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La nonviolenza e' in cammino. 565
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 565
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 13 Apr 2003 23:35:25 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 565 del 13 aprile 2003 Sommario di questo numero: 1. Enrico Peyretti (a cura di): Dov'e', o guerra, la tua vittoria? 2. Un'assemblea di gruppi, reti e associazioni femministe a Firenze 3. La pace nella Carta europea 4. Nadia De Mond, Nicoletta Pirotta: la Marcia mondiale delle donne riparte dall'India 5. Giampaolo Calchi Novati ricorda Enrica Collotti Pischel 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. MATERIALI. ENRICO PEYRETTI (A CURA DI): DOV'E', O GUERRA, LA TUA VITTORIA? [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per averci inviato questa sua raccolta di "Note e pensieri contro la vittoria militare", pubblicata dapprima come inserto in "Azione nonviolenta" nel settembre 1988, successivamente nel mensile "Il foglio" del febbraio 1991, e successivamente nuovamente aggiornata. Enrico Peyretti e' uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999] "Dov'e', o morte, la tua vittoria?" (San Paolo, Prima lettera ai Corinti, 15,55) * Questa piccola raccolta viene pubblicata nell'occasione dell'ottantesimo anniversario della conclusione della prima guerra mondiale, celebrata come "la Vittoria" nella storia italiana, ed e' offerta a chi vuole meditare sulla vacuita' e falsita' del successo militare omicida, che e' sempre una sconfitta umana. Non si vuole entrare nella discussione storica su quella guerra, ne' sul "parecchio" che secondo Giolitti si sarebbe ottenuto con la neutralita', ne' sul giudizio di "inutile strage" dato da Benedetto XV, ne' sull'uso dei fanti come carne da mitraglia fatto da Cadorna, ne' sui processi per disobbedienza e diserzione, ne' sulle decimazioni dei soldati ordinate dagli ufficiali nei reparti indocili. Si vuole soltanto meditare sulla vittoria in guerra, in tutte le guerre. * Questa raccolta e' stata successivamente pubblicata sul mensile torinese "Il foglio" n. 178, anno XXI, febbraio 1991, nei giorni tragici e vergognosi del gennaio '91, nostra universale sconfitta nella guerra del Golfo, che spezzo' le nuove speranze di pace, dopo il mirabile 1989, anno dei maggiori successi, nell'Europa dell'est, delle lotte nonviolente. Qui la raccolta viene rivista e molto ampliata. E' dedicata a tutte le vittime delle "vittorie", supplicandole di perdonare questa nostra miserabile umanita', che tuttavia e' sempre di nuovo chiamata, anche proprio da quelli che calpesta ed uccide, a ritrovare una ragione e un cuore umani. L'ordine dei brani e' del tutto casuale. * 1. Nel soffitto della sala del trono, nel palazzo reale di Torino, c'e' un dipinto del Miel ("La Pace che tiene sottomesso il Furore guerriero e Marte addormentato"), nel quale un cartiglio porta la scritta Multis melior pax una triumphis (Una sola pace e' migliore di molti trionfi), che ricorda un poco il concetto ripetuto da Erasmo (tanto nel Dulce bellum inexpertis quanto nella Querela pacis): "E' meglio una pace ingiusta di una guerra giusta". Infatti, nella prima si puo' ancora ottenere la giustizia, che nella seconda e' perduta. 2. "Quante ignobili vittorie!". Con queste parole Michel de Montaigne (1533-1592) salutava il trionfo in America della conquista europea. 3. "Non si puo' chiedere all'obiezione l'efficacia immediata, essa non e' che la restaurazione della categoricita' della nonviolenza di fronte alla realta', con l'esito inevitabile della sconfitta. Per la nonviolenza la sconfitta e' una vittoria". (Ernesto Balducci, La rivoluzione nonviolenta, in "Testimonianze", n. 328, settembre-ottobre 1990, p. 27). 4. "Non c'e' nessuna vittoria, signor generale, ci sono solo bandiere e uomini che cadono, e alla fine non ci saranno ne' bandiere ne' uomini". (ultima lettera al proprio padre, un generale, di un soldato tedesco andato in guerra volontario, che ora sa che non tornera' vivo, in Ultime lettere da Stalingrado, Einaudi, Torino 1963, p. 50). 5. Nell'ultimo brano della classica antologia di Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, curata da Giuliano Pontara, Einaudi, Torino 1996, pagina scritta il 7 luglio 1947, risaltano i quattro caratteri che il Mahatma vide subito nella vittoria americana sul Giappone ottenuta con la strage atomica, mentre il nemico gia' chiedeva la resa: una vittoria ignobile, vuota, avvelenata, ingiusta. 6. Testimonianza di Alvise, nonviolento, verso la meta' degli anni '80: "In questi anni ho imparato una cosa semplice: non voler vincere". 7. I cristiani credono in un vinto, credono che il giusto vinto vince. Essi cantano a Pasqua: "La morte e la vita si sono affrontate in un grandioso duello: il signore della vita morto regna vivo". 8. La guerra, l'uccidere invece di discutere, e' un vincolo di morte, un orrendo amplesso fisico che assimila l'uno all'altro. E' l'immagine capovolta del vincolo d'amore, che il Cantico dice forte come la morte, cioe' in grado di sfidare la morte. Infatti, se uccidi con la guerra il violento, diventi come lui, e' lui che ti vince. Se uccidi il giusto, lui vinto ti vince: Abele redime Caino, Cristo redime l'umanita' omicida. Vince sempre il vinto, che sia buono o cattivo. La vittoria della forza non esiste, e' apparenza sulla breve scena del tempo. La verita' e' sempre nel contrario di questa vittoria. La forza che presume di distruggere il nemico distrugge se stessa, piomba nel proprio vuoto. Vince il vinto cattivo: Hitler vinto ha vinto, perche' la distruttivita' che lui non ha raggiunto e' stata perfezionata e raffinata nello sterminismo atomico dei vincitori, non importa se entro altre ideologie. E vince il vinto buono: Cristo vinto ha vinto, perche' nessuna speranza resta davanti a noi come la sua, seppure tante volte smentita. 9. Gandhi vedeva bene l'inconsistenza della vittoria armata: "Non riuscirete mai a eliminare il nazismo usando i suoi stessi metodi" (messaggio agli inglesi sotto i bombardamenti tedeschi, 7 luglio 1940, in Teoria e pratica della nonviolenza, curata da Giuliano Pontara, Einaudi, Torino 1996, pp. 248-249). Unica vittoria e' quella che da' vita, quella della verita' disarmata. 10. Nel film Wargames di John Badham (1983), un supercomputer calcola le possibilita' di vittoria nella guerra totale e risponde: "L'unica mossa vincente e' non giocare". La vittoria in guerra non esiste piu'. Le vittorie di ieri non erano vittorie, sembravano. La luce atomica illumina la guerra in cio' che e' sempre stata: un'atroce stoltezza. Lo dimostrava gia' Bertrand Russell nel 1957 nella sua Lettera ai potenti della terra, facendo vedere che la vittoria e' un'illusione (cit. in E. Balducci, L. Grassi, La pace, realismo di un'utopia, Principato, Milano 1985, p. 192). 