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La nonviolenza e' in cammino. 578
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 578
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 11 Jun 2003 15:08:11 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 578 dell'11 giugno 2003 Sommario di questo numero: 1. Mao Valpiana: "Azione nonviolenta" di giugno 2003 2. Il "Cos in rete" di giugno 3. Luigi Ciotti, Lidia Menapace ed altri: articolo 18 e societa' dei diritti 4. Sergio Paronetto: pace in Cecenia 5. Luciana Castellina ricorda Luigi Pintor 6. Pietro Ingrao ricorda Luigi Pintor 7. Lucio Magri ricorda Luigi Pintor 8. Valentino Parlato ricorda Luigi Pintor 9. Rossana Rossanda ricorda Luigi Pintor 10. Riedizioni: AA. VV., Poesie di pace e liberta' 11. Riedizioni: Stanley Milgram, Obbedienza all'autorita' 12. Riletture: Giuseppe Fiori, Casa Rosselli 13. Riletture: Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt 14. Riletture: Carlo Levi, Contadini e luigini 15. Riletture: Giuliana Saladino, Terra di rapina 16. La "Carta" del Movimento Nonviolento 17. Per saperne di piu' 1. INFORMAZIONE. MAO VALPIANA: "AZIONE NONVIOLENTA" DI GIUGNO [Da Mao Valpiana, direttore di "Azione nonviolenta" (per contatti: e-mail: azionenonviolenta at sis.it; sito: www.nonviolenti.org), riceviamo e diffondiamo] Cari amici, vi presentiamo il numero di giugno 2003 di "Azione nonviolenta", la rivista mensile del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo. L'abbonamento annuo costa euro 25,00, da versare sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia-saggio inviando una e-mail a: azionenonviolenta at sis.it In questo numero: Gandhi o la nonviolenza interiore del forte (di Remo De Ciocchis); Le dieci parole della nonviolenza: "Bellezza" (di Christoph Baker); Invito a Gubbio: in cammino per la nonviolenza (dal 4 al 7 settembre); I ponti uniscono, collegano, creano unita'. Poi in guerra si abbattono. Il ponte di Mostar sta per essere ricostruito. Ma come? (di Andrea Rossini); In ricordo di un caro amico: Enzo Melegari, obiettore (di Alberto Trevisan); Viaggio sui luoghi degli obiettori al nazismo. E poi le consuete rubriche: alternative (Gianni Scotto); cinema (Flavia Rizzi); musica (Paolo Predieri); economia (Paolo Macina); Lilliput (Massimiliano Pilati); l'azione (Luca Giusti); educazione (Angela Dogliotti); storia (Sergio Albesano); libri; lettere. 2. INFORMAZIONE. IL "COS IN RETE" DI GIUGNO [Dall'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per contatti: e-mail: capitini at tiscalinet.it; sito: www.cosinrete.it - un sito che vivamente raccomandiamo soprattutto per i numerosi e rilevantissimi materiali di e su Capitini che ospita) riceviamo e diffondiamo] Vi segnaliamo nell'ultimo aggiornamento di giugno 2003 del "C.O.S. in rete" (www.cosinrete.it) una selezione critica di alcuni riferimenti trovati sulla stampa italiana ai temi capitiniani: nonviolenza, difesa della pace, partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta, educazione aperta, antifascismo; tra cui: La nonmenzogna; La Malfa e Capitini; L'Europa nonviolenta; Il fuoco eterno; Poverta' di proposte; No control no party; Fez e sms; Gli scenari del mondo; La violenza del potere; Brusca e il tabaccaio; I problemi dei C.O.S.; I partiti e i C.O.S.; Il sig. 18 ore; I fratelli musulmani; Donne e nonviolenza; ecc. Piu' scritti di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale sugli stessi temi. Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al C.O.S. in rete e' libera e aperta a tutti. 3. APPELLI. LUIGI CIOTTI, LIDIA MENAPACE ED ALTRI: ARTICOLO 18 E SOCIETA' DEI DIRITTI [Ringraziamo Marcello Vigli (per contatti: marcvigl at tin.it) per averci inviato il seguente appello sottoscritto da molte persone amiche della nonviolenza] La nostra partecipazione in senso positivo al referendum sulla estensione dell'art. 18 e' in una linea di coerenza col nostro costante impegno per l'affermazione della societa' dei diritti. In sintonia con le donne e gli uomini che animano i nuovi movimenti siamo convinti che diritti sociali e diritti umani insieme si tengono o insieme cadono. Non si puo' dire ad esempio a un essere umano "tu hai inalienabile diritto all'integrita' fisica" e insieme sostenere, se necessario anche con la guerra, un ordine mondiale che priva quello stesso essere umano dei mezzi essenziali alla sopravvivenza: cibo, medicine, lavoro, informazioni, ecc. I diritti, inoltre, anche quelli sociali o sono di tutti o non sono di nessuno. Finche' un solo essere umano non ha lavoro o non ha cibo o non ha cio' che gli assicura identita', sicurezza, dignita' e vita, i diritti di tutti gli altri, di tutti noi, non sono piu' veri diritti ma sostanziali privilegi. Siamo ben consapevoli del fatto che le pratiche politiche richiedono mediazioni fra questi principi di alto valore etico universale e la realta' concreta sempre parziale e contraddittoria. Gli stessi movimenti si trovano immersi nelle contraddizioni e nella necessita' di andare per piccoli passi. Siamo pero' anche consapevoli che la globalizzazione liberista tenta di annientare con mezzi potentissimi e perfino col terrore e con la guerra la cultura etica della solidarieta' e dei diritti sociali, in quanto considera tale cultura e le pratiche conseguenti come ostacolo al libero svilupparsi del mercato, come un gravissimo attentato allo sviluppo e alla liberta'. Per i poteri che sostengono e propagano la cultura liberista, la centralita' del lavoro e' una bestemmia e lo stato sociale e' la cura pietosa che puo' incancrenire la piaga. Solo l'interesse privato, mediato dal mercato, ha in se' la capacita' di condurre l'umanita' verso un progressivo allargamento dell'onda della ricchezza, fino a raggiungere tutti gli uomini e debellare infine la poverta'. Tutto il resto e' aleatorio e affidato al giudizio di opportunita' del luogo e del momento. E' talmente decisiva l'affermazione del libero mercato a livello planetario che per il nobile scopo tutti i mezzi sono leciti, compresa la guerra. Il liberismo e' ormai un assoluto. Non e' piu' un sistema economico e politico parziale con cui negoziare mediazioni possibili. E il danaro e' un dio che esige sacrifici e sottomissione incondizionata. Le necessarie mediazioni politiche e i piccoli passi possibili rischiano continuamente di essere rimangiati dalla potenza del liberismo. Cio' che si ottiene sul piano politico