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La nonviolenza e' in cammino. 559
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 559
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 7 Apr 2003 15:52:46 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 559 del 7 aprile 2003 Sommario di questo numero: 1. Esseri umani 2. Lidia Menapace: per un'Europa della pace e della difesa popolare nonviolenta 3. Raffaele Mastrolonardo intervista Barbara Ehrenreich 4. Fausto Cerulli: un esposto denuncia 5. Margaret Atwood: America, non so piu' chi sei 6. Rete controg8 per la globalizzazione dei diritti: per lo sciopero generale 7. Amelia Alberti: in qualche isola sperduta del Pacifico 8. Marc Auge': sotto le macerie anche le parole 9. Nicola Licciardello presenta "Recinti e finestre" di Naomi Klein 10. Questo mondo non e' in vendita 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. ESSERI UMANI [Si e' svolta ieri a Viterbo una manifestazione "contro la violenza" (e quindi non solo contro la guerra: ma per la pace e la nonviolenza, per i diritti e la dignita' umana) promossa dal Centro sociale occupato autogestito "Valle Faul". Riportiamo qui - ricostruita a memoria - una sintesi dell'intervento del responsabile del Centro di ricerca per la pace che ha cercato di cogliere ed esprimere il sentimento e il messaggio che dai tanti partecipanti al'liniziativa proveniva] Siamo qui come persone, siamo qui perche' siamo persone: persone diverse l'una dall'altra, e questa diversita' e la nostra forza, la nostra ricchezza, la nostra bellezza. Siamo persone diverse ma ci unisce una convinzione: che noi diamo valore alla vita umana. Che noi ci sentiamo esseri umani, e vogliamo vivere. Che noi ci sentiamo esseri umani e ad ogni essere umano vogliamo che sia riconosciuto il diritto a vivere, il diritto alla vita, e a una vita dignitosa, il diritto alla dignita', la dignita' umana. * Per questo motivo, prima di ogni altra analisi economica o sociologica o politica o filosofica, noi siamo contro la guerra. Siamo contro le uccisioni di esseri umani. Perche' noi siamo esseri umani. Siamo contro la guerra che e' sempre uccisione di di esseri umani. E noi siamo esseri umani. E siamo contro le armi, che servono a uccidere esseri umani. E noi siamo esseri umani. E siamo contro gli eserciti, che servono a uccidere esseri umani. E noi siamo esseri umani. E pensiamo quindi che si puo' essere limpidamente e concretamente contro la guerra solo se si e' anche contro le armi e gli eserciti, per il disarmo e la smilitarizzazione, per la difesa popolare nonviolenta. Perche' siamo esseri umani. * Ci sta a cuore la vita e la dignita' di ogni essere umano, siamo quindi contro ogni regime ed ogni azione che quella vita e quella dignita' calpesta. E poiche' siamo contro tutte le dittature, a maggior ragione siamo contro la guerra, che e' la peggiore di tutte le dittature, che tutto e tutti annienta. Si', ci sta a cuore la vita e la dignita' di ogni essere umano, siamo quindi contro ogni potere criminale ed ogni terrorismo, che quella vita e quella dignita' calpesta. E poiche' siamo contro tutti i poteri criminali e tutti i terrorismi, a maggior ragione siamo contro la guerra, che e' il peggiore di tutti i crimini, il piu' grande dei terrorismi, che tutto e tutti annienta. Gia', ci sta a cuore la vita e la dignita' di ogni essere umano, e dell'umanita' intera: e poiche' nell'epoca aperta da Auschwitz e da Hiroshima sappiamo che la violenza e' in grado di distruggere l'intera umanita', noi siamo contro la violenza che l'intera umanita' minaccia di distruzione. Noi siamo amici della nonviolenza. E poiche' siamo contro la violenza che puo' distruggere l'umanita', a maggior ragione siamo contro la guerra, che e' la violenza sulla scala piu' grande, che e' il primo e il piu' grande e il piu' feroce nemico dell'umanita', che l'intera umanita' minaccia di annientamento. * Noi siamo qui per opporci alla guerra. Noi siamo qui perche' vogliamo fermare la guerra. Noi siamo qui perche' e' necessario fermare la guerra. E' anche possibile? Possiamo noi fermare la guerra? Se rispondessimo di no, che fermare la guerra e' impossibile, sarebbe inutile che oggi fossimo qui. Ma noi crediamo che la guerra puo' esere fermata, che noi, qui, in Italia, adesso, possiamo contribuire con la nostra azione a fermare la guerra. Ma come? - Con l'azione diretta nonviolenta che blocchi l'operativita' di tutte le basi militari americane e Nato dislocate nel territorio italiano: dobbiamo assediarle e paralizzarle, dobbiamo invaderne lo spazio aereo per impedire i decolli degli aerei assassini, dobbiamo fermare ogni trasporto di armi, delle armi assassine. E dobbiamo anche fermare ogni produzione, commercio e uso di armi; dobbiamo opporci alle armi e agli eserciti tutti. - Con lo sciopero generale ad oltranza contro la guerra: fino alla caduta del governo italiano che della guerra ha reso complice il nostro paese. - Con la denuncia penale del governo, della maggioranza del parlamento e del presidente della Repubblica che avallando la guerra e cooperando con essa hanno tradito la Costituzione itaiana cui pure avevano giurato fedelta'. Dobbiamo denunciarli all'autorita' giudiziaria affinche' siano arrestati, processati e condannati per violazione della Costituzione e complicita' in crimini di guerra e crimini contro l'umanita'; perche' golpisti e favoreggiatori della guerra illegale e criminale, terrorista e stragista. * Io trovo macabro che ci sia chi discute se sia meglio una guerra lunga o una guerra corta: noi siamo cotnro la guerra e basta, noi siamo contro la guerra sempre: poiche' la guerra e' sempre e solo cumulo di stragi e seminagione di nuovo odio, disumanita' e generazione di nuova disumanita'. Io trovo ignobile che ci sia chi si schiera e pretenderebbe di arruolarci con un esercito contro un altro. Noi siamo contro la guerra e basta, noi siamo contro la guerra sempre. Noi siamo contro tutte le armi, noi siamo contro tutti gli eserciti, noi siamo contro tutte le uccisioni. Noi siamo contro la guerra e basta, noi siamo contro la guerra sempre: alla violenza della guerra, delle dittature, del terrore, delle ingiustizie, della disumanita', noi opponiamo la forza della nonviolenza, la forza dell'umanita', della dignita' umana, dell'umana solidarieta'. * Noi siamo contro la guerra, noi diamo valore alla vita umana, alla nostra vita, alla vita di tuti; noi lottiamo con la forza della nonviolenza contro tutte le guerre e contro tutte le violenze, contro tutte le armi e contro tutti gli eserciti; noi lottiamo per il diritto a esistere di ogni essere umano, per il diritto di ogni essere umano a una vita degna di essere vissuta. Siamo esseri umani. Vogliamo vivere. 2. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: PER UN'EUROPA DELLA PACE E DELLA DIFESA POPOLARE NONVIOLENTA [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001] Naturalmente sono stata molto contenta che Francia e Germania col peso poltico che hanno abbiano detto no alla guerra promossa dall'amministrazione statunitense e abbiano giocato cosi' bene le carte che avevano in mano da aver saputo mettere Bush nell'impossibilita' di passare al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nonostante che il Consiglio di sicurezza sia uno dei punti neri delle Nazioni Unite stesse, cioe' non uno dei segni della pace e del pacifico governo del mondo, bensi' uno degli stigmi della seconda guerra mondiale. E' curioso come il Consiglio di sicurezza con i suoi membri permanenti e dotati di diritto di veto, che sono i cinque vincitori della seconda guerrra mondiale, abbia messo fuori gioco uno tra loro senza bisogno di usare il diritto di veto: e' un segno molto importante, vuol dire infatti che la pace e' piu' forte della guerra e dei suoi esiti, e puo' trovare forza nella ragionevolezza delle relazioni internazionali e che persino l'indegno calciomercato che gli Usa hanno tentato verso paesi poveri non e' bastato a dar loro il numero di voti sufficiente. Sicche' hanno dovuto abbandonare il terreno del diritto per poter scatenare la guerra. Tutto cio' premesso, so benissimo che ne' Chirac ne' Schroeder sono pacifisti, e quindi non sarebbe buona decisione affidarsi alle loro pretese: bisogna ogni volta giudicare cio' che propongono: ad esempio l'opposizione di Francia e Germania e Russia a che gli Usa gestiscano la "ricostruzione " dell'Iraq, gli aiuti e il governo del paese, va ancora bene, anche se naturalmente e' fatta in nome di interessi, il che non mi scandalizza: gli interessi leciti fanno a buona ragione parte della politica. Siccome anche Blair vede poco di buon occhio che gli Usa facciano da asso pigliatutto, questo pezzo di politica puo' anche venire a favore di un riequilibiro tra gli stati europei. Se si aggiunge la notizia che anche il governo italiano, per bocca del ministro degli esteri dichiara che le Nazioni Unite sono preferite per la gestione del dopoguerra, e che Ciampi ha subito dato fiato a questa decisione, e il ministro degli esteri francese ha dichiarato che in questo caso la Francia appoggera' la presidenza del semestre italiano, anche fino a qui ancora tutto bene: Berlusconi deve aver capito che trovarsi isolato in Europa nel corso del suo semestre di presidenza non gli conviene, e un patto stabilito con lui sulla base dei suoi interessi come sappiamo e' solidissimo. Il dissenso nasce di nuovo sulla futura politica militare d'Europa: poiche' tra le varie proposte riprende fiato la vecchia tesi dell'esercito europeo appoggiata da Chirac, Schreoder e inopinatamente da Prodi che ha perso una buona occasione per stare zitto. La proposta di un esercito europeo di difesa circola gia' tra i parlamentari dello schieramento di centrosinistra in Europa e persino le deputate sono d'accordo come ho potuto constatare in un dibatitto tenutosi da poco a Reggio Emilia al quale era presente la Ghilardotti appunto dei ds, che si e' dichiarata favorevole all'esercito europeo. Questo forse spiega perche' la proposta di un articolo della Costituzione europea che fondi l'Europa sulla pace non ha avuto tra le deputate alle quali pure era stato inviato nessuna risposta da nessuna tranne una verde. Ma a parte le cortesie epistolari tra noi e le onorevoli europee, il fatto e' che se ci si mette su questa strada l'antagonismo tra Europa e Usa che e' oggettivo e ormai anche politicamente visibile, si incammina su un binario pericolosissimo, nefando: come gia' accennavo l'Europa puo' diventare parte di un molteplice patto tra popoli e territori che vogliono la pace: dichiari la sua neutralita', metta risorse sottratte alle spese militari a disposizione di un progetto di protezione civile preventiva, di un servizio civile per ragazzi e ragazze, e di un diffuso addestramento di difesa popolare nonviolenta, la cui efficacia contro Hitler e' storicamente provata, e ospiti sul suo territorio le istituzioni fondate sul diritto internazionale e non sulle vittorie militari, e sviluppi una pacifica alternativa agli Usa e a chiunque sia fomentatore di guerre o anche solo consideri le guerre uno strumento politico ammissibile sia pure come ultima istanza. Qui si apre un terreno di confronto serrato perche' se l'Europa imbocca la strada dell'antagonismo militare con gli Usa si ripete la storia della guerra fredda e alla fine il crollo europea e' sicuro: gia' l'Unione sovietica per essersi costruita sul modello militare invece che sui diritti del proletariato mondiale ha perso la gara internazionale con gli Usa, e l'Europa dovrebbe per tenere il passo sviluppare ricerca militare, progettazione, fabbricazione e vendita di armi sempre piu' sofisticate e tremende; per ottenere le quali sono inevitabili restrizioni di liberta' (il segreto in molti luoghi produttivi e della ricerca), sperperi di risorse (soldi a palate trasferiti nelle spese militari), e lo stato sociale che va a farsi benedire. Abbiamo dovuto sentire i Prodi dire che le fabbriche di armi sono da sviluppare. Propongo che cominciamo seriamente a raccogliere dati e a fare proposte per la riconversione dell'economia da economia di guerra a economia di pace. 3. RIFLESSIONE. RAFFAELE MASTROLONARDO INTERVISTA BARBARA EHRENREICH [Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 aprile 2003. In una scheda annessa all'intervista cosi' il giornale presenta la studiosa americana: "Per il suo ultimo libro, Una paga da fame. Come non si arriva alla fin del mese nel paese piu' ricco del mondo (Feltrinelli 2002), ha girato l'America per un anno fingendosi cameriera e donna delle pulizie nella speranza di capire come si vive con un salario di sei dollari all'ora senza la protezione sindacale. E per scoprire che, semplicemente, non si puo' ambire a niente di meglio che sopravvivere a stento. La sua peculiarita' e' l'eclettismo, articolato in una laurea in chimica, nonostante la sua professione sia diventata quella della sociologa, e la sua fama sia dovuta alla sua pratica di scrittrice e di saggista. Docente all'universita' di Berkeley, i suoi articoli appaiono su Time, Harper's, New York Time's Magazine e su riviste radicali come Z Magazine, The Progressive, The