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La nonviolenza e' in cammino. 548
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 548
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 26 Mar 2003 22:32:02 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 548 del 27 marzo 2003 Sommario di questo numero: 1. Movimento Nonviolento, no alla guerra 2. Peppe Sini, una lettera ai Sindaci nel territorio dei cui Comuni si trovano basi militari statunitensi e Nato 3. Andrea Fiorentino, l'esperienza di "Parents' Circle" 4. Giuristi democratici, il diritto contro la guerra 5. Sinodo delle chiese valdesi e metodiste: vi scongiuriamo di abbandonare questa strada 6. Maria G. Di Rienzo, continuiamo a farci domande 7. Judith Butler: noi, gli "antipatrioti" 8. Ida Dominijanni presenta Judith Butler 9. Giovanni Mandorino, una lettera al Presidente della Repubblica sull'espulsione di cittadini e diplomatici iracheni 10. Tre interventi di Amnesty International 11. La scomparsa di Luciano Della Mea 12. La "Carta" del Movimento Nonviolento 13. Per saperne di piu' 1. APPELLI. MOVIMENTO NONVIOLENTO: NO ALLA GUERRA [Riceviamo, diffondiamo ed invitiamo tutti i nostri interlocutori a diffondere questo appello del Movimento Nonviolento. Per informazioni e contatti: Movimento Nonviolento, c/o Casa per la nonviolenza, via Spagna 8, 37123 Verona, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org] No alla guerra, sia essa giusta, santa, umanitaria, chirurgica, difensiva, offensiva, legittima, illegittima o preventiva. La guerra, fatta da chiunque, per qualunque motivo, con qualsiasi arma, e' sempre e comunque il piu' grande crimine contro l'umanita'. L'unica via di salvezza e' la nonviolenza attiva, che significa: - non collaborare in alcun modo con l'apparato militare; - promuovere dal basso il disarmo unilaterale, integrale, assoluto, immediato; - abolire gli eserciti e sostituirli con la polizia internazionale e i corpi civili di pace. Anche tu puoi aiutare la nonviolenza organizzata a crescere, nel modo che ti e' possibile: - esporre al balcone la bandiera della pace e della nonviolenza; - aderire alla campagna di obiezione dei cittadini "Scelgo la nonviolenza"; - approfondire la cultura, l'educazione, la formazione alla nonviolenza; - attuare l'obiezione di coscienza alle spese e al servizio militare; - partecipare ad azioni nonviolente, di boicottaggio e disobbedienza civile; - diffondere la stampa e sostenere i movimenti nonviolenti; - praticare la sobrieta', ridurre i consumi con scelte critiche e responsabili (cibo, televisione, benzina...), per cambiare stile di vita. Mai piu' eserciti e guerre. 2. APPELLI. PEPPE SINI: UNA LETTERA AI SINDACI NEL TERRITORIO DEI CUI COMUNI SI TROVANO BASI MILITARI STATUNITENSI E NATO [Questa lettera aperta e' stata diffusa ieri dal responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo. Invitiamo i nostri lettori a riprodurla ed inviarla ai sindaci ed ai consiglieri comunali del Comuni che ospitano basi militari statunitensi e Nato] L'ora della scelta: voi potete, voi dovete fermare la macchina bellica Egregi signori, la tragedia in corso impone anche a voi una scelta non piu' rinviabile. * Dovete scegliere Dovete scegliere se esser fedeli alla Costituzione della Repubblica Italiana cui fedelta' avete giurato e nel cui nome esercitate la vostra funzione pubblica; o se essere complici della guerra terrorista e stragista, criminale e criminogena, che sta uccidendo migliaia di persone, ne sta straziando milioni, e mette in pericolo di annientamento l'umanita' intera. Dovete scegliere se essere fedeli alla legge del vostro paese che coincide in questo caso con quella della coscienza di ogni essere umano, ed opporvi alla guerra; o tradire tutto cio' che nell'essere umano vale, ed essere complici della guerra e delle stragi. Dovete scegliere. Ed agire di conseguenza. * Voi avete un potere grande Voi avete un potere grande: la legge italiana vi da' il potere di intervenire con provvedimenti coattivi a difesa degli abitanti e del territorio del vostro Comune: oggi difendendo i vostri concittadini e il vostro territorio voi potete difendere l'umanita' intera. La legge vi da' un potere grande: voi avete il potere di bloccare e interdire qualunque attivita' nel territorio del vostro Comune metta in pericolo persone e ambiente. Voi avete un potere grande. E' il momento di usarlo. * Voi potete, voi dovete Nel vostro territorio sono presenti basi militari di potenze e di alleanze di cui fanno parte potenze impegnate in una guerra alla quale l'Italia non solo non puo' partecipare per obbligo di legge, ma alla quale per obbligo di legge deve opporsi con la massima energia. Voi dovete rispettare la legge, voi dovete applicarla nel vostro ambito territoriale per quanto di vostra specifica competenza. Voi potete emettere un'ordinanza che vieti ogni attivita' delle basi militari americane e Nato collocate nel vostro territorio. Voi potete, voi dovete. Voi potete emettere un'ordinanza che imponga la cessazione di ogni attivita' e lo smantellamento di ogni struttura presente nel territorio del vostro Comune che metta in pericolo vite umane. E le attivita' e strutture militari di potenze straniere e di alleanze inclusive di potenze straniere impegnate in una guerra illegale e criminale, stragista e terrorista, costituiscono reato e corpo di reato, delitto e fonte di delitto, crimine e organizzazione criminale. Voi potete, voi dovete. Con una vostra ordinanza voi potete imporre la cessazione di ogni attivita' assassina, con una vostra ordinanza che difenda la popolazione e il territorio del vostro Comune, e con essi l'umanita' intera e l'intero pianeta, e con essi la Costituzione italiana e il diritto internazionale, e con essi la legge non scritta ma incisa nel fondo della coscienza di ogni persona: non uccidere. Voi potete, voi dovete. * Fatelo subito Fatelo. Fatelo subito. Questo vostro gesto di ripristino della legalita' costituzionale italiana violata dai golpisti complici della guerra, questo vostro gesto di fedelta' alle leggi e alla coscienza, questo vostro gesto puo' avere un impatto decisivo nel contrastare la macchina bellica stragista e terrorista. Fatelo. Fatelo subito. Ve ne prego dal profondo del cuore. Fatelo. Fatelo subito. Che non dobbiate domani trovarvi sul banco degli imputati dei tribunali italiani come complici dei golpisti e dei crimini di guerra e contro l'umanita' di cui la guerra consiste. Fatelo. Fatelo subito. Ve ne prego dal profondo del cuore. Fatelo. Fatelo subito. Contribuite a fermare la macchina bellica. Contribuite a salvare l'umanita'. Fatelo. Fatelo subito. Ve ne prego dal profondo del cuore. 