopravviveremo alla contaminazione delle scorie nucleari e ai tanti altri pericoli che ci minacciano, la nostra unica salvezza sara', come in tutte le grandi catastrofi, la solidarieta'. 3. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: NELL'ALTERNATIVA NON C'E' POSTO PER LA VIOLENZA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento scritto come contributo alla terza assemblea nazionale della Rete di Lilliput svoltasi a Marina di Massa. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] Intendo con questo scritto invitare ad una riflessione su una realta' politica affatto nuova nell'attivismo "progressista": il ritorno del combattente di strada. Il combattente di strada e' il dimostrante violento che scende in piazza per sfasciare finestre, negozi e banche, tirare pietre o bottiglie molotov a poliziotti o oppositori, eccetera. Sebbene vi siano anche donne fra questi combattenti, la maggioranza sono uomini, che ora come nel passato provano a se stessi la propria mascolinita' tramite la violenza e hanno portato una pesante retorica di guerra in un movimento per la pace. * 1) I carrieristi del movimento incoraggiano la battaglia di strada La maggior parte delle proteste violente sono state sostenute da sedicenti nonviolenti impegnati in organizzazioni e reti anticapitaliste o antiglobalizzazione. Gli scopi personali di questi individui sono evidenti: potere e posizione nelle organizzazioni di sinistra, fama acquisita come leader del movimento o difensori dei diritti umani, frequente presentazione di e in liste elettorali. Costoro lavorano apertamente con i combattenti di strada, anche quando conoscono le intenzioni da questi ultimi esplicitate (distruzione di proprieta', barricate, assalti alla polizia). Perche'? Perche' hanno scoperto che l'unico modo per avere dozzine di giornalisti alle loro conferenze stampa e' la minaccia della violenza nell'aria. Naturalmente, quando i giornalisti ne parlano, costoro rispondono che solo la polizia commette violenze, o che la vera violenza e' quella dei potenti, dell'impero, della globalizzazione. Il secondo scopo dei carrieristi nell'impegnarsi in questo sostegno ai violenti e' l'intimidazione delle strutture di potere esistenti, affinche' esse li prendano sul serio. I carrieristi sostengono i combattenti di strada rifiutandosi di condannare i loro atti e di marginalizzarli. Alcuni proclamano solidarieta' con chi usa "tattiche differenti", sebbene insistano sul fatto che loro promuovono la nonviolenza. Piu' insidiosamente, costoro si uniscono ai combattenti nel fare pressione sui dimostranti nonviolenti che non gradiscono la faccenda, sino a ridurli al silenzio (cio' include gli appelli alla solidarieta', lo spettro della "spaccatura del movimento", e spesso non rifugge dagli insulti e dalle aggressioni). I carrieristi sanno molto bene che il primo scopo dei combattenti di strada e' appunto promuovere il combattimento con la polizia ed accrescere le loro "radicali" file. E' superfluo sottolineare che cio' ha incrementato la risposta violenta da parte della polizia ed ha giustificato agli occhi dei non attivisti leggi e provvedimenti restrittivi. Ma i carrieristi reagiscono con oltraggiato stupore a tale risposta, usando cinicamente i dimostranti nonviolenti coperti di sangue come esca per la macchina dei media. * 2) Dove sono gli amici della nonviolenza? I combattenti di strada li deridono apertamente, ma e' raro che costoro dicano la loro risposta a voce alta. La pressione e' servita al punto che essi sono sinceramente preoccupati di intaccare la "solidarieta' nel movimento", e la propaganda ha fatto effetto al punto che essi si sono convinti che in fondo i combattenti di strada sono relativamente "innocenti" rispetto alla polizia. Altri, intimiditi dalle aggressioni e dalla minaccia di ostracismo stanno sperando che questa fase cambi da se'. I governanti, la destra, le corporazioni economiche, sono stati deliziati nel vedere il movimento antiglobalizzazione distruggere la propria credibilita' impegnandosi in combattimenti di strada o condonandoli: la gente puo' ora piu' facilmente tollerare gli abusi sui dimostranti. Nemmeno questo e' servito ai combattenti per riflettere, essi continuano ad asserire il loro "diritto" di usare la violenza. E alcuni "pacifisti" continuano a rifiutarsi di condannare questo (per lo piu' argomentando il comune impegno per la "giustizia", di solito una forma di socialismo economico, e stressando gli altri con frasi fatte del tipo "cerchiamo cio' che ci unisce e non cio' che ci divide", "le tattiche non sono le istanze", "se ci dividiamo