RossoNotizieNet n. 32 - 5 maggio 2003



ROSSONotizieNet
numero 32 - 5 maggio 2003


periodico elettronico dell'Associazione Culturale Punto Rosso



ATTENZIONE!!!!!

Sono cambiati i numeri di telefono di Punto Rosso. I numeri corretti sono
02/874324 - 02/875045 (numero telefonico normale e anche fax). Non esiste
più lo 02/72016642



FERMIAMO LA GUERRA - FERMIAMO IL MASSACRO

Fermiamo la mano degli apprendisti stregoni che, pur di mantenere il
dominio sulle risorse strategiche, di occupare regioni del mondo cruciali,
di perpetuare un ordine mondiale iniquo, non recedono di un passo dallo
scatenare l'inferno. Basta con lo scempio dei corpi, dell'ambiente, della
democrazia, della cultura, della vita. Basta morti, basta dolori, basta
distruzioni. Basta con la banda di avventurieri che pretende di governare
il mondo.
L'Associazione Culturale Punto Rosso e il Forum Mondiale delle Alternative
daranno come sempre il loro contributo, assieme al movimento, alle forze
politiche, agli uomini e alle donne di buona volontà, di contrinformazione,
di controcultura e di mobilitazione per affermare la giustizia e la pace.

Consultate il sito
http://www.fermiamolaguerra.it
e per Milano
http://www.fermiamolaguerra.it/milano






Sommario

Iniziative
Milano: Festa del si - apertura della campagna referendaria per l'art. 18
(10 maggio 2003)
Milano: iniziativa sull'ALCA e l'America Latina (13 maggio 2003)
Milano: Assemblea Nazionale dell'Associazione Culturale Punto Rosso - Fma
(17 maggio 2003)

Lup - Libera Università Popolare - i prossimi corsi
- Il pensiero di Nietzsche
- Il Sistema della Comunicazione (parte II)
- Immigrazione e globalizzazione

Iniziative locali
- Massa: incontro con Giulietto Chiesa (31 maggio 2003)
- Carrara: rassegna sul cinema algerino
- Bussero (MI): dibattito pubblico sul dopo-Iraq (16 maggio 2003)

Materiali:
- Ankara, 23-25 aprile 2003 - Diario della seconda udienza del processo a
Leyla Zana e ai suoi compagni
- Novità Edizioni Punto Rosso





SABATO 10 MAGGIO dalle 17 alle 24

MILANO   PIAZZA DUOMO



Apertura della campagna referendaria per il SI al referendum sull'articolo 18

Il Comitato promotore e il Comitato nazionale per il SI vi invitano alla

GIORNATA DEI DIRITTI



FESTA DEL SI'



TESTIMONIANZE di

Vittorio Agnoletto (Forum mondiale delle alternative), Tom Benetollo
(presidente nazionale ARCI), Fausto Bertinotti (segretario nazionale PRC),
Paolo Cagna Ninchi (presidente Comitato promotore LA GIUSTA CAUSA), Luciano
Muhlbauer (segreteria nazionale SinCobas), Gianpaolo Patta (segretario
nazionale CGIL), Alfonso Pecoraro Scanio (segretario nazionale Verdi),
Luciano Pettinari (Socialismo 2000),  Gianni Rinaldini (segretario generale
FIOM),

lavoratori licenziati senza giusta causa, precari, migranti



MUSICA, ANIMAZIONE E PENSIERI con

l'Acadèmia de Capoeira, il Coro "Canto Sospeso"di Martinho Lutero,
Cristiano De André, Dolce Nera, Dario Fo, gli Yerba Buena, Gaetano Liguori
e Idea Trio, Moni Ovadia, la Piccola orchestra napoletana, i Riddle, i
Sinafrica, la pizzica degli Spaccabrianza, Zambrini jazz.



CONDUCONO Franca Rame e ……



SI PERCHÉ I DIRITTI NON ABBIANO CONFINI

SI PERCHÉ IL LAVORATORE NON SIA UNA MERCE

SI PERCHÉ LA DIGNITÀ NON ABBIA UN PREZZO

SI PERCHÉ LA LEGGE SIA UGUALE PER TUTTI



Diritti, libertà e dignità del lavoro per una società più giusta,  per la
pace tra gli uomini e le nazioni.



Aderiscono e partecipano:

ACEA, ARCI, Associazione culturale Punto Rosso, Associazione Dimensioni
Diverse, Associazione Liberi, ATTAC, Baggio Social Forum, CGIL
LavoroSocietà, Chainworkers, CNL, Cobas, Critical Mass, Forum mondiale
delle alternative, Miracolo a Milano, RdB, Rete Lilliput Nodo di Milano,
Rifondazione Comunista, SinCobas, Socialismo 2000, Sulta, Verdi

con i banchetti delle PIAZZE SOLIDALI e gli stand del COMITATO PER IL SI



COMITATO NAZIONALE PER IL SI

Sede: via Tolero 9, Roma Tel. 06.8600664 - Fax 06.86202013

Portavoce -  Paolo Cagna Ninchi - c.so di P.ta Ticinese 48, 20123 Milano -
Tel-fax. 02.58101910 -  339.1170311

Sede legale -  avv. Piero Panici - via Otranto 18, 00192 Roma - Tel.
06.3722785  Fax 06.37514608

http://www.lagiustacausa.it






Il CRIC (Centro Regionale d'Intervento per la Cooperazione) in
collaborazione con l'Associazione Culturale Punto Rosso



presenta



DONDE SE VA A PARAR CON EL ALCA

L'America Latina dopo le elezioni argentine, gli avvenimenti in Venezuela,
il Brasile di Lula e la vittoria di Gutierrez in Ecuador. Le conseguenze
dell'Alca (Area di Libero Commercio delle Americhe) su scala continentale



MARTEDI 13 MAGGIO 2003 ore 20.30

Biblioteca Gallaratese - Via Quarenghi 21 (MM1 Bonola)



intervengono

Juan Pablo Mu-oz (presidente di Tierranueva, Ecuador)

José Luiz Del Roio (Punto Rosso-Fma, cons. int. Fsm)

José Luis Tagliaferro (Cespi)



L'iniziativa si svolge nell'ambito del progetto "Biblioteche
interculturali" realizzato con il sostegno del Comune di Milano e della
Regione Lombardia



info: 02-36564364  cric.mi at tin.it




ASSEMBLEA NAZIONALE DELL'ASSOCIAZIONE CULTURALE PUNTO ROSSO
FORUM MONDIALE DELLE ALTERNATIVE

MILANO, SABATO 17 MAGGIO 2003, dalle ORE 10.30 ALLE 19.30 presso la SALA
AEM in via della Signora 10 (MM1 - MM3 Duomo).