11. "Una vittoria puo' dirsi tale soltanto se tutti in egual misura sono vincitori e nessuno e' vinto". E' questa una massima buddista antica di piu' di due millenni, citata da Gorbaciov per la sua grande attualita', nel discorso in cui sottolineava l'importanza della Dichiarazione di Nuova Delhi del 26 novembre 1986, firmata da lui e dal primo ministro indiano Rajiv Gandhi. In questo documento, nel quale si affermava che "la nonviolenza deve essere alla base della vita della comunita' mondiale", Gorbaciov vedeva il punto di incontro dei "massimi genii" dei due paesi, alludendo a Tolstoj e al Mahatma Gandhi. (Cfr E. Balducci, Gandhi, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole 1988, pp. 7-8). 12. Altri aforismi di Buddha sulla vittoria in guerra: "Fra chi vince in battaglia mille volte mille nemici e chi soltanto vince se stesso, costui e' il migliore dei vincitori di ogni battaglia" (Dhammapada, n. 103). "La vittoria alimenta inimicizia, perche' chi e' vinto giace dolente. Chi ha abbandonato vittoria e sconfitta, costui rista' tranquillo e felice". (Dhammapada, n. 201, in Aforismi e discorsi del Buddha, a cura di Mario Piantelli, Tea, Milano 1988). 13. "Obiettivo della strategia della pace deve essere, in antitesi con la strategia di guerra - ed e' questa la cosa sostanziale, quello di impedire la sconfitta del nemico" (Erich Fromm, La disobbedienza e altri saggi, Mondadori, Milano 1988). Cioe', la pace non nasce mai dalla vittoria sul nemico, ma dalla vittoria sull'inimicizia. La vittoria della saggezza e' impedire la sconfitta del nemico, sempre foriera di volonta' di rivincita. La vera vittoria e' quella comune alle parti, e' l'attingere un risultato sovraordinato comune. Vincere e' pericoloso. L'unica sicurezza e' con-vincere, vincere insieme. E per questo e' necessario con-vincer-si, cioe' acquistare il potere su di se', il piu' difficile e prezioso, la vera potenza. 14. Ascoltiamo Erasmo (1466-1536), il grande difensore della pace all'inizio del '500. Egli avverti' che lo Stato moderno si andava costituendo sul diritto di guerra, per il quale disponeva dei nuovi terribili armamenti da fuoco. Cioe', la guerra era il primo reale articolo delle costituzioni statali, ancora non scritte. Erasmo propose un'alternativa storica che non fu seguita. Noi oggi, al termine della modernita', nell'era della distruggibilita' atomica, abbiamo un compito uguale: superare gli Stati e i super-Stati costituiti sulla violenza e la guerra. Erasmo fu un grande cristiano, che oggi la chiesa fa molto male a non ricordare. Dovrebbe essere proclamato "dottore della chiesa", Dottore Pacifico. In guerra, "il trionfo di questi e' il lutto di quelli... atroce e grondante di sangue e' la felicita'". "Alla fine, anche se ottengo vittoria completa, e' piu' lo scapito che il guadagno". "Se vogliamo vincere con Cristo... vinceremo veramente allorquando saremo vinti". "Il bello e' che non ottengono mai proprio quello che vogliono, e mentre stupidamente cercano di evitare questo o quello scoglio, piombano in altri guai, o negli stessi ma molto peggiorati". "Chi vince e' un assassino. Chi e' vinto muore, ma non e' meno colpevole: muore solo per non essere riuscito a compiere lui l'assassinio che tentava". "In guerra piange anche chi vince". "Noi ti preferiamo pacifico piuttosto che vittorioso" (a Filippo di Borgogna). "La vittoria (in guerra) non rientra mai fra i beni che appagano". Sono parole tratte dal Dulce bellum inexpertis (la guerra piace a chi non la conosce), dalla Querela pacis, dalla Lettera ad Antonio di Bergen, e da altri testi, oggi accessibili a tutti nel libro curato da Garin nelle Edizioni Cultura della Pace (S. Domenico di Fiesole, 1988). In Erasmo si coalizzano contro la guerra l'argomento del sano utilitarismo e quello morale, per cui l'uomo e' fallito quando uccide l'uomo. 15. All'obiezione del realismo cinico che si ammanta di giustizia, Erasmo risponde: "Quanto meglio lasciare impunito il misfatto di pochi, che cercare di infliggere una problematica pena a un paio di furfanti a prezzo del rischio certo di amici e nemici (come li chiamiamo), che non hanno fatto nulla". Leggevo queste parole nel gennaio 1991, durante le prime ore dell'orribile sacrificio umano in cui si celebrava, contro innocenti vite irachene, una sanguinaria "giustizia internazionale" nei confronti del dittatore e aggressore Saddam. Trovavo deboli le parole di Erasmo, per quella strage, ma vi riconoscevo lo stesso dolore che in quel momento ci schiacciava. Si dira' poi che avra' vinto la ragione e la giustizia... Quando "giustiziare" vuol dire uccidere - fosse anche il colpevole, con la pena di morte, e a maggior ragione migliaia di innocenti - la parola giustizia e' del tutto falsata, tradita, sconfitta: ha vinto solo il mistero di male che oscura il mondo. 16. "Non sarebbe male che un popolo, a guerra finita e dopo aver concluso il trattato di pace, dopo la festa del ringraziamento decretasse un giorno di espiazione per chiedere perdono al Cielo, in nome dello Stato, per la grave colpa della quale il genere umano continua a macchiarsi, rifiutando di sottomettersi ad una costituzione legale che regoli i rapporti con gli altri popoli, e preferendo usare, fiero della sua indipendenza, il barbaro mezzo della guerra (per mezzo del quale tuttavia non si decide cio' che si cerca, vale a dire il diritto di ogni Stato). I festeggiamenti coi quali si rende grazie per una vittoria conseguita in guerra, gli inni cantati (alla maniera degli Ebrei) al Signore degli eserciti, non contrastano meno nettamente con l'idea morale del padre degli uomini; infatti, a parte la gia' abbastanza triste indifferenza a riguardo dei mezzi coi quali i popoli perseguono il proprio reciproco diritto, esprimono per di piu' la soddisfazione d'avere annientato un bel numero di uomini, o distrutto la loro felicita'". Cosi' Kant, in una nota del suo grande scritto Per la pace perpetua. Progetto filosofico (pubblicato nel 1795; traduzione e cura di Alberto Bosi; Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole 1995, pp. 135-136). La guerra e' dunque per lui la "grave colpa", il "barbaro (e inutile) mezzo", e ringraziare Dio per la vittoria e' offesa all'idea morale di Dio, indifferenza alla crudelta' dei mezzi bellici, soddisfazione per aver dato morte e dolore. 