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La nonviolenza e' in cammino. 547
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 547
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 25 Mar 2003 23:22:44 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 547 del 26 marzo 2003 Sommario di questo numero: 1. Giobbe Santabarbara, cio' che penso sia necessario fare 2. Michele Nardelli: la guerra, l'euro, l'Europa 3. Comitato "Fermiamo la guerra": verbale della riunione del 24 marzo 2003 4. Alcuni schemi di Pat Patfoort sugli atteggiamenti nei conflitti e nelle relazioni 5. Centro nuovo modello di sviluppo, fuori la guerra dalla tua spesa 6. Elisabetta Marano, aggiornamenti del sito della libreria delle donne di Milano 7. Maria G. Di Rienzo, domande di pietra e di acqua 8. Nicoletta Dentico, Raffaele Salinari: bestemmie umanitarie 9. Gerard Lutte, siamo tutti iracheni 10. Marisa Rodano ricorda Laura Lombardo Radice 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. GIOBBE SANTABARBARA: CIO' CHE PENSO SIA NECESSARIO FARE In questi mesi, in queste settimane, in questi giorni ho cercato di dire tre cose. La prima: che poiche' la guerra uccide esseri umani, noi che alla vita umana attribuiamo valore, dobbiamo con l'opera nostra fermare la guerra. Con l'opera nostra: senza aspettare che lo facciano altri. Senza delegare ad altri, senza chiedere ad altri: facendolo noi quello che e' giusto e necessario fare. La seconda: che per poter fermare la guerra occorre fare quell'unica scelta che alla guerra non e' subalterna, che la logica della guerra non riproduce, che degli strumenti e degli apparati materiali e ideologici della guerra non si serve; e che anzi ad essa guerra, ad essa logica di guerra, ad essi strumenti e apparati della guerra integralmente, nitidamente, frontalmente, intransigentemente si oppone: la scelta della nonviolenza. La terza: che la nostra azione nonviolenta contro la guerra puo' e deve essere concreta ed efficace, poiche' solo la nonviolenza, la forza della nonviolenza, la nonviolenza come forza storica, come persuasione e movimento di resistenza e di liberazione, di inveramento della legalita' e della convivenza, puo' fermare la guerra. Solo la nonviolenza si oppone alla guerra nell'unico modo in cui alla guerra e' possibile opporsi, senza accettarne ne' riprodurne nulla. Solo la nonviolenza. Il resto e' pressoche' solo barbarie ed ipocrisia, irresponsabilita' ed effettuale complicita' con gli assassini. * Quali sono le cose che qui e adesso possono e devono essere fatte da parte nostra per fermare la guerra, cioe' per cercar di salvare le vite di coloro che stanno per essere uccisi? A me sembra che siano innanzitutto le seguenti. - La prima: cercar di paralizzare con la forza della nonviolenza quella parte della macchina bellica collocata qui, in territorio italiano. Si tratta innanzitutto di impedire l'attivita' a sostegno della guerra delle basi militari Usa e Nato in Italia: si tratta, quindi, di impedire ogni loro attivita'. Con l'azione diretta nonviolenta possiamo e dobbiamo paralizzare la macchina bellica nella sua articolazione presente nel nostro paese: ce lo chiede la nostra coscienza, ce lo chiede la legge italiana che ripudia la guerra, e' nostro diritto e dovere. - La seconda: far cessare la complicita' italiana con la guerra. A tal fine occorre far arrestare, processare e punire dalle magistrature competenti sulla base della vigente legislazione quei governanti, quei legislatori e quel capo dello stato che alla guerra hanno dato appoggio ideologico e propagandistico, un fortissimo aiuto nell'ambito delle relazioni internazionali, e un cospicuo sostegno materiale (mettendo a disposizione della guerra terrorista e stragista, di invasione e coloniale, le nostre infrastrutture, gli spazi italiani e le risorse italiane, agevolazioni e complicita' di ogni genere): per questo e' necesario presentare denunce penali a tutte le competenti magistrature contro i politici golpisti e fiancheggiatori della guerra illegale e criminale. Non solo: occorre far cadere al piu' presto il governo golpista complice della guerra illegale e crimnale, stragista e terrorista: e a tal fine l'azione efficiente puo' essere uno sciopero generale a oltranza che ponga il preciso obiettivo della caduta del governo golpista e stragista, e della sua sostituzione con un governo che rispetti la legalita' costituzionale, il diritto internazionale, i diritti umani di tutti gli esseri umani, il diritto dell'umanita' a non essere travolta e annichilita nell'apocalisse bellica. * Poi anche molte altre iniziative sono certamente buone e utili, e' chiaro: ma molte hanno un valore prevalentemente testimoniale, simbolico e mediato; molte hanno un'efficacia nel medio e nel lungo periodo; molte costituiscono luminosi gesti di solidarieta' ma non sono efficaci nel fermare la guerra; molte sono grandemente educative ma inani a fermare subito le uccisioni. E invece oggi noi dobbiamo fermare la guerra subito. Dobbiamo far cessare le stragi subito. Con la forza della nonviolenza. Ciascuno faccia qualcosa. 2. RIFLESSIONE. MICHELE NARDELLI: LA GUERRA, L'EUROPA, L'EURO [Ringraziamo Michele Nardelli (per contatti: sol.tn at tin.it) per questo intervento. Michele Nardelli da molti anni e' impegnato per la pace e i diritti e la costruzione di un'alternativa solidale; e' tra gi animatori dell'esperienza di "Solidarieta'" a Trento e dell'"Osservatorio sui Balcani"] Se qualcuno pensa che la guerra contro l'Iraq sia una riedizione di quella del 1991, una sorta di completamento del lavoro lasciato a meta' da Bush padre, o anche piu' semplicemente una nuova guerra per il controllo delle risorse petrolifere, si sbaglia. O quanto meno, coglie solo un aspetto della partita. Perche' quella in atto rappresenta una guerra (preventiva) per affermare la supremazia nordamericana a fronte dell'insostenibilita' del modello neoliberista come progetto per l'insieme dell'umanita', di un diritto internazionale considerato un vecchio orpello, della crisi del dollaro quale strumento di regolazione dell'economia mondiale. Le argomentazioni usate per tentare di legittimare l'aggressione contro un paese sovrano si sono sgonfiate da sole. Si e' parlato di lotta al terrorismo internazionale, ma per stessa ammissione degli strateghi del Pentagono non c'e' connessione alcuna fra questo obiettivo e l'intervento in Iraq, semmai avverra' il contrario, nel senso che l'aggressione avra' sicuramente come effetto quello di rinvigorire l'azione terroristica. Si e' detto che il regime di Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa, cosa che puo' essere vera per gran parte dei paesi di questo mondo, primo fra tutti gli Stati Uniti, ma le relazioni degli ispettori dell'Onu ci dicono che il disarmo e' reale e non ci sono armi proibite. Il regime irakeno non rispetta i diritti umani e su questo non ci sono dubbi. Ma