Questa assemblea vuole essere, in primo luogo, una occasione di analisi e
confronto sulla situazione politico-culturale attuale. Con particolare
riferimento alle condizioni e alle prospettive del movimento dei movimenti
di cui facciamo parte, nello sforzo di immaginazione e di proposizione per
i lineamenti fondamentali di una politica e di una cultura comune di
alternativa. Anche in riferimento alle sorti di una possibile rifondazione
della sinistra italiana.

In secondo luogo si cercherà di tessere una rete culturale e sociale in
grado di produrre queste ricerche e di vivificarle nelle articolazioni
nazionali e internazionali di movimento.

In proposito verrà messo in rete un  breve un documento introduttivo, che
farà da contributo comune e iniziale alla discussione.

All'assemblea parteciperà François Houtart, segretario generale del Forum
Mondiale delle Alternative. Interventi iniziali a cura del direttivo del
Punto Rosso-Fma e relazione introduttiva su politica, cultura e movimento
di Mimmo Porcaro (studioso della politica).

Siete tutti invitati........


LUP- LIBERA UNIVERSITA' POPOLARE

prossimi corsi



Dipartimento di storia della filosofia e del pensiero umano "Ernst Bloch"



Il pensiero occidentale attraverso le sue grandi opere.



A seguito del grande interesse suscitato dai corsi svolti nei due anni
passati sulla

storia del pensiero occidentale, riprendiamo questo percorso a partire
dalle grandi opere di questo pensiero, come momenti paradigmatici della
storia della filosofia.



Undicesimo Corso



La Gaia Scienza e lo Zarathustra di Nietzsche



Durata: 3 lezioni

Luogo: Punto Rosso, Via Morigi 8, Milano

Quota di iscrizione: 10 Euro



Martedì 6 Maggio 2003, ore 18.30-20-30

Introduzione alla filosofia di Nietzsche

Relatore: Giorgio Giovannetti



Venerdì 16 Maggio 2003, ore 18.30-20-30

La Gaia Scienza

Relatore: Aldo Pardi



Martedì 20 Maggio 2003, ore 18.30-20-30

Così  parlò Zarathustra

Relatore:  da definire






Dipartimento di critica dell'economia politica e della società "Rosa Luxemburg"





IL SISTEMA DELLA COMUNICAZIONE. PARTE II: LA REALTA', L'IDEOLOGIA, LE
ALTERNATIVE.



Durata: 3 incontri. Luogo: Punto Rosso, via Morigi 8, Milano. Quota di
partecipazione: 10 euro



Primo incontro. Mercoledì 7 Maggio, ore 18.30.

Gli effetti della comunicazione mediatica: strategie, presunzioni,
ideologia, realtà.

Relatore: Francesco Siliato (Politecnico di Milano).



Secondo incontro. Mercoledì 14 Maggio, ore 18.30

Il lavoro nel sistema informativo: la forma di apparato, l'impresa,
l'organizzazione, le alternative.

Relatore: Giovanni Cesareo (Politecnico di Milano)



Terzo incontro. Mercoledì 21 Maggio, ore 18.30.

I media alternativi e di movimento.

Relatori: Roberto Savio (Ips, consiglio internazionale FSM), Claudio
Jampaglia (responsabile comunicazione Attac Italia).






Dipartimento di Studi Internazionali "Patrice Lumumba"



IMMIGRAZIONE E GLOBALIZZAZIONE

I MIGRANTI E IL CONFLITTO SOCIALE NELL'ERA DEL NEOLIBERISMO



Le migrazioni d'individui non sono un fenomeno sociale dei nostri giorni.
Sono piuttosto una pratica storicamente sedimentata nel processo evolutivo
della società umana. Il movimento di popolazioni da un luogo ad un altro è
fenomeno riscontrabile in tutte le epoche storiche. La storia dell'uomo è
una storia di umanità in movimento. La stessa storia dell'Europa moderna
può essere scandita dai tempi delle migrazioni interne, dagli spostamenti
di lavoratori da un paese all'altro, dal continuo esodo dei profughi delle
guerre che hanno insanguinato il nostro continente negli ultimi cinque
secoli.

Le immigrazioni contemporanee si iscrivono in questo continuum storico ma
differiscono dal passato per le concause che oggi le generano. Gli attuali
processi migratori vanno contestualizzati all'interno dell'attuale
situazione socio-economica mondiale nella quale questi stessi si dipanano.
Si tratta di una riflessione che non può non essere posta in termini
sistemici all'interno di quel macro-fenomeno sociale definito
globalizzazione.

Tale è il sistema nel quale si inseriscono gli odierni processi migratori,
non solo per il sottosviluppo generato in alcune zone del mondo dai
processi di globalizzazione dei mercati, ma anche perché le migrazioni - e
soprattutto le politiche di controllo delle stesse, attuate dalle
"democrazie occidentali" - sono funzionali ai processi di precarizzazione e
di indebolimento della forza lavoro anche nei paesi a sviluppo avanzato.

Gli incontri formativi che proponiamo cercheranno di analizzare i punti
critici delle attuali politiche migratorie, partendo da una visione
differente che prenderà in considerazione non tanto i risultati pratici che
queste politiche si propongono, quanto i riflessi sul controllo del lavoro
migrante che le stesse provocano. Si cercherà inoltre di mettere in luce la
reale possibilità di una diversa politica migratoria.



Durata: 4 incontri. Luogo: Punto Rosso, via Morigi 8, Milano. Quota di
partecipazione: 20 Euro



1) Venerdì 9 Maggio 2003, 18.30-20.30, relatore Andrea De Bonis

Processi migratori e politiche di controllo

I movimenti di popolazione negli ultimi due secoli: la creazione della
figura giuridica dello straniero - le migrazioni del dopoguerra - il
controllo del lavoro migrante nella Germania - migrazioni e segregazionismo
in U.S.A.



2) Giovedì 15 Maggio 2003, 18.30-20.30, relatori Marco Ferrero e Anna Andrian

La costruzione della fortezza Europa

Diritto diseguale e controllo del lavoro migrante - il modello tedesco del
lavoratore-ospite (Gastarbeiter) - il modello assimilazionista francese -
il modello inglese: tra imperialismo e riconoscimento - le nuove migrazioni
nell'Europa del Sud - le politiche europee di immigrazione e asilo.



3) Venerdì 23 Maggio 2003, 18.30-20.30, relatrici Flavia Favero e Roberta
Rossolini

I processi migratori e l'ibridazione culturale

Multicultura, intercultura, transcultura? - diversità/affinità tra
esperienze geoculturali differenti - razza, etnia, cultura: i rischi di
vecchie e nuove etichette - alla scoperta dell'ibridazione culturale.



4) Venerdì 30 Maggio 2003, 18.30-20.30, relatori Andrea De Bonis e Eleonora
Garosi, con la partecipazione del Professor Salvatore Palidda -

L'immigrazione in Italia: precarietà e criminalizzazione

La criminalizzazione dei migranti - Soft-apartheid e differenza giuridica
del migrante - Sans-papiers ed economia informale - la cittadinanza come
diritto esclusivo - il controllo del lavoro migrante in Italia - proposte
per una possibile nuova politica migratoria.