3. ESPERIENZE. ANDREA FIORENTINO: L'ESPERIENZA DI "PARENTS' CIRCLE" [Ringraziamo Andrea Fiorentino (per contatti: brigitte.moretti at tiscalinet.it) per questo intervento. Andrea Fiorentino e Brigitte Moretti sono da sempre impegnati in iniziative di pace e di solidarieta', per i diritti umani e dei popoli; sono tra i promotori dell'esperienza degli incontri di accostamento alla nonviolenza che si svolgono periodicamente ad Amelia] Il 23 dicembre 2002 ha avuto luogo in Campidoglio a Roma un incontro con alcuni rappresentanti di Parents' Circle. L'incontro rientrava fra le iniziative dell'Ufficio per la Pace a Gerusalemme del Comune di Roma, che ha deciso di sostenere la campagna di informazione e sensibilizzazione "Hello, Shalom. Stop shooting, start talking" promossa dal Forum per la Pace del Parents' Circle. Ho avuto la possibilita' di partecipare a tale incontro e quindi, dopo la breve presentazione dell'associazione redatta dal Comune di Roma per l'invito, aggiungero' alcune considerazioni ed osservazioni personali. * Parents' Circle e' un'associazione non-profit, fondata nel 1995 da Yitzhak Frankenthal, a seguito del rapimento e dell'uccisione di suo figlio Arik, da parte di Hamas, nel 1994. Parents' Circle rappresenta un gruppo di genitori di famiglie che hanno perso i loro cari a seguito del conflitto israelo-palestinese. Parents' Circle ha promosso il Forum per la Pace dei Familiari delle vittime Israelo-Palestinesi, che raggruppa oltre 200 famiglie israeliane e oltre 190 famiglie palestinesi. Tutte le famiglie hanno accettato i principi e gli obiettivi del Forum. I principi del Forum: - Preferire la pace ed il negoziato quali strumenti per conseguire le legittime aspirazioni degli Israeliani e dei Palestinesi. - Promuovere la dignita' degli individui, la loro liberta', il loro benessere, la loro sicurezza e la loro prosperita', prima di altri valori, quale quello territoriale. - Lottare per la riconciliazione e per una pace durevole tra Israeliani e Palestinesi. * L'associazione promuove incontri, seminari e conferenze che favoriscano ed inducano al dialogo ed esercita pressione sulle autorita' competenti, sia israeliane che palestinesi, affinche' si proceda sulla strada che conduce ad una pace duratura. Lo sforzo maggiore e' impegnato nella campagna "Hello Peace", che consiste in un numero telefonico gratuito, chiamando il quale si viene messi in condizione di comunicare e condividere con altri i propri sentimenti, le proprie paure e le proprie aspettative. Il telefono e' aperto alle famiglie israeliane e palestinesi; quando chiama un israeliano viene messo in contatto con un palestinese, e quando chiama un palestinese viene messo in contatto con un israeliano. I membri dell'associazione ritengono che parlarsi e conoscersi aiuti a superare quelle barriere che ostacolano la reciproca comprensione. Attualmente l'associazione, anche a causa delle difficolta' di movimento e comunicazione nei territori occupati, vede nei ruoli di coordinamento prevalentemente israeliani; ma alla domanda specifica su tale disparita', i rappresentanti si sono detti consapevoli di cio' ed hanno espresso la volonta' di modificare tale assetto. Uno degli aspetti che mi ha colpito ed allo stesso tempo positivamente impressionato e' che Yitzhak Frankenthal non e', ne' si presenta, come un "pacifista di principio", ma come qualcuno che ha raggiunto la convinzione che l'unica strada da percorrere per arrivare ad una soluzione della crisi israelo-palestinese sia quella che passa attraverso il dialogo, la reciproca comprensione, il riconoscimento degli altrui diritti ed una soluzione negoziata politicamente. Un altro aspetto importante (sottolineato anche dagli esponenti di "Semi di Pace in Medio Oriente", con i quali si e' tenuto un altro incontro patrocinato dal Comune di Roma, in febbraio) riguarda cio' che viene chiesto a chi si trova qui, lontano e fuori dagli scenari della crisi: fondamentale e' il sostegno, non solo economico, che si puo' fornire a queste associazioni, diffonderne la conoscenza, cercare di mantenere con loro dei rapporti, non farli sentire isolati e/o abbandonati a loro stessi. A tale proposito vorrei spendere anch'io una parola in merito al boicottaggio delle universita' israeliane proposto da alcuni docenti italiani: il boicottaggio e' un'azione che va indirizzata verso degli obiettivi precisi che hanno responsabilita' nelle situazioni che si vogliono contrastare. Nelle universita' sono presenti ed attivi la maggior parte dei movimenti e delle persone che in Israele agiscono per promuovere la pace; boicottare le universita' significa danneggiare la parte che si dice di voler sostenere, mettendo in condizioni di isolamento internazionale persone che gia' tanto faticano per portare avanti i propri progetti ed inducendo magari alcuni a rivedere le loro attuali posizioni. Sosteniamo i pacifisti palestinesi e israeliani. Non lasciamoli soli. 4. MATERIALI. GIURISTI DEMOCRATICI: IL DIRITTO CONTRO LA GUERRA [Da varie persone amiche - che ringraziamo - abbiamo ricevuto, e volentieri diffondiamo, questo documento redatto nel marzo 2003 e gia' pubblicato sul sito: www.giuristidemocratici.it. Per informazioni, suggerimenti e contatti: giuristidemocratici at yahoogroups.com] "E' certamente realistico pensare che le moderne tecniche belliche non consentano decisioni democratiche riguardo alla guerra. Ma allora la guerra diventa incompatibile con un ordinamento democratico e pluralistico; e allora o la democrazia impedira' la guerra o la guerra distruggera' la democrazia" (Pietro Pinna [primo obiettore di coscienza al servizio militare in Italia]). * - Art. 11 della della Costituzione della Repubblica Italiana: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parita' con gli altri stati, alle limitazioni di sovranita' necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo". - Art. 1, comma I, dello Statuto delle Nazioni Unite: "I fini delle Nazioni Unite sono: 1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformita' ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace". - Art. 2, comma IV, dello Statuto delle Nazioni Unite: "I membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall'uso della forza, sia contro l'integrita' territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite". - Art. 1 del Trattato Nato: "Le parti si impegnano, in ottemperanza alla Carta delle Nazioni Unite, a comporre con mezzi pacifici qualsiasi controversia internazionale nella quale possano essere implicate, in modo da non mettere in pericolo la pace, la sicurezza e la giustizia internazionali, e ad astenersi nei loro rapporti internazionali dal ricorrere alla minaccia o all'impiego della forza in modo incompatibile con gli scopi delle Nazioni Unite". La guerra come tale, e con esclusione della guerra di difesa, non e' consentita ne' dai principi del diritto internazionale, ne' dalla Carta dell'Onu, ne' dal Trattato Nato, ne', infine, dalla Costituzione italiana che, come e' noto, all'art. 11 ripudia espressamente la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. * Il valore della memoria "Noi, popoli delle nazioni unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all'umanita', a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignita' e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole, a creare le condizioni in cui la giustizia ed il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati e dalle altri fonti del diritto internazionale possano essere mantenuti, a promuovere il progresso sociale ed un piu' elevato tenore di vita in una piu' ampia liberta', e per tali fini a praticare la tolleranza ed a vivere in pace l'uno con l'altro in rapporti di buon vicinato, ad unire le nostre forze per mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ad assicurare, mediante l'accettazione di principi e l'istituzione di sistemi, che la forza delle armi non sara' usata, salvo che nell'interesse comune, ad impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli, abbiamo risoluto di unire i nostri sforzi per il raggiungimento di tali fini. Di conseguenza, i nostri rispettivi governi, per mezzo dei loro rappresentanti riuniti nella citta' di San Francisco e muniti di pieni poteri riconosciuti in buona e debita forma, hanno concordato il presente Statuto delle Nazioni Unite ed istituiscono con cio' un'organizzazione internazionale che sara' denominata le Nazioni Unite" (Preambolo delle Nazioni Unite). * All'indomani della fine dei conflitti mondiali, che hanno insanguinato la nostra epoca, emerge chiaramente la volonta' di non considerare mai piu' la guerra come strumento per la risoluzione delle controversie tra Stati. Tutti gli articoli citati hanno il comune denominatore di stabilire che