abbiamo perso", "abbiamo bisogno di tutte le voci, di tutte le energie"; gli inviti alla "contaminazione" e all'incontro: come se non ci fossimo gia' incontrati a sufficienza a Seattle, Quebec City, Genova, eccetera). Probabilmente e' solo una questione di tempo, prima che gli effetti negativi della violenza di strada diventino evidenti anche ai combattenti. Con l'intensificarsi della repressione il risultato autodistruttivo della battaglia di strada diverra' piu' evidente. Gli attivisti cominceranno, come in ogni ciclo precedente, a valutare i propri risultati in rapporto alle tecniche usate. I carrieristi, raggiunta una poltrona, cominceranno a prendere le distanze dai combattenti di strada per mantenere la propria nuova credibilita' rispetto all'establishment. E' solo questione di tempo riconoscere che la battaglia nelle strade allontana i nuovi dimostranti, intimidisce, demoralizza e divide gli attivisti, e da' un sacco di scuse alla repressione. Ma gli attivisti nonviolenti devono dirlo. * 3) Perche' il ritorno della violenza? Uno dei motivi e' la rabbia nostalgica relativa alla "causa perduta". Alcuni anticapitalisti sanno perfettamente che il socialismo di stato non ha funzionato (Unione Sovietica, Cina, Cambogia, Cuba), ma piuttosto di ammettere i limiti della propria ideologia si ammantano della superiorita' morale della "causa", una superiorita' morale che scuserebbe qualsiasi violenza contro cose e persone. Un altro motivo e' la manipolazione operata dai carrieristi. Finche' il riflettore e' sui combattenti di strada, essi possono godere della stessa luce affiancandoli, intervenendo sui giornali per spiegare che il movimento bla bla, che non condanniamo ma, oppure che ci dissociamo pero'... Ovvero, un ristretto numero di professionisti attorno alla quarantina, che spesso lavorano per organizzazioni "progressiste" o di sinistra, incoraggiano adolescenti e ventenni ad impegnarsi in distruzioni e confronti con la polizia fintantoche' questo serve alla loro ambizione personale. Un terzo motivo e' il rifiuto di imparare dal passato. Durante gli anni '70-'80 (gli "anni di piombo") la violenza politica allontano' molti dall'impegno attivo. Il terrorismo, l'infiltrazione di polizia e provocatori e la conseguente distruzione di gruppi e movimenti, la criminalizzazione di un'intera generazione, erano ancora abbastanza familiari agli attivisti del decennio successivo per indurli a rinunciare alla violenza di strada. Oggi gli attivisti ventenni/trentenni rimuovono o ignorano l'esperienza precedente, rifiutandosi di rispettare l'opinione dei piu' anziani che li mettono sull'avviso rispetto alle conseguenze delle nostre azioni. Il quarto motivo e' la cooptazione del pensiero femminista (che e' diventato all'interno del movimento "sostegno" e corollario, invece che principio d'analisi e visione autonoma). Per molte il femminismo si e' tradotto nell'ottenere leggi che permettessero alle donne di "fare tutto cio' che fanno gli uomini", incluso l'uccidere altri esseri umani in guerra, invece che la creazione di un mondo dove la violenza non avesse posto. Costoro hanno tentato di aiutare le donne ad operare meglio in una cultura patriarcale, assumendo che esse dovessero adattarvisi. Poiche' l'agire in questo modo ha un pregiudizio di fondo a favore di tale cultura, non e' sorprendente che le giovani donne abbiano scarsa coscienza del legame tra femminismo e nonviolenza. Molte giovani che si definiscono femministe sembrano pensare che essere violente quanto un combattente di strada sia una liberazione. Quelle che rifiutano di salire sul carro della violenza maschile sono ridotte al silenzio da altre donne che difendono i loro amici, amanti e compagni violenti (i quali ormai hanno imparato abbastanza da non dimenticarsi di citare le donne nei loro comunicati, cosi' siamo tutti uguali e tutte contente, no? Trovo meno detestabile l'ignoranza genuina di alcuni uomini di destra). Come noi vecchiette avevamo abbondantemente predetto, l'enfasi sulla violenza ha dato rinnovato potere ai maschi "dominanti" (spesso sessisti ed abusanti): quando gli attivisti condonano la violenza, attraggono e sostengono questo tipo di uomini. * 4) La mistificazione della nonviolenza La maggior parte delle persone che ne parla in questo momento, e che viene interpellata al proposito dai media, ne sa veramente poco. E sapendone poco dice cose del tipo: "La vera violenza e' quella di...", implicando che la violenza degli attivisti e' una soluzione giustificabile, oppure di fronte alle perplessita' interne se ne esce con idiozie del tipo "Ma sarebbe