Associazione  Culturale Punto Rosso
Massa Carrara    
e-mail: puntorosso.carrara at tin.it

in collaborazione con
Portofranco - Regione Toscana

Organizza

SABATO 31 MAGGIO 2003 - ORE 21.00
SALA DELLA RESISTENZA - PALAZZO DUCALE
PIAZZA ARANCI - MASSA

INCONTRO CON GIULIETTO CHIESA
Editorialista per "La Stampa", Premio Cultura della Pace 2003
Citta' di Sansepolcro, promotore di Megachip e del progetto di
TV indipendenti.

L'incontro sara' l'occasione per presentare il nuovo libro di
G. Chiesa e M. Villari, Feltrinelli
"SUPERCLAN"
E' la nuova superclasse sul ponte di comando mondiale, formato
dai magnati dei Media, delle Multinazionali e delle Finanziarie, che
utilizza la guerra infinita per mantenere il proprio potere imperiale.
Una nuova classe predatoria che mette a rischio la democrazia,
la pace e la stessa esistenza dell'uomo sul pianeta.

Info: puntorosso.carrara at tin.it
cell. 347-1085533





ASSOCIAZIONE ALBERTO BENETTI
ASSOCIAZIONE CULTURALE PUNTO ROSSO


ORGANIZZANO

ALGERIA, MON AMOUR...
RASSEGNA CINEMATOGRAFICA

14 APRILE - 26 MAGGIO 2003
ORE 21
CINEMA GARIBALDI - CARRARA

LUNEDI 14 APRILE:
LA BATTAGLIA DI ALGERI
DI GILLO PONTECORVO

LUNEDI 28 APRILE:
MURIEL OU LE TEMPS D'UN RETOUR
DI ALAIN RESNAIS

LUNEDI 5 MAGGIO:
EL KALAA - LA CITTADELLE
DI MOHAMED CHOUIKH

LUNEDI 12 MAGGIO:
L'ARCHE DU DESERT
DI MOHAMED CHOUIKH

LUNEDI 19 MAGGIO:
LOUSS - ROSES DES SABLES
DI MOHAMED RACHID BENHADJ

LUNEDI 26 MAGGIO:
TOUCHIA (CANTICO DELLE DONNE DI ALGERI)
DI MOHAMED RACHID BENHADJ

Con il patrocinio
di PortoFranco - Regione Toscana, Comune di Carrara,
Comune di Massa, Provincia di Massa Carrara

In collaborazione con:
Scuola Nazionale di Cinema - Cineteca Nazionale - Roma
Centro Orientamento Educativo - Milano






C.C. AREA CARUGATE

ASSOCIAZIONE PUNTO ROSSO BUSSERO

RIFONDAZIONE COMUNISTA

LUP - Libera Università Popolare



Dibattito pubblico

DOPO L'IRAQ: VERSO UN NUOVO (DIS)ORDINE MONDIALE

LA STORIA AD UN BIVIO TRA GUERRA PERMANENTE CONTRO L'UMANITA' ED UMANITA'
CONTRO LA GUERRA



Intervengono:



Bruno CARTOSIO - Università di Bergamo

Andrea FUMAGALLI - Università di Pavia

Isidoro MORTELLARO - Università di Bari

Patrizia SENTINELLI - Rifondazione Comunista

Don Alberto VITALI - Pax Christi



VENERDì 16 MAGGIO 2003 - ORE 20.30 ALLA BIBLIOTECA DI BUSSERO (MI)

VIA GOTIFREDO N. 1



Info: 02/2150657 - 328/1004010 - 02/95039937 - 02/874324








 Materiali




Qui di seguito vi facciamo avere il diario che Silvana Barbieri,
responsabile come Punto Rosso della campagna per la scarcerazione di Leyla
Zana, ha redatto in occasione del secondo viaggio con una delegazione del
Parlamento Europeo per assistere alla ripresa del processo alla stessa
Leyla Zana e agli altri tre deputati curdi. Con la preziosa collaborazione
di Emilio Molinari, Tina Mastrolonardo e di Lerzan Tascier, esponente curda
che accompagna le nostre delegazioni e la cui assistenza e opera di
traduzione sono indispensabili.



Ankara

23-25 aprile 2003

Diario della seconda udienza del processo a Leyla Zana e ai suoi colleghi





23 aprile

I due taxi arrivano insieme all'hotel anche se Stefano Squarcina e Feleknas
Uca sono arrivati per loro conto da Bruxelles e noi, Luigi Vinci, Emilio
Molinari, del Comitato per il contratto mondiale dell'acqua, sua moglie
Tina ed io Silvana Barbieri siamo invece appena arrivati dall'Italia. Siamo
tutti  ad Ankara per la seconda sessione del nuovo processo a Leyla Zana e
agli altri tre deputati curdi, in carcere da nove anni e mezzo. Alla sera
ci ritroviamo tutti quanti in un ristorante dove eravamo già stati un mese
fa che ha un'atmosfera gradevole e dove soprattutto non c'è confusione e si
mangia un buon pesce. Ci fanno sedere in un angolo fra due pareti di vetro
a forma di L, da dove possiamo vedere un giardino illuminato e la pioggia
che viene giù a catinelle. Parliamo del processo, della speranza della
scarcerazione dei quattro deputati curdi ,del significato della presenza
della delegazione ufficiale del Parlamento Europeo al processo, della quale
sia Luigi che Felek fanno parte, e parliamo anche del nostro viaggio a
Diyarbakžr, dove ci recheremo dopo il processo, sia per farci un'idea
precisa del grado reale di applicazione delle riforme giuridiche che il
Governo e gli ambasciatori della Turchia sbandierano in Europa che per
incontrare la Camera degli ingegneri di Diyarbakžr, che si è espressa
contro la costruzione di una quantità di dighe nel Curdistan turco, a
partire da un progetto turco-israeliano, costruzione che oltre a provocare
devastanti effetti umani, sociali, ambientali e archeologici (di cui
scriveremo prossimamente) permetterebbe alla Turchia di ricattare Siria e
Iraq, attraverso il controllo del flusso dei fiumi Tigri ed Eufrate. Mentre
parliamo di questo entrano nel ristorante otto uomini vestiti di grigio e
con un atteggiamento molto deciso. Si guardano attorno attentamente, poi
formano un corridoio attraverso il quale entrano altri sei uomini, essi
pure in grigio, che si siedono lontano da noi di tre tavoli. Gli uomini
entrati per primi sono dunque guardie del corpo; rimangono ancora un po',
poi vicino al tavolo si fermano in due, alcuni altri si mettono davanti
alla porta, altri ancora vanno fuori, sotto la pioggia, a controllare
l'entrata e le vetrate del ristorante.