17. Ma non e' solo il grande nobile animo di Kant a parlare cosi'. Ascoltiamo un altro autore, il quale dice che in guerra le potenze belligeranti sono "tutte d'accordo su un punto solo, fare il maggior male possibile. La cosa piu' strabiliante di questa impresa infernale e' che ogni capo assassino fa benedire le sue bandiere e invoca solennemente Dio prima di andare a sterminare il prossimo. Se un capo ha avuto la fortuna di far sgozzare solo due o tremila uomini, non ne ringrazia Dio; ma quando ce ne sono almeno diecimila sterminati dal ferro e dal fuoco e, per colmo di grazia, e' stata distrutta fino all'ultima pietra qualche citta', allora si canta a quattro voci una canzone abbastanza lunga [il Te Deum laudamus, preghiera usata come bestemmia classica nelle feste per la vittoria - n.d.r.], composta in una lingua sconosciuta a tutti coloro che hanno combattuto... La medesima canzone serve per i matrimoni e per le nascite, e al tempo stesso per la strage: questo e' imperdonabile". E' quell'arciscomunicato di Voltaire (nella voce Guerra del suo Dizionario filosofico), in questa occasione vero teologo, piu' cristiano di un papa e piu' pio di un monaco. 18. Tommaso Moro (1478-1535), il grande amico di Erasmo, non arriva ad escludere la guerra dalla sua isola di Utopia, eppure scrive: "La guerra e' profondamente detestata in Utopia, come cosa veramente belluina [come dice il suo nome latino - n.d.r.], sebbene nessuna specie di belva la pratichi cosi' spesso come l'uomo; e nulla si ritiene tanto inglorioso - al contrario di quasi tutti gli altri popoli - quanto la gloria acquistata con la guerra". Se e' la cosa piu' ingloriosa, la vittoria in guerra e' dunque la cosa piu' vergognosa. Ma questo, dira' il realista freddo, avviene nell'isola che non c'e'. A parte il fatto che Utopia puo' significare anche il buon luogo, il solo criterio che da' respiro e futuro all'intelligenza e alla vita e' quello che lo stesso Moro ci dice: "Ci interessa tutto quello che non conosciamo ancora". 19. Ancora Kant cita un detto antico, nel fare il bilancio dei vantaggi e svantaggi della guerra: "La guerra e' un male, perche' fa piu' malvagi di quanti ne toglie di mezzo" (Per la pace perpetua, Primo supplemento). Dunque, chi vince nella guerra? Il male. 20. "Inutile strage, orrenda carneficina che disonora l'Europa". Cosi' defini' la guerra in corso, nel 1917, papa Benedetto XV, e fu coperto di improperi come disfattista. "La guerra sarebbe il declino dell'umanita' intera". "La pace ottenuta con le armi non potrebbe preparare che nuove violenze". Cosi', il 12 gennaio 1991, inutilmente avverti' le potenze occidentali papa Giovanni Paolo II, delegittimando solennemente la guerra del Golfo e la volonta' di potenza dell'Occidente. Declino, in luogo del progresso. Nuove violenze, in luogo del nuovo ordine internazionale. E' questa la vittoria della legalita', della democrazia? 21. "La guerra e' una sconfitta anche per coloro che pensano di esserne eventuali vincitori" ("L'Osservatore Romano", 20 gennaio 1991). "Una guerra e' sempre una sconfitta" disse una ragazza della prima E, quattordici anni, durante un'assemblea nel mio liceo contro la guerra del Golfo. Era piu' saggia di quei pazzi potenti, piu' capace di Andreotti, De Michelis e Cossiga, di governare l'Italia. 22. E ogni sconfitta camuffata con sonanti peana di vittoria. Poi il rimorso inutile: e lamenti e preghiere a riempire i cieli, e sempre un Salvatore atteso e poi respinto. (David Maria Turoldo, Nel segno del Tau, Mondadori, Milano 1988, p. 109). 23. "Le stesse potenze che hanno 'vinto' l'ultima guerra mondiale a proprio danno (...) non sono riuscite a ricavarne altro insegnamento se non che bisogna armarsi piu' accanitamente che mai. (...) Nulla hanno imparato e nulla vogliono imparare, dopo la loro triste 'vittoria' hanno fatto poco o nulla per la pace e molto invece per rendere possibili nuove guerre" (Hermann Hesse, nel settembre 1950, in Non uccidere, Considerazioni politiche, Mondadori, Milano 1987, p. 178). 24. Tra i commenti americani immediatamente successivi alle bombe di Hiroshima e Nagasaki troviamo anche questo, del settimanale cattolico "Commonwealth", in un editoriale intitolato Orrore e vergogna: "Non dovremo piu' affannarci per mantenere limpida la nostra vittoria. E' disonorata. Il nome Hiroshima, il nome Nagasaki, sono i nomi della vergogna e della colpa americana" (Dal libro di Gar Alperovitz, Atomic Diplomacy, seconda edizione 1985). 25. L'Onu e' una preziosissima conquista del nostro secolo per il futuro dell'umanita', e deve sviluppare il suo significato e le sue potenzialita', al di la' dei suoi limiti attuali. Infatti, il suo vizio costituzionale, diventato col tempo tragicamente evidente, e' di essere una istituzione nata per "salvare le future generazioni dal flagello della guerra" (preambolo dello Statuto), ma fondata sulla vittoria, sul diritto di guerra, sul privilegio dei vincitori, sul loro potere di veto. Nessuna pace puo' nascere dal diritto della forza, che e' l'unico diritto sancito dalla vittoria in guerra, solo occasionalmente e casualmente coincidente con il diritto e la ragione. 26. "La lettera bagnata di lacrime con cui il duca di Wellington annunciava di avere vinto Napoleone a Waterloo, perdendo 50 mila soldati, e' stata acquistata dalla British Library per 350 mila sterline (750 milioni di lire)" (da "La stampa', 23 gennaio 1990). Se ben ricordo una lontana lettura, Wellington disse allora che una vittoria e' poco meno tragica di una sconfitta. 27. Un film di Peter Brook (1989) ha proposto agli europei il Mahabharata, antico poema sacro indiano di tre o quattro secoli precedente all'era cristiana, che contiene il famoso Bhagavadgita (il Canto del Beato). Questo testo sembra addirittura inculcare il dovere della guerra, contro le esitazioni della coscienza. Ecco uno dei punti (nemmeno il piu' importante) dell'interpretazione datane da Gandhi, che lo ha meditato per tutta la vita: "L'immortale autore (...) ha mostrato al mondo l'inutilita' della guerra, dando ai vincitori una vuota gloria" (Teoria e pratica della nonviolenza, cit., p. 9). 28. "Il dolore inflitto a milioni di individui non e' nemmeno per il presunto vincitore configurabile come il prezzo della vittoria, quanto l'indice della sconfitta che su ogni piano lo accomuna al nemico". (Luciano Gallino, "La stampa", 12 settembre 1990). 29. "L'esito della guerra dimostro' ancora una volta quanto illusoria sia la convinzione popolare secondo cui 'vittoria' significa pace. Valse, invece, a confermare che essa e' solo un 'miraggio nel deserto': il deserto che una lunga guerra, tanto piu' se combattuta con armi moderne e metodi illimitati, si lascia inevitabilmente alle spalle" (B. H. Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano 1974, p. 6). 30. "L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno e' che ci si incoraggi a ricuperare la stima di noi stessi sui campi di battaglia... Il senso di fiducia in se stessi e di autostima che gli americani desiderano veder ripristinato sarebbe sentito in modo piu' appropriato, in una democrazia come la nostra, se si fondasse sulla prova di salute e forza anziche' su riferite distanti glorie di battaglie" (Paul Kennedy, storico statunitense, su "L'Unita'", 26 gennaio 1991). 