qualora dovessero nascere contrasti che possano pregiudicare la pace e la sicurezza internazionale, e' dovere di tutti ricorrere a soluzioni tramite l'uso di strumenti pacifici concordemente scelti dagli Stati; lo stesso art. 33.1 della Carta delle Nazioni Unite prevede che le parti di una controversia, la cui continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, devono, anzitutto, perseguire una soluzione mediante negoziati, inchieste, mediazioni, conciliazioni, arbitrati, regolamenti giudiziali, ricorsi ad organizzazioni o accordi regionali, o altri mezzi pacifici di loro scelta. * No alla guerra come difesa preventiva Sentiamo molto parlare di guerra in funzione preventiva, e subito ricolleghiamo questo concetto alle giustificazioni addotte per legittimare un attacco all'Iraq. Analizzando la questione si nota come, in realta', per una tale affermazione non sia riscontrabile alcun genere di fondamento giuridico in nessuna norma del diritto internazionale. Infatti, l'art. 2 comma 4 dello Statuto delle Nazioni Unite, che sancisce, come visto, il divieto di minaccia o di uso della forza, e' norma consuetudinaria: cio' significa che le sue disposizioni vincolano universalmente non solo gli Stati membri dell'Onu, ma anche tutti gli altri Stati poiche' imposte dalla coscienza comune e generalizzata. Non e' limitante in tal senso la definizione in senso stretto di Stato, in quanto e' pacifico che questo articolo si riferisca alle vicende che possano interessare qualsiasi soggetto internazionale, indipendentemente dalla sua qualificazione propria come Stato. E' importante osservare come il divieto di ricorrere alla forza quale strumento di risoluzione delle controversie internazionali, si estenda non solo all'uso della forza, ma anche alla semplice minaccia. Anche in questo caso, delimitare in modo chiaro cosa si intenda per minaccia dell'uso della forza non e' compito agevole. Si ritiene che possa costituire minaccia, l'ultimatum dato da uno Stato ad un altro sulla possibilita' di ricorrere all'utilizzazione di armamenti: pertanto, nell'attuale crisi irachena, e' la stessa condotta degli Stati Uniti, laddove prevede la minaccia di ricorrere all'uso delle armi, che contravviene al divieto imposto dall'art. 2. La stessa coercizione economica e politica (ad esempio l'embargo adottato nei confronti di Cuba e dell'Iraq) e' stata spesso interpretata da molti Stati membri delle Nazioni Unite come rientrante all'interno della nozione di forza. In sintesi l'ordinamento internazionale non prevede l'uso della forza in via preventiva ne' da parte di singoli Stati, ne' da parte della stessa Comunita' internazionale. * La guerra come legittima difesa Al fine di giustificare la guerra, viene invocato il ricorso all'art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, relativo al diritto di legittima difesa. L'eccezione principale al divieto di uso della forza in questo articolo, e' quella che detta: "Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di legittima difesa individuale o collettiva", purche' essa sia a fondamento di un'aggressione armata di terzi e fino a quando il Consiglio non abbia preso le opportune misure per preservare la pace e la sicurezza collettive. Questo rappresenterebbe la garanzia di poter intervenire in ogni momento a difesa di un diritto che e' indissolubile e di cui i soggetti non possono essere spogliati. Il diritto di legittima difesa e' cosi' radicato nel sentire internazionale da doverlo considerare addirittura immanente, "fuso" con la condizione stessa di Stato. La legittima difesa si presenta pero' come una misura di carattere eccezionale, la quale deve essere necessaria, proporzionale all'aggressione subita ed immediata. Il requisito della necessita' non compare nel testo dello Statuto, ma e' direttamente ricavabile laddove si dice che lo Stato puo' intervenire fintantoche' il Consiglio di Sicurezza non adottera' le misure necessarie al ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale. E' allora chiaro che l'azione dei singoli Stati e, in seguito, del Consiglio di Sicurezza e' resa necessaria dalla situazione di pericolo; in nessun caso pero' si puo' parlare di diritto di legittima difesa, in presenza di una semplice minaccia di uso della forza, ne' quando ci si trovi di fronte ad un'aggressione indiretta che non implica il ricorso alle armi. La difesa risulta poi essere legittima solo fino a quando sia proporzionale ed in questo senso deve concretizzarsi in una risposta volta ad evitare danni ulteriori e proporzionata al danno inizialmente subito. Una volta che non sussistano dubbi sulla legittimita' di poter intervenire, va compiuta un'analisi sulle misure che effettivamente vanno adottate nel caso concreto. Perche' la risposta possa rientrare nella legittimita', e' allora indispensabile che la difesa condotta dallo Stato non ecceda l'offesa da quello stesso subita. L'obiettivo e' che si raggiunga una simmetria di effetti tra l'attacco subito e quello adottato come contromisura. Questo non significa che lo Stato debba impiegare lo stesso tipo di forza e nemmeno che la difesa debba essere esattamente equivalente al danno subito. Per considerare se una risposta e' stata proporzionata o meno all'attacco subito, si deve fare un confronto fra i mezzi difensivi a disposizione dell'aggredito e quelli effettivamente usati. L'immediatezza della risposta dello Stato sta ad indicare che la difesa deve avvenire quando l'attacco armato sia gia' stato sferrato, o come reazione immediata, ma non puo' mai sfociare in rappresaglia, ad un attacco appena terminato. Cio' che, infatti, distingue la legittima difesa e la rappresaglia e' il carattere dell'immediatezza. La legittima difesa per natura, prevede che il tempo intercorrente tra l'attacco subito e la risposta sferrata sia minimo. La rappresaglia invece, e' caratterizzata da uno scopo puramente punitivo, che conduce all'adozione di misure studiate e preparate, con la volonta' di ridurre l'avversario in una situazione di non pericolosita'. L'esempio della guerra del 2001 contro l'Afghanistan, e' tipico della volonta' di compiere una rappresaglia ai danni di uno Stato per il quale non vi e' mai stata la certezza del coinvolgimento. E' dunque responsabile lo Stato che abbia, per primo, fatto ricorso ad uno degli atti che l'Unione stessa prevede come da inserire nell'elenco degli atti di aggressione. L'illecito, inoltre, deve essere caratterizzato dall'uso della forza. Non ogni tipo di illecito quindi giustifica il ricorso alla forza per legittima difesa. Ai sensi dell'articolo 51, infatti, per poter reagire, lo Stato deve essere vittima di un attacco armato, ossia di un atto d'offesa militare diretto contro uno qualsiasi dei territori da esso controllati. * Decisioni del Consiglio di Sicurezza Il Consiglio di Sicurezza e' formato da 5 membri permanenti che sono: la Repubblica di Cina, la Federazione Russa, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. A questi vanno aggiunti i membri non permanenti che, a rotazione e per un periodo di due anni, entrano a fare parte di tale organo. A tale proposito si pone il problema della riforma dello stesso nella sua composizione permanente: e' necessario trovare nuove forme che ne garantiscano il recupero della credibilita', efficienza, rappresentativita' e democraticita'. L'attuale composizione, infatti, che e' scaturita a seguito della seconda guerra mondiale, risulta portatrice di specifici interessi economici e di istanze di superati equilibri politici. Le decisioni sulle questioni importanti, come appunto il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, oltre ad essere di esclusiva competenza del Consiglio, devono essere prese a maggioranza