Capiamo così che i sei al tavolo sono persone importanti. Guardiamo i
volti, uno è noto, quello del Presidente del consiglio turco Erdog˜an.
Comincia allora un gioco che non piace a Luigi: "quando usciamo ci fermiamo
al loro tavolo, gli diciamo qualcosa sul processo dei quattro deputati
curdi e gli chiediamo se hanno intenzione di risolvere il problema curdo."
Arriviamo a fine  pasto con Luigi che si arrabbia: "non fate cazzate, siamo
qui per aiutare quattro compagni a uscire dal carcere". Ci alziamo dal
tavolo e mentre ci avviamo all'uscita, Luigi davanti a tutti, Felek punta
al tavolo di Erdog˜an: "sono una deputata tedesca al Parlamento Europeo,
sono di origine curda, sono qui con diversi colleghi in delegazione
ufficiale per il processo di domani ai deputati curdi". Ci rispondono che
sanno della presenza al processo di questa delegazione e inoltre che ci
sarà, domani, un incontro tra la delegazione e il Ministro della giustizia,
e chiedono a Felek se la delegazione sarà "cattiva" oppure no. Felek
risponde che "domani vedremo, dipende da quello che ci direte", dà la mano
a tutti. Erdog˜an si alza in piedi e si muove per salutarci, ma Luigi è già
fuori dal ristorante e Stefano, Emilio, Tina e io ci limitiamo perciò ad
abbozzare da lontano un saluto e usciamo. Siamo tutti contenti di Felek. E
ragioniamo su quanto è successo: il comportamento amichevole di Erdog˜an
esprime semplicemente il carattere della persona o una cortesia
protocollare, oppure anche la consapevolezza della condizione terribile dei
curdi in Turchia e della necessità di cambiarla, anche perché, altrimenti,
la Turchia non entrerà nell'Unione Europea? Questo non sarebbe da poco
rispetto alle posizioni e alle pratiche abiette dei militari, delle forze
di sicurezza, della burocrazia statale e della magistratura.



24 aprile

E' la giornata che impegna la delegazione del Parlamento Europeo ad una
fittissima serie di incontri: al mattino alle otto con due avvocati
italiani dell'Associazione dei giuristi democratici, alle otto e mezza con
l'avvocato Alatas¸, che dirige il collegio di difesa degli imputati, poi
con il Ministro della giustizia, poi con il vice capogruppo al Parlamento
turco del partito di governo, islamista, e al pomeriggio con il vice
capogruppo del partito di opposizione, il Partito repubblicano del popolo,
quello kemalista storico, che oggi si dichiara socialdemocratico, poi con
il Presidente della Commissione del Parlamento turco di investigazione sui
diritti umani, poi, alla sede della Commissione Europea, con i
rappresentanti di varie ONG e delle due associazioni per i diritti umani,
infine con le ambasciate dell'Unione Europea, paesi candidati compresi.



Luigi per ragioni di correttezza istituzionale, dice,( in realtà perché gli
incontri con gli interlocutori turchi lo hanno molto preoccupato rispetto
all'esito del processo), non vuole che di questi incontri si parli. Quanto
vi è emerso, questo solo possiamo dire, gli è apparso molto negativo,
mentre si aspettava qualcosina di più dai rappresentanti islamisti.
"L'unico che non ragiona come il precedente establishment kemalista,
sciovinista, anticurdo e antidemocratico, è il Presidente della Commissione
parlamentare di investigazione sui diritti umani", ci ha riassunto. Questi
non a caso era presente alla prima sessione del processo.



Per il resto invece ONG, associazioni per i diritti umani, rappresentanti
della Commissione Europea, ambasciate sono tutti quanti concordi nella
descrizione di una situazione della Turchia che è disperante. Le riforme
giuridiche sono parziali e ambigue, dicono, e soprattutto lo stato fa di
tutto per non applicarle. La mentalità degli apparati dello stato continua
a essere quella di prima, ottusa, brutale e fascista. Tortura, omicidi
extragiudiziari, stupri, discriminazioni e vessazioni anche le più idiote
nei confronti dei curdi continuano più o meno come prima. Il diritto
all'uso della lingua curda in televisione e alla radio è pressoché
completamente negato, inoltre è del tutto impossibile dare vita a corsi di
lingua curda.



25 aprile

Il mattino del 25 aprile andiamo dunque al tribunale. La Commissione
Europea è presente con una delegazione numerosa. Sono pure presenti alcune
ambasciate, tra le quali quella italiana. C'è un  grande affollamento
all'ingresso del tribunale: riconosciamo i volti dei compagni di Hadep e di
Dehap ma anche di Akžm Birdal, grande figura di compagno e di democratico
turco, perseguitato a lungo, vittima alcuni anni fa di un pesante attentato
da parte dei Lupi grigi, ci abbracciamo. Ci viene presentata l'avvocato
Eren Keskin, Presidente dell'Associazione dei diritti umani (IHD), donna
coraggiosa impegnata a documentare i casi, tuttora numerosissimi, di
violenza sessuale subita dalle donne, curde ma anche turche, arrestate per
ragioni politiche dalla polizia o dalla gendarmeria. Ha a suo carico la
bellezza di 120 denunce! Su tutto questo avremo un incontro alla sera, poco
prima del suo rientro a I™stanbul. Rivediamo la figlia di Leyla  Zana, che
ci presenta la sorella più giovane di Leyla. Si avvicinano alcune donne,
negli abiti tipici delle curde, e tra loro c'è una donna in nero, è la
moglie di Selim Sadak, uno dei quattro deputati in carcere. Hanno ben 10
figli, cinque maschi e cinque femmine, lei aveva 14 anni quando si è
sposata, quando nel 1994 le arrestarono il marito il primo figlio aveva 15
anni e l'ultimo solo due. Arrivano  due figlie, si assomigliano molto, non
tanto alla madre bensì al padre. Ci commuove la bellezza del viso di questa
donna,  che si è conservata nonostante una vita molto dura. Glielo facciamo
dire dalla nostra amica interprete Lerzan, lei sorride e sorridono le
figlie, che ci dicono che tutti considerano la mamma più bella di loro.
Abitano a Sirnak, una cittadina ai confini con la Siria, dove la
repressione è stata e continua a essere durissima, da parte dell'esercito
turco e dei "guardiani del villaggio", milizia di curdi traditori, addetta
ai lavori più sporchi, ben pagata dallo stato. Compare in aula Claudia
Roth, dirigente dei Verdi tedeschi, già parlamentare europea, oggi
Presidente della Commissione giustizia al Bundestag, che molto si impegnò
per il conferimento, nel 1995, del Premio Zakharov del Parlamento Europeo a
Leyla Zana. Sono presenti anche i due avvocati italiani più una francese
dell'Associazione dei giuristi democratici. Numerosi infine i giornalisti,
i fotografi e le televisioni, e sono tutti per la delegazione del
Parlamento Europeo.