31. "... Infatti la guerra, diventando sempre piu' stupida, piu' sporca, piu' tragica, non potra' non partorire che una vittoria stupida, sporca, tragica... Invece che il nuovo ordine mondiale sta preparando un nuovo disordine che solo i ciechi non vedono" (Alberto Cavallari, che all'inizio riteneva necessaria la guerra del Golfo, su "La repubblica", 27 gennaio 1991). 32. "Ora, poiche' le armi piu' eccellenti sono oggetti sfortunati, ognuno le detesta. Percio' colui che segue la via non se ne occupa. (...) Le armi sono strumenti di sventura, non sono strumenti del nobile. Questi le usa solo se non ha nessun'altra alternativa, e considera superiori la calma e l'indifferenza. Se vince, non lo trova bello. Colui che lo trova bello gioisce di uccidere degli uomini. Ora, chi gioisce di uccidere uomini non puo' realizzare i propri intenti sull'impero. (...) L'uccisione di una moltitudine di uomini e' pianta con dolore e lamentazioni; vinta una battaglia, ci si dispone come nei riti funebri" (Lao-tzu, Tao-teh-ching, Il libro del Tao, traduzioni diverse, n. 31). 33. Asoka, il grande re buddhista dell'India antica (III secolo a. C.), si era dedicato in un primo tempo all'espansione dell'impero. Nel corso della conquista del Kalinga rimase profondamente scosso dall'orrore e dalla pieta' provati di fronte alle stragi perpetrate dai suoi soldati. Allora - sappiamo dal suo XIII editto rupestre - espresse pubblicamente il suo rimorso e dichiaro' solennemente che da quel momento solo la vittoria del Dhamma (dovere, precetto, pieta') sarebbe stata da lui considerata vera vittoria. (cfr. Per un percorso etico tra culture. Testi antichi di tradizione scritta, a cura di Pier Cesare Bori e Saverio Marchignoli, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1996, p. 123). 34. L'alternativa e' questa: o vittoria, o giustizia. Scrive Norberto Bobbio: "Fra due contendenti la pace puo' essere ottenuta o con la vittoria e la supremazia dell'uno sull'altro, o con la interferenza determinante di un terzo super partes. Nel primo caso si ha la cosiddetta pace d'impero, nel secondo caso una pace di compromesso, che Raymond Aron ha chiamato la 'pace di soddisfazione'" (Autobiografia, Laterza, Roma-Bari 1997, p. 234). Quindi, la vittoria in guerra fa finire la guerra, ma non ottiene la pace giusta, bensi' un dominio, che e' impero, offesa, ingiustizia, della stessa qualita' della guerra, benche' non cosi' immediatamente cruenta. Ricordiamo Erasmo: meglio una pace ingiusta di una guerra giusta. Ma non accontentiamoci. O vittoria, o giustizia. 35. "Per quanto giusta sia la causa del vincitore, per quanto giusta sia la causa del vinto, il male prodotto dalla vittoria come dalla sconfitta non e' meno inevitabile". (Simone Weil, Quaderni. I, trad. di G. Gaeta, terza edizione, Adelphi, Milano 1991, p. 232). 36. "La Giustizia fugge dal campo dei vincitori", scriveva Simone Weil (Quaderni. III, trad. di G. Gaeta, Adelphi, Milano 1988, p. 158). Fugge per andare a pesare sull'altro piatto, a pareggiare la giusta bilancia. In questo brano la Weil dice che la societa' e' forza, e che, se si e' consapevoli dello squilibrio sociale, occorre "aggiungere peso sul piatto troppo leggero", con ogni mezzo, ma "bisogna aver concepito l'equilibrio, ed essere sempre pronti a cambiare parte, come la Giustizia". Ogni vittoria, per diventare giusta, deve essere riequilibrata, abbandonata in favore dei vinti. 37. Quando alla vittoria si aggiunge il piacere di trionfare e di umiliare il vinto (il che accade ben facilmente), la vittoria diventa piu' vergognosa. Dice ancora Simone Weil: "Avevo dieci anni al tempo del trattato di Versailles. Fino ad allora ero stata patriota con tutta l'esaltazione dei bambini in periodo di guerra. La volonta' di umiliare il nemico vinto, che invase tutto in quel momento (e negli anni successivi) in maniera cosi' repellente, mi guari' una volta per tutte da questo patriottismo ingenuo. Le umiliazioni inflitte dal mio paese mi sono piu' dolorose di quelle che puo' subire" (Al termine della Lettera a Georges Bernanos, scritta presumibilmente nel 1938; si trova in G. Gaeta, Simone Weil, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole 1992, pp. 95-100). 38. La vittoria delle armi dimostra la maggior forza e ferocia delle armi, nient'altro. Non dimostra nulla riguardo al diritto e alla giustizia. Puo' anche darsi che vinca la parte piu' giusta. Ma accade pure che le armi indeboliscano e inquinino le ragioni giuste, fino a perderle. 39. Quando Davide ricevette la notizia della morte di Assalonne, che si era ribellato contro di lui, fu scosso da tremito e sali' a piangere nella stanza di sopra, gridando: "Assalonne, figlio mio, figlio mio! Perche' non sono morto io al tuo posto? Figlio mio, figlio mio Assalonne!". Davide, che pure fu un duro guerriero, qui profetizza la verita' su ogni vittoria omicida: e' sempre un figlio, un fratello, un consanguineo, che il vincitore ha ucciso. Ogni vittoria e' sporca di sangue familiare. E' lutto, tanto quanto la sconfitta. "La vittoria in quel giorno si trasformo' in lutto per tutto il popolo. (...) I soldati entrarono in citta' quasi di nascosto, come quando un esercito torna vergognoso dopo essere fuggito in battaglia" (Secondo libro di Samuele, 19, 1-4). 40. Accanto alla foto di un bambino col braccio destro amputato compare la scritta in inglese: "E' per questo che combattiamo? La guerra non vince la pace". E' un manifesto del National Peace Council, di Colombo, nello Sri Lanka (da "Echoes", rivista del Consiglio Ecumenico delle Chiese sul programma Giustizia, Pace, Salvaguardia del creato, n. 13/1998, p. 23). 41. I calciatori che, fatto un gol, danno in furiose esultanze, tirano pugni nell'aria, esibiscono grinte piu' feroci che felici, come se stessero sbranando un odiato nemico, dimostrano una malsana cultura della vittoria sportiva. Il gioco, la prova di abilita' e forza fisica rappresenta, nel corso del lungo faticoso processo di umanizzazione, la neutralizzazione della guerra, la trasformazione della vittoria da dolore ad allegria. Invece, quel brutto modo di giocare e di vincere fa il cammino inverso, e' la regressione umana dal gioco alla guerra. La barbarie di quei calciatori, corrotti dai troppi soldi che guadagnano e dalla psicosi sportiva di massa, riflette le violenze collettive degli stadi, che tornano a somigliare all'arena dei gladiatori. In questo senso, Alex Langer denunciava il motto olimpico "citius, altius, fortius" (piu' veloce, piu' alto, piu' forte) come emblematico del "modello della gara" che informa fino all'esasperazione e alla follia il modo di vita dominante (cfr. Alexander Langer, Il viaggiatore leggero, Scritti 1961-1995, Sellerio editore, Palermo 1996, p. 329). Se giocare vuol essere solo vincere, quel vincere non e' piu' leggero come il giocare, ma pesante come il combattere. A questa civilta' della competizione che produce piu' vittime che successi umani, piu' rifiuti che prodotti, a questo "progresso" che (come dice Eduardo Galeano) e' un viaggio con piu' naufraghi che passeggeri, Alex Langer opponeva un altro motto: "lentius, profundius, suavius" (con piu' calma, piu' profondita', piu' dolcezza). 