Guerre&Pace: Il movimento rilancia



ITALIA/mese

Il movimento rilancia

Diversi commentatori, decisamente interessati, ancora una volta hanno dichiarato la “sconfitta dei pacifisti”, visto che non solo la guerra c’è stata malgrado le imponenti manifestazioni di dissenso, ma essa avrebbe raggiunto obiettivi importanti di “liberazione” della popolazione irachena, addirittura aprendo la strada a una prossima “democratizzazione” dell’intero Medio Oriente. Il solito Sofri, cantore ideologico delle varie guerre umanitarie degli anni Novanta, si è addirittura spinto a parlare di un carattere “rivoluzionario” delle politiche di questa amministrazione Usa. Naturalmente non siamo interessati a una discussione su queste basi, anzi riteniamo che la conduzione della guerra - con i suoi sempre troppi morti - e quello che si sta preparando per il “dopoguerra” confermino le ragioni e le scelte del movimento per la pace.

Ci interessa invece, e lo faremo seriamente in queste settimane, riflettere, insieme a tutte/i coloro che si sono mobilitate/i, su quanto siamo stati in grado di fare, e sui limiti di un’azione che certamente non solo non ha saputo “fermare la guerra”, obiettivo probabilmente impossibile da raggiungere, ma non ha nemmeno saputo “bloccare” il paese e la macchina bellica. Per questo bisognerà allora affrontare tre questioni in particolare, perché il movimento possa prepararsi ad una fase di conflittualità diffusa e altrettanto impegnativa. In primo luogo le azioni dirette e di boicottaggio, che hanno mostrato la loro forte potenzialità e il consenso che potrebbe sostenerle se condotte con intelligenza e partecipazione, ma che devono essere sicuramente meglio organizzate e scaturire da scelte ben mirate negli obiettivi. In secondo luogo bisogna rilevare come sia mancato quello sciopero generale europeo che avrebbe potuto rappresentare una svolta e dare assai più forza alla lotta contro le ambiguità e le complicità dei governi più o meno “belligeranti”. Le responsabilità sono certamente dei sindacati confederali, che non si sono spinti a fare quella scelta, ma vanno rilevate difficoltà reali nella partecipazione di lavoratrici e lavoratori alle fermate proclamate il giorno di inizio del conflitto da tutti i sindacati o allo sciopero dei sindacati di base. Questa difficoltà è conseguenza di anni di sconfitte e di politiche di moderazione sindacale, ma anche dell'insufficiente collegamento che si è riusciti a stabilire fra l’opposizione alla guerra e quella alle politiche economiche di ogni giorno. Da ultimo bisogna considerare la difficoltà a incidere in profondità sui comportamenti dei soggetti politici e istituzionali. In questo senso il movimento non sembra in grado di esercitare e mantenere una pressione immediata e tale da rendere impossibili ambiguità e arretramenti, come si sono visti nelle scelte dell’Ulivo (conseguenza della loro politica generale, e non di tattiche del momento). Sarà su queste questioni che in Italia dovremo interrogarci.

In ogni caso il movimento non è affatto sconfitto e anzi sta rilanciando la propria iniziativa, già nelle prossime settimane. Ed è importante in questo senso sottolineare che ormai non possiamo più parlare di una movimento “pacifista” in senso stretto, ma di quel “movimento dei movimenti” che ha saputo comprendere come la guerra e gli interventi militari siano uno strumento essenziale delle politiche neoliberali e imperiali. Nelle prossime settimane questo movimento dovrà allora saper mantenere aperta l’attenzione su quanto avviene in Iraq e in Medio Oriente, moltiplicando le iniziative di solidarietà materiale e politica con la popolazione irachena, e con quella palestinese che ancora una volta potrebbe pagare la nuova situazione che si è creata. Una solidarietà che deve anche vederci impegnati in nuove relazioni con i soggetti politici e sociali che si oppongono all’occupazione “coloniale” dell’Iraq.

Allo stesso tempo il movimento sarà impegnato sui terreni della difesa ed estensione dei diritti e di contestazione delle politiche neoliberali, a partire dalla mobilitazione per vincere nel referendum per l’estensione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori il 15 giugno, e per costruire una partecipazione ampia alle manifestazioni contro il G8 di Evian a inizio giugno e contro il Wto a novembre. Un allargamento dei temi dell’iniziativa che non vuole avere il significato di mettere tra parentesi la mobilitazione contro la guerra, ma che intende al contrario ricollocarla all’interno della più generale mobilitazione per “un altro mondo possibile”, cercando di coinvolgere tutte/i coloro che si sono mobilitate/i per la pace.

Piero Maestri