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La nonviolenza e' in cammino. 546
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 546
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 25 Mar 2003 12:01:28 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 546 del 25 marzo 2003 Sommario di questo numero: 1. Sul sagrato del duomo di Narni 2. Unione donne italiane, contro tutte le guerre 3. Alessandro Marescotti, oggi davanti al senato contro i mercanti di morte 4. Amelia Alberti, come a volte a teatro 5. Maria G. Di Rienzo, fare domande 6. Ileana Montini, nuovi anziani e nuove anziane 7. Valentino Parlato ricorda Laura Lombardo Radice 8. Luigi Pintor ricorda Laura Lombardo Radice 9. Giulio Vittorangeli, il cielo sopra Baghdad 10. Quattro senatori denunciano il ministro Martino 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. SUL SAGRATO DEL DUOMO DI NARNI [Domenica 23 marzo a Narni si e' svolta una fiaccolata per la pace, da piazza Vittorio De Sica a Narni Scalo, fino alla Rocca che sovrasta l'ampia serena conca ternana che ti si schiude a notte bella come la culla del mondo. Lungo il percorso e' stata fatta tappa nel cuore antico della citta' di Narni, e dai gradini del sagrato del duomo hanno preso la parola per confortare e ringraziare i camminanti e i concittadini e le persone tutte di volonta' buona, ed esprimere alcuni riflessi dei sentimenti di tutti, il parroco, il sindaco, ed uno degli amici che da tempo partecipa del percorso di accostamento alla nonviolenza promosso da varie persone di Narni, Amelia, Attigliano, Terni ed altre citta' e paesi della regione. Qui di seguito ricostruiamo a memoria la sintesi del terzo intervento] * Ci sta a cuore l'umanita' Siamo qui, ognuna e ognuno con i nostri volti, con le nostre storie personali e collettive. Siamo qui, per dire ancora una volta che la vita umana ha un valore, ognuna e ognuno di noi una particola, una scintilla di umanita', e tutta intera l'umanita' in ognuno e ognuna di noi. Siamo qui, per dire ancora una volta che ci sta a cuore l'umanita', e ci sta a cuore ogni singola vita umana. E chi uccide un essere umano colpisce l'umanita' intera, chi uccide chiunque altro uccide anche una parte di se stesso. E' per te che suona la campana. Siamo qui, con i nostri volti, con i nostri corpi, con i nostri cuori, con il nostro respiro e il nostro affanno, perche' ci sentiamo umanita', perche' siamo umanita'. E vogliamo che l'umanita' viva. * Contro la guerra, dalla parte delle vittime Siamo qui per dire che la guerra e' sempre omicidio di massa, e' sempre uccisione di donne e di uomini. Noi diciamo no alla guerra. Siamo qui per dire no al terrorismo, e alla guerra che e' il terrorismo piu' grande. Siamo qui per dire no alle dittature, e alla guerra che e' la dittatura piu' grande. Siamo qui per dire no alle uccisioni, e alla guerra che e' cumulo di uccisioni. Siamo qui per dire che la guerra e' nemica dell'umanita', e noi siamo umanita'. Siamo qui per dire che la guerra nell'epoca delle armi di sterminio di massa mette in pericolo la sopravvivenza dell'intera umanita', puo' distruggere l'umanita' intera, e noi siamo umanita', noi non vogliamo essere distrutti, noi vogliamo che l'umanita' viva, e nessun essere umano sia ucciso. Siamo qui per dire che la guerra deve essere bandita dalla storia affinche' possa esservi ancora una storia umana, affinche' possa proseguire la vita degli uomini e delle donne. Siamo qui perche' occorre scegliere tra la guerra e l'umanita', tra la catastrofe e l'umanita', tra il nulla e l'umanita'; e noi siamo umanita', e solo la pace puo' salvare l'umanita' dall'annientamento. Siamo qui nel nome e nel ricordo delle vittime di Auschwitz e di Hiroshima, per dire mai piu' guerre, mai piu' persecuzioni. Siamo qui nel nome e nel ricordo dei caduti di tutte le guerre, per dire