42. Conosco questa storia familiare: il padre era tornato vincitore, nel 1918, e trovo' disoccupazione, miseria, disordini, sofferenze, violenze, sfociate nella dittatura fascista. Passano piu' di vent'anni e Mussolini, dopo la vigliacca vittoria sull'Etiopia, butta l'Italia nella fornace della seconda guerra mondiale. Il figlio di quell'uomo viene mandato in guerra. Il padre gli dice: "Senti bene, figlio mio: io l'altra guerra l'ho vinta e non ho avuto che guai. Tu prova a perderla, chissa' che non ti vada meglio". Spedito in Africa, il ragazzo appena vede gli inglesi butta a terra il fucile e si arrende. Passa il resto della guerra da prigioniero. Tornato a casa, trova un lavoro come reduce e se la passa a sufficienza nell'Italia della ricostruzione. In quella famiglia non credono molto nella vittoria. Del resto, e' vero in generale che all'Italia sconfitta nel 1945 e' andata assai meglio che all'Italia vittoriosa nel 1918. 43. Le feste per la vittoria sono "danza sulle bare". Cosi' scrive Benjamin Constant in Dello spirito di conquista e dell'usurpazione (Rizzoli, Milano). 44. La guerra che verra' non e' la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell'ultima c'erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente. (Bertolt Brecht, Poesie di Svendborg, Einaudi, Torino). 45. "La guerra non ha piu' senso per il semplice fatto che non si vince piu'. Per il semplice fatto che anche una guerra vinta non chiude il conflitto che voleva chiudere: lo riapre in forme piu' nuove e terribili" (Ernesto Balducci). 46. Lamento di David sul gigante ucciso. La vittoria di David su Golia e' una delle vittorie in armi piu' celebrate e di piu' "santa" fama. Percio' la aggiungo nella mia raccolta "Dov'e', o guerra, la tua vittoria?" come uno dei pezzi piu' significativi per togliere gloria alla vittoria in guerra e mostrarne tutta l'infinita tristezza. "La notte e' troppo pesante sopra il mio capo la luna non s'alza non s'alza sulle colline, io grido e non mi risponde la terra di bronzo. Ma ieri chiamavo la luna su quelle colline e il giovane vento a giuocare nella foresta e i cani e le nuvole l'acqua del fiume ed il sonno. Docile sonno, o mio agnello perduto io non so dove. Giuochi che David non giuochera' mai piu'. Se io fossi morto, mia madre piangerebbe su di me, s'io fossi ferito, qualcuno laverebbe il mio sangue. Non piange nessuno se in qualche parte ho perduto il mio vergine cuore; se grondo del sangue di un altro nessuno mi lava. Tutti laggiu' fanno festa, io sono qui solo con quello che ho ucciso. Alzati, rosso gigante ammucchiato ai miei piedi, riprenditi il tuo respiro le cento teste e l'ira e le armi di bronzo. Ridammi la semplice fionda e il mio cuore il mio veloce cuore in corsa sulle colline. Tu non rispondi, gigante di bronzo. Terra, tu non rispondi. E sia pure cosi'. E' inutile gridare. Dunque la luna ieri non si alzava per me". (Elena Bono, Dalla raccolta Alzati, Orfeo, riproposta nel 1981 nella antologia Piccola Italia, pp. 37-38). 47. Alessandro Manzoni, Il Conte di Carmagnola, Coro dall'atto secondo: "I fratelli hanno ucciso i fratelli: Questa orrenda novella vi do. Odo intorno festevoli gridi; S'orna il tempio, e risona del canto; Gia' s'innalzan dai cori omicidi Grazie ed inni che abomina il ciel. ... Stolto anch'esso! Beata fu mai Gente alcuna per sangue ed oltraggio? Solo al vinto non toccano i guai; Torna in pianto dell'empio il gioir. Ben talor nel superbo viaggio Non l'abbatte l'eterna vendetta; Ma lo segna; ma veglia ed aspetta; Ma lo coglie all'estremo sospir. * Prego i lettori di voler continuare, con altri documenti e testimonianze, a disonorare la vittoria militare. Enrico Peyretti 2. INCONTRI. UN'ASSEMBLEA DI GRUPPI, RETI E ASSOCIAZIONI FEMMINISTE A FIRENZE [Dal sito di Peacelink (www.peacelink.it) riprendiamo e diffondiamo questo appello promosso da donne incontratesi a Firenze il 30 marzo 2003. Per informazioni e contatti: parigi_diverse at womenews.net] Il 17-18 maggio avra' luogo a Firenze nella sede dell'Arci un'assemblea-seminario di reti, associazioni, strutture, collettivi femministi e singole donne, che insieme discuteranno e decideranno forme e contenuti della partecipazione al Forum sociale europeo di Parigi, in modo particolare alla giornata delle donne del 12 novembre 2003, che apre il Forum. Questo percorso dovra' poi collegarsi con l'insieme dei gruppi europei che intendono partecipare all'evento, a partire dai collettivi del paese che lo ospita. I soggetti che sottoscrivono questo testo hanno deciso di dar vita a un percorso comune sulla base di alcune valutazioni e aspettative comuni. 1) Femminismi diversi, collegati tra loro in modi diversi, sono stati presenti fin dall'inizio nel movimento dei movimenti. Alla loro presenza si devono i sia pur occasionali riconoscimenti del debito del movimento con il femminismo, l'ingresso di temi e problemi altrimenti ignorati, i rapporti talvolta meno asimmetrici tra donne e uomini. Tuttavia l'azione dei femminismi esistenti e' stata finora debole per ragioni sulle quali sarebbe difficile esprimere opinioni comuni. La comune constatazione di questa debolezza ci induce a ritenere irrimandabile un tentativo di superamento della incomunicabilita' e della dispersione; un nuovo tentativo di ascoltarsi e di intendersi, senza che questo significhi la rinuncia di qualcuna alla propria storia e alle proprie convinzioni; una forte tensione verso l'agire politico e la costruzione di soggettivita' piu' visibili e piu' radicate nel mondo reale. 2) Il movimento dei movimenti per la sua opposizione alla globalizzazione liberista e alla guerra permanente, per la molteplicita' dei progetti e delle culture, per la dinamica convergente che esprime, rappresenta per le donne come per gli uomini una speranza per il futuro e una realta' del presente. Ci accomuna quindi la scelta di considerarlo l'interlocutore privilegiato, sia pure con distanze variabili da momento a momento e senza mai rinunciare alla nostra autonomia. 