sono rispettati forse in Cina, paese campione nelle condanne a morte e nella repressione di ogni forma di dissenso? O in Cecenia, Kurdistan, Israele, Tibet, Guatemala, Arabia Saudita...? E chi autorizza gli Usa ad ergersi a paese difensore dei diritti umani nel mondo dopo aver sostenuto decine di dittature militari in ogni parte del pianeta? No, nemmeno questa argomentazione regge alla prova. * Si e' detto "guerra del petrolio", e gia' qui ci avviciniamo ai motivi reali della guerra, ovvero alla difesa degli interessi degli Stati Uniti ovunque siano messi in discussione. Alla strategia di controllo delle materie prime, per un modello di sviluppo che puo' reggersi solo attraverso un uso ineguale delle risorse del pianeta: e' la teoria dell'esclusione, della rinuncia al principio umanistico che condanna una parte sempre piu' cospicua degli abitanti della Terra alla deriva. Accanto a questo, c'e' pero' una ragione piu' profonda che motiva questa guerra e riguarda per un verso l'Onu, per un altro l'Europa e la sua moneta, l'euro. L'insofferenza per regole internazionali alle quali gli Usa ormai sistematicamente si sottraggono e di istituzioni considerate vecchi retaggi del passato, dove vale il principio di rappresentanza e non quello della forza (quand'anche nel Consiglio di Sicurezza il diritto di veto sia ancor oggi appannaggio dei vincitori della seconda guerra mondiale), non e' una novita'. Lo svuotamento e la messa in mora delle Nazioni Unite e' un processo che dura da tempo e che vede fra i protagonisti proprio quei paesi che detengono il monopolio della forza, gli Usa in primis quali principali debitori verso il Palazzo di vetro. Ma l'idea di ridisegnare un nuovo ordine mondiale che si fondi sul primato di chi si sente vincitore dei conti con la storia, dell'alleanza del bene contro l'asse del male, risponde ad un neointegralismo post moderno con il quale i fondamentalismi etici irrompono nella sfera pubblica consentendo di intraprendere "cio' che nessun altro pretesto avrebbe potuto rendere valido e legittimo" (Il trattato dei tre impostori, XVII secolo). Non e' casuale che sempre piu' i signori della guerra si configurino come i nuovi feudatari, padroni della terra e degli uomini, nelle cui mani si concentrano potere economico, militare e, appunto, religioso. Che pregano prima di scatenare massacri. Poco importa se si chiama Jihad o Liberta' duratura. * La crisi delle istituzioni internazionali ha messo ancor piu' in rilievo il ruolo dell'Europa come ambito geopolitico in grado di riaprire una dialettica internazionale andatasi chiudendo con la fine del bipolarismo. L'Europa ha il peso economico e l'autorevolezza politica necessari per costituire un'altro possibile polo nelle relazioni internazionali. E con l'introduzione della moneta unica questo ruolo si e' manifestato in tutte le sue potenzialita' se e' vero che in pochi mesi l'euro si e' conquistato uno spazio di rilievo, grazie a un numero crescente di paesi che hanno deciso di utilizzarlo come divisa per i propri scambi commerciali. La gia' fragile economia statunitense si e' retta in questi anni sul ruolo del dollaro quale strumento di stabilita' economica interna e di regolazione degli scambi internazionali come valuta di riserva, tanto da costringere i paesi a tesaurizzare in dollari per l'approvvigionamento delle materie prime. Con l'entrata sullo scenario economico mondiale dell'euro, questo primato e' nei fatti messo in discussione. In particolare la scelta di alcuni paesi Opec (fra i quali l'Iraq, il Venezuela e, piu' recentemente, il Brasile) di usare l'euro come valuta standard nelle transazioni petrolifere e commerciali, ha posto in grave allarme l'amministrazione americana. Un'eventuale decisione dei paesi Opec di passare tutti all'euro provocherebbe un tale deflusso di dollari dai fondi di riserva delle banche nazionali da farlo crollare secondo alcune stime dal 20 al 40%, con conseguenze disastrose per l'economia nordamericana. Qualcuno sostiene che Saddam abbia segnato il proprio destino quando alla fine del 2000 ha deciso di passare all'euro e dopo aver convertito la propria riserva all'Onu di 10 miliardi di dollari in euro. La vera ragione per la quale il complesso militare industriale degli Stati Uniti vuole un governo fantoccio in Iraq e' per farlo ritornare al "dollaro standard". Un monito anche verso altri "stati canaglia" come l'Iran, il secondo maggior produttore Opec, che sta orientandosi anch'esso per il passaggio all'euro nelle sue esportazioni di petrolio. E analoga preoccupazione riguarda l'Arabia Saudita, paese tradizionalmente amico degli Usa, dove il regime appare pero' sempre piu' debole e dove crescono le spinte per una "rivoluzione saudita" che ne cambierebbe la collocazione internazionale. Non dimentichiamo che Bin Laden e' espressione della cultura wahabbita insofferente all'occupazione militare degli Usa, e che proprio per tale crescente insofferenza questo paese ha deciso di non sostenere gli Stati Uniti nella guerra all'Iraq. Per queste ragioni, tra l'altro, all'intervento americano fara' seguito una grande e permanente presenza militare nella regione del Golfo Persico. Altra strada per fermare il crescente ruolo dell'euro e' quella di dividere ed indebolire l'Europa. Il disegno appare chiaro: si affida da un lato a quella testa di ponte che e' l'Inghilterra, da sempre estranea al processo di integrazione politica ed economica, accomunata da analoghe preoccupazioni sul futuro della sterlina. Dall'altro alle correnti di euroscetticismo presenti in misura crescente nei paesi della vecchia Europa, che non hanno mai digerito le regole di Bruxelles e la determinazione con la quale il presidente della Commissione Europea Romano Prodi sta completando il processo di riunificazione europea. * In questo contesto l'est europeo e l'area balcanica in particolare costituiscono il lato debole della nuova Europa. Sul quale non a caso l'amministrazione americana ha fatto breccia nella ricerca di nuove alleanze a sostegno della guerra, comprate a suon di miliardi grazie alla debolezza e alla scarsa lungimiranza delle classi politiche locali. Con un'adesione cosi' convinta e sbandierata alla guerra, infatti, esse hanno contribuito a dividere quell'Europa che sarebbe invece il loro unico approdo realistico per il futuro. Smascherando al contempo gli interessi forti che li spingono a restare zona di diffusa economia nera e grigia, in un intreccio sempre piu' perverso fra potere politico e criminalita' economica che e' all'origine anche dell'assassinio del premier serbo Zoran Djindjic. Il fatto che Macedonia, Albania, Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia... abbiano accettato questa pressione anziche' sintonizzarsi sulla lunghezza d'onda dell'Unione Europea e' sintomatico di una possibile altra polarizzazione indotta proprio dagli Stati Uniti, per indebolire l'Unione Europea