mai piu' guerre, mai piu' persecuzioni. Siamo qui per dire che vogliamo che siano riconosciuti tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani; e di tutti i diritti il diritto fondamentale senza del quale nessun altro diritto si da' e' il diritto a vivere, a non essere uccisi. * Noi abbiamo ancora un sogno Come Martin Luther King noi abbiamo ancora un sogno. Il sogno che un giorno le figlie ed i figli dell'umanita' possano vivere in pace e in armonia. Ed e' oggi che occorre agire perche' questo sogno, di pace e di liberazione, diventi realta'. Il sogno che un giorno le spade saranno trasformate in aratri. Ed e' oggi che occorre agire perche' questo sogno, di disarmo e di solidarieta', diventi realta'. Il sogno di Giacomo Leopardi, che l'intera umanita' si unisca contro il male e la morte. Ed e' oggi che occorre agire perche' questo sogno, il sogno della dignita' di tutti e di ognuno e della sorellanza e fratellanza umana, diventi realta'. * Sognatori pratici: fermare la guerra, costruire la pace Perche' noi siamo dei sognatori di un tipo speciale. Siamo sognatori pratici, non ci basta essere sognatori, vogliamo essere anche costruttori di sogni. Siamo sognatori pratici, i nostri sogni voglamo realizzarli. Siamo sognatori pratici, che sognano con l'anima e col corpo, con i piedi e con le mani, che alla sequela di una visione di pace e di giustizia si mettono in cammino; che alla sua edificazione mettono mano, scegliendo la convivenza anziche' l'uccidere, la dignita' anziche' l'umiliazione, la solidarieta' anziche' l'oppressione, la pace anziche' la guerra. Noi sappiamo che la pace non verra' da sola, ma sara' il frutto dell'agire giusto, sara' l'opera della volonta' buona di donne e di uomini. O non sara'. Noi sappiamo che la pace non piovera' dal cielo, ma dovra' essere edificata dalla terra, con lo sforzo tenace e faticoso, ed insieme tenero e benigno, con lo sforzo sempre piu' cosciente e limpido delle donne e degli uomini di volonta' buona. O non sara'. Noi sappiamo che ad ogni uccisione dobbiamo opporci, qui e adesso, con le nostre mani e con i nostri cuori. Noi sappiamo di dover fermare la guerra, qui e adesso, con i nostri cuori e con le nostre mani. Per dire questo oggi siamo qui. * Le leggi e le opere Opporsi alla guerra e' necessario, e' necessario fermare la guerra. Lo chiede e lo comanda l'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana che ripudia la guerra: noi siamo qui fedeli a quella speranza e a quell'impegno scritto col sangue dei martiri della Resistenza. Noi siamo qui fedeli alla legge fondamentale del nostro paese, garanzia di liberta', presidio di democrazia. Noi siamo il popolo italiano, noi siamo l'Italia. Lo chiede e lo comanda la Carta delle Nazioni Unite che fin dal suo preambolo chiama i popoli del mondo ad unirsi per impedire il flagello della guerra: noi siamo fedeli a quell'impegno e a quella speranza scritta col sangue dei martiri di tutte le lotte di liberazione, di tutte le Resistenze all'inumano. Noi siamo qui fedeli alla legge dei popoli delle Nazioni Unite. Noi siamo persone e popolo, popoli del mondo. Lo chiede e lo comanda la legge scritta in tutte le grandi tradizioni religiose e filosofiche, la legge incisa nel vivo delle coscienze, la legge che dice "Tu non uccidere": noi siamo qui fedeli a quella voce, a quella pietra, a quella rosa che e' la civilta' umana in tutte le sue tradizioni grandi, ad unire la nostra voce a quella voce: "Tu non uccidere". Noi siamo le figlie ed i figli dell'intera umanita' passata. Ci sta a cuore l'umanita' passata. Lo chiede e lo comanda l'appello a impedire la distruzione del mondo da parte delle armi che oggi possono annichilire l'intera civilta' umana e ridurre il pianeta a deserta rovina: noi siamo qui perche' quell'appello abbiamo udito. Abbiamo a cuore la vita e la felicita' dei