o economico si rischia di pagarlo con involuzioni e arretramenti sul piano delle consapevolezze. E' percio' sempre necessario, secondo noi, mantenere alta la tensione verso l'obiettivo della generalizzazione e universalizzazione dei diritti sociali. Insieme alle mediazioni politiche sono sempre indispensabili campagne culturali. Il ritrarsi dalla partecipazione positiva al referendum da' alla gente un preciso segnale: il liberismo ha vinto, il liberismo domina il mondo, il liberismo vuole mano libera nel mercato del lavoro, e noi dobbiamo piegarci alle condizioni imposte dal vincitore. Qualunque sia il giudizio che si puo' dare sul merito del referendum e sul percorso politico che ne ha accompagnato la promozione, e puo' essere davvero un giudizio negativo, ormai e' una iniziative di cultura votare si'. E' un modo per tenere teso l'arcobaleno e diffondere un messaggio di speranza: la resistenza e' ancora possibile, la societa' dei diritti e' una stella fissa nella notte fonda della prepotenza senza limiti, dell'illegalita' che si fa ordine mondiale, del dominio che vuole i nostri corpi, le nostre intelligenze e i nostri sentimenti. Luigi Ciotti; Enzo Mazzi; Giovanni Franzoni; Arturo Paoli; Andrea Gallo; Vitaliano Della Sala; Alex Zanotelli; Sergio Tanzarella; Ettore Masina; Marcello Vigli; Pasquale Colella; Lidia Menapace; Erika Tomassone; Vittorio Bellavite; Antonio Parisella; Peppino Coscione; Maria Caterina Cifatte; Alessandro Santoro; Sergio Gomiti; Giovanni Avena, Eletta Cucuzza, Ludovica Eugenio, Claudia Fanti, Valerio Gigante, Luca Kocci, Laura Leonori, Francesca Nava, Marco Zerbino (Adista); Cristiano Bumbaca; Leda Giacomelli; Laura Forgione; Vittoria Ravano; Mario Mencaraglia; Benedetto Di Sillico; Mauro Gozzio; Bernard Byzek, Mauro Castagnaro, Linda Di Ianni. 4. RIFLESSIONE. SERGIO PARONETTO: PACE IN CECENIA [Ringraziamo Sergio Paronetto (per contatti: paxchristi_paronetto at yahoo.com) per questo intervento. Sergio Paronetto e' impegnato nel movimento di Pax Christi ed in molte iniziative di pace e di solidarieta'] Un'informazione completa e' strumento essenziale per la cultura della pace. Essa dovrebbe evidenziare la possibilita' di superare i conflitti non con le guerre "preventive" o con i bombardamenti "intelligenti" ma con la diplomazia preventiva o, in casi urgenti, con azioni di "polizia internazionale" o con l'invio di una forza di interposizione pacifica sotto l'egida delle Nazioni Unite e dell'Europa. In Congo, dopo anni di silenzio, si sta sperimentando un modo diverso di risolvere i conflitti. Perche' non farlo anche altrove, ad esempio in Cecenia dove da anni si stanno violando in modo massiccio i diritti umani? Perche' non riprendere iniziative gia' lanciate da personalita' e movimenti che, richiamandosi al dolore comune di russi e ceceni, chiedono il disarmo delle forze cecene e il ritiro dei soldati russi attraverso l'intervento delle Nazioni Unite e una loro amministrazione provvisoria? Pace in Cecenia, no allíoccupazione russa, no al terrorismo di qualunque tipo, appoggio del Parlamento europeo a un'amministrazione transitoria dell'Onu: ecco parole d'ordine utili a sostenere una mobilitazione che puo' coinvolgere il Parlamento italiano ed europeo. Richiamandosi al motto di La Pira "unire le citta' per unire i popoli", anche i Comuni possono favorire un intervento di diplomazia civile assieme al Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace che stanno preparando la quinta Assemblea dell'"Onu dei popoli", che si terra' in ottobre a Perugia (e' possibile aderirvi "adottando un popolo"; lo stesso potranno fare anche le scuole). Quanto a noi che, assieme ad altri e all'associazione "Medici senza Frontiere", nel 1999 abbiamo promosso un periodo di iniziative sul dramma ceceno, intendiamo continuare le azioni di informazione, di riflessione, di solidarieta' e di preghiera interreligiosa aggiungendo all'impegno verso il Medio Oriente, il Congo e il Sudan quello verso la Cecenia e altre localita' dove si offendono spesso diritti e doveri anche a causa della nostra indifferenza. 5. MEMORIA. LUCIANA CASTELLINA RICORDA LUIGI PINTOR [Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 maggio 2003. Luciana Castellina, militante politica, promotrice dell'esperienza del "Manifesto", piu' volte parlamentare italiana ed europea, e' tra le figure piu' significative dell'impegno pacifista in Europa. Ovviamente la gran parte degli scritti di Luciana Castellina, testi di intervento politico e di giornalismo militante, e' dispersa in giornali e riviste, atti di convegni, dibattiti parlamentari; in volume segnaliamo Che c'e' in Amerika?, Bertani, Verona, e il recentissimo (a cura di), Il cammino dei movimenti, Intra Moenia, Napoli] Non avrei mai pensato che un giorno mi sarebbe toccato scrivere in morte di Luigi. Non solo perche' alla perdita definitiva di un amico e compagno non si pensa, ma anche perche' non si immagina mai di scrivere sulla propria morte e, sebbene piu' diversi non avremmo potuto essere, un grande pezzo della sua vita e' stata anche la mia e ora oltre la sua persona piango anche questa nostra storia comune che si sfalda in decessi e vecchiaie. La storia di un modo di intendere il Pci e piu' in generale il comunismo, i doveri che da questa speciale appartenenza sono derivati, i doni - Luigi sorriderebbe ironico di fronte a questa parola, ma sarebbe d'accordo anche lui che esser stato comunista e' stato uno straordinario privilegio, anche se sempre piu' difficile e' restarlo in modo sensato. Ma Luigi Pintor era molto di piu' di questo pezzo di storia comune che ora, con lui, ci muore dentro. Era, Luigi Pintor, un uomo dotato di qualita' eccezionali che spesso, e forse proprio per questo, sono diventate difficolta' nel vivere, per lui stesso e per chi gli era caro e vicino: perche' la sua intelligenza non era solo acume ma ipersensibilita', sicche' il capire si rovesciava in lucido, troppo lucido pessimismo; la sua sottile ironia in distruzione, auto e etero. E pero' mai in paralisi nel fare, che' il suo scetticismo profondo, i suoi sacrosanti dubbi, che hanno anche percorso tutta la storia del "Manifesto", non lo hanno mai indotto a lasciare l'impegno. Tutto questo, del resto, l'ha scritto lui stesso, mirabilmente, in Servabo. Fra tutti coloro con cui abbiamo fatto 35 anni fa "il manifesto", Luigi era quello che io avevo conosciuto prima. Anzi, prima