Diario da Kabul #6



Diario da Kabul #6

di Luca Lo Presti

"Vedete quelle donne, una volta indossavano il burqa ora non portano neppure bene il velo!".
Il nostro autista dicendo questo ci indica Simona e Stefania....

Quando eravamo ragazzi andavamo in vacanza in Grecia, la gente accogliendoci diceva: "italiani una faccia, una razza!". Bene qui e' di fatto la stessa cosa, le nostre faccie si assomigliano al punto che l'autista non pensa che Stefania e Simona possano essere italiane. Solo alcune donne nel centro di Kabul escono semplicemente velate, nella periferia e nei dintorni della citta' invece e' quasi la totalita' ad indossare il burqa. Le donne temono ancora le punizioni degli uomini della famiglia cosi' come della polizia.
La mentalita' integralista e' dura da sradicare.

Un giornalista poco prima della nostra partenza disse ad una trasmissione radiofonica che le donne in Afghanistan grazie alla guerra hanno avuto la possibilita' di "buttare il burqua alle ortiche"... grazie alla guerra!

Oggi per la strada abbiamo incontrato un padre con una figlia di circa 5 anni, dico circa perche' non abbiamo avuto la possibilita' di vederla, era coperta da un piccolo burqa in miniatura!

In un contesto a tratti umanamente desolante a consolarci e' l'incontro con le donne della associazione AWEC, che lavorera' con la Fondazione Pangea sul progetto di microcredito insieme ad HAWCA e ad altre due associazioni locali.

Visitiamo i centri dei loro progetti e con grande sorpresa scopriamo che tengono un corso di cultura alla PACE!
Sicuramente il primo di tutto l'Afghanistan se non dell'intera Asia centrale.

Una cultura di pace!? Chiediamo stupiti e subito ci rispondono sorridendo, certo cultura di pace! Occorre spiegare a giovani e vecchi, uomini e donne che la pace va conquistata giorno per giorno cominciando dalle piccole cose: gli afghani sono purtroppo abituati alla violenza, alla brutalita' dei regimi che sono passati da qui che non hanno mai preso in considerazione i nostri diritti e ci hanno solo imposto brutalmente dei doveri, ora abbiamo la possibilita' di riuscire a cambiare le cose, tocca a noi, non saranno le ingerenze esterne ad aiutarci, ne' tutti questi militari a portare la pace. Le ONG cambieranno "casa", sposteranno i loro interventi la' dove le emergenze lo richiederanno e noi resteremo nuovamente da soli. La spinta deve venire dall'interno, dobbiamo essere noi ad insegnare a chi ci sta vicino una nuova vera cultura di pace.

Questo ci dice la presidente dell'associazione afghana mentre ci mostra un manifesto dove in inglese, oltre che in dari la lingua locale, sono illustrati i passi per poter raggiungere il loro obiettivo: tolleranza, solidarieta', amore verso il prossimo, rispetto per l'ambiente, parita' tra i sessi. Ci sembrava di sognare, ma era tutto reale, il corso ci dicono ha avuto anche un grande successo e verra' riproposto nuovamente in futuro. Sembra una bella favola, ma invece e' la realta' di un Paese oggi estremamente complesso, in cui convivono fianco a fianco situazioni contrastanti.

Il nostro progetto di microcredito in questo contesto e con queste DONNE prende forma, dopodomani faremo la nostra prima riunione operativa con le associazioni che hanno aderito alla nostra iniziativa.

Progetto di microcredito, cultura di pace e sviluppo per queste donne che daranno la possibilita' ad altre donne di realizzare il loro sogno d'indipendenza. La loro prima reale possibilita' di sopravvivenza in un mondo che ancora le discrimina terribilmente, insegnera' loro che hanno anche dei DIRITTI !

Abbiamo parlato con una donna vedova che ha due figlie e un figlioletto, le erano stati regalati anni fa dei polli, oggi ha un piccolo allevamento. Le cose ultimamente non vanno tanto bene, il mercato si e' aperto alle nazioni confinanti e le uova arrivano dal Pakistan e dall'Iran ad un costo inferiore. Lei manda il figlio a venderle al mercato di Kabul, ma la strada e' lunga e sconnessa, ci va in bicicletta ed impiega moltissimo tempo, in auto noi abbiamo impiegato quasi un ora, molte uova arrivano rotte. Le abbiamo chiesto cosa pensa di fare visto che gli affari non vanno tanto bene e lei ci ha semplicemente guardato, sconsolata. Allora Stefania le ha detto che potrebbe diversificare il prodotto. "Cosa ne pensi di fare dei dolci con una parte delle tue uova e vendere anche quelli?", le chiede. Ci guarda sorpresa e ci confessa di non saperli fare, inoltre non possiede "l'attrezzatura". "Se fossimo noi ad insegnarti a fare i dolci e ti prestassimo il denaro per aprire un piccolo forno in casa dove poter cuocere i tuoi dolci? Potresti farlo insieme ad altre donne del tuo villaggio e con loro magari aprire una piccola pasticceria?"
......la reazione e'...ENTUSIASTICA!.
Organizzeremo con l'associazione una riunione di donne in quel villaggio nei prossimi giorni per pianificare l'intervento di microcredito. Ci diranno di quanti soldi avranno bisogno per realizzare il loro progetto e da quante donne sara' formato il gruppo.

La Fondazione Pangea e' il tramite per far si' che tutto cio' si avveri, solo un tramite, noi saremo presenti per monitorare l'avviamento del progetto e per aiutare le associazioni locali a decollare. Prenderemo in carico le spese e i rischi per il primo periodo, porteremo persone specializzate che insegneranno loro a tenere una seria e rigorosa contabilita', ma alla fine ce ne torneremo a casa.
E questo significa che andremo laddove un nuovo bisogno ci chiamera'.

Cultura di pace e sviluppo concetti che, in Italia ed in quel mondo che noi chiamiamo orgogliosamente "occidentale", non ancora tutti hanno veramente capito. Impressiona sentir pronunciare queste parole da donne afghane, in Afghanistan. Tra la polvere ed i militari anche questo ci e' capitato, segno che la pace e' un concetto innato tra le persone di buon senso, e' la speranza che gli interessi che portano alle guerre non sempre possono vincere.

A presto Luca, Stefania e Simona.





[Nota: A partire dal 1 Maggio 2003 il sito www.peacelink.it pubblica le
lettere inviate da Luca Lo Presti, presidente della Fondazione Pangea
Onlus, che insieme a Simona Lanzoni e alla fotografa/ricercatrice Stefania Scarpa sara' a
Kabul per seguire l'avvio del progetto Jamila, promosso da Pangea insieme
all'associazione locale HAWCA (Humanitarian Assistance for Women and
Children of Afghanistan)].