di due terzi dei membri presenti e votanti, compresi tutti i membri permanenti. Questo significa che a questi ultimi spetta un diritto di veto che impedisce l'adozione di qualsivoglia risoluzione in caso di loro dissenso. Il centro intorno al quale ruota il fondamento giuridico e' dato dal Cap. VII della Carta, che prevede le azioni che possono essere prese dalle Nazioni Unite per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Il Consiglio deve anzitutto accertare, come sua competenza esclusiva, l'esistenza di una minaccia alla pace o di una violazione della pace, o di un atto di aggressione. Di conseguenza esso puo', ai sensi dell'art.39 della Carta, non solo fare raccomandazioni o decidere misure non implicanti l'uso della forza (art. 41) ma intraprendere, se le misure previste dall'art. 41 risultino inadeguate, con forze aeree, navali, o terrestri "ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale..." (art. 42). Inoltre, l'applicazione dell'art. 41 da parte del Consiglio non e' obbligatoria, sebbene abbia riscontrato l'esistenza delle condizioni previste dall'art. 39. D'altro canto, anche se e' stata presa la decisione di applicare delle sanzioni, il Consiglio ha poteri discrezionali nel determinarne l'estensione in conformita' con l'art. 41: spetta, infatti, al Consiglio valutare l'imminenza e la gravita' della minaccia alla pace mondiale, cosi' come la natura e l'estensione della violazione commessa dallo Stato. * L'alternativa nelle misure non implicanti l'uso della forza Chiarito che l'eventualita' di una minaccia alla pace deve essere accertata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in base all'art. 39, rimane da analizzare cosa accade nel caso in cui l'accertamento dia esito positivo; in questa ipotesi, il Consiglio puo' scegliere se assumere i relativi provvedimenti tramite l'invito alle parti ad ottemperare alle misure provvisorie ovvero adottare raccomandazioni o direttive implicanti o meno l'uso della forza armata. Le misure provvisorie, che vengono adottate dal Consiglio di Sicurezza sulla base dell'art. 40, sono quelle ritenute utili ai fini di evitare aggravamenti di situazioni che possano poi compromettere la pace o comportare una turbativa dell'ordine mondiale. In questa stessa ottica sono emesse le raccomandazioni, ossia inviti privi di conseguenze sanzionatorie, con i quali si richiede allo Stato in questione di uniformarsi alla volonta' espressa dal Consiglio di Sicurezza al fine appunto di non pregiudicare la pace mondiale. Vari sono gli esempi di questo tipo: - il "cessate il fuoco"; - le richieste di non appoggio a parti in lotta in una guerra (sia civile sia internazionale); - gli appelli alla tregua, all'armistizio, al rilascio di prigionieri di guerra, al ritiro delle truppe regolari; - gli appelli alla conclusione di convenzioni militari. Per l'attuazione delle misure provvisorie possono essere istituiti organi di controllo, quali missioni o gruppi di osservatori, che vigilino sul rispetto delle decisioni Onu. L'art. 41 prevede invece la possibilita', per il Consiglio di Sicurezza, di adottare misure non implicanti l'uso della forza bellica; queste, che possono assumere le vesti di decisioni e risultare cosi' obbligatorie, ovvero di raccomandazioni ed essere quindi meri inviti, possono consistere in: - sanzioni economiche; - non riconoscimento di situazioni illegittime (per esempio l'annessione del Kuwait da parte dell'Iraq nel 1991); - condanna morale della Comunita' Internazionale. * L'uso legittimo della forza nel diritto internazionale Azioni militari possono essere intraprese se le misure non implicanti l'uso della forza bellica siano, o siano risultate, inadeguate al mantenimento o ristabilimento della pace o della sicurezza internazionale. E' pero' prevista un'ampia discrezionalita' nel valutare l'inadeguatezza delle misure previste dall'art. 41; infatti, il Consiglio non e' tenuto all'obbligo formale del previo esaurimento delle misure non implicanti l'uso della forza. Le azioni esercitabili possono o essere dirette verso uno Stato che abbia violato la sovranita' territoriale di un altro Stato, ovvero direttamente all'interno di uno Stato, se ci si trovi di fronte ad una guerra civile la cui gravita' minacci la sicurezza internazionale. In teoria le azioni militari avrebbero dovuto essere condotte da una forza armata internazionale messa a disposizione del Consiglio, ma questa, per le resistenze di vari Stati, non si e' mai costituita. L'azione di tutela della pace e della sicurezza e' pero' stata esercitata con l'invio dei cosiddetti Caschi Blu, i quali sono forze armate che pero' non possono svolgere azioni belliche, ma limitarsi all'uso della forza solo nel caso di legittima difesa. * La posizione dell'Unione Europea Sembra rilevante evidenziare, all'interno del panorama europeo, la mancanza di presa di posizione univoca da parte dell'Unione Europea e degli Stati che ne fanno parte sulla questione irachena; al contrario, la spaccatura, che sempre piu' profondamente si viene aprendo, sottolinea una breccia manchevolmente lasciata aperta dal legislatore europeo proprio all'indomani dell'approvazione della Carta Europea dei Diritti. Manca in essa, infatti, qualsiasi riferimento alla priorita' della pace nei Trattati Costitutivi. Questa indeterminatezza lascia pertanto aperta a contrasti e decisioni non univoche la scelta dei vari Stati membri, e contribuisce in maniera allarmante all'impotenza europea nel panorama internazionale, proprio quando la stessa potrebbe acquisire un peso di fondamentale importanza nei meccanismi di pace. Le differenze di posizioni si delineano cosi': Francia e Germania ritengono che il mandato agli ispettori, come previsto nella Risoluzione Onu n. 1441 del 2002 non sia ancora stato eseguito e che vada pertanto proseguita la strada delle ispezioni rafforzate fino ad ottenere il disarmo dell'Iraq. Dall'altra, Gran Bretagna e Spagna, in appoggio alle decisioni assunte dagli Stati Uniti, sono determinate a ripristinare la pace internazionale e la sicurezza dell'area, agendo sulla base del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, ossia tramite l'uso della forza. 5. APPELLI. SINODO DELLE CHIESE VALDESI E METODISTE: VI SCONGIURIAMO DI ABBANDONARE QUESTA STRADA [Dal pastore valdese Arrigo Bonnes (per contatti: arrigo.bonnes at fastwebnet.it) riceviamo e diffondamo questo appello del sinodo delle chiese valdesi e metodiste] Il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste, riunito in sessione straordinaria a Torre Pellice il 22-23 marzo 2003, ha approvato il seguente documento: Mai si era verificata una cosi' vasta opposizione ad una guerra in ogni parte del mondo. Mai rifiuto della guerra aveva raccolto un consenso cosi' unanime in chiese di ogni confessione e di ogni paese. Eppure la guerra e' stata scatenata da chi ha voluto imporre una soluzione di forza umiliando le Nazioni Unite e calpestando il diritto internazionale. Di fronte a questa decisione, foriera di ulteriore isolamento per chi, avendola presa, per primo la subisce, noi riaffermiamo la nostra solidarieta' con il popolo degli Stati Uniti d'America. Non abbiamo dimenticato l'11 settembre 2001, il giorno della profonda ferita inferta a tutto l'Occidente. Cosi' come non abbiamo dimenticato il 6 giugno 1944, il giorno di migliaia di giovani venuti a morire sulle spiagge del nostro continente per la comune liberta'. E non abbiamo dimenticato le radici culturali, religiose, politiche che legano indissolubilmente i nostri due continenti. Ma proprio in base a questa solidarieta' che riaffermiamo nel momento della lacerazione, vogliamo rivolgere un appello al popolo statunitense e ai suoi governanti, anzitutto