Nation e Mother Jones"] Qualche anno fa Barbara Ehrenreich, una delle intellettuali piu' lucide della sinistra americana, decise di mettere a frutto dieci anni di ricerche e la sua formazione scientifica in un libro straordinariamente ambizioso: Riti di sangue. All'origine della passione per la guerra (Feltrinelli 1998). Con la spregiudicatezza di una non-specialista di talento, Ehrenreich si e' avventurata nei territori di paleontologia, antropologia, psicologia e storia alla ricerca di un'ipotesi su quel che rende i maschi inclini a una forma di violenza specifica, altamente organizzata e complessa come la guerra. Come risultato della ricerca, che per la prima volta in termini espliciti analizzava la guerra quale caratteristica prevalentemente maschile, emergeva il fatto che, dopo centinaia di migliaia di anni passati a fare da preda, gli esseri umani sono riusciti a diventare a loro volta predatori e hanno sentito la necessita' di celebrare quel passaggio con riti appropriati. La guerra e' figlia dunque di questi riti primordiali; trasforma il nemico nella bestia predatrice da abbattere, e noi in un gruppo compatto che si esalta di fronte al pericolo. Intellettuale atipica per gli Stati Uniti, Barbara Ehrenreich ha unito il lavoro di giornalista all'insegnamento. E come reporter ha compiuto un'inchiesta tra la underclass statunitense: ossia quei lavoratori e lavoratrici (la maggioranza) che vivono con salari al di sotto degli standard della poverta'. Ed e' stata tra le prime firmatarie dell'appello Not in our name, sottoscritto da migliaia di intellettuali, attori, giornalisti contro la guerra all'Iraq. - Raffaele Mastrolonardo: Se la guerra e', come lei afferma, un parassita culturale che si espande nel tempo e nello spazio, possiamo dire che ha trovato in George W. Bush un corpo molto adatto in cui sopravvivere? - Barbara Ehrenreich: Potremmo anche metterla cosi', in effetti. Ma il punto piu' rilevante, secondo me, e' che la possibilita' che il virus uscisse dall'incubazione era li' da un bel po'. Gli Stati Uniti hanno un potere militare senza precedenti storici e il fatto che arrivasse qualcuno e lo utilizzasse in questo modo sconsiderato era solo una questione di tempo. Storicamente, quando un popolo e' preparato per la guerra, quando ha un esercito specializzato, quando e' armato fino ai denti, prima o poi queste risorse vengono utilizzate. In una situazione come questa il pericolo che un simile potenziale distruttivo trovi qualcuno che non ha nessuno scrupolo ad utilizzarlo e' consistente. La guerra ha la capacita' di unire gli esseri umani facendoli sentire parte di un tutto piu' grande. E infatti il 70 per cento degli americani appoggia il conflitto. I sociologi hanno coniato l'espressione "rally event", per indicare un evento che ha la capacita' di stringere le persone insieme. La guerra e' uno di questi eventi. Fino allo scoppio del conflitto, la maggior parte delle persone era indecisa. Ma da quel momento in poi la gente ha deciso di sostenere i nostri soldati e di schierarsi dietro al presidente, e gia' si vedono nastri gialli sugli alberi in solidarieta' con i nostri prigionieri di guerra, cosi' come accadde nel 1979 in occasione della vicenda degli ostaggi americani a Teheran. D'altra parte, la propaganda in favore del conflitto e' inesorabile: la Cnn e' un continuo non stop, una grancassa che non tratta i soldati come dei normali adulti, ma come degli esseri trasfigurati, dei guerrieri. Dopo tutto, non e' mai stato facile mandare degli uomini a farsi ammazzare: si sono dovuti inventare riti di iniziazione appositi che, appunto, li trasfigurassero e li facessero entrare in un'altra identita', nello stato di guerrieri. - R. M.: Eppure, nel mezzo dello sciovinismo che lei descrive, in America c'e' anche chi si oppone al conflitto. Possiamo considerare il pacifismo come un antidoto al virus-guerra? - B. E. : Quello che vediamo in America e' un movimento composito, superiore in grandezza a qualsiasi altra cosa io ricordi, anche se non raggiunge le dimensioni europee. E' un antidoto che utilizza la stessa passione. In una dimostrazione per la pace - io l'ho provato durante le proteste per il Vietnam - si puo' esperire quella sensazione di unita', solidarieta', cameratismo e comunita' di intenti che e' alla base della guerra. Solo che in quei casi e' utilizzata contro di essa. Ma e' un antidoto che ha bisogno di tempo per svilupparsi e radicarsi nella societa'. In Europa sembra piu' diffuso, forse grazie a tutti i secoli di guerra vissuti. Noi americani siamo stati relativamente immuni da uccisioni di civili di massa sul nostro territorio. Eccetto che per l'11 settembre, ovviamente. Che e' poco, comunque, al confronto di quello che hanno provato gli europei durante la seconda guerra mondiale. Il fatto e' che qui siamo stati sempre risparmiati dal diretto gusto della guerra, che per molti e' solo quella che si vede sulla Cnn. - R. M.: Questa e' probabilmente la guerra piu' avversata della storia. Che cosa ha spinto Bush a procedere egualmente? - B. E.: Non lo so. Non ho nessuna conoscenza speciale di quello che accade nella Casa Bianca e nel Pentagono. Quando e' stato eletto, Bush non si e' presentato come un presidente belligerante, anzi; ha mantenuto un profilo molto basso al proposito. L'11 settembre e' stato un punto di svolta, anche se come si sia passati dall'attentato alle torri gemelle alla guerra all'Iraq rimane per me un mistero. E lascio ad altri il compito di investigare le vere ragioni o non ragioni di questa guerra. A me preoccupa il fatto che, sebbene nessuno sia stato in grado di fornire prove convincenti, piu' della meta' degli americani pensa che ci sia un legame tra Saddam e gli attentati dell'11 settembre. - R. M.: Come ha reagito la sinistra americana a questa guerra? - B. E.: Ci sono meno defezioni rispetto al 1991 quando molte piu' persone, considerate di sinistra, erano pronte, lancia in resta, a dare una lezione a Saddam che aveva invaso il Kuwait. Direi che questa volta il fronte progressista ha reagito in modo compatto. - R. M.: C'e' chi sostiene che qualcosa di buono puo' sempre uscire da questa guerra, l'indipendenza curda, ad esempio. - B. E.: Il fatto e' che non spetta a noi decidere che centinaia o migliaia di civili iracheni devono morire per sbattere via Saddam Hussein. Dovremmo, semmai, sostenere gli sforzi di liberazione del popolo iracheno cosa che non stiamo facendo e non abbiamo fatto nel 1991. - R. M.: Ora che l'attacco e' iniziato, secondo molti, tutto quello che i pacifisti dovrebbero fare e' sperare in una rapida vittoria americana. - B. E.: Sinceramente non vedo alcuna ragione perche' il movimento pacifista rallenti i suoi sforzi proprio adesso che la guerra e' cominciata. Anzi, credo che dovrebbero essere moltiplicati. Onestamente non capisco perche' non dovremmo continuare semplicemente a dire: cessate il fuoco, fermate le bombe. 