3) Malgrado i suoi meriti e la sua natura progressiva, il movimento dei movimenti e' comunque attraversato da strutture patriarcali. E' diretto in prevalenza da uomini, spesso con i tradizionali modi maschili di fare politica; non riconosce, se non occasionalmente e con limitate conseguenze sul piano pratico, il debito contratto con il femminismo e con le donne; ignora analisi, temi e desideri espressi dalla nostra politica. Perche' la presenza delle donne sia il piu' possibile anche presenza di una storia con le sue diversita' e articolazioni, perche' le acquisizioni intellettuali e pratiche della "rivoluzione piu' lunga" rafforzino le donne nel movimento e il movimento nel suo complesso, noi saremo presenti al Forum sociale europeo di Parigi e alle riunioni internazionali che lo preparano. Prime firmatarie: Marcia mondiale delle donne - Forum delle donne Prc. Invitiamo tutte le donne, appartenenti a gruppi o associazioni e singole del movimento antiglobalizzazione, per la pace e la globalizzazione dei diritti, presenti e non presenti alla riunione di Firenze del 30 marzo, a sottoscrivere e partecipare al dibattito che si sviluppera' sulla lista parigi_diverse at womenews.net . Per iscriversi alla lista inviare un messaggio all'indirizzo majordomo at womenews.net scrivendo nel corpo della mail: subscribe parigi_diverse 3. APPELLI. LA PACE NELLA CARTA EUROPEA [Questo appello e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 12 aprile 2003] Noi cittadine e cittadini, organizzazioni e istituzioni europee, uniti piu' che mai nel nome della pace e dei diritti umani, della giustizia e della solidarieta' tra i popoli, chiediamo che nella Costituzione europea in discussione si affermi, come all'articolo 11 della Costituzione italiana, che: "l'Europa ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e riconosce nella pace un diritto fondamentale delle persone e dei popoli. L'Europa contribuisce alla costruzione di un ordine internazionale pacifico e democratico; a tale scopo promuove e favorisce il rafforzamento e la democratizzazione dell'organizzazione delle Nazioni Unite e lo sviluppo della cooperazione internazionale". Giulio Cozzari (presidente Coordinamento enti locali per la pace e i diritti umani), Flavio Lotti (Tavola della pace), Alex Zanotelli (missionario comboniano), Antonio Papisca (direttore master europeo diritti umani e democratizzazione), Armando Dito (portavoce Studenti.Net), Carlo Gubitosa (PeaceLink), Cesare Taviani (Fivol), Claudia Pratelli (presidente Uds), don Albino Bizzotto (Beati i costruttori di pace), don Luigi Ciotti (Libera); don Tonio Dell'Olio (Pax Christi), Edo Patriarca (portavoce Forum del terzo settore), Enrico Paissan (Forum trentino per la pace), Ermete Realacci (presidente Legambiente), Fabio Alberti (presidente Un ponte per...), Fabio Salviato (presidente Banca etica), Giampiero Rasimelli (portavoce Forum del terzo settore), Gianni Rocco (portavoce Associazione per la pace), Gigi Bobba (presidente Acli), Gino Barsella (Sdebitarsi), Gino Strada (Emergency), Giulietto Chiesa (Megachip), Giulio Marcon (presidente Ics), Giuseppe Giulietti (portavoce Articolo 21), Grazia Bellini (presidente Agesci), Graziano Zoni (presidente Emmaus Italia), Guglielmo Epifani (segretario generale Cgil), Guido Montani (presidente Movimento federalista europeo), Laura Cappelli (portavoce Associazione per la pace), Leopoldo Piraccini (centri per la pace di Forli'/Cesena), Lino Lacagnina (presidente Agesci), Luciana Castellina (NoWar Tv), Luciano Ardesi (presidente Lega per i diritti e la liberazione dei popoli), Marco Braghero (presidente PeaceWaves), Marco Mascia (Polo europeo Jean Monnet - Universita' di Padova), Vittorio Agnoletto (Forum sociale mondiale), Mario Gay (presidente Cocis), Massimo Pilati (Rete Lilliput), Nella Ginatempo (Basta guerra), Rosario Lembo (presidente Cipsi), Sabina Siniscalchi (Manitese), Savino Pezzotta (segretario generale Cisl), Sergio Marelli (presidente Associazione Ong italiane), Stefano Fancelli (presidente Sinistra giovanile), Tom Benetollo (presidente Arci), Alessandra Mecozzi (Fiom), Claudio Martini (presidente regione Toscana). 4. INCONTRI. NADIA DE MOND, NICOLETTA PIROTTA: LA MARCIA MONDIALE DELLE DONNE RIPARTE DALL'INDIA [Dal sito di Peacelink (www.peacelink.it) riprendiamo e diffondiamo questo resoconto dell'incontro della "Marcia mondiale delle donne" tenutosi a Delhi in marzo. Nadia De Mond e Nicoletta Pirotta sono state delegate italiane a Delhi (per contatti: nicoletta.pirotta at tin.it)] Carissime, vi inviamo il resoconto dell'incontro internazionale della marcia. E' stato un incontro molto intenso, segnato dallo scoppio della guerra che ne ha condizionato lo svolgimento. La marcia dopo il quarto incontro si pone sempre di piu' sulla strada della costruzione di un vero e proprio movimento di donne che, seppur composito e articolato al proprio interno, sa darsi contenuti e regole di funzionamento condivisi. Il pezzettino di India che abbiamo visto, inoltre, ci ha sollecitato emozioni e sentimenti contrastanti che ancora ci accompagnano. Ora ci aspetta il duro lavoro quotidiano: continuare anche nel nostro paese la costruzione di uno "spazio comune" nel quale le donne possano incontrarsi per condividere impegni e iniziative insieme alla voglia di costruire un mondo diverso. Il seminario di maggio sara' tappa importante di questo cammino. A presto, dunque Nadia e Nicoletta * Dal 18 al 22 marzo si e' tenuto a Delhi in India il quarto incontro mondiale della Marcia mondiale delle donne contro guerre, violenze e poverta'. Un centinaio di delegate di 36 paesi, in prevalenza provenienti dai continenti del Sud, si sono riunite, per 5 giorni consecutivi, per tracciare il percorso futuro di questa parte del movimento che si mobilita contro l'intreccio di liberismo, militarismo e patriarcato. Almeno una ventina di delegate dei paesi che hanno rinnovato la loro adesione a questa rete femminista internazionale non hanno potuto raggiungere la capitale indiana, ostacolate dall'imminente scoppio della guerra di Bush, che ha determinato, per alcune regioni del mondo, materiali difficolta' di spostamento e diniego dei visti. Inevitabilmente l'agenda prevista e' stato fortemente scadenzata dai tempi della guerra sia nelle discussioni che nella volonta' di uscire, il giorno dello scoppio "ufficiale", dal recinto protetto della Universita' Jamia Hamdard per scendere in manifestazione nelle strade di Delhi, unendo la nostra protesta a quella dei movimenti indiani contro la guerra. Anfitrioni dell'incontro mondiale sono state due organizzazioni "ombrello" che raggruppano decine di gruppi di base che operano sia nelle periferie delle citta' che in ambito rurale contro le immense discriminazioni e violenze contro le donne indiane: Nawo, una rete di ong e Aidwa, piu' legata ad una delle correnti politiche del movimento di provenienza comunista. Entrambi le reti avevano aderito alla Marcia mondiale nel 2000 e mantenuto i legami internazionali negli anni successivi, partecipando alle iniziative femminista nel Forum sociale mondiale di Porto Alegre, in particolare alla conferenza sulle violenze di genere, e, in maggior misura, al Forum sociale asiatico di Hyderabad. Grazie all'impegno comune nell'organizzazione del quarto incontro le due reti hanno avuto l'opportunita' di lavorare insieme, a stretto contatto fra loro, malgrado le grandi differenze di origine politica, sociale e culturale che le caratterizzano. Anche in questa occasione, quindi, la Marcia delle donne sembra in qualche modo precorrere cio' che succede dentro il