a quanti fra loro accostano troppo facilmente il nome di Dio alla guerra. Molti di voi hanno imparato dalla Bibbia, come noi, che Gesu' chiama beati i mansueti, gli affamati e assetati di giustizia e coloro che si adoperano per la pace (Mt 5, 5-6.9); insegna ad anteporre al culto la riconciliazione con l'avversario (5, 23-26); indica nell'amore per i nemici lo straordinario del comportamento cristiano (5, 43-47). Guardatevi dunque, nel passare dall'etica individuale ad un programma politico, dal contraddire e stravolgere del tutto questo insegnamento, inventando una missione di repressione del male con l'uso della violenza preventiva, catturando dalla vostra parte un "Dio che non e' neutrale", accorciando indebitamente la distanza incommensurabile che esiste tra le nostre vie e le vie di Dio (Is 55, 9). E al di la' di ogni riferimento esplicito a Dio, vi scongiuriamo di abbandonare la strada su cui vi siete avviati. Avete dissipato il capitale di solidarieta' accumulato dopo l'11 settembre infilandovi in un vicolo cieco: avete preteso di sostituire alla concertazione dei popoli l'egemonia di una potenza che decide cio' che e' bene e cio' che e' male, in un pericoloso miscuglio di ideali religiosi e di interessi politici, e impone le sue decisioni con la forza. E' una via profondamente sbagliata e funesta. Essa non puo' che produrre una crescente instabilita' e non puo' non avvitarsi in una spirale di guerre continue. Il dittatore iracheno e' certo uno dei piu' sanguinari e odiosi tra quanti incatenano il loro popolo al giogo della tirannia. Ma ce ne sono altri ugualmente odiosi e forse piu' pericolosi. Andrete avanti per questa strada? Fraternamente vi supplichiamo di ravvedervi, di dare ascolto alla voce delle vostre chiese che con tanta forza si oppongono a questo indirizzo, di cambiare strada, di tornare al consesso delle nazioni ripartendo dal punto in cui l'avete abbandonato, per contribuire a rifondarlo e rinnovarlo, per farne la base multilaterale e globale di una governabilita' nella giustizia e percio' nella stabilita'. Nel rivolgervi questo appello siamo dolorosamente consapevoli della nostra non minore incoerenza: tutti infatti abbiamo fallito nel perseguire la pace e tutti, da questa parte dell'Atlantico come dall'altra, abbiamo contribuito a seminare nei due terzi del mondo semi di risentimento e di odio con politiche coloniali vecchie e nuove di rapina e di sfruttamento. Possa questo senso di inadeguatezza, portato responsabilmente davanti a Dio nella preghiera, tradursi ora, per i nostri paesi e per le nostre chiese, in un serio impegno per l'Iraq: per la cessazione dei combattimenti, per l'accoglienza delle vittime, per la ricostruzione futura quando poi le armi taceranno. 6. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: CONTINUIAMO A FARCI DOMANDE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] Sono sicura che e' capitato anche a voi: un amico vi ha chiesto un consiglio su un argomento qualsiasi, e voi vi siete trovate/i a dire cose che vi hanno sorpreso. Avete esposto soluzioni ed idee in maniera chiara, coerente e profonda, con una saggezza che non sospettavate di avere. E' molto probabile che il vostro amico, senza saperlo, vi abbia posto una "domanda chiave", e che voi abbiate fatto affermazioni del tipo: "Potro' non essere d'accordo con l'opzione che sceglierai, e tuttavia continuero' ad amarti e a rispettare le tue scelte". Nel lavoro per il cambiamento sociale potete allo stesso modo dire: "Io vedo questo, ma sicuramente non vedo la situazione attraverso i tuoi occhi. Pensiamo ad un'alternativa che possa incontrare entrambi i nostri bisogni. Anche se le nostre opinioni differiscono, io ti rispetto e lavorero' con te per trovare il modo migliore di gestire la cosa". Fate attenzione: questo non significa che voi vi dimenticherete delle vostre preferenze od opinioni e le metterete da parte. Cio' sarebbe assai poco rispettoso verso voi stessi. Significa invece che porrete le vostre opinioni in modo che esse non blocchino il dialogo e che esplorerete le alternative rispetto a cio' che desiderate ottenere. * Cosa serve - Creare il rispetto. Il procedere per "domande chiave" e' un modo di parlare con le altre persone, le quali sono sicuramente differenti da voi, cercando un terreno comune. Cio' richiede un senso base di rispetto in chi pone le domande, che tende ad indurlo in chi risponde. In ogni cuore umano c'e' dell'ambiguita', in ogni sistema di valori ci sono parti che non funzionano, percio' il vostro lavoro non e' quello di giudicare le risposte, ma di far scaturire dalle persone il potenziale per il cambiamento. Il procedere per "domande chiave" assume che sia io sia il mio "avversario" vogliamo fare meglio cio' che stiamo facendo, e che sia possibile trovare un terreno comune attraverso il dialogo. - Ascoltare il dolore. Saper ascoltare la sofferenza e' una delle cose piu' importanti che gli attivisti per il cambiamento sociale possono fare. Significa sentirla con il cuore, e non negare la sua realta'. Questo richiede coraggio, perche' potreste dovervi confrontare con il vostro stesso senso di impotenza, con il vostro stesso dolore, con la tentazione di usare qualsiasi mezzo perche' la sofferenza cessi. Quando siete di fronte al dolore altrui, e' essenziale che diate ad esso la vostra piena attenzione, come se la vita di qualcuno dipendesse da cio'. Non commettete l'errore di considerarla una faccenda "personale" di chi lo esprime, e quindi non legata al collettivo, ne' quello di sprofondare nella vertigine della sofferenza per empatia. Siate pazienti con voi stessi e con chi sta soffrendo: ascoltare e' avere cura. Avere cura e' un passo verso la guarigione. Cercate strade attraverso le quali ci si possa muovere oltre il dolore, senza dimenticarlo, ma senza essere diretti da esso. - Tradurre i sogni in azione. Il sistema politico e sociale dal quale proveniamo e' caratterizzato da una sorta di "pensiero cinico" da mostrare in pubblico, per essere considerati maturi, capaci, pragmatici, ecc. Questo non solo maschera a stento terrori e desideri, ma non e' stato neanche efficace nel renderci apatici. Ad esempio, io non vedo apatia nei miei concittadini e nelle mie concittadine, vedo la profonda paura di essere "troppo" coinvolti/e, ed il timore di essere delusi/e. Vedo gente che riceve informazioni sul mondo in modo passivo ed isolato, e che ha paura di perdere cio' che ha se si muove oltre la passivita' e l'isolamento. Vedo persone che hanno perso il contatto con le abitudini relative alla loro liberta'. Vedo persone che vorrebbero avere relazioni migliori con se stessi, con i loro familiari, e con la societa' in cui vivono. E so che il cambiamento sociale, anche quello piu' desiderato, e' sempre uno shock, poiche' ne implica altri a lungo termine, ed in diversi settori della vita, e nelle istituzioni, ecc. * Ci sono veramente pochi modi in cui possiamo mostrare di aver cura del mondo senza rischiare di essere repressi o manipolati in una campagna a favore dell'ego straripante di un "leader" o di qualche specifico settore politico. Abbiamo imparato a sospettare, perche' ci e' gia' successo di entrare nei gruppi e di non essere ascoltate/i, di ricevere assicurazioni dai politici che non si sono realizzate, e cosi' via. Ma possiamo e dobbiamo continuare ad agire. Dobbiamo accettare la responsabilita' per quello che facciamo, o che non facciamo, e che ha comunque impatto sul pianeta che tutte/i condividiamo. Siamo coinvolte/i anche quando scegliamo di sedere ai margini della scena, perche' consumiamo risorse, abbiamo relazioni, desideriamo conseguire degli scopi. Non c'e' modo per evitare il coinvolgimento. Allora la domanda da farsi