Poco dopo le 10 entriamo in aula. Come nella prima sessione l'aula è
dominata dall'alto dal Presidente della corte, dai due giudici a latere e
dal Procuratore della Repubblica, cioè dall'accusa; sotto sta la difesa,
assieme agli imputati, che tra qualche minuto arriveranno, scortati da una
quantità di gendarmi armi in pugno, e sfileranno i testimoni. Gia in questa
disposizione c'è un'anomalia rispetto al processo dei paesi civili, dove
accusa e difesa stanno anche visibilmente alla pari, perché hanno pari
diritti. Sul muro sopra i giudici ci sono un enorme volto in bronzo di
Atatürk e la scritta "la giustizia è la base della proprietà". Sulla parete
di fianco un'altra frase di Atatürk ricorda come "grazie all'alto potere
della giustizia la Repubblica perseguirà lo sviluppo e proteggerà i diritti
dei cittadini e l'ordine nel Paese contro tutte le forme di violenza".



Tra il pubblico e l'area della Corte, della difesa e degli imputati si
pone, quasi subito, una fila di militari della gendarmeria armati di fucili
d'assalto, rivolti sia al pubblico che agli imputati: a ricordarci, di
fatto, come in Turchia alla fine chi decide è l'esercito. Dietro al
pubblico, infine, una fila di poliziotti, questi armati di rivoltella.



Questa così è l'aula del tribunale di Ankara il 25 aprile mattina, data
della seconda udienza del nuovo processo a Leyla Zana e ai suoi tre
compagni. Si tratta di un rifacimento a cui la giustizia turca deve
ottemperare, a seguito di una sentenza della Corte europea per i diritti
umani, quella Corte di Strasburgo cioè che fa parte del Consiglio d'Europa,
organismo del quale la Turchia è membro sin dalla fondazione. Questa
sentenza ha stabilito che il precedente processo era stato iniquo, che i
diritti della difesa vi erano stati violati e le accuse non provate.



In realtà anche quello di oggi è un processo politico. Come che vada esso
avrà una conclusione dettata da considerazioni politiche, non giuridiche.
Sotto l'aspetto giuridico i quattro deputati curdi avrebbero dovuto essere
scarcerati contestualmente alla sua apertura. A questo proposito Strasburgo
è stata chiarissima, alla vigilia della prima sessione


Il senso politico del processo a cui assistiamo è questo, fondamentalmente.
L'Unione Europea, e il Consiglio d'Europa con la sentenza di Strasburgo,
dicono alla Turchia: guarda che il modo con il quale hai processato a suo
tempo i deputati curdi non fu civile, non hai rispettato i loro diritti,
hai violato la loro immunità parlamentare per fatti d'opinione. Il nuovo
processo diventa perciò la misura dell'idoneità della Turchia a entrare
nell'Unione Europea. Si tratta di un esame per la Turchia, è come se il
nuovo processo fosse a sua volta sotto processo dinanzi a una giuria
composta dalle istituzioni europee. L'Unione Europea ad affermare che di
questo si tratta ha inviato una delegazione di osservatori che è composta
da tutti i gruppi politici presenti al Parlamento Europeo, e sono presenti
la Commissione, le ambasciate, il Consiglio, attraverso l'Ambasciata greca.
Sono tutti qui oggi, seduti in prima fila, a guardare in faccia i militari
e i giudici, ad ascoltare, e farsi un'idea.



E' una grossa partita politica. Una partita che quindi si gioca su più
tavoli: perché riguarda la futura collocazione della Turchia nel contesto
mondiale, nel dopoguerra irakeno, dinanzi all'Europa e ai suoi conflitti
strategici interni, non solo il destino degli imputati, del Curdistan turco
e di quello iracheno. E riguarda il consolidamento o meno del nuovo governo
islamista in Turchia, il suo rapporto di forza con i militari, il potere di
questi ultimi, se quindi la Turchia, ultimo baluardo autoritario in Europa,
saprà cominciare a elaborare criticamente il proprio passato kemalista
oppure continuerà a pagare un prezzo tragico alla sua degenerazione.



Questo senso politico profondo del processo si sente, si respira, è un
sentimento, un'attesa, una speranza che si agitano nel pubblico, nei molti
volti curdi, nei volti dei dirigenti delle associazioni per i diritti
umani, e in tutti noi. E' nei volti dei quattro imputati sin da quando
entrano in aula salutando parenti e compagni e salutandoci. Oggi cambierà
qualcosa? Ci sarà un segnale di accoglimento delle richieste dell'Unione
Europea e del Consiglio d'Europa? Potranno gli avvocati della difesa
presentare i loro testi e controinterrogare quelli dell'accusa, potranno
pretendere da questi risposte sincere?



E' ciò che Alatas¸ chiede a nome di tutta la difesa nel suo primo
intervento. E a queste domande  c'è subito il primo no. L'accusa respinge
la richiesta di ascoltare anche i testimoni della difesa e quella della
possibilità da parte della difesa di controinterrogare direttamente, cioè
non tramite il filtro del Presidente della Corte, i testimoni dell'accusa.
La legge lo impedisce, dice. Il Presidente immediatamente consente.



Nulla quindi è cambiato rispetto al primo processo, i diritti della difesa
continuano a essere grossolanamente impediti, nonostante la sentenza di
Strasburgo. Il processo si fa così quasi tutto rituale e vuoto. Sfilano i
testi dell'accusa, 18 su 27, cioè nove non sono presenti, giurano uno dopo
l'altro, per 18 volte il pubblico deve alzarsi perché così prevede la
legge. Gli avvocati della difesa fanno le loro domande al Presidente che a
sua volta e interpretandole a modo suo le rivolge ai testimoni. Quasi tutti
confermano le vecchie deposizioni. Questi testimoni sono già loro, tra
l'altro, un fatto politico: tranne due sono tutti poliziotti o guardiani
del villaggio. Molti di loro entrano e si irrigidiscono sull'attenti,
battono militarmente i tacchi e snocciolano le loro "verità": in relazione
ad un fatto che l'accusa considerò decisivo, cioè la propaganda che gli
imputati avrebbero fatto in un bar per conto del PKK, quasi tutti i
testimoni dichiarano che videro e addirittura ascoltarono gli imputati, chi
alla distanza di 500 metri, chi di 600 metri, chi di un chilometro; c'è poi
chi li vide parlare fuori dal bar e chi dentro; c'è poi chi li sentì
parlare in turco, chi in curdo e chi in ambedue le lingue; infine
assolutamente nessuno ricorda il contenuto di questi discorsi. Un testimone
addirittura rifiuta di rispondere alle domande della difesa, senza essere
considerato reticente dal Presidente.