figli nostri e delle nostre figlie. Ci sta a cuore l'internazionale futura umanita'. Lo chiede e lo comanda l'invocazione che il volto muto e straziato delle vittime degli orrori del secolo nostro ci rivolge, e ci chiama alla responsabilita': noi siamo qui all'ascolto di quel grido, noi siamo qui perche' ci sentiamo responsabili, noi siamo qui perche' una e' la carne dell'umanita'. Noi siamo qui perche' siamo parte dell'umanita' vivente, dell'umanita' intera. E vogliamo che l'umanita' viva: in tutti ed in ciascuno. * Le opere e le leggi Opporsi alla guerra e' dunque necessario, e' dunque necessario fermare la guerra. Ma e' anche possibile? Noi diciamo di si'. Con l'azione diretta nonviolenta per bloccare materialmente, concretamente, effettualmente, la macchina bellica stragista. Nel nostro stesso paese mettendo in condizione di non nuocere gli apparati e gli strumenti della guerra. Con la denuncia penale dei poteri golpisti, terroristi e stragisti che la guerra hanno promosso e favoreggiato, che la guerra stanno eseguendo ed appoggiando. Occorre che essi siano arrestati, processati e puniti per crimini di guerra e crimini contro l'umanita', e per quanto concerne le pubbliche autorita' italiane che alla guerra hanno dato e stanno dando effettuale sostegno anche per il reato di colpo di stato, di tradimento della Costituzione e attentato alla Costituzione cui pure avevano giurato fedelta'. Con lo sciopero generale ad oltranza fino alla caduta del governo golpista e fuorilegge che sostiene la guerra terrorista e stragista, ed alla sua sostituzione con un governo che rispetti la legalita', la Costituzione, il diritto internazionale, la dignita' e il diritto a vivere del popolo italiano e dell'umanita' intera, un governo che obbedisca e adempia al dovere ad esso imposto dalla Costituzione di opporsi alla guerra. Con scelte personali di giustizia e di condivisione, nella nostra stessa vita quotidiana, nei nostri consumi, nelle nostre relazioni, nel nostro sentire ed agire quotidiano. E' con le nostre mani, con i nostri gesti, che noi diciamo la parola pace. Con il disarmo, coll'opposizione a tutti gli strumenti e gli apparati di morte. E con la scelta della nonviolenza, che e' l'unica risorsa che puo' fermare la guerra, che puo' salvare l'umanita'. * No alla guerra, giu' le armi Nel nome e nel ricordo di Oscar Romero, di cui domani ricorre l'anniversario dell'uccisione, noi diciamo "no alla guerra, giu' le armi". Nel nome e nel ricordo di Rachel Corrie, la giovinetta americana nonviolenta assassinata pochi giorni or sono, noi diciamo "no alla guerra, giu' le armi". Nel nome e nel ricordo di Rosa Luxemburg, che "poiche' ai poveri diceva la verita' / i ricchi l'hanno mandata nell'aldila'", noi diciamo "no alla guerra, giu' le armi". Nel nome e nel ricordo di Etty Hillesum, che anche nel lager volle essere "cuore pensante" per l'umanita' intera, noi diciamo "no alla guerra, giu' le armi". Nel nome e nel ricordo di Marianella Garcia, l'Antigone salvadoregna sorella di tutte le vittime soccorritrice di tutti gli oppressi assassinata vent'anni fa, noi diciamo "no alla guerra, giu' le armi". Nel nome e nel ricordo di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, testimoni dell'orrore della guerra e dei profitti sanguinolenti di essa, noi diciamo "no alla guerra, giu' le armi". E nel ricordo di tutti gli uccisi, il cui numero e' infinito e il cui stesso nome e' stato cancellato dalla furia degli assassini, ma la cui voce e' ancora viva e impetuosa se solo noi in silenzio ci disponessimo all'ascolto del palpito del nostro stesso cuore, noi diciamo "no alla guerra, giu' le armi". * Qui Siamo qui, ognuna e ognuno con i nostri volti, con le nostre storie, per dire ancora una volta che la vita umana ha un valore, per dire ancora una volta: fermiamo la guerra, cessino le uccisioni, fuori la guerra dalla storia. Vogliamo vivere. Siamo esseri umani. 