e quella moneta che gia' oggi e' riferimento di quasi tutto l'est europeo. E che la guerra contro l'Iraq si riverberi nel sud est europeo lo si capisce dal netto mutamento di rotta dell'amministrazione americana verso l'area, con il malcelato sostegno alle spinte indipendentiste in Montenegro - condizione di dichiarata inammissibilita' per l'integrazione europea - e in Kossovo, la cui indipendenza riaprirebbe tutta la partita nella regione con Macedonia, Serbia (tanto con le minoranze albanesi nelle valli di Presevo e Bujanovac che con il Sangiaccato) e Albania. Una strategia che si evince anche dagli orientamenti dei funzionari della cooperazione americana nel sud est europeo, con il loro lavoro di dissuasione verso la prospettiva di integrazione europea in virtu' di una presunta incompatibilita' di natura culturale. Per la verita', lo stesso atteggiamento statunitense a Rambouillet (il castello dove nel 1999 si disputo' la farsa di una discussione che invece avrebbe potuto evitare la tragedia della guerra in Kossovo e in Serbia), di ricerca della guerra ad ogni costo, lasciava trasparire un latente conflitto con l'Unione Europea, ma questo i primi a non comprenderlo furono proprio i paesi europei che alla fine parteciparono alla "guerra umanitaria". Si tratta di una politica irresponsabile, che riapre profonde contraddizioni in un'area ancora largamente destabilizzata e che solo una nuova agenda politica nell'ambito della prospettiva europea poteva e puo' traghettare verso condizioni di vera stabilita'. Come si puo' capire, le conseguenze di questa nuova guerra sono ben piu' profonde e laceranti di quanto non si possa immaginare. Scenari inquietanti che investono non solo la regione mediorientale ma l'insieme delle relazioni mondiali. E forse l'inizio della fine di un impero in crisi. 3. DOCUMENTAZIONE. COMITATO "FERMIAMO LA GUERRA": VERBALE DELLA RIUNIONE DEL 24 MARZO 2003 [Riceviamo e diffondiamo questo documento del comitato organizzatore della manifestazione nazionale per la pace del mese scorso a Roma. Pur apprezzando largamente questo testo, ci pare sia palese la debolezza che consegue da pregresse profonde irrisolte e quindi persistenti ambiguita': ci pare significativo, e tragico, come non una sola volta compaia qui non diciamo la proposta della scelta nonviolenta, ma neppure la parola nonviolenza] Sono cadute le illusioni di chi confidava in una guerra lampo. Questa e' una guerra lunga, orribile, devastatrice, produttrice gia' oggi di nuovi conflitti nell'area, in tutto il Medio Oriente, all'interno delle societa' con la crescita dell'intolleranza, dell'odio etnico e religioso, del razzismo e dell'insicurezza. Confermiamo il nostro obiettivo: fermare la guerra, subito. Faremo il possibile per isolare chi l'ha voluta. Aderiamo alla campagna internazionale per la convocazione straordinaria dell'assemblea generale delle Nazioni Unite perche' condanni l'aggressione di Bush e dei suoi alleati. Allo stesso modo, faremo il possibile per condannare e isolare il governo italiano che ha stracciato l'articolo 11 della Costituzione, ha costretto il Parlamento alla illegalita' istituzionale, ha trascinato l'Italia in guerra con la concessione delle basi e degli spazi aerei, e che ogni giorno aumenta l'impegno italiano nella guerra con atti concreti, come l'espulsione dei diplomatici iracheni come richiesto dal governo Usa. Un governo che, mentre partecipa alla guerra, fino ad oggi rifiuta di ottemperare ai suoi doveri di accoglienza verso i profughi di guerra. Non e' possibile che il nostro paese viva una vita normale, mentre il nostro governo sostiene la guerra. Faremo il possibile perche' la guerra non diventi una abitudine. Faremo il possibile perche' il nostro paese continui a produrre rivolta morale e civile contro la guerra e la logica di guerra, contro l'imbarbarimento delle relazioni internazionali, contro il governo violento del mondo. Faremo il possibile perche' si esprima la piu' grande solidarieta' con le vittime della guerra e con i profughi di guerra. Faremo il possibile perche' i cittadini non siano solo spettatori dell'informazione spettacolo sulla guerra ma abbiano tutti gli strumenti per comprendere e giudicare i fatti, le cause, le conseguenze e le responsabilita' di questa guerra. Facciamo appello perche' prosegua e si estenda la mobilitazione diffusa, capillare, spontanea e articolata che in modo straordinario si e' espressa in tutta Italia in questi primi giorni di guerra e ci impegnamo a contribuire al coordinamento delle iniziative affinche' realizzino il massimo dell'efficacia, sul piano delle azioni e dei contenuti. * Fermiamo la guerra. Isoliamo chi fa la guerra. Fermiamo, ostacoliamo, blocchiamo la macchina della guerra. Con questi obiettivi ci apprestiamo ad affrontare i prossimi giorni e le prossime settimane, articolando la mobilitazione permanente contro la guerra in campagne permanenti da tradurre in azioni e iniziative concrete: - contro la guerra, per l'isolamento degli Stati Uniti e dei loro alleati; - contro la partecipazione italiana alla guerra voluta dal governo; - contro l'uso delle basi, dello spazio aereo e delle infrastutture per la guerra; - contro l'informazione di guerra; - contro le multinazionali della guerra; - contro l'economia armata, la produzione armata e il commercio delle armi; - per la solidarieta' alle vittime di guerra e alla societa' civile irachena; - per il diritto d'asilo ai profughi, contro il razzismo, per i diritti di cittadinanza; - per i diritti del popolo palestinese e del popolo kurdo. * Le giornate di mobilitazione gia' comunemente decise sono: * Sabato 29 marzo giornata nazionale di mobilitazione diffusa "Fermiamo la macchina della guerra". Nella giornata, a conclusione di una settimana di mobilitazione contro la guerra, si realizzeranno iniziative decentrate contro la macchina della guerra: - contro il governo della guerra; - contro l'utilizzo delle basi; - contro l'informazione di guerra; - contro l'economia armata; - contro le multinazionali della guerra. Le modalita' delle azioni e delle iniziative saranno definite dai comitati locali contro la guerra, che si stanno riunendo in tutta Italia fra stasera e domani. Mercoledi' sara' reso noto il calendario delle iniziative previste. * Venerdi' 11 aprile giornata nazionale di boicottaggio della Esso e delle altre multinazionali di guerra. La giornata sara' un momento particolarmente rilevante della campagna permanente "Fuori la guerra dalla spesa" che prevede il boicottaggio di prodotti di largo consumo delle multinazionali della guerra. La lista di prodotti completi sara' diffusa nella giornata di domani. * Sabato 12 aprile manifestazione a Brescia contro la mostra delle armi leggere "Exa". Per il disarmo, contro la produzione per la guerra, contro il commercio delle armi, per la riconversione dell'industria bellica, per l'obiezione di coscienza alle