ancora di concretamente incontrarlo, perche' al liceo Tasso, che ho frequentato pochi anni dopo di lui, il suo nome, con quello di qualche altro, era mitico: erano diventati comunisti su quei banchi e durante l'occupazione nazista, diventati Gap, erano entrati nella scuola a sfidare, armati, il preside fascista. Al ginnasio, che pure era incorporato nella stessa scuola, queste cose non le avevamo sapute, ma le scoprimmo dopo la Liberazione, quando anche noi cominciammo ad avvicinarci al Pci. E ne ho saputo assai di piu' successivamente, quando per anni ci frequentammo tutti i giorni, alla mensa de "l'Unita'" a via IV Novembre e nella nostra o nella sua casa al quartiere Mazzini, dove ho visto crescere Roberta e Giaime. Avevo sposato il suo amico piu' stretto, Alfredo Reichlin, che con lui era stato Gap e, sempre con lui, era diventato redattore del giornale, ragazzini assunti e subito promossi dalla lungimirante politica di Togliatti che aveva voluto un rinnovamento generazionale immediato e radicale. Assieme mi raccontavano, come fosse stato un gioco di ragazzi, delle passeggiate per Roma nell'inverno del '43-'44, in tasca la pistola che gli era stata fornita per esser pronti a colpire, la tentazione di usarla nelle pasticcerie quando si fermavano affam ati di fronte alle vetrine allettanti, e poi pero' anche della paura, della difficolta' umana di sparare ad altri uomini, sia pure odiosi nemici; della drammatica cattura di Luigi, rinchiuso nella terribile pensione Jaccarino e condannato a morire, salvato, come diceva lui, "dal calendario": l'arrivo della V Armata americana. Di queste cose io ho sentito parlare sempre con voluta leggerezza, mai come racconto epico, sebbene di epopea si trattasse. Ma in quelle conversazioni serali c'era un intreccio fra le vicende politiche del passato e del presente e la letteratura, la musica, la cultura, ingredienti preziosi per una militante di base cosi' rozza come io, e i miei coetanei solo di qualche anno piu' giovani della generazione della Resistenza, eravamo. Veniva dalla memoria di Giaime Pintor e dalla eccezionale influenza che aveva lasciato questo fratello, ventitreenne eroe saltato su una mina nella valle di Venafro dove era stato paracadutato per rientrare nell'Italia occupata. A combattere. E pero' gia' precoce, raffinato intellettuale che nei suoi cosi' brevi anni di vita aveva marcato di un segno profondo il comunismo di Luigi e dei suoi compagni: aveva insegnato a leggere Rilke, da lui mirabilmente tradotto, oltre a Lenin. Poi, nel '66, ci fu l'XI congresso del Pci - quello di quando Pietro Ingrao, cui noi tutti eravamo vicini, disse, rivolto alla direzione del partito, infrangendo una prassi che sembrava infrangibile, "non direi che mi abbiate convinto". Per noi tutti fu uno snodo politico e di vita. Per Luigi l'esilio da Botteghe Oscure fu piu' estremo e pero' anche in qualche modo piu' dolce: fu spedito in Sardegna come vicesegretario regionale, lontano, ma in un'isola che era la sua. A Cagliari aveva tutti i ricordi dell'infanzia e forse quello e' stato il periodo in cui, sebbene politicamente molto arrabbiato, mi era parso umanamente piu' sereno. Aveva preso casa a Quartu S. Elena, vicino al mare, e a tutti noi fece scoprire le coste ancora selvagge e le "taccule", gli uccelletti impalati e profumati di erbe il cui assassinio la coscienza ecologica ancora lontana non aveva condannato. L'andavamo a trovare perche' ci capitava per lavoro ma anche perche' li', proprio in quella casa di Quartu, vennero tessute le prime trame del progetto che anni dopo divenne "il manifest"o; e subito un bel pezzo del Pci sardo, che poi non a caso divenne una costola importante del gruppo, vi fu coinvolto. La storia del "manifesto", e dunque per tanta parte della vita di Luigi, non si puo' raccontare cosi', in questo momento. La dovremo scrivere, tutti assieme, un giorno. Voglio solo ricordare Luigi direttore del quotidiano, di come si arrabbiava quando il giornale ripeteva sempre gli stessi rituali titoli dell'epoca, tanto che "La Zanussi riparte" resto' a lungo il simbolo delle nostre colpe giornalistiche. Si arrabbiava con gli allora giovanissimi redattori venuti a lavorare al quotidiano senza aver mai prima messo piede in un giornale, perche' non sopportava soprattutto lo scrivere sciatto, la banalita' dell'immagine, la casualita' delle parole usate, lui che ha poi scritto libri piu' che esigui perche' ogni aggettivo gli sembrava eccessivo, ogni fatto non essenziale, superfluo. La sua severita' di maestro ha dato lustro e rinomanza alla "scuola del manifesto", diventata col tempo un "pedigree" prestigioso. Ma dire che Luigi Pintor e' stato un grande giornalista, un editorialista come non ce n'e' altri in Italia, un polemista bruciante, non rende la persona. Luigi avrebbe in realta' voluto essere pianista (e sarebbe stato un grande pianista), ed ha rimpianto sempre che le vicende della vita l'abbiano moralmente obbligato all'impegno politico. Quando poteva suonava ancora, perche' e' nella musica che si trovava piu' a suo agio. 6. MEMORIA. PIETRO INGRAO RICORDA LUIGI PINTOR [I due testi seguenti abbiamo estratto dal quotidiano "Il manifesto" rispettivamente del 18 e del 21 maggio 2003. Pietro Ingrao e' nato nel 1915 a Lenola (Lt), laureato in giurisprudenza e lettere, partecipa alla lotta clandestina antifascista e alla Resistenza. Giornalista, direttore de "L'Unita'" dal 1947 al 1957, dal 1948 deputato del Pci al Parlamento per varie legislature e tra il 1976 e il 1979 presidente della Camera dei Deputati. Sono di grande rilievo le sue riflessioni sui movimenti, le istituzioni, la storia contemporanea e le tendenze globali attuali. Tra le opere di Pietro Ingrao: Masse e potere, Editori Riuniti, Roma 1977; Tradizione e progetto, De Donato, Bari 1982; Le cose impossibili, Editori Riuniti, Roma 1990; Interventi sul campo, Cuen, Napoli 1990; Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995 (con Rossana Rossanda ed altri)] Le pagine di un sovversivo E'sempre difficile, forse impossibile - almeno per me - rispondere alla domanda su chi e che cosa e' stato un altro da me. Ebbene, se dovessi rispondere su chi e' stato Luigi Pintor, risponderei subito: un eversore. Uno che voleva sovvertire la societa' in cui viveva. Di essa non gli piacevano ne' le leggi, ne' i costumi, ne' i modelli. Si ribellava a una oppressione? Mi pare che fosse diverso e di piu'. Prima