2. EDITORIALE. UNIONE DONNE ITALIANE: CONTRO TUTTE LE GUERRE [Da Rosangela Pesenti (per contatti: rosangela_pesenti at libero.it) riceviamo e diffondiamo il comunicato che l'Udi (per contatti: e-mail: udinazionale at tin.it, tel. 066865884) ha diffuso il 20 marzo] In queste ore il fragore della guerra gia' riempie tutto il nostro presente. Noi sappiamo di poter continuare il cammino della pace. Non pronunciamo queste parole col cuore leggero, ma non intendiamo entrare nella logica della guerra che ci dichiara sconfitte. La guerra e' una sconfitta per tutti perche' impone categorie semplificate di lettura e devasta la convivenza anche dove non cadono direttamente le bombe. Nella guerra il bilancio della vita e' sempre in perdita per tutti, ma noi donne perdiamo di piu' proprio perche' sulla vita, la sua cura e conservazione investiamo di piu' e perche' la guerra cancella i soggetti, donne e uomini, grandi e piccoli affidandoci tutti agli stereotipi degli slogan. Contro questa guerra, contro tutte le guerre, noi ci prepariamo a un lungo lavoro, a cominciare da subito. Ci impegniamo a moltiplicare la visibilita' delle nostre parole e praticarle in ogni momento della nostra vita perche' quella che vogliamo per tutte e tutti e' una pace da abitare. Questa guerra non promette solo il consueto carico di morte e di distruzione, ma rappresenta anche il disprezzo della volonta' della maggioranza delle donne e degli uomini che abitano la terra e una grave delegittimazione degli organismi internazionali. Aderiamo a tutte le forme di mobilitazione collettiva per testimoniare il nostro ripudio della guerra come forma di risoluzione dei conflitti ed esercitare il dovere di cittadinanza condiviso nel nostro patto costituzionale. Abitiamo un mondo piu' grande di quello che sanno percorrere i nostri piedi, la pace e' la strada che ci consente di valicare i confini che ancora rinchiudono i nostri pensieri. La pace e' la condizione in cui radichiamo il nostro presente per poter crescere il futuro. 3. INIZIATIVE. ALESSANDRO MARESCOTTI: OGGI DAVANTI AL SENATO CONTRO I MERCANTI DI MORTE [Da Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, la principale rete telematica pacifista italiana (per contatti: e-mail: a.marescotti at peacelink.it, sito: www.peacelink.it) riceviamo e diffondiamo] E' un dovere di ogni pacifista "autoconvocarsi" individualmente e andare a Roma di fronte al Senato martedi' 25 marzo. Ognuno con la bandiera della pace. Ognuno contro i mercanti di armi che stanno per brindare alla vittoria. Infatti la legge 185/90, una buona legge scritta nata per controllare l'esportazione di armi italiane, sta per essere smantellata. Quella legge la chiedemmo noi pacifisti quando i venditori di morte si arricchivano inviando armi a Saddam Hussein e ad altri dittatori. Oggi - nel pieno di una guerra nata con il pretesto di disarmare "il rais" ieri cosi' ben armato da chi oggi lo bombarda - rispunta la "lobby di Saddam". Si', proprio quella che ieri armo' il dittatore e che oggi punta ad armare altri dittatori liberalizzando il mercato bellico, oggi regolato per l'Italia dalla legge 185/90 che proibisce di vendere armi a stati che violano i diritti umani. Che fare? Esiste ancora una probabilita' di salvare una buona legge, tentiamola. Ognuno con la bandiera della pace si schieri davanti al Senato, dalla mattina alla sera. Ognuno fissi negli occhi i senatori e chieda un gesto di responsabilita'. 4. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: COME A VOLTE A TEATRO [Ringraziamo Amelia Alberti (per contatti: lambient at tiscalinet.it) per questo intervento. Amelia Alberti, presidente del circolo verbano di Legambiente, docente, di formazione tanto scientifica quanto umanistica, collaboratrice di questo foglio, impegnata in iniziative di pace e di solidarieta', ha questa straordinaria capacita' di restituire in parola poetica vibrante di emozione e verita' cio' che lo sguardo sui fatti del mondo coglie di essenziale, e cosi' la sua voce e' ad un tempo voce di denuncia e di impegno, di strazio per la visione dell'inumano, e di irriducibile resistenza all'inumano] Da "La Stampa" del 22 marzo 2002: "L'esito del braccio di ferro militare si gioca anche sul numero di vittime civili. I ruoli sono invertiti rispetto ai manuali di guerra tradizionali: il presidente americano George Bush attacca ma ha interesse ad evitare vittime quanto piu' possibile, il dittatore iracheno Saddam Hussein si difende ma ha l'interesse opposto perche' l'unica possibilita' di fermare la guerra, e di riuscire a sopravvivere, e' nel farla apparire sui teleschermi come un immane massacro". Assistiamo in questi giorni, anche noi che non siamo soliti intrattenerci con i video-games violenti, alla riduzione della morte (carne che urla, strazio, silenzio) a pantomima. Trangugiamo i servizi da Bagdad nelle ore che dedichiamo ai pasti e quindi inghiottiamo pasta o riso o carne o uova sullo sfondo di colonne di fumo o di sagome verdognole di aerei militari e carri armati in marcia. Raramente ci viene mostrato dagli schermi un essere umano sofferente (e magari noi siamo alla frutta o al caffe', gia' protesi ai nostri affari privati urgentissimi). La resa del soldato irakeno al collega amerikano ci e' apparsa piu' come il risultato di una mediocre ripresa cinematografica, che non come la reale, insopportabile umiliazione che e' stata. Che dire? La guerra, di sproporzioni cosi' enormi, ha un destino segnato e gli Amerikani vinceranno. E' anche possibile che dopo il rais subentri in Irak un governo meno bieco e assassino. A prezzo di uno straniamento globale, che da una parte inonda via internet le strade e le piazze di manifestanti sinceramente assetati di pace e giocondita', e dall'altra rende tutti noi comparse assunte senza contratto per una tragica rappresentazione, dove realta' e immaginazione si sovrappongono e la sofferenza rappresentata appare piu' vera di quella reale. Stiamo malissimo, come a volte a teatro. 5. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: FARE DOMANDE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] Fare domande e' l'attrezzo base per il cambiamento, giacche' le domande muovono verso l'azione. Fare domande puo' cambiare l'intera vostra vita, puo' cambiare istituzioni e culture. Fare domande puo' rivelare il potere e i sogni che giacciono inascoltati dentro di voi e darvi la capacita' di creare tecniche e soluzioni nuove. Fare domande ai vostri oppositori puo' spostarli verso la guarigione e la riconciliazione. Chiamiamole "domande chiave": sono quel tipo di domande che fanno la differenza. Esse danno inizio ad un processo che trasforma sia chi le pone, sia chi risponde. Quando ci apriamo ad altri punti di vista, le nostre stesse idee devono "muoversi", per accogliere informazioni diverse, nuove possibilita', tecniche differenti per risolvere i problemi. Vi hanno insegnato come fare domande? Siete state/i incoraggiate/i a farlo? E' accettabile negli ambienti che frequentate porre domande di cui non si conoscono in anticipo le risposte? Probabilmente no. A scuola, per esempio, ogni domanda ha la sua precisa risposta: quanto fa sei per sette? Dove mori' Garibaldi? Quante mogli ebbe Enrico VIII? Noi abbiamo cosi' appreso che le domande hanno risposte "fisse" e "corrette" e che, usualmente, vi e' una sola risposta per ogni domanda. La risposta errata viene punita con una valutazione piu' bassa ed il vasto scenario dell'apprendere si divide in due rigidi contenitori: giusto e sbagliato. Naturalmente, sei per sette non puo' che fare quarantadue in questo mondo, e porre domande simili