spese militari. * Il Comitato e' riconvocato mercoledi' prossimo per la discussione sulle seguenti altre iniziative, per le quali e' necessario un supplemento di indagine: - Ipotesi di manifestazione nazionale: il Comitato discutera' della possibilita' di realizzare una manifestazione nazionale. Nel caso in cui si valutasse la necessita' di tenerla, le date possibili sono il 5 aprile o in alternativa - dopo una verifica con i promotori - la convergenza sulla enorme manifestazione per la scuola pubblica gia' prevista per il 12 aprile - che gia' oggi ha aggiunto l'opposizione alla guerra ai suoi obiettivi originari. - Giornata di solidarieta' con le vittime di guerra e con i profughi: il Comitato, in collegamento con le organizzazioni direttamente coinvolte, decidera' una data comune di iniziative e azioni decentrate dedicate alla campagna di solidarieta' con le vittime e con la popolazione irachena, con i profughi, per il diritto di asilo e contro il razzismo. In questo senso, il Comitato rinnova l'invito alla iniziativa umanitaria unitaria contro la guerra e propone ai sindacati di promuovere fra i lavoratori la devoluzione di un'ora di lavoro per un progetto umanitario unitario. - Giornata di solidarieta' con la Palestina: il Comitato decidera' una data in cui dare visibilita' alla campagna nazionale per i diritti del popolo palestinese, per due popoli e due stati, con la denuncia dell'occupazione, della chiusura dei territori palestinesi, dei trasferimenti di massa, contro il muro della vergogna, per i prigionieri politici, in particolar modo bambini e minori. - Giornata di solidarieta' con il Kurdistan: il Comitato decidera' una data in cui dare visibilita' alla campagna nazionale per la pace, la convivenza in Kurdistan, per il rispetto dei diritti umani e della legalita' internazionale. - 25 aprile: il Comitato ha affidato alle sue componenti milanesi di verificare con l'Anpi e gli altri promotori della prevista manifestazione a Milano la possibilita' di una convergenza, per la difesa dell'articolo 11 della Costituzione e per l'inserimento del ripudio della guerra nella Costituzione Europea. La stessa convergenza si potrebbe realizzare nelle diverse iniziative previste nei luoghi simbolo della Resistenza. - Giornata nazionale "Bloccare il paese per bloccare la guerra": il Comitato discutera' della possibilita' di sostenere, a partire dalle sollecitazioni di diverse organizzazioni di societa' civile, una giornata di sciopero della cittadinanza. In questo senso, si invitano le organizzazioni sindacali di base - che hanno gia' promosso uno sciopero generale contro la guerra per il 2 aprile - a partecipare a questa discussione per verificare la possibilita' di convergenza su una iniziativa condivisa. * La prossima riunione del Comitato e' confermata per mercoledi' alle ore 14 a Roma, presso la Cgil in Corso Italia 25. 4. MATERIALI. ALCUNI SCHEMI DI PAT PATFOORT SUGLI ATTEGGIAMENTI NEI CONFLITTI E NELLE RELAZIONI [Questa sintesi abbiamo estratto da La nonviolenza contro la guerra, Viterbo 2000. Pat Patfoort, antropologa e biologa, e' impegnata nei movimenti nonviolenti e particolarmente nella formazione alla nonviolenza. Tra le opere di Pat Patfoort: Una introduzione alla nonviolenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, 1988; Costruire la nonviolenza, La Meridiana, Molfetta (Ba) 1992] Pat Patfoort, biologa e antropologa, studiosa e amica della nonviolenza, nel suo libro Costruire la nonviolenza, La Meridiana, Molfetta 1992, offre alcuni schemi che di seguito riportiamo con qualche minima abbreviazione, semplificazione e modifica (ovviamente senza entrare qui in una discussione di merito). * 1. Scheda su atteggiamenti assunti nel conflitti: atteggiamento consueto o primitivo, ovvero violento (A); atteggiamento degno dell'uomo ovvero nonviolento (B): I. A: reazione viscerale, impulsiva, inconscia, spesso piu' diretta; B: reazione di tutto l'essere umano, viscere, ma anche intelligenza, cuore, coscienza che mirano a controllare le emozioni. Spesso piu' indiretta (lungo termine). II. A: superficiale; B: profondo. III. A: da' importanza ai valori esteriori; B: da' importanza ai valori interiori. IV. A: sfiducia o fiducia cieca; B: fiducia, comprensione, rispetto dell'altro, capacita' di perdonare, amore verso il prossimo. V. A: diretto all'interesse individuale, interesse personale; B: diretto all'interesse comune delle parti, solidarieta'. VI. A: norme; B: coscienza, senso critico, consapevolezza, senso di responsabilita', creativita'. VII. A: ricette; B: soluzioni ad hoc. VIII. A: centralizzazione; B: decentralizzazione. IX. A. il conflitto e' un processo negativo (crea tensioni e stress, distruttivo per il rapporto, il risultato e' la cosa principale, si cerca la parte colpevole, si rimane impantanati nel passato); B: il conflitto e' un processo positivo (metodo vissuto positivamente, costruttivo per il rapporto, il processo e' importante quanto il risultato, cercare di capire cio' che e' successo, guardare al futuro). X. A: il tempo necessario prima sembra insufficiente, dopo sembra eccessivo, si e' inconsapevolmente dominati dal tempo; B: il tempo necessario e' affrontato con pazienza, vi e' un controllo consapevole del tempo. XI. A: abuso di potere, forme negative di potere; B: uso del potere, forme positive di potere. XII. A: forme esteriori di forza, mancanza di fiducia in se stessi; B: forza interiore, fiducia in se stessi, umilta'. XIII. A: mancanza di comunicazione o comunicazione poco chiara, pregiudizi; B: comunicazione chiara. XIV. A: critica negativa, distruttiva; B: affermazione positiva piu' comunicazione concernente le difficolta' del rapporto (critica costruttiva). XV. A: migliore/peggiore; B: differente. * 2. Scheda su alcuni concetti aventi contenuti differenti nelle relazioni umane consuete (A), e nelle relazioni umane ispirate alla nonviolenza (B): - autocontrollo: A. soppressione delle emozioni; B. espressione razionale delle emozioni in modo diverso; - autorita': A. prendere, domandare; B. ricevere; - comprensione: A. accordo; B. accettazione, consapevolezza; - concessione: A. ci si avverte come perdenti, la parte incolpata; B. accettazione; - pazienza: A. passiva, di attesa; B. attiva, costruttiva; - potere: A. dall'esterno; B. dall'interno; - spontaneita': A. immediata e frutto di reazione emozionale; B. comunicazione aperta, non corrotta; - verita': A. fede cieca; B. fede consapevole, cosciente. 