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"E che mi chiamo Pasquale?" [Dies iraq. Tre]
- Subject: "E che mi chiamo Pasquale?" [Dies iraq. Tre]
- From: lanfranco caminiti <lanfranco at apolis.com> (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>)
- Date: Sun, 30 Mar 2003 19:43:45 +0200
"E che mi chiamo Pasquale?" [Dies iraq. Tre] lanfranco caminiti [www.lanfranco.org] C'è una "nuova moltitudine" dunque che si affaccia sulla scena mondiale: le masse arabe e islamiche che la rabbia e il dolore contro la guerra di Bush hanno proiettate nelle piazze di diversi paesi, paesi spesso ostili fra loro e con governi nemici l'un l'altro. Quello che non è riuscito in decine d'anni a fare la Lega araba, c'è riuscito in pochi giorni l'intervento americano in Iraq: dare brandelli di identità e coagulare forme di soggettività politica per masse "senza nome e senza volto". Dalla Siria all'Iran dalla Giordania al Pakistan: basta solo elencare queste nazioni per rendersi conto di quanto diverse fossero e siano le situazioni di regime e di vita e le contraddizioni interne attraversate da questa "nuova moltitudine". Eppure. E siamo - non è gran profezia prevederlo - solo all'inizio. La pressione contro o verso i propri governi è fortissima: la fragile intelaiatura dei regimi e delle dinastie che "tengono" il Medio Oriente è sottoposta a una doppia trazione: da un lato, l'esigenza di schieramento determinata dall'impero americano e dalla sua volontà di riordinare quell'area del mondo, dall'altro - opposta - quella che "sale" da questa opinione di piazza. L'irruzione di questa nuova moltitudine cambia - e non poco - lo scenario dell'opinione pubblica che finora si è battuta contro la guerra: la determinazione e la chiarezza con cui le masse arabe scendono in piazza portano un peso specifico. Quello che è sempre stato "implicito" nell'opinione pubblica mondiale dei movimenti, ovvero l'opposizione alla guerra di Bush tanto quanto l'opposizione al fondamentalismo terrorista [o alle varie dittature arabe], qui non viene neppure preso in considerazione: l'opposizione è univoca: gli Stati uniti sono il Satana. Questo è il peso specifico. Il fondamentalismo terrorista e le varie dittature sono diventati o eroici simboli di riferimento o "capitani coraggiosi". Guardare questa marea montante con occhio compiaciuto è grottesco e folle, come il Totò che se la rideva preso a schiaffi da uno sconosciuto che continuava a dargli del "Pasquale" tra una manrovescio e l'altro: lui, tanto, non era "Pasquale". Pasquale, il Satana è il mondo occidentale. Anche noi. Il n'y a pas des innocents. Non ci sono innocenti. Guardare con occhio preoccupato, come è per chi si era opposto alla guerra proprio temendo l'evolversi in questo senso delle contraddizioni - a esempio la chiesa ma anche buona parte del pensiero e della politica dei "conservatori" americani, gente come Brzezinski, per dire, e europei, gente come Chirac, per dire - è utile, ma francamente non so più quanto possa tradursi in cose e quali spazi di manovra siano rimasti. Di certo, non nell'immediato. Chi, in questo momento, è maggiormente in difficoltà è l'opposizione laica, civile, libertaria, repubblicana del mondo arabo, il pensiero "mediano" che si è battuto e si batte - e spesso è in galera - apertamente contro i regimi dispotici così come contro il colonialismo e il dominio occidentali. Per questa opposizione il nemico politico principale è il fondamentalismo terrorista: chi non sa o non capisce questo parla proprio a vanvera: perché il fondamentalismo terrorista è quanto più lontano da sé ma è anche quanto più "contiguo". Come quell'opposizione, anzi più di quella, noi qui siamo politicamente disarmati contro il fondamentalismo terrorista. Non come "pensiero", ci mancherebbe, o come percezione delle cose, come conoscenza e comprensione delle stesse. O anche come esplicitazione. Ci mancherebbe. E' assolutamente connaturato al movimento "occidentale" il ripudio del fondamentalismo terrorista. E' solo un provocatore e un untorello chi chiede al movimento di dire con più forza che si è contro il terrorismo - come se invece ne fosse complice -, di portare gli striscioni contro Saddam o contro bin Laden accanto a quelli contro Bush. Certo, si può, anzi si deve fare. Evita, magari, di lasciare sottintesi. Anche io mi sentirei più sollevato. Ma non è questo il punto. Il punto è che il movimento, la disobbedienza, la nonviolenza sono lotte dentro lo "spazio pubblico": costruire un'opinione pubblica, promuovere iniziative, esporre ai balconi uno straccio bianco o una bandiera, indire manifestazioni, sviluppare azioni minute, tutto questo appartiene e sviluppa "cosa pubblica": non sto facendo il panegirico della democrazia, al contrario sto facendo il panegirico delle lotte: la democrazia non è mai octroyée, concessa, è una conquista, continua. Senza le lotte, senza i "diritti" delle lotte, la democrazia diventa amministrazione, autoritarismo, totalitarismo persino. Contro la politica dell'amministrazione Bush, i movimenti occidentali hanno costruito un'opinione forte: il consenso attorno le decisioni dei governi belligeranti non è massiccio e in ogni caso questi governi devono dare conto continuamente delle loro scelte. Non si è fermata la guerra, è vero. Ma questo non ha generato frustrazione, riflusso: si continua a lottare, a opporsi, a sperare. A fare. Ma quali sono le battaglie politiche dei