4. INIZIATIVE. FAUSTO CERULLI: UN ESPOSTO DENUNCIA [Ringraziamo Fausto Cerulli (per contatti: faustocerulli at libero.it) per averci trasmesso copia di questo esposto presentato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Orvieto] Il sottoscritto Fausto Cerulli, (...) avvocato, espone: in occasione dell'intervento militare delle forze angloamericane in Iraq, il governo italiano, formalmente non coinvolto nelle operazioni belliche, dichiarava comunque di comprenderne le motivazioni, augurandosi che il governo legittimo dell'Iraq fosse defenestrato attraverso le suddette operazioni belliche. Il tutto mentre i rapporti diplomatici tra Italia ed Iraq vengono mantenuti, con la permanenza di regolare rappresentanza diplomatica dell'Iraq nel nostro Paese. Successivamente, essendosi diffusa la notizia che aerei statunitensi erano decollati da una base americana situata in territorio italiano, trasportando truppe che sarebbero state paracadutate in territorio iracheno, il Presidente del Consiglio on. Silvio Berlusconi chiariva che l'autorizzazione alla missione Usa era stata concessa in quanto le truppe aviotrasportate risultavano destinate a missioni umanitarie. La dichiarazione del Presidente del Consiglio veniva immediatamente smentita dal comandante delle operazioni angloamericane in Iraq, che affermava che le truppe in questione erano destinate ad azioni belliche: il che risulta confermato da recenti informazioni diffuse dalla stampa internazionale, secondo le quali le truppe trasportate dagli aerei Usa decollati dal territorio italiano stanno invadendo in armi il fronte occidentale dell'Iraq in appoggio a forze paramilitari curde. D'altra parte il Presidente del Consiglio dei Ministri on. Berlusconi ha mostrato di essere al corrente delle possibili conseguenze dell'atteggiamento assunto dal Governo da lui presieduto, proclamando lo stato di emergenza nel territorio italiano. Da quanto sopra esposto emerge che il Presidente del Consiglio si e' reso responsabile del reato previsto e punito dall'art. 244 del codice penale. - Sotto il profilo oggettivo in quanto l'atteggiamento assunto dal Governo non puo' non inquadrarsi nella fattispecie prevista dall'articolo sopra citato, avendo il Governo stesso posto in essere atti ostili allo Stato estero Iraq; sia con l'autorizzazione al decollo dal territorio italiano di aerei destinati ad operazioni militari contro l'Iraq, sia con i ridicoli tentativi di coprire con inesistenti finalita' umanitarie la destinazione ad operazioni belliche delle truppe trasportate da quegli aerei, sia con un complesso di pubbliche dichiarazioni tese a delegittimare il governo iracheno. Il tutto in una situazione di conclamata assenza di stato di belligeranza nei confronti dell' Iraq. E' evidente che un tale comportamento ha posto e pone il territorio italiano in situazione tale da essere oggetto di eventuali ritorsioni o rappresaglie da parte dello Stato estero in questione. Il che conferma la sussistenza del reato previsto e punito dall'art. 244 del codice penale. - Per quanto attiene all'elemento soggettivo, dal quale si potrebbe comunque prescindere in sede di configurazione della ipotesi criminosa in questione, si fa rilevare che il Presidente del Consiglio, nel dichiarare lo stato di emergenza sul territorio italiano, ha dimostrato di essere perfettamente consapevole della fattispecie criminosa posta in essere: al punto da predisporre le misure opportune a prevenire le preventivabili conseguenze della fattispecie criminis. * Per quanto esposto, il sottoscritto sporge formale denuncia nei confronti dell'on. Silvio Berlusconi, attuale Presidente del Consiglio dei Ministri, chiedendo l'apertura di un procedimento nei suoi confronti per violazione dell'art. 244 del codice penale o per qualsiasi altra fattispecie criminosa da ravvisare nel sopradescritto comportamento del Governo presieduto dal suddetto Silvio Berlusconi. Chiede la condanna dello stesso alle pene di legge. Intende essere avvisato ai sensi di legge di una eventuale richiesta di archiviazione al fine di proporre opposizione. 5. RIFLESSIONE. MARGARET ATWOOD: AMERICA, NON SO PIU' CHI SEI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 aprile 2003. Cosi' il giornale presenta l'autrice: "Scrittrice canadese di lingua inglese, e' l'autrice piu' interessante del suo paese, di cui ha restituito l'identita' culturale in molte delle sue quindici raccolte poetiche, alcune tradotte da Bulzoni con il titolo Poesie. Tra le altre, Il gioco del cerchio, Procedure per il sotterraneo, I diari di Susannah Moodie, Storie vere, Interlunare. Autrice di circa dieci romanzi, e cinque libri di racconti, quattro libri per bambini e quattro saggi ha fatto attraversare la sua fiction da uno sguardo orientato alla questione femminile, seminandovi spesso una feroce ironia. Con L'assassino cieco, tradotto da Ponte alle Grazie, ha vinto un Booker Prize che ne indicava lo stile "lungimirante e drammatico". Sorprendente e' la gamma emotiva in cui la Atwood si esprime, capace com'e' di indagare i meandri della umana psiche. Tra gli altri libri disponibili in italiano, Fantasie di stupro, La tartaruga; La donna che rubava i mariti, L'altra Grace, Le uova di Barbablu', Tornare a galla e Vera spazzatura, da Baldini e Castoldi; La donna da mangiare, per il Corbaccio; Lady Oracolo da Giunti; Il racconto dell'ancella, Occhio di gatto, La principessa Prunella, editi da Mondadori; Negoziando con le ombre, Ponte alle Grazie"] Cara America: e' difficile scriverti questa lettera, perche' non so piu' per certo chi tu sia. E anche qualcuno dei tuoi potrebbe avere lo stesso problema. Credevo di conoscerti: siamo state bene insieme negli ultimi cinquantacinque anni. Eri i giornalini di Topolino e Paperino che leggevo alla fine degli anni quaranta. Eri le trasmissioni radiofoniche - Jack Benny, la nostra Miss Brooks. Eri la musica che cantavo e che mi faceva ballare: le Andrews Sisters, Ella Fitzgerald, i Platters, Elvis. Eri proprio divertente. Hai scritto alcuni dei miei libri preferiti. Hai creato Huckleberry Finn, e Occhiodifalco, e Beth e Jo in Piccole donne, tutti coraggiosi, ognuno a suo modo. Piu' tardi sei stata il mio amato Thoreau, il padre degli ambientalisti, testimone