e' utile per allenare la memoria, ma non offre alcuna preparazione alle questioni che le/gli studenti dovranno affrontare fuori dalla scuola. In alcune famiglie, le bambine ed i bambini imparano che devono evitare di porre domande a cui non vi sia una risposta certa, perche' cio' mette le persone adulte in imbarazzo. I genitori sembrano odiare il momento in cui devono dire "Non lo so". Puo' anche accadere che essi pensino meritevole di castigo o rimprovero il sentirsi porre domande imbarazzanti, al che i loro figli e le loro figlie smettono di farne. Questo e' assai inefficace nella nostra epoca, in cui siamo circondati da domande che non hanno risposte immediate e certe. E se nessuno vi ha insegnato come maneggiare situazioni simili, e' probabile che esse vi appaiano intimidatorie, spaventose, non risolvibili. * Apprendere come porre "domande chiave" e' il sentiero su cui trasformiamo una percezione passiva e timorosa del mondo in un'esplorazione dinamica delle informazioni e delle soluzioni di cui abbiamo bisogno. Noi siamo in grado di assemblare una risposta per quasi ogni problema. Torniamo un attimo alla scuola tradizionale. L'insegnante vi ha chiesto "Quanto fa sei per sette?" e voi avete risposto "Ventinove". Che accadrebbe se invece di replicare: "Sbagliato!", l'insegnante vi chiedesse di spiegare attraverso quale processo siete giunte/i a tale risultato? Avreste l'opportunita' di apprendere, assieme alla matematica, qualcosa su voi stessi, su come si forma il vostro pensiero, su come si interviene attivamente nell'apprendimento. E l'insegnante avrebbe la possibilita' di capire come migliorare l'efficacia delle tecniche che usa per spiegare la lezione. Nelle famiglie in cui il porre domande non e' incoraggiato, raramente gli adulti faranno seguire al loro "Non lo so" qualcosa del tipo: "Vediamo se si puo' trovare una risposta". Essi sono cosi' presi dal loro imbarazzo da non essere in grado di offrire altro. Oggi questo "altro" ve lo offro io. Non e' mai troppo tardi, d'accordo? * Ci sono sette caratteristiche principali per formulare una "domanda chiave": a) Una "domanda chiave" crea movimento. La maggior parte delle domande che poniamo sono statiche. Una domanda chiave chiede esplicitamente: "Come possiamo muoverci?". Si tratta di domande dinamiche, che tendono a non permettere alle situazioni di restare inchiodate dal senso di impotenza. Poniamo il banale caso che la vostra amica Sara abbia l'occasione di trasferirsi in un'abitazione che, a differenza di quella in cui vive ed e' nata, e' piu' grande, o ha un giardino, ecc. Sara e' molto attaccata alle sue origini e pur essendo tentata non sa cosa fare. Voi potete dirle: "E' un'occasione. Perche' non ti trasferisci?", ma non le sarete di molto aiuto. Le state facendo un suggerimento, non una domanda. Per le vostre ragioni, quali esse siano, voi pensate che dovrebbe trasferirsi, ed e' probabile che piu' farete pressione in questo senso, piu' Sara si irrigidira'. Una "domanda chiave" potrebbe invece essere: "In che tipo di posto ti piacerebbe trasferirti, se volessi farlo?"; oppure: "Che posto ti viene in mente se pensi ad un futuro felice?", o ancora: "Che significato ha il cambiare residenza, nella tua vita?". Sara, in questo modo, viene incoraggiata a parlare delle qualita' delle sue scelte, dei suoi scopi e di come raggiungerli: ed e' in questo che potete aiutarla. Porre domande simili puo' muovere le persone verso l'attivismo: "Che cosa ti piacerebbe fare per ripulire il fiume dall'inquinamento?", "Che cosa potresti fare per la pace?". Molte idee di valore nascono dalle repliche: soprattutto perche' le domande implicano il valore delle persone a cui vengono poste, sottintendono la loro volonta' e la loro capacita' di cambiamento. Quando ci troviamo incastrate/i in un problema, cio' che ci trattiene dall'agire