5. INIZIATIVE. CENTRO NUOVO MODELLO DI SVILUPPO: FUORI LA GUERRA DALLA TUA SPESA [Riceviamo e diffondiamo questo comunicato del "Centro nuovo modello di sviluppo" di Vecchiano (Pi). Per contatti: coord at cnms.it] Il Centro Nuovo Modello di Sviluppo ha lanciato la campagna "Fuori la guerra dalla tua spesa" che invita tutti a non acquistare i prodotti delle imprese americane che incontriamo piu' frequentemente al supermercato. Esse sono: 3M, Altria (ex-Philip Morris), Abbott, Bristol-Myers Squibb, Campbell, Coca-Cola, Colgate-Palmolive, Fresh, Del Monte, Dole, Georgia Pacific, Gillette, Heinz, Johnson & Johnson, Johnson Wax, Kellogg, Kimberly-Clark, Mars, PepsiCo, Pfizer, Procter & Gamble, Rohm & Haas, Sara Lee. Il boicottaggio e' stato lanciato come gesto concreto di resistenza contro la guerra in Iraq e si affianca a quello gia' in atto contro la Esso (www.greenpeace.it/stopesso). L'iniziativa non va interpretata come antiamericanismo, ma come volonta' di colpire chi sostiene la guerra. Le imprese, infatti, sono state scelte sulla base di due criteri: il loro coinvolgimento commerciale con l'esercito statunitense e i finanziamenti elargiti al partito repubblicano. Ad esempio nel 2002 Coca-Cola ha garantito rifornimenti all'esercito Usa e ha sostenuto Bush con 660.000 dollari. Il lancio del boicottaggio alle imprese americane deriva dalla consapevolezza che Bush, pur avendo il potere formale di ordinare gli attacchi militari, puo' agire solo se ha il sostegno del potere economico e se ha il consenso del popolo americano. Col boicottaggio intendiamo indebolire Bush colpendo chi lo finanza e tentando di porre in riflessione il popolo americano attraverso un gesto forte. Oltre a porsi l'obiettivo immediato di fermare la guerra in Iraq, il boicottaggio vuole creare le premesse per fermare anche gli altri conflitti in atto ed impedire quelli futuri, colpendo il connubio fra potere economico e macchina militare che sta alla base di tutte le guerre. Per avere informazioni piu' dettagliate sulle modalita' di attuazione del boicottaggio e sulla lista dei prodotti da boicottare consultare il sito http://www.peacelink.it/campagne/boycott_bush.html 6. INFORMAZIONE. ELISABETTA MARANO: AGGIORNAMENTI DEL SITO DELLA LIBRERIA DELLE DONNE DI MILANO [Dalla "Libreria delle donne di Milano" (per contatti: info at libreriadelledonne.it) riceviamo e diffondiamo la newsletter n. 3 del 2003] Mentre gli uomini fanno la guerra ci sono donne che tessono la tela... * Da "Cosa c'e' di nuovo" racconti di opere riparatrici femminili: - Pagine di pace. Leggete la bella "Bibliografia sulla guerra" a cura di Gabriella Lazzerini; - In fuga da Baghdad, di Giuliana Sgrena. Potrebbe intitolarsi "Restare a Baghdad": in una citta' che il mondo vuole vedere smobilitata, il club delle donne el Kharkh rimane aperto e frequentato. Perche', come dice Hana Ibrhim che del club e' presidente, "la nostra idea e' quella di costruire una nuova societa'. Dobbiamo liberarci per liberare anche gli uomini dai pregiudizi". - "Intervista a Hebe de Bonafini, di Daniela Padoan. In Argentina economia e politica tradizionali sono al collasso; Hebe e le Madres de Plaza de Mayo sostenengono i piqueteros disoccupati nelle occupazioni delle fabbriche, creano lavoro, inventano forme di scambio e credito. Creano un contesto partendo da un'economia spicciola, domestica, che tiene conto delle necessita' di chi ti cammina al fianco. - Il digital Islam rilancia le donne, di Marina Terragni. Intervista a Fatima Mernissi, che ci racconta come le donne marocchine primeggino nell'uso di Internet. E come da una trasmissione su Al Jazeera, tre donne rivoluzionino un contesto cominciando a parlare di desiderio e sessualita' maschile... - Il deserto che abbiamo attraversato, di Wanda Tommasi. "Le pratiche del movimento delle donne, operando in senso contrario rispetto alla rottura dei legami e alla disgregazione sociale crescente, puntano tutto sulle relazioni, su quanto di vivo, di gioioso ma anche di doloroso esse portano in se'. E' un filo di felicita'". * E' uscito il nuovo quaderno di "Via Dogana". Fare pace dove c'e' guerra - Ruanda, Eritrea, Kosovo, Bosnia, Serbia, Algeria, Italia..., a cura di Delfina Lusiardi. * E' uscito "Il Dio delle donne", di Luisa Muraro. Leggete la quarta di copertina nella vetrina dei libri ("Cosa c'e' di nuovo/in libreria"). * Aggiornamenti in "Paradiso". Dalla nostra stanza "paradiso" alla voce "metter becco", segnaliamo Apologo sulla Felicita', di Grace Paley, raccontato da Vita Cosentino. * Non dimenticate di consultare il nostro catalogo con i nuovi aggiornamenti. Nuovi settori online: architettura, fantasy/fantascienza, fotografia, fumetti, poesia, Resistenza - antiofascismo -Shoah, scuola, sociologia, storia antica, storia contemporanea, storia medioevale, storia moderna, storia pluriperiodizzata, teatro. A presto a tutte e tutti. 7. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: DOMANDE DI PIETRA E DI ACQUA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] Le domande non hanno tutte lo stesso potere. Differiscono nella profondita' a cui conducono una persona e differiscono nella loro qualita' dinamica. Potremmo dire che ci sono domande "di pietra", quelle che sottintendono una realta' dura e permanente, e domande "di acqua", che lavorano per trovare una via, che sottintendono una realta' che fluisce. Una domanda d'acqua prende la forma del contenitore in cui e' versata, ma non e' una forma di per se'. * Al loro primo livello, le domande di questo tipo servono a: 1) Identificare la questione che si sta discutendo Sono le domande che portano alla luce i fatti necessari alla comprensione, che si concentrano sulle parti rilevanti della storia. Devono essere domande "aperte", del tipo "Cosa e' accaduto?", "In che modo questo ti ha colpito?", "Di cosa sei preoccupato/a?", "Quali aspetti della vita della nostra comunita' ti preoccupano?", "Cosa pensi di... ?", "In che modo la violenza di questa situazione ha avuto effetto su di te?", "Quale aspetto di questa istanza ti interessa di piu'?". 2) Osservare la questione che si sta discutendo Sono le domande che si concentrano su cio' che ognuna/o "vede" e sulle informazioni che ognuna/o possiede. "Che cosa vedi?", "Che cosa senti?", "Cos'hai udito o letto di questa storia?", "Di che fonti ti fidi, e perche'?", "Quali effetti di questa istanza hai notato sulle persone, sull'ambiente?", "Che cosa sai per certo, e di che cosa non sei sicura/o?". 3) Analizzare la questione che si sta discutendo Sono le domande che guardano al significato dato agli eventi. Chi le pone sta cercando di accertare motivazioni degli individui e relazioni fra individui ed eventi. Le domande che comportano un "perche'" qui vanno bene: state ancora raccogliendo informazioni. "Perche' pensi che...?", "Quali sono le ragioni per...?", "Che rapporto c'e' fra x e y?". 