violento non partecipare o tirarsi indietro...", rispetto ad azioni che prevedono esplicitamente la battaglia di strada, e cioe' sarebbe "violento" non condonare la proclamata e poi agita violenza altrui. A causa di questi fallimenti ideologici, la capacita' di ispirare e di educare nuovi attivisti nonviolenti e' stata minima. La nonviolenza e' stata presentata dai carrieristi come "tecnica" e "tattica" (senza storia, senza respiro, senza spirito, adattabile a qualsiasi scenario che comprendesse nella diversita' delle tecniche anche la violenza di strada): questi individui hanno mostrato una gran dedizione nel manipolare il concetto per "mantenere l'unita' del movimento". La nostra cultura e' evidentemente ferma al presupposto che ogni problema si possa risolvere con la violenza. E' violenza di stato: quella delle leggi ingiuste e della repressione (ogni problema politico o sociale e' trattato con la metafora della guerra); e' violenza intrisa negli sport, nei programmi televisivi, nei libri e nei giornali; e' violenza che norma le relazioni fra le persone, fra i generi, fra le generazioni. La ragione per cui troppi attivisti nonviolenti non sono stati in grado di contrastare gli avvocati della violenza e' la loro mancanza di comprensione o lo scarso attaccamento ai principi base della nonviolenza stessa, che e' il disegno ed il progetto di un'alternativa reale alla violenza. La mancanza di un adeguato sostegno fra attivisti dichiaratamente (ma quanto consapevolmente?) nonviolenti e' un altro problema. E vorrei sapere che tipo di fiducia e consenso e' possibile conquistare sfasciando finestre, invadendo luoghi, tagliando tubi dei distributori di benzina, ecc. Ma alcuni sedicenti "nonviolenti" sono piu' attaccati allo scopo che ai mezzi che si usano per ottenerlo, dimenticando che mezzi e fini sono inseparabili (ed e' per questo che gli appelli all'unita' li convincono a mandar giu' e tacere. I richiami all'unita' e alla solidarieta' sono troppo spesso la richiesta di obbedienza ad un leader in nome della giusta causa). "Io direi che i mezzi dopo tutto sono tutto. Tali i mezzi, tale il fine" (Mohandas Gandhi). * 5) Rifiutare la retorica e la manipolazione Mi e' capitato di leggere e sentire piu' volte la definizione dei combattenti di strada come "la parte piu' radicale del movimento" e addirittura la richiesta di "continuare a stupirci" con il loro fervore e desiderio di cambiare il mondo. Come se gli altri, gli attivisti nonviolenti fossero comunque una seconda scelta, un po' meno radicali, e sicuramente, poiche' nonviolenti, mai arrabbiati, mai pieni di fervore, con un desiderio di cambiare il mondo giudicato velleitario rispetto a quello dei combattenti. Forse piu' "effeminato", meno "machista" e viriloide? Che tipo di unione e commistione posso avere con coloro il cui primo scopo e' un semplicistico sfogo di rabbia, o il godere dell'eccitamento relativo alla distruzione (un eros di morte)? Quanto corrompente e' questa "contaminazione", che comporta il lavorare con persone che pensano di avere la verita' in tasca ed il diritto di forzare altri ad accettarla? Quanto pri va di potere il dover camminare in punta di piedi per non disturbare i combattenti, per evitare le accuse di connivenza con il "nemico"? Mi pare che assomigli molto alla relazione che si puo' avere con un marito o un genitore dedito all'abuso, che non bisognerebbe irritare perche' pronto ad esplodere in atti di violenza contro qualcuno. La regola dei combattenti di strada e' che gli attivisti nonviolenti devono partecipare alle azioni, ma non possono discutere delle tecniche usate per costruirle. Se la situazione rimane questa, la nostra soluzione puo' essere solo la noncollaborazione. Cio' non significa che ci rifiuteremo di discutere (anzi!), ma che la discussione deve includere metodi positivi per velocizzare il processo di apprendimento rispetto agli effetti negativi della violenza di strada. Significa che ci stimeremo abbastanza coraggiosi e determinati da agire responsabilmente e da pretendere che ciascun altro lo faccia. 4. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: IMPEGNO DI PACE E CRITICA DELLA CRITICA [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica (ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente] Ho reagito piu' volte, e con qualche buona ragione, alle critiche rivolte al movimento per la pace (incompletezza, unilateralismo). Ma quelle critiche fanno pensare, bisogna pensarci, e scottano tutti, prima i pacifisti sinceri, poi anche chi le ripete uguali negli anni (alcuni grandi tromboni dell'informazione lo fanno per mestiere, si direbbe). Ogni cercatore di pace sa bene, piu' di chi lo critica, quanto e' insufficiente la sua azione, ed anzi il suo stesso desiderio e volonta' di pace. Piu' di chi lo critica conosce le proprie incoerenze. Piu' di chi lo critica soffre gli oscuramenti dell'informazione su tante guerre e violenze nel mondo, che rendono cosi' difficile denunciarle e agire per tempo. Piu' dei suoi critici conosce la fatica difficile di pensare la pace, per poterla costruire. E' veramente strano: molti a cui pare che la pace non stia a cuore, e magari, in alcuni casi, giustificano questa o quella guerra, giudicano poi i "pacifisti" perche' non sono abbastanza efficienti, non si sollevano allo stesso modo contro tutte le guerre e tutte le politiche e culture belliche. Quasi che improvvisamente si siano innamorati della pace e debbano difenderla dai pacifisti. Spesso queste critiche non sono mosse da una volonta' insoddisfatta di pace, ma, al contrario, dall'intenzione di dimostrarne l'impossibilita'. Come dire: "Vedete? Per quanto urliate e vi sbracciate, non fermate le guerre. Non le volete fermare tutte, ve la prendete solo coi piu' potenti perche' siete impotenti e invidiosi! Imparate, ragazzi, che contro la guerra non c'e' niente da fare!". Criticare le critiche e' un buon esercizio critico. Ma non voglio fare l'esame di coscienza agli altri. Ho abbastanza lavoro con la mia. Il cercatore sincero di pace si fa le accuse che nessun critico gli fa. Siamo tutti talmente coinvolti nei sistemi economici, politici, culturali, di guerra, che, se non ci spogliamo come san Francesco, se non ci gettiamo come Zanotelli, se non ci esponiamo come Rachel Corrie, non siamo davvero per la pace. Chi fa come loro? Chi se la sente? Chi ne ha la possibilita'? Qualcuno lo fa. Perche' non lo facciamo tutti? Queste domande brucianti risuonano ogni giorno nelle coscienze dei veri pacifisti. Chi guarda da fuori il movimento per la pace le ignora. Ci sono critiche che partono dal pensiero rassegnato alla guerra, che magari aspetta sinceramente una "prova" tangibile di poter uscire da quel pensiero, ma non ha il coraggio e l'audacia neppure di immaginare l'utopia (eu-topia), bloccato da iperrealismo. Ci sono critiche che vengono da chi mette la pace come una cosa tra le altre e osserva semplicemente: voi pacifisti non ottenete il vostro scopo! Il che per lui vuol dire che quello scopo non vale. Ci sono critiche che vengono da chi fa di piu', da chi si gioca di piu', da chi va piu' lontano perche' ama di piu' le vite e i diritti che la pace salvaguarda. Solo queste sono le critiche che contano, che stimolano, che confortano mentre rimproverano. Ognuno, pacifista o critico, chieda in silenzio a se stesso: cosa faccio per la vita degli altri, per le vittime del sistema di cui godo i vantaggi? La risposta a ciascuno, in silenzio, in coscienza. Questo e' un silenzio vivo, che produrra' vita. Poi, solo dopo, si potra' molto opportunamente giudicare culture, strategie, metodi dell'azione per la pace. 5. EDITORIALE. SEVERINO VARDACAMPI: LA NONVIOLENZA E' LOTTA. CONTRO TUTTE LE VIOLENZE Capita sovente di ascoltare persone argomentare che apprezzano la nonviolenza ed aggiungono "ma ci vuole anche il conflitto". Quel "ma" e' il sintomo di un equivoco e di un'ignoranza. Poiche' la nonviolenza e' proprio gestione oltre che risoluzione del conflitto, ed anche suscitamento del conflitto quando vige ingiustizia e ad essa occorre opporsi. Poiche' la nonviolenza e' lotta contro tutte le violenze. E' la forma e la scelta di lotta la piu' limpida e la piu' intransigente. E' la lotta che si oppone alla violenza, ad ogni violenza, nel modo piu' netto; e' la lotta piu' radicale, che va piu' alla radice. In un tazebao affisso su un muro del centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" di Viterbo negli anni '90 c'erano scritte queste frasi, certo volutamente enfatiche ed iterative fino all'ecolalia, che ci piace trascrivere ancora una volta: "La nonviolenza e' lotta. E' lotta. E' lotta contro la violenza, contro l'ingiustizia, contro la menzogna. E' lotta perche' ogni essere umano sia riconosciuto nella sua dignita'; e' lotta contro ogni forma di sopraffazione; e' lotta di liberazione per l'uguaglianza di tutti nel rispetto e nella valorizzazione della diversita' di ognuno. E' la forma di lotta piu' profonda, quella che va piu' alla radice delle questioni che affronta. E' lotta contro il potere violento, cui si oppone nel modo piu' completo, rifiutando la sua violenza e rifiutando di riprodurre violenza. Afferma la coerenza tra i mezzi ed i fini, tra