e': "Come possiamo essere coinvolte/i in maniera migliore di questa?". Possiamo cominciare a porre "domande chiave" e a praticare un ascolto profondo e dinamico ove le soluzioni al problema abbiano limiti solo nella nostra immaginazione. I nostri vicini di casa, i nostri colleghi di lavoro, i nostri amici hanno informazioni importanti da darci. Quando ascoltiamo con il cuore, dove la nostra intelligenza ed il nostro coraggio risplendono, possiamo liberare i nostri sogni, e tradurli in azione. * Ma ha gia' funzionato? Si'. Gli attivisti e le attiviste hanno cominciato a ripulire il Gange in questo modo, facendosi delle domande: "Cosa vedi quando guardi il fiume?", "Come spieghi ai tuoi bambini le condizioni del fiume?", "Come ti senti rispetto a questa situazione?". La questione non era nei termini "il fiume e' inquinato", ma nei termini "noi, le persone, non abbiamo abbastanza cura del fiume". Poiche' il Gange e' un corso d'acqua sacro, dire alla gente del luogo "e' inquinato" sarebbe equivalso a dire ad un occidentale "figlio di puttana", ovvero avrebbe creato reazione e resistenza. Inoltre, l'inquinamento e' un concetto astratto, che facilmente rimuove la responsabilita' delle persone (infatti, biasimiamo simbolicamente il fiume: santo cielo, e' pieno di spazzatura! Ma mica se l'e' buttata dentro da solo...). Si e' detto a questi attivisti che la missione era impossibile. Essi hanno risposto che era solo questione di tempo: sapevano che ce ne sarebbe voluto molto, percio' hanno cominciato a preparare il lavoro per la prossima generazione, ponendo la domanda: "Come stai educando i tuoi bambini rispetto alla pulizia del fiume?". E 800 bimbi e bimbe sedettero sulle rive del Gange, disegnando cio' che vedevano per renderne edotti altri. Ogni anno, questo "concorso di disegno" si ripete. Il seme e' piantato, altre risposte nasceranno. In Australia, un gruppo di attivisti preoccupato per il piano idroelettrico di Ravenshoe, nel Queensland, comincio' il proprio lavoro con l'ascoltare le preoccupazioni, le opinioni e le idee degli abitanti del luogo mediante 30 "domande chiave". Come ricorda Bryan Law, membro del gruppo organizzatore: "All'inizio, chiunque aveva risposto al nostro appello e si era seduto attorno al tavolo chiese da che parte stavamo. Il dibattito mediatico aveva gia' deciso che si trattava di una questione o/o. Noi avevamo concordato che, sebbene ciascuno nel gruppo avesse le proprie opinioni al proposito, come gruppo saremmo stati imparziali. Volevamo ascoltare tutte le parti in causa. Quando spiegammo questo, le persone si aprirono, e condivisero con noi cosa pensavano e provavano". L'ultimo esempio che vi faccio e' storia di questi giorni. Non menzionero' il nome dell'attivista coinvolta, poiche' lei non lo desidera, ma sono autorizzata a raccontare l'episodio di cui e' stata protagonista. Convinta che l'ascolto attivo e le "domande chiave" siano dei potenti attrezzi per il cambiamento, questa signora di mezza eta' si e' munita di penna e taccuino ed ha cominciato a suonare i campanelli delle case, chiedendo: "Quale e' il problema piu' grande che il mondo affronta in questi giorni, secondo lei?", "Quali potrebbero essere secondo lei le conseguenze di una guerra all'Iraq?", "Che cosa puo' rendere il mondo sicuro per tutti?". Non si tratta, come vedete, di domande particolarmente dinamiche, ma sono "aperte" e invitano ad approfondire la riflessione. Messi nel conto i "non ho tempo" e le porte sbattute, cio' che lascio' senza parole la nostra amica fu la reazione molto rude di un uomo che si mise ad urlare: "No, no, no! Se ne vada, sono domande ridicole!". Pochi minuti dopo, mentre usciva da un'altra casa che l'aveva accolta, si trovo' di fronte lo stesso individuo, che la aspettava a braccia conserte. "Che cosa si aspettava da me? - le domando' - Sono spiacente di averla trattata cosi', ma io non posso farci niente, cosa posso fare contro una guerra, io?". La donna si rese conto di aver toccato un punto sensibile, una sorta di "pulsante emotivo", che era in relazione al senso di impotenza ed alla paura di lasciarsi "coinvolgere troppo" dalla questione. "Ha tempo per parlarne?", gli rispose, e cosi' cominciarono a camminare per la strada, discutendo di istanze che non avevano neppure a che fare con la guerra, ma che partivano del senso di solitudine e isolamento, dal bisogno di ridefinire il significato dell'essere comunita', e cosi' via. Si sono lasciati commossi, stringendosi le mani. Si sono rivisti durante azioni dirette nonviolente contro la guerra. Ora lei conosce un valore in piu' del suo lavoro di attivista, e lui sa che agire insieme e' possibile. Di questi tempi, non mi pare poco: continuiamo a farci domande. 7. RIFLESSIONE. JUDITH BUTLER: NOI, GLI "ANTIPATRIOTI" [Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 marzo 2003] Dove vivo io, a Berkeley in California, sembra che nessuno sia a favore di questa guerra. Al contrario, aleggia un profondo senso di mortificazione per l'agire violento e illegale degli Stati Uniti. I miei amici europei mi chiedono, con qualche trepidazione, se e' proprio vero che tutti gli americani appoggiano questo sforzo bellico. E' importante percio' far sapere che ce ne sono milioni contrari, inequivocabilmente contrari. Le manifestazioni di protesta di San Francisco, New York e Washington, per citarne solo alcune, non trovano nei media quell'attenzione che pure avrebbero ricevuto durante la prima guerra del Golfo, per non parlare di quella del Vietnam, quando si poteva ancora contare su una certa simpatia per il movimento antibellico. Dopo l'11 settembre, la paura di passare per "antipatrioti" o di essere identificati per le proprie opinioni con i "terroristi" che hanno attaccato il World Trade Center, non solo ha soffocato il dissenso, ma ha prodotto il blackout dei media sulle manifestazioni e le mobilitazioni pacifiste. I media temono talmente tanto di essere accusati di pregiudizio "liberal", e che il concetto stesso di "liberalismo" possa essere fatto passare per un concetto tacitamente simpatizzante con il terrorismo, che e' venuto fuori una sorta di contro-discorso compensatorio, per cui chiunque abbia qualcosa di critico da dire si sente obbligato a premettere "amo il mio paese e quello che sto per dire non e' antipatriottico...". Dunque, chi si oppone all'attuale regime degli Stati Uniti con le sue violazioni dei precedenti e delle leggi internazionali e la sua auto-legittimazione nell'infliggere violenza, ha grandi difficolta' a trovare nei media lo spazio per esprimere opinioni contrarie alla guerra che non siano intrise di devozione patriottica. E cosi' i dissenzienti devono parlare a voce piu' alta per sopravanzare giornali e televisioni e infrangere la presunzione di un generale sentimento favorevole alla guerra. E' quello che ha cominciato a verificarsi con le mobilitazioni di massa per le strade, le azioni di disobbedienza civile, i concentramenti in punti cruciali di transito nel centro di San Francisco per interrompere il normale tran tran degli affari e costringere la polizia a scendere per le strade, in modo che siano i poliziotti stessi a sabotarlo bloccando il traffico. Ci sono stati tempi, nella storia della cultura politica americana, in cui il dissenso veniva valutato come uno dei fondamenti chiave della democrazia. Ma dopo l'11 settembre, il dissenso e' stato avvolto da un nuovo scetticismo, si' che e' diventato difficile per le voci di forte opposizione trovare modo di esprimersi pubblicamente. O vengono bollate come nostalgiche o anacronistiche, o vengono liquidate come strategicamente e politicamente ingenue. Eppure milioni di persone sono scese in piazza, molte dichiarando di non avere