4) Riconoscere i sentimenti relativi alla questione che si sta discutendo Sono le domande che concernono le sensazioni del corpo, le emozioni e la salute. E' importantissimo non saltarle durante la discussione: i sentimenti si intrecciano alla riflessione, alla fiducia ed all'immaginazione. Non dovete "fissare", "dar forma" ai sentimenti (non potete!): semplicemente, ascoltate con rispetto e quando sentite che la persona e' pronta, muovetevi in avanti. Potete andare e tornare in questo modulo, se e' necessario. Alcune persone possono desiderare di "non perdere tempo" con i sentimenti, e quindi spiegherete loro come influenzano l'azione; altre possono rischiare di annegare in essi e a queste darete incoraggiamento per entrare in una discussione piu' dinamica. "Che sensazioni provi, nel tuo corpo, quando pensi a questa cosa o ne parli?", "Cosa provi rispetto a questa situazione?", "Come questa cosa ha toccato la tua salute emozionale o fisica?". * Al secondo livello, le domande diventeranno "domande chiave", nel tentativo di andare piu' a fondo. Si tratta di: 1) Domande visionarie Sono quelle che tentano di identificare ideali, sogni, valori. I concetti attorno a cui vengono formulate sono: speranza, desiderio, amore, giustizia, miglioramento, ecc. "Come ti piacerebbe che fosse...?". 2) Domande mutanti Queste domande tentano di muovere la situazione presente verso una piu' desiderabile. "Che cosa esattamente deve cambiare, qui?", "In che modo potrebbero presentarsi questi cambiamenti?", "Che cosa porterebbe la situazione attuale verso...?", "Avete sentito o letto di cambiamenti di questo tipo? Cos'e' servito per ottenerli?". 3) Domande che considerano le alternative Esse esaminano come si combinano le visioni con i modi necessari al cambiamento. Ci sono moltissimi modi di arrivare al risultato. Se vi accorgete di essere incastrati fra due sole opzioni, tornate a parlare dei vostri sentimenti. Cercate alternative "strane", non usuali: anche se si rivelassero impraticabili, possono contenere dei semi di altre idee fattibili, o suggerirne. "Quali sono tutti i modi che riesci a pensare per ottenere questi cambiamenti?", "In che modo pensi di ottenere questo scopo? E in che altro modo?". 4) Domande che considerano le conseguenze Esplorate le conseguenze di ogni alternativa, in modo coscienzioso: quali le conseguenze personali, sociali, politiche, ambientali, ecc. "Quale sarebbe l'effetto se...?", "Questa alternativa andrebbe a interessare...?". 5) Domande che considerano gli ostacoli Qualsiasi alternativa ne ha. Identificateli, e lavorate su come maneggiarli se l'alternativa ipotizzata si tradurra' in azione. "Che cosa dovrebbe cambiare per arrivare a...?", "Che cosa ci impedisce di..?". 6) Domande inventario Sono quelle che tendono ad identificare gli interessi ed il potenziale contributo di ciascuno/a, nonche' il sostegno necessario all'azione. "Cosa preferiresti fare che sia utile al cambiamento che abbiamo in mente?", "Quali aspetti della questione ti interessano di piu'?", "Di che supporto hai bisogno per questo lavoro?". Questo e' il momento della discussione in cui una decisione collettiva comincia ad emergere. 7) Domande pratiche Sono quelle che sorgono dopo che la decisione e' stata presa. Ovvero: dove, quando, chi, come, ecc. "Con chi dobbiamo parlare per...?", "Chi porta il materiale?", "Dove mettiamo i manifesti?". * Ma questa e' solo "tecnica"?, potrebbe domandarmi qualcuno. No, e' un processo politico che incoraggia le persone a trovare la propria strada rispetto al cambiamento. E' politico perche' porta le discussioni oltre i dogmi e le ideologie, fornendo prospettive nuove su problemi comuni. E' politico perche' e' un modo per trasformare il nostro attaccamento ai nostri scopi, aprendolo ad opzioni che sono scopi collettivi. Trovo sempre buffo notare come resistiamo al cambiamento, persino noi attiviste/i che ne parliamo a iosa, ma quando riusciamo a compiere il primo passo liberiamo un sorprendente flusso di vitalita', creativita' e saggezza, che sono esattamente le cose di cui abbiamo bisogno. Ci sono molti fattori che possono trattenerci dall'agire: non conosciamo alternative, poiche' non abbiamo sufficienti informazioni sulla situazione; non abbiamo fiducia in noi stessi e cerchiamo un leader che ci guidi; la situazione appare cosi' spaventosa e grave da indurci al fatalismo; ecc. Un dialogo dinamico ci aiuta a sciogliere questi nodi, a concentrarci su come il cambiamento puo' accadere e su come legare la nostra forza e la nostra volonta' a quelle degli altri. Alcuni anni or sono, la visione prevalente nel lavoro relativo al cambiamento sociale era: "Se diamo le informazioni giuste alla gente, quest'ultima si sollevera'". Oggi sappiamo che l'informazione di per se' non e' sufficiente, che c'e' la necessita' di facilitare il muoversi sull'istanza, e che le idee e le energie migliori vengono piu' dagli individui che dai "capi" (quelli che si ergono davanti alla folla e dicono, o urlano: "Ecco cosa dobbiamo fare!"). Sappiamo anche che persone e gruppi hanno visioni differenti di come avviene un cambiamento e che le azioni intraprese (o il non agire) sono in relazione diretta con queste visioni. Se per esempio chiedete alle persone di che cambiamenti sono state testimoni nella loro societa' otterrete delle lunghe liste: vestiti, abitudini, moduli relazionali, modi di lavorare o di passare il tempo libero, ecc. Ogni cambiamento menzionato ha alle spalle un processo: e in numerosi casi la trasformazione e' stata il frutto di una campagna di pressione, del diffondersi delle informazioni, di azioni dirette, e persino di leggi che hanno colto il mutamento e lo hanno ratificato. Riuscire a vedere il processo nel passato fornisce motivazioni per agire anche nel presente; e capire che visione hanno del cambiamento gli individui fornisce indizi preziosi sulle tecniche che essi saranno disposti ad usare o a sostenere. 8. RIFLESSIONE. NICOLETTA DENTICO, RAFFAELE SALINARI: BESTEMMIE UMANITARIE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 marzo 2003. Nicoletta Dentico e' direttrice generale di "Medici Senza Frontiere", Raffaele Salinari e' presidente di "Terres Des Hommes", due organismi non governativi di solidarieta' e cooperazione internazionale] Kosovo, Afganistan e, ormai ineluttabile, l'Iraq. Sono i ciclici scenari che collegano, accanto alle crisi tragicamente ignorate, il trascorso secolo breve a quello che viviamo oggi. Un'oltranza epocale che si caratterizza per le disuguaglianze crescenti sulla faccia del pianeta, ma anche per la centralita' della guerra, confermata prosecuzione dell'assenza di politica con altri mezzi, e per la riduzione del diritto internazionale a semplice diritto del piu' forte. Brutale paradosso di questa operazione, la progressiva militarizzazione dell'azione umanitaria (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e la maggior parte dei paesi dell'Unione Europea hanno modificato la loro dottrina militare incorporando gli aiuti umanitari alle missioni degli eserciti), ovvero le ragioni umanitarie delle armi e la giustificazione umanitaristica delle guerre, che mira a trasformarne la natura agli occhi delle opinioni pubbliche occidentali. E poi la battaglia delle relazioni pubbliche, sofisticato fronte della cittadinanza per chi non va al fronte. * E se (con le parole di Eduardo