i metodi e gli obiettivi. Tra la lotta e il suo risultato c'e' lo stesso rapporto che c'e' tra il seme e la pianta. Chi lotta per la liberazione di tutti, deve usare metodi coerenti. Chi lotta per l'uguaglianza deve usare metodi che tutti possano usare. Chi lotta per la verita' e la giustizia deve lottare nel rispetto della verita' e della giustizia. E' lotta contro il male, non contro le persone. E' lotta per difendere e liberare, per salvare e per convincere, e non per umiliare o annientare altre persone. E' lotta fatta da esseri umani che non dimenticano di essere tali. Che non si abbrutiscono, che non vogliono fare del male, bensi' contrastare il male. E' lotta per l'umanita'. La nonviolenza e' il contrario della vilta'. E' il rifiuto di subire l'ingiustizia; e' il rifiuto di ogni ingiustizia, sia di quella contro di me, sia di quelle contro altri. La nonviolenza e' lotta. E' lotta per la verita', e' lotta per la giustizia, e' lotta di liberazione e di solidarieta', e' lotta contro ogni oppressione". 6. INFORMAZIONE. ELISA KIDANE: "RAGGIO", CON OCCHI E CUORE DI DONNA [Da Elisa Kidane della redazione di "Raggio", mensile delle Missionarie Comboniane (per contatti: e-mail: redazione at rivistaraggio.org, sito: www.rivistaraggio.org), riceviamo e diffondiamo] Carissimi/e, eccoci nonostante il caldo... nel nuovo numero di "Raggio" varie le novita': dal dossier che ci invita a riscoprire la dimensione sociale della fede, agli interrogativi e i progetti lanciati dagli interventi di Mani Tese (sull'infanzia sfruttata e sul difficile rapporto tra bambine e scuola) e la rubrica "Quale educazione?" (che affronta il delicato e snobbato problema delle lingue e delle culture). In "clima" con lo spirito comboniano sono le "pagine di vita" riportate, in particolare dal Centrafrica. Testimoni di ingiustizie e sofferenza del popolo in mezzo a cui vivono, le missionarie "fanno causa comune" fino ad accettare di sentire e provare incertezza, paura e rischi della guerra, senza fuggire. In altri Paesi, altre giovani vite si immettono con entusiasmo nella scia del cammino missionario di Daniele Comboni. La riscoperta del passato e' densa di futuro. Vogliamo avventurarci insieme? Il Forum e' aperto a voi. Siamo in ascolto. Visitate il sito www.rivistaraggio.org La redazione di "Raggio", mensile delle Missionarie Comboniane, la missione con occhi e cuore di donna, e' in via Cesiolo 46, 37126 Verona, e-mail: redazione at rivistaraggio.org, sito: www.rivistaraggio.org 7. MEMORIA. AUGUSTO CAVADI RICORDA CANDIDA DI VITA [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione questo suo articolo gia' apparso sull'edizione palermitana de "La repubblica" del 22 aprile 2003. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda ed.; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)] In base alle cronache quotidiane, impastate di violenze e corruzioni, il tessuto sociale dovrebbe ormai essere a tal punto lacerato da rendere impossibile la sopravvivenza dei cittadini. Come mai, invece, pur fra ingiustizie e stenti, il mondo va avanti lo stesso - e in qualche campo addirittura progredisce? Forse perche' le nuvole sono reali, effettive, numerose: ma non si noterebbero neppure se sullo sfondo mancasse il cielo. Fuor di metafora: disonesti e profittatori non potrebbero neppure esercitare il loro parassitismo se, bene o male, istituzioni e relazioni umane non fossero alimentate dall'onesta dedizione dei piu'. Pensare che politici e magistrati, medici e professori, preti e notai siano modelli di virtu' civile sarebbe imperdonabile ingenuita'. Ma pensare, e sostenere, l'esatto contrario non e' realismo: si chiama qualunquismo. Proprio contro la minaccia del qualunquismo (il cui effetto finale e' la deresponsabilizzazione: "Se fanno tutti schifo, perche' proprio io dovrei nuotare controcorrente?") i giornalisti dell'edizione europea del settimanale "Time" hanno deciso di dedicare il numero in edicola a venticinque "eroi" contemporanei che vivono ed operano nel Vecchio Continente. Significativa la precisazione dei curatori dell'iniziativa: l'eroe non e' tale perche' compie azioni eccezionali, ma perche' dedica l'intera esistenza a ideali costruttivi per il genere umano. Come, ad esempio, il medico Gino Strada, fondatore di Emergency; il pubblico ministero Stefano Dambruoso, attualmente impegnato in indagini rischiose sulle cellule di estremisti islamici presenti nel nostro Paese; lo storico del cristianesimo Andrea Riccardi, tra i fondatori della Comunita' di S. Egidio a Roma. * La lettura della notizia ha agito come un mestolo nell'impasto di