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Report dall'Iraq #58
- Subject: Report dall'Iraq #58
- From: "robdinz robdinz" <robdinz at hotmail.com> (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>)
- Date: Sat, 12 Apr 2003 16:34:22 +0100
E li chiamano sciacalli.I ragazzi che corrono tutto il giorno da una parte all’altra di Baghdad sono giovanissimi, tra i 16 ed i 30 anni. Hanno un’energia addosso che si direbbe impensabile per chi come loro vivono da almeno 12 anni sotto il tacco dell’embargo economico più duro che sia mai capitato di subire ad una popolazione civile. Per chi come loro si trovano ancora sotto l’incubo di una guerra che per settimane a bombardato la loro città lasciandoli senza cibo, acqua, scuole, università.
I ragazzi di Baghdad, decine forse centinaia di migliaia si sono presi la città. Impazzano per le strade di Al-Jumhurrya, nei quartieri delle ambasciate e delle fastose ville e dimore dei burocrati di stato, appaiono all’improvviso nei quartieri meridionali di Dorah, e dall’altra parte della capitale nei sobborghi nord di Adhamiya, e poi ancora in centro lungo la Al-Saadun Street.
Non stanno mai fermi i ragazzi di Baghdad. E li chiamano sciacalli.Portano con loro borse, sacche, valige, lenzuola annodate ai quattri lati, carretti tirati mano. Guidano vecchie automobili senza targa, furgoncini e pick-up in alcuni casi nuovi di zecca. Suonano il clackson e corrono da una parte all’altra della città a riprendersi quello che gli è sempre stato negato, quello che gli stato tolto dall’ottusità di uno stato sordo alle grida ed ai loro bisogni. E sfidano il coprifuoco e la presenza di un esercito invasore che aveva programmato per loro il ruolo di comparse festose al cospetto di un esercito di “liberazione”.
Non ci stanno i ragazzi di Baghdad. Non ci stanno più ad essere programmati in un modo o in un altro per quello che non sono. Non hanno scelto né Saddam né Bush, e non vogliono più dire sissignore a nessuno. Oggi si sentono, sono, i ragazzi di Baghdad. E basta.
E li chiamano sciacalli.Oggi si che è festa a Baghdad: si corre verso i quartieri residenziali degli alti funzionari di stato, dei burocrati, dei vertici delle forze armate. Con i bastoni, con attrezzi da cantiere si sfondano le finestre e le porte di quelle case di un lusso così anacronistico e pacchiano.
Il reporter indipendente che per tutta la mattina è stato con alcuni di loro, mi parla di Abdel, primo di sette fratelli, tutti maschi, di un papà mite e timido che fa il vigile urbano. E di una mamma sarta che ha passato la vita a cucire per sé e per gli altri. Cucire a mano senza neppure una macchina da cucire, pulendo e lucidando gli aghi per paura che si potessero rovinare. Una famiglia ubbidiente quella di Abdel, una vita schiacciata dalla mancanza di tutto. L’equivalente di settanta dollari al mese per cercare di fa quadrare le esigenze di nove persone. Tutti i giorni di ogni mese, tutti i mesi di ogni anno. E così da anni. Il papà di Abdel ha una gamba che quand’era bambino è stata colpita dalla poliomelite, e questo gli ha fatto scampare le ultime tre guerre, quella contro l’Iran, la guerra del Golfo del 1991 e quella di oggi. I fratelli di Abdel troppo piccoli allora come ora per essere arruolati. Ma non Abdel, che con i suoi 19 anni sa di dover andare sotto le armi, e nel settembre scorso riceve la chiamata a presentarsi. Abdel indossa la divisa senza protestare fino alla fine dello scorso marzo, quando ormai la guerra sembra davvero inevitabile.