movimento dei movimenti che si sta preparando per il prossimo incontro mondiale in India e continua ad esercitare una proficua pressione centripeta, di dialogo e collaborazione tra spezzoni di movimento tra loro molto diversi e spesso finora non comunicanti. Ha partecipato a parte dei lavori della Marcia Meena Menon, membro del Consiglio internazionale del Forum sociale mondiale che poi ha dovuto lasciare la riunione per raggiungere il Forum sociale indiano a Bombay che doveva decidere, tra l'altro, quale citta' avrebbe ospitato il Forum mondiale. Scelta che e' poicaduta proprio su Bombay, quasi certamente dal 9 al 17 gennaio 2004. La data dovra' essere confermata nella riunione, prevista nelle prossime settimana, con gli altri paesi asiatici e con il Comitato di continuita' brasiliano. L'incontro della Marcia mondiale aveva come punto principale all'ordine del giorno l'individuazione di una iniziativa politica globale da realizzarsi nell'anno 2005, 10 anni dopo la Conferenza di Pechino e a 5 anni dalla prima marcia mondiale delle donne che aveva coinvolto piu' di 6.000 gruppi in 160 paesi del mondo. La metodologia utilizzata in questo come nei precedenti incontri della Marcia mondiale delle donne ha previsto uno scambio di idee incrociato, tra grandi regioni del mondo (Americhe, Asia, Africa, Europa) e gruppi linguistici omogenei (francofoni, anglofoni, ispanofoni), combinato con assemblee plenarie e consultazione dei coordinamenti nazionali che integrano la rete. La discussione e' stata orientata al raggiungimento del piu' ampio consenso possibile, senza nascondere eventuali dissensi: per questo si e' potuto inserire nuovi punti all'ordine del giorno o promuovere riunioni di caucus particolari. In questo senso questo movimento non cessa di essere una scuola di democrazia partecipativa in cui, spinte dal desiderio di produrre parola e iniziativa politica globale, si ricercano sul campo nuove regole e metodologie di lavoro condivise. Da molti paesi veniva la richiesta di una nuova marcia mondiale che permettesse di collegare l'iniziativa quotidiana dei gruppi di base contro le violenze e l'impoverimento delle donne ad un livello politico globale, misurandoci con l'esigenza di contribuire all'affermazione di un altro mondo possibile. Cosi' e' nata la proposta dell'elaborazione di una Carta femminista per l'umanita', costruita dal basso a partire dalle esigenze quotidiane delle donne con la "pretesa" di farsi carico delle sorti del mondo. Dal 2004 in poi una marcia a staffetta attraversera' il pianeta, tessendo man mano una ragnatela di legami che sappiano collegare il Burkina Faso a Belgrado, Hyderabad al Quebec, Lima a Stoccolma portando con se' le parole della Carta. Carta che verra' materialmente intrecciata su pezzi di stoffa e di carta e la cui "marcia" culminera' in un evento simbolico nell'ottobre del 2005 in uno dei paesi impoveriti del mondo. Le varie tappe della mobilitazione dovranno naturalmente essere ulteriormente discusse a livello nazionale e regionale. Si sono comunque individuate alcune tematiche sulle quali concentratre le iniziative: la tratta delle donne, il debito e i trattati commerciali neocoloniali in America Latina e in Africa. In Europa il nuovo percorso della Marcia comprende gia' due scadenze importanti. Il primo ci vede impegnate nell'articolazione di una forte presenza femminista al prossimo Forum sociale europeo di Parigi. Il Forum verra' aperto, il 12 novembre, da una giornata dedicata ai diritti delle donne e vedra' protagoniste - tra le altre - le giovani immigrate di seconda generazione delle periferie parigine. Il secondo consiste in una mobilitazione autonoma nel mese di giugno 2004, in Galizia, terra di marea nera e di poverta', alla periferie della fortezza Europa. Nell'incontro mondiale vengono riconfermati gli assi fondamentali di attivita' della Marcia mondiale: l'elaborazione di un pensiero e di una pratica femminista all'interno del movimento dei movimenti, la creazione di una rete internazionale di solidarieta' operante nei casi di emergenza, la discussione strategica sulle alternative femministe al neoliberismo, alla cultura militarista, razzista e patriarcale. La questione lesbica, di difficile comprensione per molti movimenti di donne, dall'Africa al Medio Oriente, passando per la stessa India, e' stata affrontata durante l'incontro in modo non ideologico ma partendo dal vissuto reale delle donne interessate. Due esponenti di un'associazione lesbica operante a Delhi in semiclandestinita' hanno portata la loro testimonianza all'assemblea, parlando cosi' per la prima volta in pubblico in India e davanti ad una platea internazionale, rompendo, almeno in quel momento, le barriere con il movimento delle donne piu' tradizionale. Questo incontro aveva anche lo scopo di dotarsi di una struttura di coordinamento piu' stabile e rappresentativo, che portasse a termine l'evoluzione della Marcia , cioe' il passaggio da una rete ideata e sostenuta fondamentalmente dal Quebec (attraverso la potente Federation des Femmes) ad un movimento veramente internazionale, con un peso prevalente dei paesi del Sud del mondo. Si e' percio' costituito un comitato internazionale composto da due rappresentanti per continente che, per una durata di due anni, fino al prossimo incontro mondiale, dovra' sviluppare e coordinare le proposte uscite dall'incontro, assicurare la comunicazione e il funzionamento dei gruppi di lavoro internazionali. 5. LUTTI. GIAMPAOLO CALCHI NOVATI RICORDA ENRICA COLLOTTI PISCHEL [Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 aprile 2003. Giampaolo Calchi Novati, nato nel 1935, docente universitario, e' tra i massimi esperti italiani delle questioni del sud del mondo. Tra le opere di Giampaolo Calchi Novati: Neutralismo e guerra fredda (1963); L'Africa nera non e' indipendente (1964); Le rivoluzioni nell'Africa nera (1967); La rivoluzione algerina (1969); Decolonizzazione e terzo mondo (1979); La decolonizzazione (1983); Dopo l'apartheid (a cura di, 1986); L'Africa (1987); Nord/Sud (1987); Maghreb (a cura di, 1993); Il Corno d'Africa nella storia e nella politica (1994); Dalla parte dei leoni (1995). Enrica Collotti Pischel "e' nata a Rovereto (Trento) il 23 giugno 1930, in una famiglia di intellettuali antifascisti. Ha studiato a Milano, laureandosi in filosofia nel 1953 con Antonio Banfi, con una tesi sull'apporto occidentale nell'ideologia rivoluzionaria cinese. Gia' negli anni degli studi si e' vivamente interessata al movimento rivoluzionario dei popoli coloniali e in particolare asiatici. Dal 1953 lavora al settore Estremo Oriente dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) di Milano, seguendo quotidianamente gli eventi asiatici e scrivendo ad ogni numero sul settimanale dell'istituto "Relazioni internazionali" nonche' sull'"Annuario di politica internazionale". Ha collaborato e collabora