ricordi col tempo sedimentati nella mia memoria e, gradualmente, si e' andata aggrumando una domanda: "E Palermo, e la Sicilia, che sarebbero oggi senza eroi normali?". Mi sono tornati in mente i quotidiani che, alla meta' degli anni Novanta, sfogliavo la mattina in biblioteca durante un breve periodo di studio a Cambridge: una sorta di rubrica fissa era dedicata al profilo di quei personaggi che giorno dopo giorno andavano decedendo non senza aver lasciato traccia nella storia della comunita' locale. Nella nostra cultura non c'e' spazio, neppure in extremis, per chi non abbia vissuto una vita spettacolare: non importa se per "lasciare il mondo un po' migliore di come lo si e' trovato" (come amava ripetere Baden Powell) o per sbalordire con la propria sete di potere, di denaro e di successo. E proprio mentre scrivo queste righe mi scorrono, come in un filmato, le immagini di uomini e donne che ho incontrato per le strade della mia citta' e della mia esistenza, che hanno vissuto lontano dai riflettori ma nel cuore delle situazioni e spesso della gente: cittadini e cittadine quotidianamente fedeli a cio' che avevano scelto come mestiere, o come missione, e senza cui Palermo sarebbe ancor meno vivibile. Perche' questa lunga fila di eroi normali non dev'essere risvegliata - almeno per un giorno - dal sepolcro dell'oblio e dell'ingratitudine? Perche' non dare loro - almeno per un giorno - la possibilita' di incoraggiare alla fedelta', al servizio, all'onesta' civica, le generazioni superstiti? Soprattutto le piu' giovani cui una sorta di illusione ottica mediatica puo' dare l'impressione paralizzante di vivere in un mondo di volgare egoismo. * Solo un mese fa - e' un'esemplificazione, un caso fra mille - si e' spenta divorata dal cancro Candida Di Vita. Quando l'ho conosciuta, agli inizi degli anni Ottanta, mi confidava di essere tornata da Roma perche' voleva investire su Palermo le energie della sua maturita'. E a Palermo ha lavorato per quasi vent'anni: non solo, da assistente sociale, per le prime sei ore della giornata, ma anche da operatrice volontaria per tutte le altre ore disponibili. Talora persino dopo cena. Quante centinaia di individui, di famiglie, di gruppi ha contattato di sua iniziativa o per rispondere a richieste d'aiuto? Mai ha chiesto - o accettato - bustarelle per l'espletamento dei suoi doveri istituzionali: piu' d'una volta, sommessamente, ha passato i suoi soldi a chi proprio non ce l'avrebbe fatto sino a sera. Senza di lei, poi, non sarebbe sorto il "Laboratorio Zen insieme": dunque, ad integrazione del lavoro pastorale della parrocchia cattolica "San Filippo Neri", non sarebbe sorto uno spazio laico, pluralistico, di aggregazione per i bambini, per i giovani, per le donne. Con intelligente solidarieta' non ha voluto creare qualcosa di "suo", ma - alleandosi con altre belle persone di diverso orientamento ideologico - promuovere un'associazione di adulti che potessero, in autonomia, ragionare con la propria testa e camminare sulle proprie gambe. E quando la malattia si e' insinuata nel suo corpo non si e' atteggiata a vittima illustre: l'ha combattuta con coraggio, con determinazione, ma senza ribellarsi interiormente. Ne parlava, se interpellata, con la piena consapevolezza di stare attraversando un sentiero comune al resto dell'umanita'. Si riteneva quasi privilegiata per il fatto che, a differenza di tanti altri ammalati, avesse qualche risparmio per curarsi, il sostegno di due splendide sorelle e di un'amica affezionata. Sorrideva mestamente quando formulava la speranza di non perdere, con l'aggravarsi del male, pazienza e serenita' d'animo. E' stata accontentata. Sino all'ultimo, insomma, una donna eccezionalmente normale. 8. RIFLESSIONE. ANGELA GIUFFRIDA: GUARDARE IL MONDO CON I NOSTRI OCCHI [Ringraziamo Angela Giuffrida (per contatti: frida43 at inwind.it) per questo intervento. Angela Giuffrida e' docente di filosofia; tra le sue pubblicazioni: Il corpo pensa, Prospettiva edizioni, Roma 2002] Vorrei discutere l'articolo di Lidia Cirillo sul militarismo, apparso sul sito del "Paese delle donne" e pubblicato sul n. 586 de "La nonviolenza e' in cammino", perche' mostra in modo evidente l'inadeguatezza del sistema concettuale dominante a comprendere il reale. Nell'articolo si legge, fra l'altro: "... il militare, il guerriero, il soldato non sono l'uomo; non sono la proiezione del corpo maschile nella storia o la sovrastruttura di genere della struttura del sesso. Le teorie femministe che legano immediatamente alle diversita' dei corpi umani le diversita' di atteggiamenti e di pensiero e per