della coscienza individuale; e Walt Whitman, cantore della grande Repubblica; e Emily Dickinson, custode dell'anima privata. Sei stata Hammett e Chandler, gli eroi delle mean streets; e anche dopo, sei stata quel trio straordinario, Hemingway, Fitzgerald, e Faulkner, che hanno percorso gli oscuri labirinti del tuo cuore nascosto. Sei stata Sinclair Lewis e Arthur Miller, che, con il loro idealismo americano, andavano a caccia delle tue ipocrisie, perche' pensavano che tu potessi migliorarti. Sei stata Marlon Brando in Fronte del porto, sei stata Humphrey Bogart nell'Isola di corallo, sei stata Lilian Gish in La morte corre sul fiume. Hai lottato per la liberta', l'onesta' e la giustizia; hai protetto gli innocenti. E io ho creduto a quasi tutto. E penso che ci credessi anche tu. A quel tempo sembrava tutto vero. Tuttavia anche allora mettevi Dio sulle banconote. Secondo il tuo modo di pensare quello che e' di Cesare si identificava con quello che e' di Dio: e questo ti dava sicurezza. Hai sempre voluto essere citta' sul monte, luce di tutte le nazioni, e per un po' lo sei stata. Datemi i vostri derelitti, i vostri poveri, cantavi, e per un po' ne sei stata convinta anche tu. Siamo sempre state buone amiche, tu e io. La storia, quella vecchia intrigante, ci ha intrecciate insieme sin dagli inizi del '600. Qualcuno di noi era te; qualcuno di noi voleva essere te; qualcuno dei tuoi era noi. Tu non sei soltanto la nostra vicina: in molti casi - il mio, per esempio - sei anche i nostri parenti, i colleghi, e i nostri amici personali. Ma anche se abbiamo un posto in prima fila, non ti abbiamo mai capito del tutto, quassu' a nord del quarantanovesimo parallelo. Noi siamo come i galli romanizzati - sembriamo romani, vestiamo come i romani, ma non siamo romani - dall'alto delle mura diamo occhiate curiose ai veri romani. Che fanno? Perche' lo fanno? E che fanno adesso? Perche' mai quell'aruspice scruta con tanta attenzione il fegato della pecora? Perche' l'indovino distribuisce all'ingrosso i suoi "state attenti!"? Forse e' questo il motivo per cui mi e' difficile scriverti questa lettera: non sono sicura di quello che sta succedendo. E poi, tu hai un'intera legione di esperti indagatori di interiora che non fanno altro che analizzarti in ogni tua piccola parte. Cosa posso dirti di te stessa che tu non sai gia'? Forse e' questo il motivo della mia esitazione: imbarazzo, prodotto da un comprensibile pudore. Ma e' piu' probabile che si tratti di un imbarazzo di altro tipo. Quando mia nonna - che era originaria del New England - si trovava di fronte un argomento sgradito, cambiava discorso e guardava fuori dalla finestra. Ed e' anche la mia prima reazione: farmi gli affari miei. Ma faro' uno sforzo, perche' i tuoi affari non sono piu' soltanto affari tuoi. Per parafrasare lo spettro di Marley, il socio di Scrooge nel Cantico di Natale di Dickens, che lo aveva capito troppo tardi, i tuoi affari sono il genere umano. E viceversa: quando il Jolly Green Giant della leggenda va su tutte le furie, molte piante e piccoli animali vengono calpestati. Quanto a noi, tu sei il nostro maggiore partner commerciale: sappiamo perfettamente che se tu vai a rotoli, anche noi subiamo la stessa sorte. Abbiamo tutte le ragioni per augurarti ogni bene. Non approfondiro' i motivi per cui credo che le tue recenti avventure irachene siano state - a lungo termine - uno sconsiderato errore tattico. Quando leggerai questa mia, Baghdad potrebbe gia' essere un paesaggio lunare, crateri compresi, e nel frattempo molte altre interiora saranno state esaminate. Non parliamo, quindi, di quello che stai facendo alle altre persone, ma piuttosto di quello che stai facendo a te stessa. Stai sventrando la Costituzione. Gia' adesso si puo' entrare nelle tue case senza preavviso o permesso, puoi essere portato via e incarcerato senza una ragione, la tua posta puo' essere spiata, le tue tracce private possono essere esaminate. Non e' forse tutto questo la strada verso un generalizzato latrocinio commerciale, per l'intimidazione politica, e per la frode? Lo so che ti hanno detto che tutto questo e' per la tua sicurezza, per la tua protezione, ma pensaci solo un momento. E poi, da quando hai tutti questi timori? Non eri tu che non avevi paura di nessuno? Il tuo debito pubblico e' a livelli da primato. Continua a spendere a questo ritmo e ben presto non ti potrai piu' permettere nessuna grande campagna militare. Oppure farai la fine dell'Unione Sovietica: tanti carri armati e nessun condizionatore d'aria. La gente si arrabbiera' per questo. Saranno tutti ancora piu' arrabbiati quando non potranno farsi la doccia perche' i miopi bulldozer della protezione ambientale avranno inquinato molte falde e prosciugato le altre. Allora la situazione sara' davvero calda e sporca. Stai incenerendo l'economia americana. Non tardera' il momento in cui la risposta a questo sara' azzerare la produzione e prendere la roba prodotta da altri popoli, al prezzo di una diplomazia da nave da guerra. Il mondo finira' per essere composto da pochi ultraricchi re mida, e tutto gli altri saranno servi, dentro e fuori i tuoi confini? Il settore economico piu' florido negli Stati Uniti non finira' per essere il sistema carcerario? Speriamo di no. Se continuerai a percorrere questa china sdrucciolevole, i popoli del mondo smetteranno di ammirare le qualita' che hai. Decideranno che la citta' sul monte non e' che un lurido quartiere degradato e che la tua democrazia e' un inganno, e percio' non riuscirai piu' a imporre a tutti il tuo punto di vista cosi' sporco. Penseranno che il ruolo di legge non spetta piu' a te. Penseranno che avrai insozzato il tuo stesso nido. I Britannici avevano un mito riguardo a re Artu'. Che non era morto, ma si era addormentato in una grotta - dicevano - e che nell'ora del piu' grave pericolo della nazione sarebbe tornato. Anche tu hai grandi spiriti del passato a cui rivolgerti: uomini e donne ardimentosi, coscienti, preveggenti. Richiamali a te, e chiedi loro di stare al tuo fianco, di ispirarti, di difendere le tue migliori qualita'. Ne hai davvero bisogno. 