ancora, guardando a lui, Luigi Pintor, mi sembrava che egli protestasse innanzitutto contro un modo di leggere la vita: sembrava provare una nausea per i codici e i sacrari posti sugli altari. E lo stupiva l'ipocrisia che stava al fondo di quei canoni. Anche se poi - alla fine del suo amaro riflettere - sembrava sempre chiedersi con un breve ghigno: ma di che siamo sorpresi? Certo, alla fonte del guasto era per lui il capitalismo, con la sua avidita' insanabile. Luigi non era un riformista. Non lo era mai stato, anche quando scendeva con sarcasmo a denunciare e misurare l'avarizia della borghesia nei suoi riti di elemosina sociale. Il suo sogghigno era come dire: avete visto di che pasta sono fatti costoro? Ma c'era alle spalle come un'idea del Male del mondo, di una ingiustizia piu' vasta della violenza propria dell'ordine sociale imperante. E il furore e la collera contro tale ordine sociale in auge sembrava in lui accrescersi proprio in rapporto alla durezza dell'infelice condizione umana. Tanto piu' la borghesia era sordida. Dunque: un apocalittico mediterraneo? La cosa sorprendente in questo amarissimo e aspro narratore del male di vivere, era la testarda tenacia combattiva con cui egli si impegnava - si potrebbe dire: ogni giorno - nella lotta quotidiana, sullo scontro pratico della sinistra come essa era, nei suoi difetti e nelle sue piu' elementari speranze, nelle sue passioni e prove di ogni giorno. E come il suo gusto per la pagina alta e severa, per il canto disperato, si mischiavano all'elzeviro bruciante sul giornale, alla staffilata breve contro il nemico di classe, contro i trafficanti della politica. Qui - per me - era il suo volto inconfondibile che tornava poi anche nelle pagine cosi' stringenti e allusive dei suoi romanzi o memorie. La perdita e' grave, nel momento in cui la partita mondiale vede toccare nuove altezze e pone la guerra come asse centrale della politica. E sono alla prova, di nuovo, letture del mondo, sistemi mondiali di politica. Altri dira' della vocazione naturale di Luigi alla scrittura, della sua passione singolare a trasformare l'emozione etica in racconto e l'abbandono alla memoria come interrogazione sulla vita. A me e' caro ricordare la sua alta irrequietezza sul senso dell'essere, e insieme come egli mescolava il suo stare quotidiano nella mischia con le domande sull'Ultimo. Qui vedo la cifra dell'uomo. Non era semplice Luigi. La sua irrequietezza non era breve. E la sua passione polemica - a guardare in fondo - scavalcava anche la sua parte. Riflettendo su di lui, ora che e' composto nella calma severa della morte, bisognera' risalire lontano a una vena, a una costa d'Europa maturata nella "guerra totale" (come l'ha definita Hobsbawm) apparsa sul globo a meta' circa del Novecento e poi - nel tempo di Bush - tornata a misurarsi col nuovo livello raggiunto dall'arte dell'uccidere. Qui per me vengono anche domande sul passato. Che vedemmo, che capimmo allora, in quell'incendio mondiale della nostra gioventu', quando Luigi sfiorava appena i vent'anni e gia' era nella bufera della insorgenza partigiana? E che non capii io della rottura del "manifesto" che ci divise? E ancora oggi non siamo riusciti a costruire un livello di incontro adeguato alle varianze faticose della sinistra oggi, pur dopo la novita' straordinaria dei new global. Da che viene l'insuperato che ancora ci spacca? E come possiamo pensarti, ed evocarti, fratello che te ne vai, senza cercare risposta a queste domande? Dal tuo silenzio, come ancora ci chiami - testardamente - nella tua amara interrogazione sul domani... * Cercate ancora Adesso proceda il lavoro della memoria. Lunedi', in quella assorta e stupenda piazza romana - segnata dalle luci miti che accompagnavano il lungo crepuscolo di maggio - e' cominciato il rito - disperato e vitale - del ricordo, l'ansia di evocare cio' che con Luigi Pintor, con quell'uomo, con quel compagno se ne andava, o invece proseguiva. E nelle parole dette c'erano - insieme - l'antica usanza umana di salutare la cupa morte, e l'ansia di salvare quella vita che si era spenta con il recupero della memoria: quella vita prorompente, impetuosa - e cosi' inquieta sempre - che era stata di Luigi Pintor: nel tumulto del secolo sanguinoso e delle nostre speranze sconfitte. E nella grande commozione e anche nelle lacrime e negli applausi di quella piazza romana chi di noi non andava col pensiero a quell'ostinato silenzio di lui, costretto nella bara? Infine ci sono stati gli abbracci che seguono al rito: a Isabella prima di tutti. La piazza faticava a svuotarsi, come se ognuno esitasse a separarsi, o aprisse i polmoni al soffio vespertino di quel tramonto romano ancora incantevole. Adesso - da domani - c'e' da pensare, con il metodo necessario, come la memoria si mette all'opera e tenta la sua rivincita sulla morte. Luigi - questa e' la mia convinzione - diversamente dalle apparenze non era per nulla lineare. E usava anche diversi linguaggi: non solo quello dell'articolo icastico e dell'invettiva. Aveva un gusto del rimembrare che pero' non era mai solo ricordo di un accaduto: esso si univa clamorosamente a brani di affermazione apodittica, a sentenze brucianti e allusive, e infine a una lettura del mondo amarissima, in certi momenti anche cupa. Non e' semplice ricostruire come questo suo fondo apocalittico si fondesse con quella passione cosi' attuale, con quel guizzo dell'intervento immediato e dello stare in campo, che lo rendeva disponibile - cosi' mi sembrava - anche all'ultim'ora, quasi ancora al momento di chiudere il giornale. Come si combinavano quella riflessione generale sull'esistere e la passione dell'intervento bruciante sulla vicenda quotidiana? Infine Luigi e' parte di una speciale storia italiana, per un verso anche ostinatamente "sarda" (con i suoi cieli, i suoi profumi) che si e' intrecciata, anzi e' stata obbligata a intrecciarsi con una tragica vicenda: europea prima, e poi addirittura mondiale. Oggi la dimensione globale (questa parola) e' diventata addirittura ovvia, e la guerra torna a rifulgere nel mondo come quando Luigi si fece partigiano. Che e' diventata la politica, quella che prese Luigi quasi da ragazzo? E che significa il corso di quest'Italia, crollata nella miseria berlusconiana e insieme ancora segnata da un comunismo "strano", che in questo giornale e' cocciutamente sopravvissuto ad una sconfitta storica mondiale? E che sono