per il cambiamento e' la mancanza di informazioni, o l'aver sperimentato una ferita personale rispetto all'istanza che stiamo fronteggiando, o il percepire che non vi sia posto e modo per muoverci rispetto ad essa. Quando io pongo la domanda: "Cosa ti piacerebbe fare per ripulire il fiume?" apro una porta, e invito le persone a muoversi oltre la sofferenza, il senso di colpa e di impotenza relativi all'inquinamento; le invito a sognare attivamente ed a creare il proprio contributo originale. * b) Una "domanda chiave" crea opzioni. Se chiedete a Sara: "Perche' non ti trasferisci in quella casa?", state ponendo una questione che e' dinamica solo in un senso (quella casa) e limitate le opzioni a disposizione della vostra amica. Una "domanda chiave", che e' piu' potente, ne offrira' altre: "In che tipo di posto ti piacerebbe trasferirti?". E' importante riuscire ad uscire dal pensiero binario (o/o) per porre domande di questo tipo: usualmente noi consideriamo solo due opzioni e non facciamo lo sforzo creativo di guardare a tutte le possibilita'. Mi si dira' che la scelta fra due opzioni ci e' familiare, e che e' piu' facile operare scelte in questo modo, ma rifletteteci un attimo: poiche' due alternative sono comunque piu' complesse di una, allora perche' non smettere semplicemente di pensare? Prendete quest'altra situazione. Una giovane donna decide all'improvviso di andarsene di casa: in famiglia si e' litigato spesso, la ragazza ha avuto problemi seri di qualsiasi tipo, ecc. La madre sa che treno prendera' la figlia e dove ella e' diretta, e pensa di avere solo due opzioni a disposizione: lasciarla andare, o correre alla stazione e tentare di convincerla a non prendere il treno. Pensando creativamente, ovvero ponendosi la domanda: "Cos'altro potrei fare per agire questo conflitto in modo positivo?", la madre potrebbe avere l'idea di prendere il treno con la figlia, e di parlare con lei durante le sei ore di viaggio... * c) Una "domanda chiave" va a fondo. Avete mai provato ad aprire un barattolo di pittura murale quando il coperchio si e' incrostato con la pittura secca? Certo, avete fatto leva con qualcosa. E avete usato un bastoncino per rimestare la pittura, andando a fondo. Con le "domande chiave" e' lo stesso. Alcune persone affrontano i problemi come se le loro teste fossero barattoli con il coperchio incrostato: se ponete loro la domanda che fa leva, e se questa riesce a smuoverle in profondita', vedrete scaturire da quelle teste una miriade di soluzioni creative, innovative, originali. * d) Una "domanda chiave" evita il "perche'". Ricordate Sara? Quando le avete chiesto "perche'" non si trasferiva, la vostra domanda intendeva conoscere le ragioni per cui lei non avrebbe voluto farlo, piuttosto che creare un contesto creativo sulla questione. Molti "perche'" sono di questo tipo. Forzano a difendere la prima decisione presa e creano resistenza al cambiamento. Riuscite a percepire la differenza fra il chiedere: "Perche' non vieni piu' alle riunioni?" e "Cosa ti trattiene, o ti impedisce, dal partecipare al lavoro di gruppo?". Chiedere "perche'" puo' servire quando state definendo valori e significato del vostro gruppo o del vostro lavoro, ma in generale e' una leva corta. * e) Una "domanda chiave" viene formulata in modo da evitare le risposte "si'/no". Una domanda a cui si possa rispondere solo si' o no e' un vicolo cieco: lascia la persona a cui e' stata fatta in uno stato passivo, non creativo, e non incoraggia l'approfondimento della questione. Fate una prova: mettetevi d'accordo con qualcuno (il vostro migliore amico, vostro marito o vostra moglie, il vostro gruppo di attiviste/i, ecc.) e per una giornata riformulate tutte le domande che vi ponete l'un l'altro di modo da rendere impossibile rispondere solo si' o no. Preparatevi a dire, felici e meravigliati, il