Un giorno Abdel disubbidisce, esce dalla caserma e non vi fà più ritorno. Scoppia la guerra ed Abdel si ritrova disertore. In famiglia, la notizia giunge come uno stordimento per il papà vigile urbano, come una vergogna. Ma Abdel resiste, e favorito anche dalle tragedie provocate dai bombardamenti non fa poi molto per nascondersi. Pensa, a ragione, chi mai si occuperà di me in questa situazione tanto drammatica? La famiglia rimane unita sotto i bombardamenti, come tutti senza acqua, con pochissimo cibo, senza luce. Ogni tanto, quando la corrente elettrica torna, accendono la radio per capire cosa accade fuori da quelle mura, fuori da Baghdad. Non hanno televisione, computer. Neppure una macchina da cucire. Del resto con settanta dollari al mese non si sono mai potuti permettere proprio nulla.
E li chiamano sciacalli i ragazzi di Baghdad. Perché oggi sono andati a prendersi i loro sogni.Entrano nelle case bianche e volgari della ricca borghesia di stato, rimangono abbagliati dai marmi, i tappeti, gli specchi. E Abdel è con loro, entrano in ogni stanza, rovesciano ogni cosa, mettono a soqquadro quei saloni tanto grandi che sembrano sale da ballo. Afferrano le televisioni a colori giapponesi, i video registratori, i cd musicali, i computer. Persino una playstation. E poi ancora lenzuola, coperte, vestiti, scarpe. Carne surgelata, bottiglie di vino e birra, olio e farina. Prendono tutto, tutto quello che trovano in tutte le case che trovano. E’ come una scarica elettrica che gli attreversa il corpo e la testa, quell’adrenalina che sale e li sconvolge ogni volta che una porta salta sotto la spinta di venti mani, ogni volta che un congelatore pieno di pesce, verdura, fragole e dolci si spalanca, ogni volta che saltano come danzando sui grandi letti matrimoniali coperti di seta.
E li chiamano sciacalli i ragazzi di Baghdad.Abdel entra in un’altra casa ancora, una casa con una torretta di mattoni bianchi. Saranno in dieci, forse di più, e con loro anche il reporter indipendente che mi parla di questa mattina di furiosa eccitazione. Abdel ha ormai un chiodo fisso in testa. E cerca, cerca dovunque, persino sotto gli alti baldacchini dei letti, nei garage vuoti, nei seminterrati. Ed anche nelle dispense, nei locali adibiti a lavanderia. Un’altra stanza ed un’altra stanza ancora quando sotto un lenzuolo si materializza l’oggetto che di casa in casa è andato cercando come una furia: una macchina da cucire. Una vecchia Singer con il mobile di legno e ferro con la pedana mobile per far andare su e giù l’ago. Una Singer nera piena di fregi in oro. E nei cassetti aghi, fili di seta e di cotone, bottoni, nastri e coccardine, ditali d’oro e d’argento, elastici di ogni altezza. Salta, urla, ride Abdel, abbraccia il reporter e abbraccia pure quella fantastica macchina da cucire. La alza da un lato e poi dall’altro ed infine la carica sulla schiena e corre giù per le scale della villa come se non avvertisse il peso. Ed il reporter con lui, di corsa fino al carretto a mano lasciato fuori. Una coperta marrone buttata su a coprire tutto e poi via di corsa verso casa, tirando un sogno su un carretto.
E li chiamano sciacalli i ragazzi di Baghdad. Che la notte sia leggera. r. (fine.) [NOTA: L'archivio di questi report e' disponibile su <http://italy.indymedia.org/news/2003/03/222502.php>http://italy.indymedia.org/news/2003/03/222502.php Queste corrispondenze sono inserite da *Robdinz* che e' in contatto dall'Italia , attraverso le linee telefoniche internazionali, con varie persone che sono a Baghdad e che fanno riferimento per i contatti ai telefoni di due alberghi della capitale, dove è ospitata la stampa internazionale. Si tratta di operatori dell'informazione indipendente, free-lance, 6 o 7 human shields, e qualche cittadino di Baghdad che lavora con loro. *Robdinz* non è a Baghdad ma funziona come una sorta di "ponte" per far arrivare notizie ed informazioni in tempo reale raccolte con grande onestà intellettuale e capacità professionale nella attuale realtà (drammatica) della città.]
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