e furono questi gruppi di intellettuali italiani, all'inizio addirittura allevati sotto la chioccia togliattiana (ma togliattiano - penso io - Luigi, diversamente da altri di noi, proprio non lo fu mai...). E in ogni modo come nacque, continuo' e poi pero' si restrinse quella eresia "comunista" che agisce ostinata ancora oggi - a volte anche duramente faziosa - nel "Manifesto", con quell'intreccio di pessimismo e di fierezza indomata, che in Luigi erano cosi' strettamente congiunti? E che pezzo d'Europa e d'Italia essa oggi rappresenta? Qui davvero tornano forse, anche la figura del fratello di Luigi, Giaime (su cui in questi mesi sono state scritte parecchie scemenze e grettezze), e il rapporto con la vicenda della cultura europea novecentesca: delle sue scalate al cielo, dei suoi ardimenti e delle sue pesanti prove e sconfitte. Dunque memoria, ricerca laica: che non si fa fermare dalla morte. E - insieme con i segni e i riti del lutto - subito avanzano le nuove domande sulla vita, e quindi sull'oggi e sul futuro. Secondo quel motto immortale che dice: cercate ancora. 7. MEMORIA. LUCIO MAGRI RICORDA LUIGI PINTOR [Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 maggio 2003. Lucio Magri e' stato tra i promotori dell'esperienza del "Manifesto", poi segretario del Pdup per il comunismo, promotore con Claudio Napoleoni di una iniziativa per l'unita' delle sinistre in anni in cui avrebbe potuto avere una rilevanza decisiva, attualmente dirige "La rivista del Manifesto" ed e' uno degli intellettuali piu' acuti e rigorosi della sinistra italiana] Il giornale mi ha chiesto di scrivere, e subito, qualcosa di cio' che sento o di cio' che ricordo su Luigi e per Luigi. E' un dovere, e ci pensavo da tempo, perche' questa morte non ci coglie di sorpresa e l'abbiamo accompagnata con angoscia. Tuttavia non mi sento ancora capace di assolverlo. Non e' solo la commozione per la perdita di una persona tanto cara che ti blocca, quasi ti suggerisce il silenzio come unica espressione adeguata e riparo dal rituale. Quando un'altra vita e' stata intrecciata alla tua con fasi alterne ma dalla gioventu' alla vecchiaia, il suo necrologio e' anche il tuo e non si puo' fare il necrologio di se stessi. Soprattutto non vuoi partecipare a un coro giustamente numeroso perche' e' anche un pezzo di te che si perde quello di cui parli e vorresti consegnare alla memoria. Una sola cosa dunque posso qui fare: prendere un impegno. Ripensando alla vita di Luigi, alla mia e a quella di pochi altri mi pare chiaro il fatto che - ci soddisfi piu' o meno - la cosa piu' oggettivamente rilevante che abbiamo fatto l'abbiamo fatta insieme: la tormentata scelta di preparare e di fare "il manifesto" - rivista, gruppo politico, giornale - pagandone i prezzi, uscendone trasformati. Ebbene, una ricostruzione vera di quell'impresa (fatti e idee, intenzioni e risultati, intuizioni anticipatrici ed errori ingenui e poi sviluppi e rettifiche, discussioni accanite, separazioni e ricongiungimenti, molti rivoli nuovi di cultura e di impegno politico connessi a una radice comune) non si e' mai fatta, anzi se ne affievolisce la memoria nella testa di ciascuno. Per responsabilita' e motivi diversi. Colpisce ad esempio che negli ultimi brevi e bellissimi libri di Luigi - un'analisi autobiografica cosi' minuziosa e altrettanto selettiva - quella vicenda di cui era protagonista sia quasi rimossa, non credo per sottovalutarla, ma forse proprio per dare la misura estrema del suo sentimento profondo della vanita' delle cose che pur appaiono importanti e in cui ci impegniamo con ogni energia. Io, quasi al contrario, sono sempre stato ossessionato dal valore e dalla continuita' di quell'origine, ma sentendola erroneamente quasi mia e cercando di rivedervi i limiti per restaurarla, ma tanto da oscurarne la memoria e il carattere polifonico. Sta di fatto che quella microstoria non c'e'. E infatti spesso coloro che oggi dicono: abbiamo sbagliato a cacciare quelli de "il manifesto", avevano molte ragioni, non ricordano cio' che "il manifesto" diceva o suggeriva; altri lo sentono come parte della propria vita, ma trascurandone la specificita' e riducendola al minimo comune denominatore tra i vari gruppi della nuova sinistra degli anni '70. L'impegno che vorrei assumere, non da solo, con lui e in suo onore e' percio' di lavorare da subito alla ricostruzione di quella storia, precisa nei fatti, serenamente veritiera, orgogliosa e anche autocritica. Potrebbe essere un contributo per far vivere pio' a lungo qualcosa di lui, o almeno di una parte di lui, di cio' che ha fatto, oltre il ricordo e l'affetto per la persona straordinaria o per la penna raffinata o per l'inflessibile coerenza. Di lui cioe' come comunista inquieto, intransigente e problematico, superbo quanto disincantato anche su di se'. 8. MEMORIA. VALENTINO PARLATO RICORDA LUIGI PINTOR [Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 maggio 2003. Valentino Parlato, tra i fondatori del "Manifesto", rivista prima e quotidiano poi, e' uno dei piu' prestigiosi intellettuali della sinistra italiana] La morte di Luigi, improvvisa e lunga (nessuno si aspettava una sentenza cosi' radicale da parte dei medici e nessuno dei medici si aspettava la sua lucida e naturale vitalita') e' un colpo terribile per tutti noi del "manifesto" e per i suoi tanti amici e compagni, oggi anche lontani da lui. Non si tratta solo di un colpo agli affetti, ma alla vita di ciascuno di noi, al nostro passato soprattutto, ma anche al nostro difficile futuro. Occorre ripensarsi; ma intanto, anche se qualcuno di noi preferirebbe il silenzio, e' d'obbligo, e' giusto scrivere; non e' opportuno tacere: per noi e per lui. Ma che cosa dire? Viene da ripetere la frase "non ho parole", usata e pure abusata da Luigi, che le parole le modellava e le manovrava, come il fioretto e l'obice, a seconda delle circostanze. Ho riletto, sul "manifesto", la sua lettera a Laura Lombardo Radice-Ingrao. Confesso la mia incapacita': l'essenzialita' di quei quattro capoversi non e' imitabile. Scrivero' piu' a lungo, sballottato tra pulsioni diverse e tra loro forse contraddittorie. Certo, senza Luigi il quotidiano "il manifesto" non ci sarebbe mai stato. Luigi e' stato, pur tra scontri dolorosi, l'architrave di questa casa che tra venti e tempeste ha resistito piu' di trent'anni, un caso abbastanza unico per un giornale come il nostro. Senza di lui tutto