cui il male si incarna nella morfologia di un corpo, riproducono in ultima analisi la deformazione d'ottica propria del razzismo". Alcune domande affiorano spontaneamente ad una prima lettura: se il pensiero non e' legato al corpo da dove deriva e da cosa trae nutrimento? ma soprattutto, che cos'e' il pensiero? E' chiaro che dietro tali perentorie affermazioni operano i soliti dualismi che scindono il mondo in coppie di contrari, opposti tra loro e gerarchizzati, in primo luogo la dicotomia corpo-mente che ha ridotto la mente ad un evanescente ed inconsistente fantasma senza nessi e radici e il corpo ad un mero involucro di massa e materia. Lungi dall'essere materia inetta, il corpo umano e' un organismo che, come tutti i viventi, e' principalmente un sistema cognitivo capace di autorganizzarsi ed autoregolarsi elaborando le proprie esperienze. La mente altro non e' che un processo del corpo, per cui corpi strutturati diversamente e capaci di fare esperienze differenti non possono che produrre menti diverse: si tratta di una constatazione pura e semplice, di una elementare presa d'atto che col razzismo non ha niente a che spartire e che permette di comprendere anche come il male non sia una misteriosa ed autonoma "entita'" che si impossessa capricciosamente di un corpo, ma consiste nel mancato sviluppo di conoscenze, qualita' e competenze, maturate nel caso specifico dalle donne, grazie alle loro straordinarie esperienze. Una riflessione che pone al centro un organismo integro supera ogni dualismo tra naturale e culturale, biologico e sociale, filosofico e scientifico, annullando l'astrattezza di un pensiero che, isolando i dati dal contesto, li assolutizza, rendendoli incomprensibili. Scrive Lidia Cirillo: "Il militare e' una costruzione sociopolitica e culturale ottenuta attraverso la concentrazione e la stereotipizzazione di caratteristiche maschili, spesso peraltro solo presunte. Il militare e' il prodotto della rimozione traumatica di cio' che negli uomini non e' maschile... 'Uccidero' la donna che e' in voi', dice ai giovani appena arrivati alla caserma per l'addestramento un sergente dei marines". A parte l'indebita suddivisione dell'organismo in parti (quella maschile, quella femminile) che possono essere ignorate, represse o recuperate all'occorrenza come pezzi di una macchina, viene da pensare immediatamente che una costruzione non spunta dal nulla come per magia ma e' il prodotto di menti umane che, nella fattispecie, non sono certo quelle femminili. Se poi si amplia il campo di osservazione ci si avvede che tutti gli Stati, siano essi poveri o ricchi, socialisti o capitalisti, laici o confessionali, sono inestricabilmente strutturati attorno al militarismo e alla guerra. Vandana Shiva lamenta il fatto irrazionale che l'80% delle ricerche venga destinato a fini bellici; una volta spese ingenti somme per ideare e costruire strumenti di distruzione, e' necessario fomentare conflitti e scatenare guerre che, oltre a sacrificare vite umane, danneggiano gli equilibri naturali. Come si vede gli uomini gestiscono le comunita' per sostenere la morte, non la vita. Ma non basta: il militarismo, infatti, non e' solo l'uso delle armi, e' "ossequio e idealizzazione delle gerarchie, subcultura dell'ubbidienza, cancellazione della possibilita' e della facolta' di critica", in una parola violenza in tutte le sue forme. A questo punto bisogna chiedersi dov'e' "l'uomo autentico", visto che le comunita' patricentriche sono ad ogni latitudine organizzazioni della dominanza, non essendo mai il fuoco occupato dalla persona ma dal potere, inteso appunto nell'accezione deteriore di dominio sull'altro; prova ne sia che sono tutte caratterizzate, seppure in diverso grado, dall'emarginazione, dallo sfruttamento, dalla persecuzione delle madri umane. E' chiaro che gli uomini, come del resto le donne, non sono tutti uguali, il problema e', pero', che concettualizzano tutti allo stesso modo ed e' questo che impedisce agli sforzi piu' sinceri di realizzare fattivi cambiamenti. Il maschio umano e' impareggiabile quando si tratta di denunciare e di combattere, perche' questo fa parte del suo approccio cognitivo al reale che disaggrega i dati e li oppone, ma non riesce a costruire comunita' coese perche' non coglie l'insieme e non opera connessioni (il fallimento di tutti i tentativi fin qui fatti testimonia in modo inequivocabile la veridicita' di questo assunto). Solo uno sguardo organicistico, che "vede" la realta' perche' connette diversi aspetti in un tutto unico, permette di costruire. Ma privilegiare l'insieme e i nessi non vuol dire