6. PROPOSTE. RETE CONTRO G8 PER LA GLOBALIZZAZIONE DEI DIRITTI: PER LO SCIOPERO GENERALE [Sabato 5 aprile a Genova sono stati ricordati gli scioperi del 1943. La "rete controg8 per la globalizzazione dei diritti" ha distribuito il seguente volantino. Ringraziamo Norma Bertullacelli (per contatti: norma.b at libero.it) per avercelo trasmesso] Lettera aperta alle organizzazioni sindacali Siamo in piazza con voi a ricordare gli scioperi del '43 con tutta l'angoscia e l'indignazione che provocano le notizie provenienti dall'Iraq. Nel '43 lo sciopero era vietato, e chi si asteneva dal lavoro lo faceva consapevole di correre un grave rischio personale. Eppure i lavoratori incrociarono le braccia. Gli storici attribuiscono agli scioperi del '43 grande importanza per il crollo del regime fascista. Oggi il nostro paese e' pesantemente e direttamente coinvolto in una guerra che neppure gli aggettivi illegale e criminale sono sufficienti a definire. L'art. 11 della Costituzione ed il diritto internazionale sono calpestati: e basta visitare canali e siti non di regime per indignarsi di fronte ad immagini disumane. Le organizzazioni sindacali italiane hanno in mano uno strumento potente per far sentire alto e forte il proprio no: lo sciopero generale. Di tutte le categorie, di tutti i sindacati, di tutti i lavoratori. Che davvero fermi l'Italia per tutto il tempo necessario perche' il governo si renda conto che i lavoratori italiani non vogliono questa strage. Che sostenga quanti non hanno voluto e non vogliono collaborarvi, ne' direttamente, ne' indirettamente. I segnali della volonta' dei lavoratori (italiani ed europei) di fermare la guerra con ogni mezzo a loro disposizione sono gia' stati numerosi: dall'adesione massiccia alle fermate del giorno successivo all'attacco; al rifiuto di lavoratori di prestare la propria opera in caso di collaborazione anche indiretta alla guerra, allo sciopero dei sindacati di base. Ma tutto questo non e' stato sufficiente. Crediamo che il nostro governo comprendera' l'irriducibilita' della nostra opposizione alla guerra solo se tutti i sindacati e tutte le categorie proclameranno, come minimo, un'intera giornata di sciopero generale che fermi l'Italia. Non bastera' a fermare la guerra? Forse no. Ma se non altro dara' ai lavoratori ed alle loro organizzazioni la coscienza di averci almeno provato. Rete controg8 per la globalizzazione dei diritti 7. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: IN QUALCHE ISOLA SPERDUTA DEL PACIFICO [Ringraziamo Amelia Alberti (per contatti: lambient at tiscalinet.it) per questo intervento. Amelia Alberti, presidente del circolo verbano di Legambiente, docente, di formazione tanto scientifica quanto umanistica, collaboratrice di questo foglio, e' da sempre impegnata in iniziative di pace e di solidarieta'] Gli Amerikani hanno gia' organizzato, punto per punto, il dopo-Saddam. Gia' stilato l'elenco del governo provvisorio (una specie di protettorato militare), e quello del governo vero e proprio, costituito da fuoriusciti traditori di Saddam (gli Amerikani hanno una passione per i traditori, che nessuna delusione potra' mai affievolire). Gia' stilato pure l'elenco delle aziende amerikane e alleate (ci sara' posto per quelle italiane in questo elenco?), che ricostruiranno l'Irak appena distrutto. Oggi, forse per l'ultima volta, possiamo provare a scommettere sulla fine di Saddam. Vivo o morto? Troppo pericoloso in entrambi i casi. Sembra riproponibile e vincente invece la fine di Osama Bin Laden, ne' vivo ne' morto, e quindi utilizzabile in quanto vivo come spauracchio, quando occorre rinfocolare la memoria del terrorismo, ma non abbastanza vivo da lasciargli delle chances. Forse verra' creato un limbo per i dittatori fanatici inventati e poi traditi dagli Amerikani, in qualche isola sperduta nel Pacifico, sorvegliata da pescicani affamati. 8. RIFLESSIONE. MARC AUGE': SOTTO LE MACERIE ANCHE LE PAROLE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 aprile 2003. Cosi' il giornale presenta Auge': "Africanista di formazione, poi approdato allo studio antropologico delle societa' complesse, Auge' ne e' diventato uno dei piu' interessanti analisti. All'Ecole des Hautes Etudes di Parigi insegna logica simbolica e ideologica. Da anni i suoi libri seguono le manifestazioni piu' eclatanti delle societa' contemporeanee - da Dysneyland e altri nonluoghi all'ultimo diario sull'11 settembre (entrambi pubblicati da Bollati Boringhieri). La sua fama e' da sempre associata a un neologismo - nonluogo - nato per descrivere spazi deputati alla circolazione veloce, negati agli incontri: svincoli, dunque, piuttosto che incroci, autostrade, aeroporti, gli stessi mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, i campi profughi dove si addensano i rifugiati. Dai nonluoghi sono esiliati i depositi della memoria, non si da' possibilita' di rapporti ne' di identita', sebbene una sorta di relazione contrattuale accomuni i passeggeri, la clientela di un grande magazzino, i guidatori che per ottenere l'accesso ai luoghi di transito devono esibire i propri connotati, e con cio' certificare la propria innocenza: di tutto questo Auge' parla nel suo libro Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernita', pubblicato da Eleuthera, cui si deve la scoperta italiana di questo autore. Tra gli altri suoi titoli: Le forme dell'oblio (Il Saggiatore), La guerra dei sogni. Esercizi di etno-fiction (Eleuthera)"] Apro il giornale, accendo la tv: sulle cartine geografiche (stiamo imparando nuovi nomi di citta'), frecce guerriere si estendono a sud, aggirano i grandi agglomerati, risalgono, scavalcano i fiumi e si perdono da qualche parte, prima di Baghdad. Le citta' bombardate sono decorate da stelle colorate, simbolo delle esplosioni, che sugli schermi televisivi lampeggiano: forse per rendere il simbolo piu' realista. In questi ultimi giorni, dai primi di aprile, sembrava che le frecce si fossero piantate nella sabbia in attesa di rinforzi. Notte a Baghdad. L'obiettivo fisso registra vampe di fuoco in cielo. Le luci della citta': qualche macchina, alcuni camion, qualcosa che assomiglia alla vita di tutti i giorni. Gli inviati speciali, da qualche parte nel sud - non possono precisare dove si trovano - riferiscono alcune voci, che il giorno dopo saranno smentite dagli uni e riprese dagli altri. La carcassa di un blindato carbonizzata, alcuni civili lungo una strada. Qualche immagine girata da Al Jezeera (una strada commerciale di Baghdad, i feriti in un ospedale). Alcuni reporter, impassibili, ci ripetono cio' che gia' sappiamo, cioe' non molto. Usano i loro videofoni perche' fa piu' "diretta", piu' "live". La trasmissione ne risente, non c'e' sincronia tra la voce e il movimento delle labbra, ma poco importa: non li ascoltiamo, turbati dalle reiterate deformazioni delle loro facce. Non appena si riesce a distinguerle si decompongono in quadratini bianchi e blu, prima di ricomparire per un attimo, troncate e come divorate da una piaga tecnologica che avrebbe certamente