sara' piu' difficile, vecchi e giovani dobbiamo saperlo e insieme dovremmo ripetere "Servabo"; cosi' come Luigi intendeva e intese nella sua vita quel motto. Luigi e' stato un fratello maggiore, un amico, un compagno in senso profondo. Per chi gli e' coetaneo, ma anche per i giovani, la sua uscita di scena costituisce un'altra avanzata di quella grigia armata che si chiama solitudine. Noi piu' vecchi soffriamo terribilmente di solitudine, che e' anche sinonimo di debolezza e che, con tutti i sensi di colpa, un po' mi induce a invidiare Luigi: morire e' anche uscire di scena - pare che Augusto, morendo, come sue ultime parole abbia detto "la commedia e' finita". La vita e' anche una commedia, Augusto, primo imperatore globale, aveva qualche ragione. Nel momento del distacco, chiedersi chi era veramente Luigi puo' apparire saccente e presuntuoso. Puo' apparire solenne e autosolennizzante. Mentre scrivo, sono le 15 di sabato 17 maggio, arriva la notizia della morte annunciata: Luigi e' morto. L'annuncio era scontato, ma cambia piu' di qualcosa. Chi era Luigi con il quale abbiamo lavorato, anche con scontri e divisioni dolorose, da circa quarant'anni? Luigi era e resta una personalita' unica, complessa non per le sue contraddizioni interne come ormai tutti ci diciamo, ma per la ricchezza dei suoi apporti costitutivi. Luigi e' stato uno straordinario, direi unico, figlio del secolo breve. Senza la seconda guerra mondiale Luigi, forse, non sarebbe stato Luigi e neppure molti di noi piu' anziani. La seconda guerra mondiale - rileggiamo Servabo - porta Luigi fuori dell'isola; poi c'e' la morte del fratello, la famosa lettera; e Luigi giovanissimo che dai banchi del Tasso passa ai Gap (Gruppi di azione patriottica, che oggi diremmo terroristi). Ma nella dimensione del secolo breve (ho il timore di scivolare nell'insipienza storiografica) ci sono altri tre elementi che formano la personalita' di Luigi, o almeno credo io. Ci sono la famiglia e la sardita', l'essere un comunista italiano (nozione ancora non di facile comprensione per i piu' giovani) l'essere un giornalista politico e un vero giornalista. Siamo nella prima meta' del novecento, quando le famiglie ancora contavano e la famiglia Pintor, come quella dei Lombardo Radice o dei Natoli, aveva un peso. La famiglia Pintor non era riducibile all'ultimo erede, il giovane Giaime, ucciso dall'esplosione di una mina mentre passava il fronte per tornare al Sud. La famiglia Pintor era qualcosa di piu': era lo zio Luigi, effettivo governatore della Libia; era lo zio Pietro, il generale del corpo d'armata del fronte occidentale che ando' con il giovane nipote Giaime a trattare l'armistizio francese e che poi negli anni quaranta mori' in un sospetto incidente aereo. Ed era ancora lo zio Fortunato, deus ex machina dell'Enciclopedia italiana. Poi, ma forse in primo luogo, Luigi fin da giovanissimo (comincio' con i Gap) fu un comunista italiano. E questa storia non si puo' spiegare solo con la pensione Jaccarino, le torture, la condanna a morte. Non si tratta solo di resistenza ma, credo io - e posso clamorosamente sbagliare - di fredda razionalita' di impegno: il miglior Machiavelli e, pertanto, la massima liberta' di giudizio. Nella tragedia del '56 ungherese Luigi non ebbe tentennamenti e rimase decisamente da questa parte della barricata, non si fece travolgere dal rapporto segreto di Krusciov, non si associo' ai nuovi antistalinisti (che poi erano e sono gli stalinisti di ieri), ma capi' che il Pci per restare tale doveva rompere con l'Urss, puntando a un'uscita dallo stalinismo, ma da sinistra. Una ventina d'anni dopo, forse troppi, ma assai travagliati (ricordiamoci dell'XI congresso del Pci) si arrivo' alla rottura del "manifesto" e alla radiazione dal Pci. Viste le traversie del Pds e dei Ds forse e' difficile comunicare ai piu' giovani che cosa furono i comunisti italiani, ma i giovani dovrebbero fare qualche sforzo e la vita di Luigi dovrebbe aiutarli a capire. Questo comunista italiano, lucido erede di una famiglia impegnata, fu anche - ed essenzialmente - giornalista. Giornalista in senso politicamente alto. Per un verso aveva coscienza della precarieta' del quotidiano: "A mezzogiorno, con il giornale - ci diceva - si possono avvolgere le patate". E a mio parere questa coscienza della precarieta' e' solo l'anticipazione di una profondita'. Parafrasando la famosa frase di Gertrude Stein ("una rosa e' una rosa e' una rosa") ci diceva "un giornale e' un giornale e' un giornale". Coglieva cosi' e metteva in evidenza uno specifico giornalistico, che e' assolutamente politico, contro la semplificazione che un giornale debba essere solo l'amplificatore di una linea politica, eludendo cosi' lo specifico del mezzo e la differenza tra propaganda e persuasione. Si tratta di una questione di delicata intelligenza politica e infatti su questo punto tra noi ci siamo anche scontrati: in totale buona fede, ma con scarsa cognizione delle cose del mondo. Luigi, in quanto giornalista, capiva di politica assai piu' di quelli di noi che si credevano politici. La politica che non puo' andare sui giornali e', evidentemente, sbagliata. Sui suoi articoli, quasi tutti assai brevi, sono usciti due volumi: uno, Parole al vento di Kaos editori, sugli anni '80; e un altro di Bollati Boringhieri, Politicamente scorretto, sugli anni 1996-2001. Valgono piu' di due manuali di storia d'Italia. E c'e' la nostra storia, de "il manifesto", una storia piu' che trentennale che anche per Luigi e' un miracolo mondiale. Il primo numero del quotidiano ando' nelle edicole il 28 aprile del 1971; poco dopo si avvio' la campagna elettorale del 1972. All'interno del nostro gruppo la discussione non fu totalmente serena, poi pero' si decise di andare alle elezioni e alla sconfitta: tanta gente in piazza, pochi voti nelle urne. Poi, con la costituzione del Pdup, nato dall'alleanza tra i compagni anche essi sconfitti del Psiup (Foa, Miniati, Ferrati) si apri' un conflitto tra giornale e partito: il giornale da "quotidiano comunista" era diventato "quotidiano di unita' proletaria per il comunismo". Ci fu il tentativo del partito di governare il giornale; Luigi si oppose e se ne ando'. Ricordo un saluto d'addio, assai doloroso, davanti alla sede del Pdup in via Cavour. Ma l'unita' tra partito e giornale non resse a lungo, ci fu il congresso di Viareggio del Pdup e la rottura tra il gruppo del giornale e il gruppo del partito. "Il manifesto" riprese la sua autonomia, che conserva ancora oggi, e ci fu il rientro di Luigi nel collettivo del giornale e nella sua direzione. Va pero' detto che queste rotture, non semplici, prima con Luigi e poi con Lucio e Luciana e altri compagni meno vicini, non incrinarono mai i rapporti di fiducia reciproca: era un modo buono e leale di fare lotta politica. Ora che Luigi se ne e' andato dovremmo concentrarsi sul nostro prossimo che fare, lui un indirizzo ce lo ha dato. Cerchiamo di ripetere "Servabo". 