misconoscere il fatto evidente che la specie comprende due individui strutturati diversamente da madre natura, portati dalle loro differenti esperienze a seguire diversi percorsi evolutivi. Non e' il semplice riconoscimento delle differenze che crea inconciliabili dualismi, ma la tendenza ad opporre e gerarchizzare, e alle donne non interessa in genere stabilire chi e' migliore o peggiore tra i sessi, ma solo se e' meglio per la specie che ad organizzare le comunita' sia chi, conoscendone il costo, attribuisce alla vita il suo giusto valore e sa mettere al centro la persona. Una mente contenitiva, capace di sopportare la complessita' del reale e di gestirne le contraddizioni senza pretendere di eliminarle, e' la mente che ha assicurato la sopravvivenza alla specie e l'unica che puo' farla uscire dalla strada pericolosa imboccata con l'avvento del patriarcato autoritario. Piaccia o non piaccia, questa e' la mente delle donne. Se continuiamo ad usare i paradigmi maschili e' perche' con essi dobbiamo confrontarci da quando nasciamo a quando moriamo visto che organizzano in toto le comunita', ma possediamo un'impalcatura mentale inclusiva; si tratta solo di allenarci a guardare il mondo con i nostri occhi, non usando piu' quella lente deformante che e' lo sguardo maschile. Solo cosi' potremo aiutare anche gli uomini ad allargare il loro orizzonte mentale, cosa improrogabile ed imprescindibile per la loro stessa sopravvivenza prima ancora che per la nostra. 9. RIFLESSIONE. GIOBBE SANTABARBARA: ANCORA E' il razzista che crea il clandestino, prima lo crea e poi lo uccide. E cosi' gode di quel godimento che Elias Canetti ha individuato in Masse und Macht come specifica sindrome del dittatore. E' il buon padre di famiglia, l'esuberante giovinotto, il rampante in carriera, a favoreggiare i trafficanti di carne umana schiava. E' la legge criminale e criminogena che porta il nome di due attuali ministri che fa morire degli innocenti, che innocenti sfuggiti alla tortura riconsegna nelle mani dei loro aguzzini, che a chi chiede umana solidarieta' offre nuovo disprezzo e sevizie e peggio. E' la legge criminale e criminogena che porta il nome di due precedenti ministri che ha riaperto in Italia i campi di concentramento che la sconfitta del nazifascismo aveva cancellato. E sono taluni infami accordi giuridici e politici dell'Europa l'orgogliosa, l'Europa la tronfia, a erigere muraglie e valli di filo spinato e patiboli per i miseri che chiedono asilo, a soffocare per sempre la voce e la vita di Samira e delle infinite Samira. Noi non dimentichiamo i nomi delle vittime. Gli assassini in parlamento, gli innocenti nelle gabbie, o schiavi, o in fondo al mare. Il Mediterraneo una grande tonnara, di carne di figlie e di figli di donna e di uomo. Si', tutti saremo giudicati: ci verra' chiesto: mentre accadeva questo, tu cosa facevi? Essere di quelli che dissero di no. Essere di quelli che hanno fatto tutto quanto in loro potere per opporsi a questa barbarie, per salvare vite umane innocenti. La legge sull'immigrazione e' incostituzionale e razzista: cosa aspetta la Corte costituzionale a cassarla? E perche' non c'e' un movimento democratico di massa che impugnando la Costituzione come bandiera imponga l'abrogazione di quella legge subito, prima ancora che ci pensi l'alta Corte il cui pronunciamento troppo tarda (ed ogni giorno di ritardo altre persone muoiono)? I cosiddetti centri di permanenza temporanea sono campi di concentramento, eredita' hitleriana: perche' si permette che esistano ancora? L'imposizione della condizione di clandestinita' significa costringere innumerevoli persone a una vita di stenti e di paura, gettarle in pugno ai poteri criminali: perche' i pubblici poteri si fanno complici dei poteri mafiosi? La riconsegna di persone in fuga da guerre e dittature nelle mani dei loro aguzzini equivale a condannarle a morte: perche' la repubblica italiana fa questo? Se si vuole essere fedeli al dettato della legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico, la Costituzione della Repubblica Italiana, vi e' l'obbligo di dare asilo a tutti coloro che nel loro paese di provenienza non hanno garantiti gli stessi diritti che lo stato italiano riconosce ai suoi cittadini. Perche' non si applica la Costituzione? Cosa e' diventato questo paese, cosa siamo diventati tutti noi? Accogliere ed assistere per quanto possibile tutti i bisognosi, questa e' legge dell'umanita'. Questo penso. Questo ho scritto. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 591 del 24 giugno 2003
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