mai partecipato a una dimostrazione in passato. Le mobilitano la paura e l'ansia, la sensazione di essere sopraffatte dall'unilateralismo americano, l'opposizione alla bruta aggressione e all'assassinio da parte dell'amministrazione, la soppressione della liberta' di parola all'interno del paese, il monitoraggio e la regolamentazione delle comunita' arabe negli Stati Uniti che sono tali da sfidare le leggi anti-discriminazione e quelle sul rispetto della privacy. Il governo Bush e' arrivato al potere con mezzi che molti considerano al di fuori della legalita', impedendo il conteggio completo dei voti in Florida. E da quel momento l'uso di tattiche illegali ha contrassegnato questa amministrazione, determinata a seguire la propria strada con o senza imprimatur legale, indifferente ai divieti costituzionali e ai precedenti della legislazione internazionale. Alla denuncia del trattato sui missili antibalistici, apripista di una serie di azioni che avrebbero infranto le relazioni internazionali multilaterali, e' seguita la sospensione non dichiarata della convenzione di Ginevra, con il trasferimento nella Baia di Guantanamo di presunti membri di Al-Qaeda privi di qualsiasi difesa legale e al di fuori di qualsiasi giurisdizione; il disprezzo per l'Onu e l'elaborazione di un sistema legale parallelo - definito da molti un sistema giudiziario "canguro" - delineato nell'US Patriot Act, che nega le liberta' fondamentali ad individui fermati e incarcerati e privati di adeguata tutela legale. Secondo un recente sondaggio Gallup, almeno il 46% degli americani e' contrario all'attuale guerra in Iraq. Non so chi siano quelli della Gullup ne' chi intervistino, dal momento che non hanno mai chiamato ne' me ne' nessuno fra i miei amici. E bisogna fare molta attenzione al modo in cui sono formulate le domande, e chiedersi che genere di persone siano quelle che accettano di parlare con loro. Bene, io non posso dire ne' di amare ne' di odiare il mio paese in se' e per se', ne' capisco esattamente che cosa voglia dire. Ma mi oppongo a questo governo e alla sua guerra, insieme a milioni di altre persone, non solo perche' viola vergognosamente la sovranita' di un altro paese per infierire sulla sua gente e minarne le gia' precarie infrastrutture, ma anche perche' si autolegittima nell'infliggere questa violenza e nel propagandare la propria distruttivita' come un segno della potenza degli Stati Uniti. Il governo Bush, nella preparazione di questa guerra, ha propagandato i suoi fasti militari come un fenomeno visuale decisivo. Il fatto che il governo e l'apparato militare Usa abbiano battezzato la propria strategia "colpisci e terrorizza" indica che stanno mettendo in atto uno spettacolo visuale che ottunde i sensi e, come il sublime, mette fuori gioco la capacita' stessa di pensare. E' una messa in scena a uso non solo della popolazione irachena, i cui sensi si suppone saranno vinti sul campo da questo spettacolo, ma anche dei consumatori della guerra che si affidano alla Cnn. La Cnn infarcisce sistematicamente i suoi servizi con didascalie in cui rivendica di essere la "piu' affidabile" fonte di notizie sulla guerra. La strategia "colpisci e terrorizza" mira non solo a costruire una dimensione estetica della guerra, ma a sfruttare e strumentalizzare l'estetica visuale come parte della stessa strategia di guerra. La Cnn fornisce l'estetica visuale, il "New York Times", sebbene tardivamente dichiaratosi anti-guerra, sforna quotidianamente immagini romantiche di ordinanza militare nella luce del tramonto iracheno oppure "bombe che scoppiano in aria" al di sopra delle strade e delle case di Baghdad (naturalmente escluse dalla vista). Ovviamente e' stata la distruzione del World Trade Center che per prima ha imposto l'effetto "colpisci e terrorizza", e gli Stati Uniti ora mostrano, affinche' tutto il mondo lo veda, che possono essere altrettanto distruttivi. I media sono rapiti dall'aspetto "sublime" della distruzione, e le voci di dissenso ed opposizione devono trovare un modo di intervenire su questa macchina onirica desensibilizzante che produce la distruzione massiccia di vite e case, centrali d'acqua, elettricita' e calore come segno delirante di un potere militare Usa resuscitato. Abbiamo bisogno di immagini differenti, che mostrino gli effetti sulle persone in carne e ossa di questa distruttivita', e abbiamo bisogno di voci differenti che affermino le proprie convinzioni e le proprie verita' senza temere di essere oggetto di false accuse. Ma non possiamo farlo individualmente: bisogna che i media si risveglino dal loro sogno e vincano le loro paure. Altrimenti torneremo al maccartismo, quando la paura, la paralisi e la complicita' con un governo illegale furono superate solo ricordando all'opinione pubblica che non puo' esserci esercizio di liberta' senza dissenso. I media che mettono in atto la strategia del "colpisci e terrorizza" informano sulla violenza producendo e capitalizzando la sua presunta irrealta'. Non c'e' compito piu' urgente che rompere le costrizioni che oggi obnubilano l'analisi critica: che si tratti di una presunta infallibilita' morale che si droga da sola, o del delirio del "colpisci e terrorizza". Il compito di restituire il carattere reale di questa violenza in tutta la sua poverta' morale e distruttivita' umana, per poterla, infine, fermare. 8. MAESTRE. IDA DOMINIJANNI PRESENTA JUDITH BUTLER [Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 marzo 2003] Judith Butler e' una delle massime figure di spicco nel panorama internazionale della teoria femminista. Docente di filosofia politica all'universita' di Berkeley in California, ha pubblicato nell'87 il suo primo libro (Subjects of Desire) e nel '90 il secondo, Gender Trouble, testo tuttora di culto nei campus americani, cruciale per la messa a fuoco delle categorie del sesso, del genere e dell'identita'. Del '93 e' Bodies that matter (Corpi che contano , Feltrinelli '95), del '97 The Psychic Life of Power. Filosofa di talento e di solida formazione classica, Butler appartiene a quello stile di pensiero post-strutturalista che intreccia la filosofia politica con la psicoanalisi, la linguistica, la critica testuale; e a quella generazione del femminismo americano costitutivamente attraversata e tormentata dalle differenze sociali, etniche e sessuali fra donne e dalla frammentazione dell'identita' che ne consegue. Decostruzione dell'identita', analisi del corpo fra materialita' e linguaggio, critica della norma eterosessuale e dei dispositivi di inclusione/esclusione che essa comporta, critica del potere e del biopotere sono gli assi principali del suo lavoro, che sul piano politico sfocia in una strategia di radicalita' democratica basata sulla destabilizzazione e lo shifting delle identita'. Fin da subito attenta ai nefasti effetti dell'11 settembre e della reazione antiterrorista sulla democrazia americana, Butler e' fra gli intellettuali americani maggiormente imegnati nel movimento no-war. "La rivista del manifesto" ha pubblicato sul n. 35 dello scorso gennaio il suo Modello Guantanamo, un atto d'accusa del passaggio di sovranita' che negli Stati Uniti si va producendo all'ombra dell'emergenza antiterrorista: fine della divisione dei poteri, progressivo svincolamento del potere politico dalla soggezione alla legge, crollo dello stato di diritto con le relative conseguenze sul piano del diritto penale (demolizione delle garanzie processuali) e del diritto internazionale (violazione di trattati e convenzioni). A dimostrazione di come la guerra in nome della liberta' e la soppressioone delle liberta' si saldino in un'unica offensiva di abiezione dei "corpi che non contano", per le strade di Baghdad e nelle gabbie di Guantanamo. 