9. MEMORIA. ROSSANA ROSSANDA RICORDA LUIGI PINTOR [Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 maggio 2003. Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste] Si e' spento ieri Luigi Pintor, il nostro compagno ed amico, quello che ha ideato questo giornale, lo ha fatto con niente, ci ha insegnato a farlo. Non lo dirigeva piu' da anni, lasciando spazio ai piu' giovani, ma ne e' rimasta l'anima, amata o contestata: sentiamo Luigi, che ne dira' Luigi, oggi Luigi scrive. In marzo e aprile ha scritto quasi ogni giorno contro la guerra in Iraq, era gia' malato, non lo immaginava. La vita non lo aveva risparmiato e non lo ha risparmiato neppure la malattia che lo ha aggredito repentina e feroce, senza lasciargli tempo, divorandogli in poche settimane il corpo e non permettendo alla mente vigile ne' di sprofondare nell'incoscienza ne' di "governare il trapasso", come disse con quel suo misto di ironia ed eleganza appena letto il risultato della tac, il 22 aprile. E' stato fino all'ultimo lucido, composto, mentre il corpo se ne andava e la mente restava spalancata davanti all'oscurita' immensa della morte, non cessando di interrogarla. L'aveva frequentata fin da ragazzo, la crudelta' della fine, quando il fratello grande, Giaime, era saltato su una mina tedesca a ventitre anni, nel tentativo di raggiungere le formazioni combattenti del Nord. E' terribile per un ragazzo perdere un fratello, e Giaime era qualcosa di piu'. Era il giovane prodigioso, colto, brillante, che sapeva e spiegava tutto al piu' piccolo di lui, e a lui infatti lasciava la lettera nella quale diceva della sua scelta, necessaria assunzione di responsabilita', senza enfasi e senza lirismo ma senza possibilita' di compromesso. A Luigi parve sempre ingiusto che morisse lui, Giaime, appena oltre i suoi venti anni, prova della crudelta' e non senso delle cose. Poi ne avrebbe raccolto gli scritti e le carte, avrebbe custodito nella memoria dei posteri quella splendente giovinezza, sulla quale qualcuno, l'anno scorso, avrebbe cercato di gettare una manciata di fango. Non so se Luigi ne abbia patito, sta nello stile dei tempi, lui, e noi, ne abbiamo viste di tutte. Ma Luigi era stato singolarmente provato negli affetti: la madre dei suoi figli, Marina, morta di cancro dopo anni di sofferenza, il figlio Giaime mancato alcuni anni fa, poi d'improvviso, intollerabile, la morte della figlia Roberta. Aveva appena ritrovato una certa pace accanto alla sua meravigliosa Isabella in una casa che gli era cara per essere stata della sua famiglia, quando e' stato a sua volta afferrato dal male. Fucilato dalle perdite, gliene era venuto un senso contraddittorio: mai mancare all'impegno ("Servabo") e la sensazione d'una fatalita' negativa dell'esistenza, e fin un senso di colpa, la colpa di essere, di sopravvivere, di aver mancato non si sa come e dove, che filtra dai suoi libri, anch'essi contraddittori fra la profondita' del pessimismo e la perfezione della forma, ed e' l'oggetto dell'ultimo di essi, scritto due anni fa e in uscita adesso. Leggendone le bozze in clinica si sarebbe detto, scuotendo il capo come di fronte all'ennesimo scherzo del destino, che nel protagonista, cui il medico ha appena annunciato la malattia mortale, il lettore avrebbe a torto veduto lui stesso, da due anni in attesa della fine, mentre la malattia di cui scriveva era un'altra, la colpa non di avere commesso un delitto, ma di non averlo saputo impedire. La colpa di noi tutti, che andava, va, oltre la vicenda della persona, la colpa del fallimento delle idee, dei comunisti. Luigi era stato uno dei migliori giornalisti dell'"Unita'" - in verita' uno dei migliori giornalisti italiani, per il nitore della scrittura e la fulmineita' della vis polemica. Quando comincio' la televisione, il faccia a faccia con l'avversario pareva fatto per lui. Non ne perdeva una, andava sempre al segno, colpiva con quella sua infallibile e spiritosa eleganza, senza un colpo basso, ignaro di ogni volgarita', convinto come era che il popolo e' nobile e la sua causa va servita con nobilta'. Non capi' mai che cosa di rivoluzionario potesse esserci nel trash o in una sgrammaticatura. E la gente del Pci gli era grata anche di quello stile, che nulla concedeva. Luigi e' quello di noi cui hanno voluto piu' bene. Allora aveva alle spalle un grande partito, del quale non ignorava limiti e vizi, ma che fino agli anni '60 gli parve rappresentare la trincea della classe operaia italiana. Classe operaia, popolo, gli offesi, i lavoratori dipendenti; non si impiccio' mai troppo di marxismo, Luigi, le cose gli apparivano piu' secche e semplici, e aveva ragione che la vera posta in gioco e' e resta la dignita' della persona. Ci volemmo bene sempre e ci azzuffammo sempre, pensava che fossi troppo elucubrante, oltre che asinissima nella scrittura. Ma eravamo sempre dalla stessa parte, intendendoci negli accordi e disaccordi da lontano, fra sorriso e furore. Sta di fatto che ci trovammo naturalmente assieme, Pintor, Aldo Natoli, Valentino Parlato, Lucio Magri, Luciana Castellina quando il Pci tollero' appena il 1968 e ingoio', seppur a malincuore, l'invasione russa della Cecoslovacchia. Facemmo assieme il primo "manifesto", un mensile, e fummo assieme esclusi dal partito. Ma a Luigi non sarebbe mai bastata una rivista, voleva un moltiplicatore, una nostra lista alle elezioni, e uno strumento smisurato come e' un quotidiano. Un quotidiano era una follia, non avevamo un soldo ne' un finanziatore, non lo avemmo mai, e la squadra sulla quale egli poteva contare di giornalisti ne aveva due, Michele Melillo e Luca Trevisani. E un grande grafico, Giuseppe Trevisani. Cercammo soldi da questo o quel compagno, un milione per volta, e partimmo quando ne avemmo otto. Per anni avremmo vissuto di sottoscrizioni, tenuti a galla dai lettori, mentre la pubblicita' manco' sempre, fu molto