Galeano) l'aggettivo umanitario conferma, oggi come non mai, la cattiva opinione che la maggior parte degli abitanti del pianeta ha sul genere umano, la transizione dalla guerra umanitaria del Kosovo a quella preventiva dell'Iraq, passando per l'azione afghana segnata dalla strategia delle "bombe e pane" di blairiana memoria, segnala, oltre ogni possibile interpretazione, l'inarrestabile deriva di quello che una volta veniva chiamato il diritto umanitario. I capisaldi di questa dottrina, evocata da molti ma studiata e applicata con coerenza da pochi, risiedono su alcuni chiari principi: l'indipendenza dell'aiuto da ogni condizionamento di ordine politico e quindi militare, l'imparzialita' nel diritto di accesso delle vittime, tutte le vittime. La guerra umanitaria del Kosovo ma, ancor piu' la rappresaglia afghana, hanno stravolto in profondita' questi principi. L'aiuto umanitario fa ormai parte integrante del dispositivo bellico: lo dichiaro' a chiare lettere Tony Blair, campione della coalizione militare-umanitaria che si accingeva a bombardare l'Afghanistan dopo l'11 settembre, quando affermo' che i tre tasselli (militare, diplomatico e umanitario) erano andati a posto e che si poteva bombardare. Nel caso dell'Iraq, la strutturazione di questa indigeribile propoganda ha dato origine, nelle ultime ore di vigilia bellica, all'Ufficio per la Ricostruzione e gli Aiuti Umanitari da parte del Pentagono: avra' il compito di determinare il quadro di lavoro delle organizzazioni umanitarie e indicare le aree di intervento. In altre parole, qualsiasi presenza, trasferimento o progetto dovra' ottenere l'approvazione di questo organismo e la benedizione dell'esercito americano. Il compimento di una mutazione genetica. * Per le organizzazioni umanitarie, qualunque sia la loro storia e la loro specificita' operativa, si impone un enorme problema di coerenza. Invero, la necessita' di rimettere in causa (o di re-inventarsi?) la "raison d'etre" della propria esistenza, intrappolata in un rischio di legittimazione usurpato a oltranza. Certamente, nessuno ha il monopolio degli aiuti. Ma l'indipendenza dell'azione umanitaria deve essere senza se e senza ma. Altrimenti, l'azione, umanitaria non e'. Non e' pensabile arruolarsi a diventare il braccio di servizio, o meglio l'alibi, di organizzazioni politiche e militari implicate direttamente o indirettamente nel conflitto. Non e' possibile assoggettarsi a un programma nascosto che ha valenze puramente geo-strategiche. Ne va anche della percezione che le vittime hanno di noi, e quindi del nostro rapporto con i beneficiari. Per questo motivo una delle sfide che sempre piu' criticamente si pone di fronte agli operatori umanitari e' quella dell'indipendenza economica. Nel nodo gordiano della strategia di reperimento dei fondi, infatti, si sostanzia anche la cifra della nostra indipendenza politica. E' legittimo - in un'ottica di diritto umanitario - prendere fondi da un governo che decide di aderire all'azione militare, e che si pone quindi come parte belligerante? A quale credibilita' si affida chi adotta una politica di fondi pubblici - quindi, in qualche modo, dovuti alle organizzazioni umanitarie - quando l'amministrazione che eroga i fondi sottoscrive una guerra al di fuori di ogni legale riferimento del diritto internazionale? Non e' piu' sufficiente dichiarare, come si usava fare sino a tempi recenti, che non e' importante l'origine dei fondi quanto cio' che se ne fa. Cosi' si contribuisce a chiudere il circolo vizioso di subalternita' dell'umanitario alle logiche militari: esattamente cio' cui aspirano i corifei della nuova dottrina. 9. RIFLESSIONE. GERARD LUTTE: SIAMO TUTTI IRACHENI [Ringraziamo Gerard Lutte (per contatti: gerardlutte at tin.it) per questo intervento. Gerard Lutte, di origine belga, da molti anni in Italia, docente universitario di psicologia dell'età evolutiva, ha partecipato a Roma alla vita e alle lotte degli abitanti di una borgata di baraccati e di un quartiere popolare e ad un lavoro sociale con i giovani piu' emarginati; collabora con movimenti di solidarieta' ed esperienze di accoglienza; ha promosso iniziative mirate e concrete di solidarieta' internazionale dal basso e di auto-aiuto, con particolar riferimento alla situazione centroamericana, di impegno di liberazione con i giovani e soprattutto le bambine e i bambini di strada. Tra le opere di Gerard Lutte: Quando gli adolescenti sono adulti. I giovani in Nicaragua, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Sopprimere l'adolescenza?, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984; Psicologia degli adolescenti e dei giovani, Il Mulino, Bologna 1987; Dalla religione al vangelo, Kappa, Roma 1989; Cinquantanove ragazze e ragazzi di strada con G. L., Principesse e sognatori nelle strade in Guatemala, Kappa, Roma 1994 (e' stata recentemente pubblicata una seconda edizione aggiornata)] Tra l'aggressore e l'aggredito, l'invasore e l'invaso, non ho scelta: mi sento iracheno, mi identifico con il popolo iracheno, come loro temo i bombardamenti, le superbombe, i missili, la supertecnologia della morte. E ammiro il coraggio dei loro soldati che non si arrendono e resistono con arme irrisorie, come gli indiani che combattevano con frecce gli invasori delle loro terre in tempi in cui la terra valeva di piu' del petrolio e del mercato mondiale. Piango i loro morti come i miei. Continuero' a soffrire con le famiglie che piangono i loro morti, con gli innumerevoli ammalati di cancro, con le madri che danno la luce a figli difformi. E anche con la terra, la madre terra, avvelenata e deturpata dalle armi "intelligenti". Piango anche i morti degli invasori, morte la cui responsabilita' ricade sui loro capi che vanno tranquillamente a passare il fine settimana nelle loro case di campagna mentre muoiono i giovani che hanno mandato a massacrare altri giovani dall'altra parte del mondo. Pero' allo stesso tempo mi chiedo. Ma perche' ci vanno? Perche' ubbidiscono? Perche' non si ribellano? Perche' non fraternizzano con i loro fratelli che portano un'altra divisa? Vedendo lo spettacolo della guerra alla televisione, mi pare di capire che alcuni sono convinti e partecipano con il cuore a questa moderna crociata contro l'Islam. Altri invece non sono d'accordo, ma non vogliono affrontare la corte marziale per tradimento. La maggioranza obbedisce. * La sottomissione ai capi e' una delle tante conseguenze perverse dell'educazione all'obbedienza. I bambini, i giovani dovrebbero essere educati all'autonomia, alla responsabilita', al pensiero critico, all'obiezione di coscienza, alla ribellione. Grazie a Dio, centinaia di migliaia di giovani assieme a adulti e anziani riempiono le strade e le piazze del mondo intero per dire che non sono d'accordo, che questa guerra e' ingiusta e criminale. E mi auguro che queste manifestazioni continuino e si amplifichino, che diventino piu' incisive, piu' mirate