9. LETTERE. GIOVANNI MANDORINO: UNA LETTERA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SULL'ESPULSIONE DI CITTADINI E DIPLOMATICI IRACHENI [Ringraziamo Giovanni Mandorino (per contatti: g.mandorino at tiscali.it) per averci inviato copia di questa lettera indirizzata giorni fa al capo dello Stato. Giovanni Mandorino e' una delle piu' rigorose e attive persone impegnate per la nonviolenza] - Alla cortese attenzione del Presidente della Repubblica - all'Unita' di crisi presso il Ministero degli Affari Esteri Signor Presidente, Egregi signori, ho appreso da notizie di stampa, che il nostro Paese sta adottando provvedimenti di espulsione nei confronti di personale diplomatico ed altri cittadini iracheni presenti nel nostro Paese con regolare permesso di soggiorno, in risposta ad una richiesta in tal senso proveniente dagli Stati Uniti. Nella guerra che gli Stati Uniti ed alcuni altri Paesi loro alleati stanno conducendo contro l'Iraq, al di fuori delle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite, il nostro Paese ha assunto una posizione di non belligeranza, confermata anche da un voto parlamentare in tal senso. Inoltre, la nostra Carta Costituzionale, nel suo articolo 11, oltre a ripudiare la guerra promuove la formazione di un ordine internazionale che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni. Non posso allora non chiedervi (se la notizia di stampa non e` priva di qualunque fondamento) in che modo lo status di non belligeranza del nostro Paese si accordi con l'espulsione di cittadini e diplomatici iracheni. E, con riferimento al nostro dettato costituzionale, come sia possibile concorrere alla pace ed alla giustizia tra le Nazioni espellendo dal nostro territorio i rappresentanti diplomatici del governo legittimo di un Paese riconosciuto dall'Organizzazione delle Nazioni Unite. Sperando che le notizie ricevute si rivelino frutto di cattiva informazione giornalistica, resto in rispettosa attesa di una vostra gentile risposta. Sinceramente, Giovanni Mandorino 10. DIRITTI UMANI. TRE INTERVENTI DI AMNESTY INTERNATIONAL [Dall'ufficio stampa di Amnesty International (per contatti: press at amnesty.it) riceviamo e diffondiamo questi tre interventi diffusi il 26 marzo 2003. Per ulteriori informazioni, approfondimenti ed interviste: ufficio stampa di Amnesty International, tel. 064490224, cell. 3486974361, e-mail: press at amnesty.it, sito: www.amnesty.it/primopiano/iraq] Dichiarazione di Amnesty International sul bombardamento della sede della tv di stato irachena Amnesty International ha dichiarato oggi che il bombardamento contro la sede della televisione di stato irachena potrebbe costituire una violazione delle Convenzioni di Ginevra. "Il bombardamento di una stazione televisiva, semplicemente perche' e' usata a scopi di propaganda, non puo' essere tollerato. E' un obiettivo civile e pertanto e' protetto dal diritto internazionale umanitario" - ha affermato l'organizzazione per i diritti umani. Secondo l'Articolo 52 (2) del I Protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra, "gli attacchi dovranno essere strettamente limitati a obiettivi militari (...) Gli obiettivi militari sono circoscritti a quelli che per la loro natura o locazione, il loro scopo o uso possono dare un effettivo contributo all'azione militare e la cui distruzione - totale o parziale - cattura o neutralizzazione, nelle circostanze del momento, offre un chiaro vantaggio militare". * Amnesty International rinnova l'appello per proteggere la popolazione civile "Ora che i combattimenti interessano sempre di piu' le aree urbane, e' fondamentale che le autorita' militari raddoppino i loro sforzi per proteggere la popolazione civile", ha chiesto oggi Amnesty International. "L'esempio di Bassora dimostra quale puo' essere l'impatto della guerra urbana sui civili. Chiediamo esplicitamente ai comandi militari di sapere quali misure sono state adottate per proteggere la popolazione civile", ha aggiunto l'organizzazione per i diritti umani. Tutte le parti coinvolte nel conflitto in Iraq devono garantire il rigoroso rispetto delle leggi di guerra sulla protezione della popolazione civile e degli obiettivi civili. Gli attacchi non devono causare perdite sproporzionate di vite umane. In particolare, Amnesty International ricorda il divieto di: - attacchi contro la popolazione civile od obiettivi civili; - attacchi contro infrastrutture, anche se usate a scopi militari, se le conseguenze a breve e lungo termine per la popolazione civile sono sproporzionate rispetto al concreto e diretto vantaggio militare che si vuole conseguire con tali attacchi; - attacchi contro strumenti e strutture di comunicazione solo perche' vengono utilizzati a scopo di propaganda; - attacchi su altri obiettivi civili, anche se chi li colpisce ritiene che in tal modo verra' fiaccata la volonta' di combattere del nemico. Amnesty International ha sollecitato tutte le parti in guerra "a prendere tutte le precauzioni necessarie per risparmiare la popolazione civile, diffondendo avvertimenti ogni volta che cio' sia possibile e non ricorrendo all'uso di scudi umani". * Dichiarazione di Amnesty International: "Ogni attacco diretto nei confronti dei civili costituisce un crimine di guerra" "Temiamo che da entrambe le parti in conflitto siano commessi crimini di guerra", ha dichiarato oggi Amnesty International. "Ogni attacco diretto nei confronti dei civili costituisce un crimine di guerra. Coloro che negano la distinzione tra combattenti e civili compiono un attacco contro le stesse basi del diritto umanitario". L'organizzazione per i diritti umani ha sottolineato che compiere attacchi contro obiettivi civili e attacchi contro obiettivi militari che provocano danni sproporzionati alla popolazione civile rappresenta un crimine di guerra. 11. LUTTI. LA SCOMPARSA DI LUCIANO DELLA MEA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 marzo 2003] E' morto ieri in una clinica di Firenze Luciano Della Mea, figura di spicco nella storia della politica italiana e del movimento operaio del nostro paese. Aveva 79 anni ed era ricoverato da alcuni giorni in clinica. Nato a Lucca nel 1924, partecipo' alla Resistenza e dopo la Liberazione si e' impegnato alacremente per un socialismo di "estrema sinistra", sganciato dai partiti. Giornalista a "L'Avanti!" di Milano, poi collaboratore e direttore di varie riviste di sinistra ("Il grande vetro" ma ha anche ispirato "Inoltre", poi diretta dal fratello Ivan), consulente editoriale al Touring Club Italiano, Feltrinelli, Jaca Book (dove ha creato la collana "I senzastoria"), Mazzotta, Della Mea sull'onda della sua militanza fondo' con Sofri nel '67 "Il potere operaio" pisano, rivista che poi diresse e intorno a cui nacque in seguito Lotta continua... Negli ultimi trent'anni Della Mea ha rappresentato una sorta di coscienza critica all'interno della vita politica, da Lotta continua al Psiup fino al movimento sindacale. Nel 1996 Luciano Della Mea pubblico' la sua autobiografia Una vita schedata (Jaca Book) e tra le sue opere piu' importanti figura l'epistolario che oltre ad essere una ragnatela di corrispondenze e' anche un pezzo di storia sociale italiana, per il dibattito culturale che suscita. Tra i titoli da ricordare, Eppur si muove e La notte e' dolce. Della Mea ha lasciato in dono la propria biblioteca, corrispondenze e carte alla Fondazione di studi storici di Firenze. I suoi funerali si svolgeranno giovedi' alle 15.30 al cimitero di Torre Alta, Ponte del Giglio (Lucca). 12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 13. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 548 del 27 marzo 2003
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