al di sotto dell'area sulla quale pesavamo e pesiamo; i padroni non si sbagliano, non ci dettero mai niente, non ci tentarono: mai virtu' fu meno insidiata della nostra. Ma, credevamo con Luigi, avevamo con noi tutti i comunisti che ci credevano ancora e soprattutto quella intelligente nuova insorgenza giovanile. Sarebbe stato un felice innesto fra i vecchi - per rapporto al movimento del 1968 eravamo gia' "padri" e "madri" e non cosi' sciocchi da travestirci - che avevano memoria del partito comunista piu' intelligente d'Europa e i giovani che si sollevavano da tutte le parti, e i nuovi operai dell'autunno caldo. Sarebbe stato l'abbraccio fra un sapere piu' freddo e un'audacia innovatrice spericolata. Non funziono' affatto. Alle elezioni del 1972 le nostre piazze furono piene quanto quelle del Pci, ma nella cabina elettorale molti cuori che erano con noi preferirono votare per un partito piu' forte. E diffido' di noi anche il post 1968 piu' radicale e piu' frettoloso. Piu' tardi sarebbe finito disgregato o nell'estremismo armato o nel riflusso. Difendemmo sempre questi figli che non ci avevano badato, e molti dei quali ci fanno oggi lezione da destra. Luigi non ne fu gran che turbato, piu' gli e' pesata la seconda sconfitta politica, quella di noi "vecchi", l'incontro mancato fra quel che pensavamo andasse conservato dei comunisti italiani e le nuove forze ed idee. Quanto alla mancata eco elettorale, egli che era fra coloro che vi avevano puntato di piu', per primo capi' che non ce l'avremmo fatta: mentre festeggiavamo, qualche giorno prima delle elezioni, il primo compleanno del giornale, Luigi arrivo' dicendo con l'abituale calma: Non e' andata. Non ce l'abbiamo fatta. Sarebbero rimasti il giornale e un tentativo, fallito presto, di movimento partito. Il giornale e' il solo sopravvissuto. Il solo quotidiano nato dal 1968 che duri e sia interamente libero, libero financo da un editore. Esile ma rispettato. Ci conoscono in tutta Europa, ci conosce tutta l'Italia, che ci compra soltanto nelle emergenze, mentre una base fedele di lettori ci rende impossibile di vivere con agio e di morire di stenti. "il manifesto" di Pintor e' un pezzo di storia italiana della seconda meta' del secolo. Non che al suo ideatore sia stato sempre fonte di soddisfazione e di gioia. Nel 1973 gia' scriveva una lettera disincantata e spiritosa, il giornale non era quello che avrebbe voluto e non per la malvagita' del fato ma per i difetti della nostre inflessibili soggettivita'. Che il riflusso degli anni '70 e poi il crollo del comunismo, reale e non, avrebbe moltiplicato. Eravamo liberi di riflettere la realta', e la riflettemmo anche nei suoi erramenti. Luigi ogni tanto ruggiva, cercava di separarsi come altri fra i padri fondatori, ma poi tornava a darci una mano. Torno' sempre, e il giornale lo aspettava piu' o meno ammaccato, ma vivente grazie a Valentino Parlato, sul quale hanno riposato tutte le nostre collere, perche' Valentino non molla mai. Ma e' tanto se abbiamo resistito, se viviamo ancora. Gli anni '90 hanno parlato alle viscere della societa', e alla parte piu' frivola della cultura. Luigi era stupefatto della stupidita' con la quale il mondo consuma e uccide. Non cesso' mai di denunciarla. Non accetto' mai che fosse obbligatorio liquidare il movimento operaio e comunista, e penso' tormentosamente che tutti ne portassimo qualche colpa, non fosse che per indifferenza. Ne' accetto' di liquidare quell'Urss cui fummo i primi a non dare piu' credito ma che rappresentava almeno il simbolo d'un altro mondo e sistema. Ancora quest'anno, nel cinquantesimo della morte, Luigi provocatoriamente rifiutava di consegnare tutto il terribile Stalin alla semplice damnatio memoriae. Non era di coloro che riescono ad avere pace senza che la ragione glielo consenta. Si e' spento irriconciliato. Ma questo siamo in pochi a capirlo. Con lui muore gran parte della mia generazione: aveva un anno meno di me, sono piu' vicina a suo fratello che a suo figlio. Manchera' a noi, ai compagni, agli amici e a quel che resta di rispettabile fra i nemici, e non e' molto. 10. RIEDIZIONI: AA. VV.: POESIE DI PACE E LIBERTA' AA. VV., Poesie di pace e liberta', Newton Compton, Roma 1993, 2003, pp. 352, euro 4. Con nuovo titolo (nella prima edizione era Il fiore della liberta') viene opportunamente ripubblicata la vasta antologia di poesie di tutto il mondo per la pace, la liberazione e la dignita' umana a cura di Elena Clementelli e Walter Mauro. 11. RIEDIZIONI. STANLEY MILGRAM: OBBEDIENZA ALL'AUTORITA' Stanley Milgram, Obbedienza all'autorita', Einaudi, Torino 2003, pp. XLVIII + 206, euro 20. Con un ampio saggio introduttivo di Adriano Zamperini Einaudi ripubblica il fondamentale volume dello psicologo sociale americano che documenta il celebre e terribile "esperimento di Milgram". Una lettura indispensabile. 12. RILETTURE. GIUSEPPE FIORI: CASA ROSSELLI Giuseppe Fiori, Casa Rosselli, Einaudi, Torino 1999, pp. 246, lire 25.000. Con la consueta tenerezza e precisione Giuseppe Fiori - il grande autore di finissime e rigorosissime biografie, recentemente scomparso - ricostruisce nei tratti salienti, nei momenti cruciali, negli svolgimenti profondi, la vita dei martiri antifascisti Carlo e Nello, e di Amelia, Marion e Maria. 13. RILETTURE. SIMONA FORTI (A CURA DI): HANNAH ARENDT Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp. XXXIV + 318, lire 25.000. Una bella raccolta di saggi sulla figura e l'opera della grande pensatrice. 14. RILETTURE. CARLO LEVI: CONTADINI E LUIGINI Carlo Levi, Contadini e luigini, Basilicata editrice, Roma-Matera 1975, pp. 212. A cura di Leonardo Sacco una raccolta di scritti, discorsi e disegni di Carlo Levi, arricchita da saggi, testimonianze e documenti fotografici sul grande intellettuale. 15. RILETTURE. GIULIANA SALADINO: TERRA DI RAPINA Giuliana Saladino, Terra di rapina, Einaudi, Torino 1977, Sellerio, Palermo 2001, pp. 152, euro 7,75. Dalla ricostruzione di un fatto di cronaca una indagine che diventa racconto corale di lotte e sconfitte, dalle occupazioni delle terre fino all'emigrazione. Un libro di grande bellezza e potenza euristica della giornalista e saggista palermitana di forte impegno civile scomparsa nel 1999. 16. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 17. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 578 dell'11 giugno 2003
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