Appello di un oppositore iracheno



APPELLO AGLI EUROPEI

di Abdul al-Rekaby*


E´ possibile accusare gli europei di ignorare volutamente la sostanza della questione irachena, un´accusa probabilmente fuori luogo e troppo severa? Negli ultimi dieci anni, infatti, convogli delle imprese francesi di ogni sorta ingorgavano la strada che collega Amman a Bagdad, ed esponenti di queste imprese riempivano gli alberghi della capitale irachena, alla ricerca di succosi contratti privilegiati, pur se a esecuzione differita. Intorno a quel carnevale si tenevano tutta una serie di conferenze e congressi e si esercitavano pressioni per liberare l´Iraq dall´embargo che ha provocato oltre un milione e mezzo di vittime. Di recente, la Francia ha tentato di opporsi alla vocazione guerriera americana, o perlomeno ha cercato di arginare la fretta di fare la guerra all´Iraq dimostrata dall´amministrazione americana. Ma questa posizione è apparsa come un risveglio tardivo o un´ostinazione personale, nonostante l´appoggio della Russia, della Cina e della Germania.

La guerra alla fine è arrivata, e la Francia e i suoi alleati sono diventati incomprensibili in termini di efficacia. Oggi è perfettamente legittimo chiedersi se la posizione francese al Consiglio di sicurezza non abbia facilitato l´attuazione pratica dell´intenzione statunitense di farla finita con l´Onu, la sua Carta, e tutte le regole sulla sicurezza internazionale ereditate dalla Seconda guerra mondiale. In fondo, è quel che vogliono gli Usa, ancorché implicitamente, e questo consente loro di costruire un mondo conforme alla loro concezione di "nuovo ordine mondiale". Questo è quanto hanno ricavato dalla minaccia del ricorso al veto.

Il problema vero sta nel fatto che l´opposizione franco-russa non aveva un´alternativa politica. Ciò che si è proposto è solo che si mantenessero i programmi di ispezione, il che è soltanto una soluzione tecnica. La Francia avrebbe potuto sostenere l´iniziativa di un´altra strada per la democrazia, che non si può realizzare tramite governi di occupazione diretta. Del resto, è quel che avevamo proposto alcuni mesi prima che scoppiasse la guerra, facendo appello a un "piano di cambiamento senza guerra" e alla costituzione di un "governo di salvezza nazionale" che rappresentasse l´insieme delle componenti della società irachena, un governo transitorio che portasse a un sistema costituzionale e ad elezioni generali. Era il modo per farla finita con la dittatura e per evitare la guerra.

Il problema dell´aspetto pratico di questa proposta, della sua fattibilità, dipende dalla responsabilità della comunità internazionale. Da parte nostra, abbiamo cercato di fare quel che potevamo: dando vita a un ampio quadro di forze irachene molto diverse tra loro che ne era il nucleo portante, prendendo contatti a vari livelli politici e diplomatici europei, tra cui il ministero degli Esteri francese, rendendo pubblica la nostra proposta.

Ormai, la guerra c´è. Le circostanze attuali legittimano l´adozione di una nuova iniziativa che, questa volta formalmente, si baserebbe sul diritto internazionale. Se la Francia, la Russia e la Cina tenessero ferma la propria posizione sull´illegittimità dell´occupazione e delle conseguenze che ne derivano, come l´amministrazione che gli americani hanno intenzione di instaurare dopo la caduta di Saddam Hussein, la nostra iniziativa avrebbe a quel punto uno sbocco internazionale che la giustificherebbe appieno. Noi infatti ci apprestiamo a creare un Comitato di liberazione nazionale che costituirà un governo in esilio per guidare la resistenza nazionale contro l´occupazione americana.

La politica americana non può imporre il fatto compiuto. Ogni giorno, invece, essa crea situazioni senza sbocco. Un grosso problema: l´avanzata delle truppe americane in loco, la gestione dell´occupazione, ciò che i media si ostinano a chiamare il "dopo Saddam". Sarà il più drastico dei criteri per giudicare il successo dell´operazione militare in atto. La resistenza opposta (organizzata dal potere e comunemente definita in Iraq come "resistenza governativa"), il prezzo pagato dall´esercito iracheno e dalla popolazione civile hanno sbarrato la porta a qualsiasi soluzione politica negoziata. Ciò spinge gli americani a instaurare un governo militare loro.

Le varie espressioni politiche irachene si preparano alla resistenza, con il primo passo che è il rifiuto dell´occupazione e l´appello al boicottaggio di qualsiasi governo militare americano o instaurato sotto l´occupazione.

Questa posizione consentirà l´emergere di una resistenza nazionale, che potrà, perlomeno agli inizi, essere civile e pacifica. Troverà appoggio fra personalità religiose, siano esse punti di riferimento o delle autorità morali, che hanno cominciato a emanare fatwa che vietano qualsiasi contatto con l´esercito occupante, l´amministrazione militare americana o instaurata sotto l´autorità di questa. Verrà lanciato un appello ai cittadini per costituire comitati di autogestione nelle città del Sud dell´Iraq e in tutte le regioni occupate e oppositori in esilio si apprestano a rientrare in Iraq per prendere parte a questa resistenza. Questi sforzi approderanno all´organizzazione di una disobbedienza civile, che sarà sostenuta da una campagna internazionale.

Questo è il nostro progetto per il futuro. Non otterremo tuttavia alcun risultato significativo se la nostra posizione non trova l´appoggio che merita perché rappresenta una causa internazionale, all´altezza del momento attuale della storia dell´umanità, una causa che scuote non solo gli Stati ma anche lo spirito dell´Europa e del mondo e l´intero movimento per un altro mondo possibile e di opposizione alla guerra.

Gli europei ci abbandoneranno, per tradire loro stessi? Non possiamo permetterci il lusso di disperare!:





* Abdul al-Rekaby è nato nel 1947 a Nassyriah, nel Sud dell´Iraq. Nel 1967 è uscito dal Partito comunista iracheno per partecipare alla fondazione del Pc-Direzione centrale, ed è stat uno dei dirigenti dell´insurrezione armata nella zona delle paludi del sud del paese, nel 1968. Ha lasciato l´Iraq nel 1975 ed ha vissuto in Siria e in Libano, ppoi in Europa. E´ uno dei fondatori della Tendenza dell´opposizione democratica. E´ giornalista e scrittore.