anche ad altre riviste italiane e straniere su problemi asiatici, in particolare di storia contemporanea dell'Asia, estendendo i propri interessi alla problematica coloniale in generale. Presso la casa editrice Einaudi di Torino ha pubblicato Le origini ideologiche della rivoluzione cinese (1958), La rivoluzione ininterrotta (1962), La Cina rivoluzionaria (1965). Con Paolo Calzini ha curato due raccolte sul dissidio tra Cina e Urss, una a carattere ideologico (Coesistenza e rivoluzione, Einaudi, Torino 1963) ed una a carattere piu' propriamente cronachistico (Il contrasto cino-sovietico, Ispi, Milano 1965). Insieme con Chiara Robertazzi ha curato una vasta bibliografia su L'Internazionale Comunista e la rivoluzione coloniale 1919-1935 (di imminente pubblicazione in Francia [Mouton, 1968]), elaborata direttamente sulle fonti dell'Internazionale Comunista, ed ha poi ripreso in esame i problemi dell'orientamento del mondo comunista nei confronti della rivoluzione nelle colonie" (questa scheda abbiamo estratto dalla seconda di copertina del suo saggio su Mao Tse-tung nella collana de "I protagonisti della storia universale", Cei, Milano 1966). Successivamente Enrica Collotti Pischel e' divenuta professore ordinario di storia e istiituzioni dei paesi afro-asiatici all'universita' di Milano. Tra le altre sue opere segnaliamo almeno: Storia della rivoluzione cinese, Editori Riuniti, Roma 1971; L'India oggi, Angeli, Milano 1985; con Emilia Giancotti e Aldo Natoli, Mao Zedong dalla politica alla storia, Editori Riuniti, Roma 1988; Gandhi e la nonviolenza, Editori Riuniti, Roma 1989. E' deceduta nel 2003] Stando a quanto si e' saputo dai familiari nelle ore dopo la sua morte, non inattesa da quando la malattia di cui soffriva da tempo si era irrimediabilmente aggravata ma la cui notizia e' giunta egualmente dolorosa per tutti coloro che la conoscevano e la frequentavano, Enrica Collotti Pischel ha lasciato scritto o detto di volere ricevere l'ultimo saluto nella sede dell'Universita' dove insegnava, a Milano, la sua facolta' di scienze politiche, in via Conservatorio. E' una scelta emblematica e per certi aspetti obbligata. E' il suggello piu' giusto di una vita che nell'insegnamento ha trovato la sua vera ragion d'essere. Enrica era anzitutto e soprattutto una docente, un'insegnante. A costo, a volte, di apparire didascalica, quando parlava, non importa se in un'aula universitaria o in una conferenza pubblica, ma anche negli incontri piu' ristretti, come nelle riunioni che tenevamo attorno a Giorgio Borsa finche' e' stato vivo, uno dei suoi maestri che non poteva non ammirare e amare pur dissentendo da molti dei suoi presupposti o delle sue conclusioni, non era mai convinta di essere stata abbastanza chiara e tornava sui concetti, sulle interpretazioni, affinando continuamente il suo ragionamento. Sempre critica con se stessa e con gli altri. Perche' le sue scelte politiche, i valori in cui fermissimamente credeva, non le impedivano di interrogarsi sugli opposti che si scontrano, nella dialettica argomentativa e in ultima analisi nella storia, sapendo che sono troppe le variabili per permettersi di essere sicuri e tanto meno dogmatici. Il suo presunto "estremismo", in effetti, era talmente intrecciato con la consapevolezza dei limiti della conoscenza storica o della condivisione politica, da ammettere dubbi, riconsiderazioni, confronti. In occasione di una delle ultime lezioni che mi chiese di tenere nel quadro dei seminari che organizzava all'universita' con la collaborazione di un centro di studi milanese, aperti al pubblico esterno, tardi nel pomeriggio per favorire l'affluenza di studenti di altre facolta', giovani e lavoratori, per tutto commento, dopo aver sentito un'analisi della crisi africana che segui' visibilmente sofferente quasi piegata sulla sedia, disse: "Avevamo sperato qualcosa di piu' per i nostri paesi". I "nostri paesi" erano le nazioni dell'Africa e dell'Asia, gli stati della decolonizzazione, i popoli che avevano puntato sulla "liberazione" dopo il colonialismo. I suoi interessi di studiosa si concentravano soprattutto sul Vietnam e sulla Cina, sull'Asia orientale, ma i suoi orizzonti erano piu' ampi. Non per niente, il suo insegnamento universitario si intitola appunto, un po' bizzarramente secondo alcuni puristi dell'epistemologia, Storia e istituzioni dei paesi afro-asiatici. La sua formazione, che era partita dalle discipline letterarie, dalla filosofia e dalla storia, prima di approdare alla politica internazionale attraverso l'Ufficio studi dell'Ispi ai tempi d'oro di "Relazioni Internazionali" e dell'Annuario di politica internazionale, fra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, che e' stato per molti un passaggio prezioso verso la pubblicistica di livello alto e l'universita', la predisponeva a approfondimenti che scontavano anche la capacita' di leggere i molti nessi in senso geografico e tematico. Alla Cina ha dedicato il suo ultimo libro, uscito pochi mesi fa presso l'editore Franco Angeli (La Cina. La politica estera di un paese sovrano). Il nuovo corso della Cina vi veniva sviscerato fuori d'ogni concessione per i pregiudizi positivi o negativi. Enrica Collotti Pischel si misurava con i fatti e con la realta'. Lo sviluppo economico, le dimensioni della grande potenza, avrebbero compensato i compromessi ideologici o addirittura l'abbandono della rivoluzione e della stessa solidarieta' afro-asiatica. Si sforzava di capire senza lasciarsi deviare dai suoi progetti, anche se per lei la costruzione di una societa', comunque la si chiami, che abolisse lo sfruttamento e le ingiustizie del capitalismo, era parte integrante della sua esistenza e della sua militanza. Quando Urss e Cina - le due grandi potenze del comunismo mondiale, che dovevano essere, ciascuna per quanto le competeva, vindici e garanti di un ordine diverso - arrivarono all'orlo della guerra, la' sul fiume Ussuri, la ferita le sembro' troppo lacerante per essere solo una materia di studio. Eppure, assorbito il trauma, anche psicologico, si mise subito al lavoro per raccogliere documenti e analisi in grado di spiegare i perche' di quella lotta, magari fratricida, che derivava comunque dalle dinamiche storiche. Dopo la tragedia della piazza Tien An Men si interrogo' ancora piu' in profondita' sulle possibilita' di regressioni autoritarie e repressive fino ai limiti del fascismo anche dopo una rottura rivoluzionaria. La Cina era uno dei "nostri paesi", uno dei "suoi" paesi, ma il suo rigore di trentina, nata in una famiglia di frontiera, non si conciliava con nessuna compiacenza. Ne' giustificazionismo ne' rimpianto: solo l'esaltante, drammatica, contraddittoria "lezione della storia". Una lezione appunto, cara Enrica. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 565 del 13 aprile 2003
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