movimenti contro il terrorismo fondamentalista? E' questo il punto. Come combatto politicamente contro bin Laden? Per quale curioso "effetto domino" [per parafrasare gli strateghi militari americani] l'opposizione contro Bush in nome della pace, il disarmo di Bush dovrebbe disarmare bin Laden? Si scende in piazza contro Bush. E' giusto, è sacrosanto. I ragazzi fanno "azioni creative", le mamme e le scolaresche espongono bandiere ai balconi o portano spillette. E' giusto, è sacrosanto. Tutto questo è contro la guerra. Si curano i feriti e si distribuiscono cibo, medicine e vestiti. E' giusto e sacrosanto. E contro il fondamentalismo terrorista, contro le dittature arabe, contro le teocrazie? Quelle "azioni creative", quelle bandiere e quelle spillette, quelle manifestazioni, quelle medicine possono anche contro questo lato della spirale orribile guerra-terrorismo? No, lo sa chiunque. Perché noi possiamo fare pressione sull'Onu o su Bush, su Berlusconi o su Blair, possiamo, ci riusciamo, modificare il corso delle cose. Ma nulla può contro il terrorismo la nostra azione politica. E' questo il punto. Tra il fondamentalismo islamico e noi non c'è "spazio comune", la guerra di bin Laden non "parla" a noi, a noi come opinione, a noi come movimento, a noi come opposizione. Il terrorismo di bin Laden, il fondamentalismo parla a "loro", a quelle masse arabe addolorate e rabbiose. E ugualmente, la nostra azione non "parla" a bin Laden, non può parlargli. Quand'anche milioni di persone scendessero in piazza contro bin Laden questo non smonterebbe la sua "causa": la rallenterebbe, come è accaduto in Spagna dopo l'assassinio del giovane Blanco del Partido popular a opera dell'Eta, o come accadde in Italia dopo l'omicidio di Guido Rossa [e già qui parliamo di masse "interne", figurarsi delle mobilitazioni "occidentali" quanto se ne impipa bin Laden o chi per lui]. Ma il fondamentalismo trova solo in sé le ragioni della sua azione: il resto del mondo è "manipolato". E questa considerazione, della "manipolazione" delle opinioni, la si riscontra anche nel campo avverso: se gli iraqeni non applaudono gli americani è perché sono manipolati. E' vero peraltro che le opinioni di chiunque sono manipolate, ma anche non significa nulla. Da qui non si va da nessuna parte. L'autoritarismo americano [e non solo] e il terrorismo islamico lavorano "insieme" a svuotare ogni spazio intermedio: ognuno giustifica nell'altro il proprio agire. Noi possiamo batterci però solo contro un aspetto dell'uovo del serpente. La guerra, di per suo, diventa il punto focale d'un paese: tutto, dalle dinamiche salariali all'implementazione dei diritti, viene visto attraverso la lente focale della guerra. E parlo anche di cose "minute", i nostri spostamenti quotidiani, le nostre conversazioni telefoniche, il nostro navigare in internet, i prezzi dei nostri generi alimentari, quello che leggiamo sui giornali o guardiamo alla tivvù, quello che diciamo e facciamo al lavoro, insomma la nostra vita. L'opposizione alla guerra e all'amministrazione Bush sembra il punto di attrazione tra i movimenti occidentali e la nuova moltitudine araba: sembra, ma non è così. Mentre invece l'opposizione al fondamentalismo terrorista è il punto di maggiore divergenza tra i movimenti occidentali e la nuova moltitudine araba: e questo è proprio così, ma non sembra. Ma anche: l'opposizione al fondamentalismo terrorista è il punto di maggiore convergenza tra i movimenti occidentali e l'opposizione civile araba. E ancora: l'opposizione al fondamentalismo terrorista è un punto di divergenza con la sinistra riformista e democratica europea che, a volte con fastidioso opportunismo ipocrita [oltre il limite della decenza, direbbe D'Alema], abbraccia la "pace" ma che affida sostanzialmente al militarismo la soluzione del terrorismo. Il movimento invece dovrebbe avere una "soluzione politica" per battere il fondamentalismo, facendo leva su quanto già esiste nei paesi arabi e islamici. E' possibile battere il terrorismo fondamentalista politicamente? E' questo il punto. Principale. Ora, proprio senza ipocrisie, non è che uno per principio è contro la "forza" della democrazia: penso che Martin Luther King e tutto il movimento dei diritti civili fosse contento quando la Guardia nazionale permetteva ai primi studenti negri l'accesso alle università in Alabama. Penso che anche tutto il movimento democratico dei "Kennedy's boys" fosse convinto quando scendeva negli stati del Sud per battersi contro il Ku Klux Klan e il razzismo scoperto. Lo facevano proprio come si vede in "Mississipi Burning": e a volte erano fighetti, buoni figlioli, con un cuore grande così, prendevano legnate e subivano attentati, qualcuno c'è pure morto [la tradizione del volontariato americano umanitario, di carità, è lunga, e arriva sino a Rachel Corrie]: e se non si fosse mossa la Guardia nazionale, l'amministrazione e gli agenti dell'Fbi, quelli che magari intanto li schedavano come pericolosi "comunisti", non ce l'avrebbero fatta. La democrazia si può "esportare" dunque, certo, può essere "enforced". Ma può essere "costituita" dove esiste già un movimento, un'opposizione, un'opinione. E adesso l'intervento americano ha semmai spostato ancora di più questa opinione di massa araba contro ogni "posizione mediana", contro ogni "interposizione". Si finisce sotto le macerie.Roma, 29 marzo 2003
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