nei loro obiettivi. Innanzitutto bisognerebbe rovesciare, con la forza tranquilla del popolo che si ribella, che insorge, i governi "democratici" dei Blair, Berlusconi e Aznar che fanno l'esatto contrario di cio' che vuole la stragrande maggioranza dei popoli che pretendono di rappresentare. Viviamo tempi bui in cui l'impero ricorre alla forza bruta per imporre il suo dominio al pianeta. Viviamo anche tempi di grandi speranze. C'e' un risveglio della coscienza in tutto il mondo. "Vinceremo!" proclama senza ridere Bush. Certo riuscira' a invadere l'Irak, a prendere il controllo dei pozzi di petrolio, a installare come in Afghanistan un governo fantoccio. Ma gia' aveva perso la guerra prima di iniziarla. Perche' non e' riuscito a convincere e nemmeno a comprare la maggioranza del consiglio di sicurezza, perche' la stragrande maggioranze dei paesi non sono d'accordo, e soprattutto perche' la maggioranza delle persone sono contrarie. Questa volta il controllo dei mezzi di comunicazione di massa a livello mondiale da parte degli Stati Uniti, o a livello nazionale da parte di Berlusconi, non e' stato capace di imbrogliare la gente, come era successo in altre circostanze. * Non sono "antiamericano" (meglio sarebbe dire "antistatunitense", perche' gli americani sono anche i canadesi e tutti i latinoamericani). E Bush non e' il popolo americano come Berlusconi non e' il popolo italiano. Ma il mito della "democrazia americana" per molti e' crollato. Si puo' chiamare modello di democrazia un paese in cui la maggior parte della gente e' indifferente, non partecipa alle elezioni in cui un Bush e' eletto presidente con meno del 20% dei voti? Un paese che conta il 6% della popolazione mondiale e accaparra il 53% della ricchezza del pianeta, riuscendo a fare vivere nella miseria buona parte del suo popolo? Un paese il cui governo ha creato o appoggiato le peggiori dittature in Nicaragua, in Guatemala, in Cile, Argentina, Filippine, persino in Afghanistan e in Irak, e in tanti altri paesi del mondo? Un paese che ha partecipato a genocidi come quello avvenuto in Guatemala negli anni '80? Un paese che possiede la maggior parte delle armi di distruzione di massa e le ha usate (a Hiroshima, Nagasaki, in Vietnam) quando non e' costretto come oggi a fare apparire "umanitaria" una guerra? Un paese che vuol usare l'Onu per far approvare le sue decisioni e infrange le sue decisioni e disprezza le leggi internazionali quando gli conviene? Un paese subordinato agli interessi delle multinazionali, in particolare degli armamenti e del petrolio, che vuole dominare il mondo? Altro che democrazia, ci troviamo di fronte alla dittatura mondiale del denaro. * Un'altra conseguenza della guerra criminale di Bush e di quelli che egli rappresenta e' il risveglio della Chiesa che riscopre la sua missione profetica nell'"opporsi al faraone"come diceva un vescovo alla televisione. Papa Woytyla sta riscattando un assai discutibile, dal mio punto di vista, pontificato opponendosi decisamente alla guerra e alla volonta' imperiale di dominio, e in questa opposizione ritrova salute e vigore. E nella strada si incontrano non solo i giovani dei movimenti, ma anche gli adulti dei sindacati e di altre associazioni, di nuovo uniti. Dobbiamo continuare a protestare, a manifestare. Dobbiamo soprattutto organizzarci, unirci a livello nazionale e internazionale per contrastare non solo questa guerra, ma il piano imperiale di dominio totalitario del mondo iniziato con l'invasione dell'Afghanistan e dell'Irak. Siamo tutti iracheni, di questo popolo, oggi simbolo dell'umanita' martoriata. 10. LUTTI. MARISA RODANO RICORDA LAURA LOMBARDO RADICE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 marzo 2003] E cosi', anche tu, cara Laura, ci hai lasciati: te ne sei andata in una brutta giornata di guerra, di una guerra "nuova", "preventiva", cioe' senza neppure un simulacro di giustificazione. Eravamo in guerra anche allora, in una guerra ben diversa, pur se terribile, la guerra della grande alleanza antifascista contro il nazismo, che aveva aggredito uno dopo l'altro tutti i paesi europei, quando ti ho conosciuta, alla fine del '39 o all'inizio del '40. Laura era piu' grande di me, gia' laureata, forse gia' insegnante: ma io la conobbi come la "ragazza di Pietro", una ragazza piu' matura, piu' esperta, piu' colta di noi, un esempio, una guida. Pietro era tra i compagni che cercavano di coordinare la lotta clandestina contro il fascismo a Roma dei comunisti (e, a partire dalla primavera del '42, dopo che Franco Rodano entro' nel cosiddetto "triumvirato", anche quella dei cattolici comunisti). Laura fu il nostro punto di riferimento allorche', all'inizio del '43, Mario Alicata venne arrestato e Pietro dovette fuggire a Milano. E fu proprio il fratello di Laura, Lucio, a raccogliere il testimone, sostituendo Pietro. Ma, giunta all'eta' in cui la memoria, come dice Natalia Ginzburg, "si sfolla", i ricordi piu' vivi restano quelli di Laura durante i nove mesi dell'occupazione nazista di Roma. Laura che assieme a poche colleghe e colleghi fu tra le infaticabili organizzatrici del movimento di resistenza dentro le scuole, tra insegnanti e studenti; Laura che assieme ad Adele Bei contribui' a fondare e costruire a Roma i gruppi di difesa della donna; Laura che ci dava indicazioni e suggerimenti per organizzare i movimenti delle donne a Roma per il pane, contro le razzie dell'organizzazione Todt, per Roma citta' aperta, per far arrivare il "soccorso rosso" alle famiglie dei caduti e degli arrestati; Laura che ci invitava a tessere la tela dell'unita'. E, dopo la liberazione, le battaglie per l'emancipazione femminile, per la riforma della scuola, per la pace. Ci eravamo sposate tutte e due durante la guerra, nel '44; ci accomunarono le gravidanze numerose e frequenti - i nostri figli sono quasi coetanei - e la pretesa di non abbandonare l'impegno pubblico pur avendo famiglie numerose. Poi, per lunghi anni, ci siamo incontrate piu' di rado, divise da impegni di lavoro e famigliari sempre assorbenti, lasciando, come ha scritto ieri Luigi Pintor, "poco spazio all'amicizia e agli affetti". Oggi resta il dolore di averti perduta. Ma il tuo cuore di vecchia pacifista dei tempi in cui le bandiere arcobaleno si fabbricavano in casa, cucendo pazientemente nastri multicolori, puo' riposare tranquillo se oggi sono tanti gli arcobaleni che sventolano da mille e mille finestre e sono tanti gli uomini, le donne, i giovani, che assieme ai tuoi figli e ai tuoi nipoti, scendono in piazza contro la guerra. Forse a te, caro Pietro, ai tuoi figli, puo' dare, questo pensiero, un po' di conforto: anche il lungo, paziente, tenace impegno di Laura ha trasmesso dei valori e ha lasciato dei semi, che continuano a dare frutti. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 547 del 26 marzo 2003
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