Due testimonianze invece si discostano: e sono le uniche due di persone che
non sono agenti di polizia o guardiani del villaggio. Un uomo venuto da
Urfa racconta quest'episodio. Egli era ai tempi membro del Dep, il partito
degli imputati. Nell'ottobre del 1993 venne chiamato e minacciato dalla
gendarmeria, che voleva costringerlo a lasciare il partito. Data questa
situazione di intimidazione e di repressione decise di trasferirsi ad
Ankara, ma qui venne arrestato, nel dicembre del 1993, e torturato, perché
rifiutava di firmare una falsa deposizione contro Leyla Zana. Venne
rimandato a Urfa, dove restò in carcere per altri sette mesi. Mentre si
trovava in carcere un suo compagno di cella venne fatto sparire; la polizia
dichiarò che era stato rilasciato, ma di quest'uomo non si saprà più nulla.
Sono queste sparizioni, tuttora in corso, quelle che le associazioni  per i
diritti umani chiamano "esecuzioni extragiudiziarie". Un secondo testimone,
a sua volta, un commerciante di Bursa, dichiara ai giudici che fu costretto
a firmare una testimonianza falsa contro gli imputati e che adesso è venuto
a ritrattarla.



Dov'è, in ogni caso, la revisione del processo? Gli avvocati insistono,
incalzano sulle reticenze dei testimoni, ma il Presidente non fa che
interromperli, li richiama a stringere, si mette continuamente a
rimproverare gli ascoltatori stranieri presenti nel pubblico perché i
sussurri degli interpreti disturberebbero, così come il fatto di masticare
una caramella o di muoversi sulla sedia… Se non si trattasse dello
svolgimento piuttosto sadico di una tragedia ci sarebbe da ridere. In
questa recita pesante le nostre speranze a poco a poco si spengono. Gli
imputati e il pubblico scuotono la testa, e la scuoterà anche il Presidente
della delegazione del Parlamento Europeo Joost Lagendijk, un Verde
olandese; all'uscita di fine mattinata per la pausa pranzo dichiarerà ai
giornalisti, a nome dell'intera delegazione, che "così come si sta
svolgendo questo processo è la ripetizione di quello di 10 anni fa; i
rilievi nella condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo in questo
processo sono del tutto ignorati".



La conclusione della giornata è che gli imputati rimangono in carcere e che
ci sarà una nuova udienza il 23 maggio, per ascoltare i testimoni oggi
assenti.



In conclusione, lo si è già detto, non sarà in quest'aula ma attraverso
complicati movimenti tutti politici che la conclusione di questo processo
sarà decisa. Per tutto quello che stiamo vedendo e ascoltando non siamo
molto ottimisti. Vedremo. Il 23 maggio saremo ancora dentro a questo
tribunale. Nel frattempo occorre darsi da fare sia a livello istituzionale
che di opinione pubblica europea.



Qui di seguito le dichiarazioni nel corso della sessione degli imputati.



25 aprile 2003

Ankara

Processo a Leyla Zana, Hatip Dicle, Orhan Dogan, Selim Sadak



Intervento di Selim Sadak



La ragione per la quale siamo stati messi in carcere è perché siamo stati
all'opposizione rispetto allo Stato turco, per quello che esso era. Ma se
le norme costituzionali e le leggi appena approvate dal governo fossero
esistite 10 anni fa, quando il paese era in guerra, noi non saremmo stati
arrestati in Parlamento e condannati a 15 anni di carcere.



Questo era il sistema. Sono stato testimone alla festa del Newroz a Sirmak
del 1992, quando la gendarmeria e l'esercito intervennero sparando e
uccidendo numerosi manifestanti. In questa cittadina a seguito di una
quantità di fatti repressivi ben 200 persone sono state assassinate.



Oppure se fossi stato eletto deputato a Eskisehir, vicino ad Ankara, 10
anni fa non sarei stato condannato: ma siccome sono stato eletto a Sirmak,
vicino al confine con la Siria, e siccome sono curdo mi avete
automaticamente considerato dirigente del PKK, ciò che non ho mai detto di
essere e che non sono mai stato, e sono stato condannato.



Diciamo la verità, siamo stati condannati, 10 anni fa, in quanto
parlamentari curdi, e poi in quanto eletti, per la prima volta in Turchia,
a prescindere dalle indicazioni delle tribù e in quanto  proponevamo
l'abolizione del sistema dei guardiani del villaggio. A queste proposte
aderiva tutta la popolazione curda. Il guardiano del villaggio, figura di
armato dipendente dallo stato, provocava allora forti tensioni, e anzi
ancora oggi ne provoca. Proponevamo inoltre una soluzione pacifica del
problema curdo, attraverso la libertà di usare la nostra lingua materna e
di sviluppare la nostra cultura.



Per condannarci furono ascoltate soltanto le testimonianze di agenti della
polizia, di "guardiani del villaggio" e di membri della tribù curda Babak.



Di 27 che erano questi testimoni, inoltre, oggi se ne sono presentati solo
18 a confermare le proprie testimonianze.



In più, come sta scritto nel diario del maggiore dell'esercito Cem Ersever,
fatto pubblicare dalla moglie dopo che questi era morto, a seguito della
caduta, in Curdistan, dell'elicottero sul quale viaggiava, numerosi membri
della tribù Babak erano utilizzati dall'esercito per azioni criminali,
quali incendi di villaggi, esecuzioni extragiudiziarie, azioni di
repressione nel corso dei festeggiamenti del Newroz. Aggiungo che questa
tribù ha sempre trafficato in armi e in droga.



Alcuni testimoni hanno affermato che nel 1993 avrei fatto propaganda per il
PKK nel  villaggio Senova, e questo in un bar che si trova a circa 10 metri
dalla caserma dell'esercito e in un periodo nel quale nel Curdistan c'era
la guerra e quotidianamente venivano bruciati villaggi curdi. Nego
nuovamente la verità di queste testimonianze, e non dovrebbe essere
difficile rendersi conto di quanto siano assurde.



Come respingo le testimonianze degli agenti di polizia riguardo ad un
episodio avvenuto il 25 novembre del 1993, a 35 giorni appena dall'inizio
della mia attività di deputato. Avevo partecipato al funerale a Mardin del
padre di Orhan Dogan e al termine del funerale ci era stato detto che un
gruppo di simpatizzanti del Dep era trattenuto da 32 giorni in stato di
fermo nella sede della gendarmeria locale. Mi ero perciò recato alla sede
della gendarmeria a visitare queste persone, anche perché era stato
superato il periodo di fermo stabilito dalla legge [1]. Con me c'era il
Procuratore della Repubblica. Vidi queste persone tutte su panche e
fisicamente provate e sconvolte dalle torture subite, e reagii affermando
che era proprio trattando le persone in quel modo che le si spingeva ad
andare in montagna a unirsi alla guerriglia. Si trattò quindi di una
considerazione del tutto ovvia e anche di una protesta e di una richiesta a
non ridurre le persone nelle condizioni in cui le vedevo. Ma il contenuto
di questa mia considerazione fu falsificato dagli agenti di polizia, che
dichiararono che avrei invitato quei fermati ad aderire alla guerriglia.
Anche questo è palesemente assurdo: perché lo avrei fatto alla presenza del
procuratore e davanti a una videocamera. Tra l'altro ora gli agenti negano
che questa videocamera ci fosse.