affascinato Bacon. Reporter inseriti ("embedded") nelle unita' militari; reporter in Kuwait, a Baghdad; dichiarazioni dello stato maggiore; discorsi di Saddam, riprodotti dai canali arabi. La "strategia della comunicazione" ha cambiato anche il paesaggio audiovisivo, ma in una situazione di guerra l'immagine appare per cio' che e': un miraggio, un nonluogo per eccellenza. Le immagini non possono illustrare una situazione della quale non sappiamo granche' - e certo non possiamo aspettarci di saperne molto prima che sia giunto il momento, prima che tutto sia finito. Dunque, se le fanno vedere, e' per tenerci li' ad aspettare il seguito per tutto il tempo che ci vorra', facendo finta di dirci qualcosa. Alcuni giorni fa mi trovavo a Londra, e nella mia camera d'albergo guardavo "Skynews": in Iraq, nei pressi del confine del Kuwait, un reporter inglese si e' trovato in mezzo a un gruppo di adolescenti chiassosi, e scambiando le loro grida per segni di entusiasmo ha commesso l'errore di porgere il microfono a uno di loro. Il ragazzo ha approfittato dell'occasione per esprimere cio' che pensava di Bush con un gesto significativo, mentre i suoi compagni scandivano: "Saddam! Saddam!". Il povero reporter, per un attimo travolto dagli eventi, e' stato costretto a dire ai telespettatori che i sentimenti degli iracheni erano "misti". Se non avesse avuto l'infelice idea di dare la parola a quei ragazzi, la loro vivacita' avrebbe potuto essere interpretata in tutt'altro modo. Luogo, nonluogo: coloro che hanno coscienza di essere aggrediti, invasi, scoprono improvvisamente il proprio attaccamento allo spazio nel quale vivono. E ne fanno un luogo, accettano di legarlo a un passato comune, di esprimere solidarieta' che ancora poco prima non erano affatto scontate. In altri termini, prendono coscienza della loro identita'. La lezione non e' nuova. Neppure i principi europei che dovettero entrare in azione a due riprese per liberare la Francia dal suo dittatore imperiale pretendevano di farsi anche amare dai francesi. Il nonluogo della guerra e' quello dei turisti con tanto di casco e armi blindate, missili e aiuti alimentari, che si stupiscono, fuori da casa loro, di non essere piu' a casa loro; fuori dal linguaggio, di non riuscire a farsi capire; fuori dal diritto, di incontrare la violenza. L'errore del governo americano ha origine dal suo disprezzo per i valori che erano - comunque li si valutasse - quelli della democrazia americana. Certo, sappiamo da tempo che la storia degli uomini spesso si fa anche con le parole, ma raramente ne abbiamo avuto una dimostrazione piu' cinica, o peggio ancora, piu' allucinata. Oggi, ci sarebbe solo da sperare che gli attuali dirigenti americani siano davvero interessati solo al petrolio e al dominio, e non credano molto in cio' che dicono. Ma purtroppo e' ben piu' probabile che ci credano, cosi' come credono in Dio: con la fede sanguinaria dei convinti, che peraltro non esclude, come dimostra la storia, il perseguimento di interessi materiali. L'aspetto piu' terrificante delle immagini e dicerie con cui si pretende di informarci e' che le parole, lungi dal dare un senso alle immagini, hanno perso il loro significato. La democrazia, i diritti umani, la liberta', i fini umanitari: tutte nozioni massacrate dai bombardamenti di una retorica arrogante, tracotante, ingarbugliata e cialtrona. Come le citta' in rovina, le macerie semantiche testimoniano il trionfo della farneticazione. Basta parlare! Vedremo quello che ci sara' da vedere. Prova di forza. Ed ecco che si formulano alternative impossibili in guisa di ultimatum. Ci si ingiunge di scegliere: il dittatore di Baghdad o i nostri liberatori, i terroristi o i democratici, il tradimento o la guerra, e tra poco l'islam o il vangelo. Tutte le parole nascondono tranelli, tutti i ragionamenti sono insidiosi, tutti i dibattiti falsati. Questo vicolo cieco, questo nonluogo semantico dove nessuno riesce piu' a ritrovare le strada non e' meno temibile delle immagini tuttofare della tv. La guerra e' dappertutto e da nessuna parte. Le immagini la mostrano, le immagini la mascherano. Le parole fuggono, le parole mancano. Quando le parole torneranno, sara' per dirci quel che le immagini non riuscivano a tacere. Che questa guerra non si doveva fare. 9. LIBRI. NICOLA LICCIARDELLO PRESENTA "RECINTI E FINESTRE" DI NAOMI KLEIN [Ringraziamo Nicola Licciardello (per contatti: nliccia at tin.it) per averci messo a disposizione questa sua appassionata recensione gia' apparsa su "Il mattino di Padova" del 16 marzo 2003. Naomi Klein e' l'autrice di No logo (un libro giornalistico-saggistico che ha avuto una circolazione e un'influenza assai ampia), ed e' vivace militante, testimone e studiosa del "movimento dei movimenti" che si batte contro guerra e ingiustizie globali] Navigare e' necessario piu' che vivere: al motto di Colombo, che riemerge rovesciato nel "domandare camminando" (o Zapatour) nel Chapas di Marcos, pare ispirarsi anche la nuova azione-narrazione del mondo di Naomi Klein (Recinti e finestre, Baldini & Castoldi, Milano 2003, pp. 248, euro 15,80) - figlia di hippies contro la guerra in Vietnam emigrati in Canada, e ora stella della navigazione in rete del movimento dei movimenti. La giornalista del "New York Times" e di "The Nation" parla poco di se', se lo fa e' per dire che proprio al fuoco degli eventi collettivi e dei suoi reportage sul "Globe & Mail" si e' globalizzata lei stessa e la domanda di senso del nostro tempo. I giorni in cui usci' No-Logo, riflessione sul McGoverno del mondo, esplose infatti la battaglia di Seattle (1999), cosi' il tour promozionale di quel libro si trasformo' in un'avventura di due anni e mezzo, che "mi ha portata in ventidue paesi, nelle strade dense di lacrimogeni di Quebec City e Praga, nelle assemblee di quartiere di Buenos Aires, con gli attivisti antinucleari nel deserto del Sud Australia, e in discussioni formali con capi di Stato europei". Anche in Italia: subito dopo la Genova di Carlo Giuliani, al festival dell'Unita' di Reggio Emilia, denuncia la prevedibile repressione governativa, poi saluta i centri sociali fra le poche "belle finestre" per l'impegno a un altro modo di vivere. All'interrogativo piu' urgente, quali valori governeranno l'era globale, i dispacci della Klein rispondono pragmatici, imitando la forma delle reti organiche, dei processi non lineari in corso, come quella "a mozzi e raggi" del movimento stesso, fisico e virtuale, che continuamente supera i recinti eretti intorno ad "alcune cose che malgrado tutti gli sforzi di privatizzazione