Intervento di Hatip Dicle



Siamo tutti stanchi di questo processo, non voglio parlare molto, solo
alcune cose essenziali.



Oggi hanno testimoniato tre gruppi di persone: agenti di polizia, guardiani
del villaggio e due persone invece non dipendenti dallo Stato. Queste
ultime sono le uniche che hanno detto la verità.



La testimonianza dei due guardiani del villaggio Abdullah Dursun e Serif
Temel (il quale oggi ha dichiarato di non conoscermi, nonostante abbia
rilasciato a suo tempo una testimonianza contro di me!) riguarda l'episodio
di una vendetta tra la tribù di Serif Temel e quella del deputato Ahmet
Turk, anche lui arrestato nel 1993 e condannato ad alcuni anni.



E cioè io e Leyla Zana andammo alla casa di Abdullah Dursun per cercare di
riconciliare le due tribù. Infatti nella tradizione curda la presenza di
una donna facilita le riconciliazioni. Ma Dursun rifiutò perché secondo lui
la riconciliazione con la tribù di Turk voleva dire una riconciliarzione
con il PKK.



In realtà come si sa le tribù Babak, Temel e Bucak traevano grandi profitti
dal conflitto armato tra Stato e PKK, grazie al traffico di armi e di
droga, alle rapine e a vari "servizi" allo Stato.



Sempre Dursun nella sua testimonianza, a pagina due, dichiarò che aveva
ricevuto nel 1980 dallo Stato due fucili di fanteria inglesi.  E sono certo
che Dursun aveva ed ha tuttora rapporti con i servizi segreti.



Oggi egli con tutta tranquillità ha dichiarato davanti alla Corte di aver
preso in ostaggio un ragazzo quando suo figlio scomparve. Suo figlio era
andato ad Ankara per fatti suoi, come si rivelò successivamente, ma Dursun
riteneva che fosse stato rapito dal PKK. Per lui rapire un ostaggio è
normale, mentre era ed è un grave reato. Evidentemente si sente protetto
dallo Stato, in quanto guardiano del villaggio.





Intervento di Leyla Zana



Siamo stati condannati perché tutto il nostro impegno è stato di lottare
contro l'antico sistema feudale delle tribù e di portare il nostro popolo a
far parte di uno Stato turco moderno tutore delle libertà e democratico. I
guardiani del villaggio sono sempre stati invece l'espressione di questo
sistema feudale, di cui hanno incarnato i privilegi, la corruzione e il
dispotismo.



Prima di noi sono sempre stati loro e i membri più importanti delle tribù a
essere candidati ed eletti al Parlamento e nelle altre istituzioni.



La loro mentalità e questo sistema continuano tuttora a esistere e a
condizionare la vita politica e sociale dei villaggi.



Noi vogliamo una società di persone libere, dove uomini e donne esprimano
liberamente i loro candidati  e gli eletti siano persone libere nel pensare
e nell'agire.



Intervento di Orhan Dogan



Siamo stati condannati nel 1994, alla fine di un secolo senza amore. Oggi
la politica e le leggi sono cambiate, però se questo processo verrà fatto
con la stessa mentalità del 1994 non servirà a niente.



La Turchia ha bisogno della pace, della democrazia e della libertà. La
Turchia deve diventare uno Stato democratico. E noi vogliamo che questo
processo abbia un importante ruolo nel democratizzare la Turchia e nel
liberarla del suo passato. Ora in questo tribunale non c'è più un giudice
militare, ma esistono ancora i suoi metodi. La Corte europea dei diritti
umani ha insistito sul principio di eguaglianza tra accusa e difesa in un
processo, di cui all'art. 6/1 della Convenzione sui diritti umani. Ora i
testimoni dell'accusa non hanno portato prove materiali, come per esempio
registrazioni. Gli avvocati della difesa non possono porre le loro domande
direttamente ai testimoni, ma devono porle attraverso il Presidente del
tribunale. Il Presidente non ha mai letto in tribunale i verbali delle
testimonianze al precedente processo e inoltre si guarda bene dal
richiamare i testimoni che si sottraggono al dovere di ripetere
puntualmente la loro testimonianza.



L'art. 6/1 della Convenzione sostiene che vanno aiutati i diritti della
difesa, ma in questo processo non c'è il diritto della difesa di porre
direttamente le domande ai testimoni. I giudici insistono nell'applicare le
vecchie leggi. Le riforme giuridiche che sono state appena fatte dicono
invece che quando è necessario gli articoli della Convenzione sui diritti
umani devono essere applicati, incorporandoli e dandogli priorità rispetto
al nostro sistema di leggi.



Lo spirito del 1994 é quello che ci ha condannato. I testimoni di questo
processo, eccetto due, erano tutti alle dipendenze del Governo Çiller, del
capo della polizia Agar e del capo dell'esercito Gures. La Çiller aveva
chiesto al Presidente del Parlamento Cindoruk di annullare l'immunità dei
deputati del Dep. Il Presidente rifiutò sostenendo che la richiesta era
illegale e immorale. Il Governo ottenne l'annullamento della nostra
immunità quando il Presidente Cindoruk si assentò per le sue vacanze. Il 2
maggio del 1993 la Çiller dichiarò che il PKK era stato espulso dal
Parlamento. Fu con questa motivazione che furono espulsi i deputati del
Dep. Come potevano i giudici di allora fare un processo equo e imparziale,
data questa posizione del Primo Ministro? Nel libro "I curdi" di Hasan
Cemal si sostiene che il Governo parlò del processo con i giudici, nessuno
di questi ha finora smentito. Il capo dell'esercito Dogan Gures disse: "ho
chiesto al Governo di espellere qualche deputato, ma il governo ha espulso
tutti i deputati del Dep, poiché hanno fatto tutti quanti degli errori e si
sono messi contro le leggi". Il capo della polizia Mehmet Agar disse:
"quello che hanno fatto i guardiani del villaggio lo hanno fatto per lo
Stato. Noi sappiamo tutte le cose che fanno. Con le loro testimonianze
hanno risolto il problema dei deputati del Dep. Così noi senza il
Parlamento d'impiccio potremo continuare a risolvere il problema curdo".



I guardiani del villaggio furono considerati testimoni affidabili. Ma i
testimoni devono essere oggettivi, tesi a difendere l'interesse superiore
della società nel suo insieme e non quei propri privilegi personali  che
derivano dall'essere dipendenti dallo Stato. Voglio anche ricordare che
quest'anno la Commissione per i diritti umani del Parlamento ha pubblicato
un rapporto sui guardiani del villaggio dal quale risulta che essi hanno
commesso undici tipi di delitti e hanno eseguito 1549 assassinii, e che in
questo sono coinvolte 15 tribù, compresa quella di Babak.



Possiamo dire di aver vissuto come un sogno terribile gli anni 1993-94:
anni di massacri, villaggi distrutti, torture, esecuzioni extragiudiziarie,
sparizioni di centinaia di persone, montature giudiziarie, ecc. Ma nessun
politico ha finora avuto il coraggio di scavare e di affrontare tutta la
parte oscura di questa storia di Stato.





Intervento dell'avvocato Yusuf Alatas



Tutti i testimoni di questa sessione del processo, salvo due, sono agenti
di polizia o guardiani del villaggio. La loro accusa è stata una sola: i
deputati erano dei terroristi. Ma non hanno portato alcuna prova, l'unica
cosa che hanno portato in questo processo è il loro corpo.



Questo processo finora si è svolto come nel 1994, non c'è alcun
cambiamento, il tribunale sta semmai lavorando per confermare il risultato
di 10 anni fa. Eppure nello Stato stanno avvenendo alcuni cambiamenti, come
l'abolizione della pena capitale, l'introduzione di alcune possibilità,
benché limitatissime, di fare trasmissioni radiotelevisive in curdo, e, ciò
che è più importante, il rifacimento del processo del 1994 sulla base della
posizione della Corte di Strasburgo sui diritti umani. Bisogna allora
cercare da parte vostra di rivedere tutto un modo di pensare e di
amministrare la giustizia, la politica e tutte le nostre relazioni, sulla
base appunto della nuova realtà in corso di pacificazione e di
riconoscimento di diritti. Voglio fare un esempio: un assassino che viene
condannato a 20 anni la legge di esecuzione della condanna prevede che ne
sconti solo 8: mentre i miei assistiti che sono stati condannati a 15 anni
ne devono scontare 12 e mezzo. Questo è il passato che continua, questo
deve cambiare.



Agli imputati restano solo due anni di pena da scontare, se il tribunale li
libererà questo non potrà che far bene alla società. La Turchia e il mondo
sono cambiati, anche voi potete cambiare.





Intervento dell'avvocato Fethi Gümüs

Il testimone Sehmuz Temelli ha testimoniato il falso dichiarando di aver
visto Leyla Zana con Hatip Dicle a casa di Abdullah Dursun. Oggi infatti ha
detto di non conoscere Hatip Dicle. Inoltre è stato dimostrato che quel
giorno il testimone non era nel villaggio.



27 aprile

Alcuni tra gli amici curdi che oggi incontriamo ci raccontano un episodio
terribile. Questa mattina Cumhuriyet, uno dei principali quotidiani turchi,
ha riportato la notizia del ritrovamento sul bordo di un fiume il 25 aprile
del corpo di Siddik Kaya, un giovane di Serinova, che è una cittadina del
Curdistan turco. Siddik Kaya era stato convocato dalla gendarmeria di
Varto. Perciò, il 19 novembre scorso, si era mosso di casa: dove non farà
ritorno. La famiglia si rivolgerà all'IHD.



Il corpo aveva le mani legate dietro la schiena, un cerotto sulla bocca e
dei sacchi pieni di pietre  legati ai piedi.



Siddik Kaya era un curdo di confessione alevita, un ramo dell'islamismo,
quindi era nel mirino degli apparati di repressione per due ragioni. Lerzan
ci ricorda, a questo proposito, l'episodio forse più grave della
repressione, costante, a danno degli aleviti in Turchia: nel 1993
l'esercito ne attaccò a Sivas una festa, e 37 persone rimasero bruciate.





CAMPAGNA DI SOSTEGNO A PUNTO ROSSO

L'Associazione Culturale Punto Rosso-Forum Mondiale delle Alternative,
nella sua rete nazionale e nell'arena mondiale, ha contribuito in questi
anni alla costruzione della cultura e della mobilitazione del movimento
contro la globalizzazione neoliberista. Un lavoro di "convergenza nella
diversità", con un'ampia interlocuzione con altri organismi di diversa
matrice politica e culturale. Oggi questo lavoro è messo in discussione
dalla mancanza di risorse economiche. Facciamo appello a coloro i quali in
questo tempo hanno conosciuto il nostro organismo, le sue attività, i
convegni, i corsi, le pubblicazioni ecc. Sostenete, sottoscrivete.

L'Associazione Culturale Punto Rosso è un bene comune. Appartiene non solo
ai fondatori e a chi vi ha profuso lavoro e sacrificio, ma a tutti coloro i
quali in questo tempo hanno condiviso e condivideranno il nostro cammino.



Giorgio Riolo





[1] Prima delle attuali modifiche al Codice di procedura penale in materia
di stato di eccezione, che era la condizione che vigeva nel Curdistan, il
fermo poteva protrarsi sino a 30 giorni. Oggi con queste modifiche i giorni
di fermo possono essere al massimo quattro. Amnesty International ha sempre
sostenuto che la maggior parte delle torture fisiche e psichiche avveniva
nel Curdistan turco durante il fermo, quando un accusato era alla totale
mercé della gendarmeria, cioè che le confessioni erano estorte prima che
l'accusato fosse condotto davanti ad un magistrato.

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… "Il quadro può essere anche suggestivo", rispose con tono pacato il
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 "Questo è proprio il fatto nuovo!

Occorre introdurre un'altra unità di misura per regolare la convivenza
sociale e allora ci si accorge che tutte le cose, proprio tutte, cambiano
di fisionomia e di contenuti, come si diventassero altra cosa…"

… "Credo di capire ciò che dici: ciascun uomo sarà fornito di uno strumento
assolutamente individualizzato e pressoché invisibile, che potrà
permettergli di segnare e registrare all'istante qualsiasi operazione
intenda compiere…"

"Certo, ma non solo. Questo strumento renderà impossibile l'accumulo e il
furto della ricchezza materiale da parte di chiunque. Praticamente renderà
impossibile quella violenza che nella quasi totalità dei casi ha origine e
giustificazione con il denaro e il potere che ne deriva".

La prima parte di questa favoletta civile per tempi difficili, pensata
soprattutto per il mondo giovanile, che durante gli anni '90 in particolare
appariva a tutti disgregato, disperso e confuso, è stata pubblicata in
edizione non venale nell'ottobre 2000.

   I fatti e gli avvenimenti si succedono, a volte, imprevedibili, rapidi,
drammatici.

   Cosi, il crollo delle Torri un anno dopo, e il diffondersi sempre più
esteso di un movimento globale assai critico nei confronti della cosiddetta
new economy, hanno suggerito le pagine della seconda parte, allegate con il
titolo "…cinquecento anni dopo".

Nel suo insieme la proposta vuole stimolare una platea più vasta a una
rivisitazione necessaria della realtà, cosi che possa poi diventare più
facile individuare nel buio dei nostri giorni le strade più adatte per
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