non vogliono essere possedute: musica, acqua, semi, elettricita', idee: hanno una resistenza naturale alla chiusura, una tendenza alla fuga, all'impollinazione incrociata, ad attraversare i recinti e uscire dalle finestre". Fra le pieghe di questi brevi ma ricchissimi riferimenti incrociati, torna utile innanzitutto la diagnosi storica del media system: il marchio e il copyright (la fonte piu' alta di profitto delle multinazionali) non corrispondono alla realta' del prodotto, il promesso villaggio globale si e' rivelato una rete di fortezze, collegate da corridoi commerciali altamente militarizzati, dove circolano le merci ma non le persone, che per passare vi si nascondono dentro a rischio di asfissia. "Comprare e' essere. E' amore. E' votare": questa fede-etica del fondamentalismo consumista inizia a vacillare, secondo Klein, con il crollo del Muro nell''89 - perche' i nostri centri commerciali rappresentavano la liberta' e la democrazia, e gli scaffali vuoti dei paesi dell'est erano metafore del controllo e della repressione. Ma poi si e' visto "cosa ha significato l'ossessione del mercato per i Sem Terra del Brasile, i lavoratori dei fast food in Italia, i coltivatori di caffe' in Messico, gli abitanti delle baraccopoli in Sudafrica, i televenditori in Francia, gli immigrati raccoglitori di pomodori in Florida, i sindacalisti nelle Filippine, i ragazzi senza casa a Toronto" - e il conteggio dei morti: un americano vale almeno 2 europei, 10 yugoslavi, 50 arabi, 200 africani... Allora "sappiamo troppo e non possiamo tacere: le vere munizioni del potere sono il nostro silenzio". Sempre meno ingannera' la nuova pubblicita' non piu' di prodotti ma di miti: l'amichevole invito a "prendersi cura di se'" tradisce il fatto che non ci sono piu' servizi sociali, essendo cadute le (sole utili) frontiere che proteggevano il pubblico dall'assalto del privato. Ma paradossalmente, proprio l'inefficienza dei servizi essenziali, come le poste, i trasporti, gli ospedali, le stesse stazioni di polizia, hanno rivelato l'impotenza e l'insicurezza del modello neoliberista contro il terrorismo. Le alternative? "Le menti si cambiano costruendo organizzazioni ed eventi che siano esempio vivente di cio' che si vuole": critica sul penultimo Porto Alegre per le difficolta' di coordinamento, Naomi Klein ribadisce pero' che e' possibile cambiare il mondo senza prendere il potere, anzi distruggendolo, proprio perche' il movimento non parte da utopie e da leader, ma dalla gente comune, spontaneamente impegnata a difendere, promuovere e gestire spazi di diversita'. E quasi contraddicendosi, poi illustra un solo esempio, in cui spiega perche' Marcos si chiama "subcomandante": canale per esprimere la volonta' dei consigli di villaggio indios, "non-io" il cui volto si nasconde per essere visto, uomo-rete i cui paradossi, parole e silenzi contano piu' delle armi, laboratorio di lotte dove si e' formato un nucleo del Social Forum mondiale, poeta erede di Zapata, Luther King, Malcolm X, Che Guevara - di una rivoluzione sognante da svegli. 10. APPELLI. QUESTO MONDO NON E' IN VENDITA [Dall'ufficio stampa della Rete di Lilliput (tel. 3396675294, e-mail: ufficiostampa at retelilliput.org) riceviamo e diffondiamo] Anche in Italia, come in molti altri paesi europei ed extra-europei, e' nata ufficialmente, il 30 gennaio scorso, la campagna "Questo mondo non e' in vendita" nel tentativo di fermare, come a Seattle, l'espansione del Wto. A Cancun (Messico), nel settembre prossimo, l'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) intende cominciare a trasformare in tutto il mondo in merci i servizi essenziali (come istruzione, sanita', fornitura d'acqua, trasporti, telecomunicazioni, poste, energia, servizi finanziari), e a sottomettere definitivamente alle regole dello scambio e del profitto agricoltura, brevetti, accesso ai farmaci, investimenti, appalti pubblici, nel Nord come nel Sud del mondo. Come associazioni, movimenti, organizzazioni della societa' civile e ong, ma anche come semplici cittadini, tutto questo ci interessa e ci riguarda da vicino. Molte di queste tematiche toccano dei diritti fondamentali di ogni essere umano, e non possono essere degradate al ruolo di semplici beni commerciali e valutate unicamente in base alla loro capacita' di generare profitti. Per questo, e per la mancanza di trasparenza e di democrazia che caratterizza i negoziati e l'operato del Wto, e' necessario che ci attiviamo tutti, per invertire la rotta e riaffermare che i diritti ambientali, sociali e di sviluppo locale devono essere le priorita' di qualunque politica o accordo commerciale. * Cosa puoi fare: a) Aderisci alla piattaforma politica della campagna: www.campagnawto.org b) Il 17 e il 18 maggio prossimi in tutte le citta' italiane vogliamo promuovere le giornate dei beni comuni: - per impedire che i diritti umani, ambientali, sociali e di sviluppo locale diventino merci da comprare e vendere solo a chi se li puo' permettere; - perche' con banchetti, incontri, volantinaggi e azioni simboliche vogliamo spiegare cosa vuole fare il Wto a Cancun e i rischi che corriamo se dovesse vincere il profitto riguardo a beni comuni come scuola, sanita', acqua e agricoltura. Se siete interessati ad organizzare insieme banchetti e incontri potete contattare Andrea Baranes, uno dei coordinatori della campagna, all'indirizzo: info at campagnawto.org * La campagna "Questo mondo non e' In vendita" e' promossa da: Arci, Attac, Azione Aiuto, Banca Etica, Campagna Riforma Banca Mondiale, Centro Internazionale Crocevia, Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Chiama l'Africa, Cipsi, Dea - Donne e Ambiente, Focsiv, Greenpeace, Lila Cedius, Lunaria, Mani Tese, Rete Lilliput, Roba Dell'Altro Mondo, Terra Madre, Terra Nuova - Gruppo di appoggio al movimento contadino africano, Unione degli studenti, Unione degli universitari. Prime adesioni alla campagna: Associazione delle Botteghe del Mondo, Ctm-Altromercato, Wwf, Un altro mondo Onlus, Un mondo senza guerre, Forum per la democrazia costituzionale europea, Territorio scuola, Tatavasco, Coordinamento milanese la pace in comune, Acli Milano, Sinistra ecologista Terviso, Civilta' contadina, associazione Il seme, ed altre ancora. Per qualunque informazione, e se volete comunicarci i nomi di persone o associazioni che potrebbero essere interessate a ricevere nostre notizie, vi preghiamo di scriverci all'indirizzo: info at campagnawto.org 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 559 del 7 aprile 2003
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