giorno dopo: "Non ho mai parlato tanto in vita mia. Sembra che in realta' ci conoscessimo assai meno di quel che credevamo". * f) Una "domanda chiave" da' potere. Essa crea infatti fiducia: la fiducia che ci si puo' muovere insieme, e che ciascuno ha la capacita' di intervenire. La domanda "Cosa ti piacerebbe fare per ripulire il fiume dall'inquinamento?" implica che colui/colei a cui viene posta ha il potere di cambiare qualcosa, ha una parte attiva nel processo di guarigione. E questo non e' limitato ai nostri amici e compagni. Una delle domande da fare sempre, ove possibile, ai nostri oppositori e': "Cosa potrebbe indurla a cambiare idea sulla questione?". Cio' significa che noi intendiamo percorrere con essi il sentiero della trasformazione, che abbiamo fiducia nella loro capacita' di cambiamento. Immaginate che io vada a protestare contro un'azienda agricola i cui lavoratori stanno tagliando alberi centenari e chieda loro: "Cosa potrebbe farvi cambiare idea, e indurvi a non tagliare alberi cosi' antichi?". La domanda e' un invito a chi ha in mano la sega a posarla un attimo, per trovare con me opzioni differenti. I lavoratori potrebbero rendermi palesi i loro ostacoli e i loro bisogni, io potrei porre alla loro attenzione le preoccupazioni dell'intera comunita' per quell'area, ecc. Se questo approccio riesce, la pianificazione risultante dal dialogo molto probabilmente non sara' la prima opzione che entrambe le parti avevano in mente, ma una nuova via che terra' insieme gli interessi di tutti. Dare potere e' l'opposto della manipolazione. Quando usate le "domande chiave" permettete alle persone di tirar fuori cio' che avevano in testa e di lavorarci sopra, piuttosto che cercare di stipare le vostre idee nei loro cervelli. * g) Una "domanda chiave" chiede cio' che non si deve chiedere. Per ogni individuo, gruppo o societa' esistono delle domande tabu'. Una "domanda chiave" e' spesso una di queste, perche' mette in discussione strutture, valori e assunti di base su cui l'istanza in questione si regge. Dunque, pensate a quella fiaba in cui l'imperatore, convinto di indossare dei meravigliosi abiti, si presenta nudo ad una parata. C'e' un bambino, o una bambina, che fa la domanda tabu': "Perche' l'imperatore e' senza vestiti?". Se il piccolo o la piccola fossero stati attivisti politici avrebbero magari fatto altre domande tabu': "Abbiamo davvero bisogno dell'imperatore?"; oppure "Come potremmo avere un governo piu' saggio di questo?". Ragionare su valori, abitudini, schemi di pensiero e azione, e' essenziale per il cambiamento. Se riuscite a farlo in maniera non faziosa, senza suscitare in chi parla con voi imbarazzo o senso di colpa, ma dirigendo le vostre domande verso il comune futuro, avrete reso un incomparabile servizio all'istanza di cui vi occupate. 6. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: NUOVI ANZIANI E NUOVE ANZIANE [Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it) per questo intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia' insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per "L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain" di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle" insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne". Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa, scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani, Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani, Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha redatto il progetto e curato la supervisione delle operatrici: titolo: "... ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione, insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir". Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia Menapace e Rossana Rossanda] E' tempo di fare i conti con le legioni di nuovi anziani. Chi sono? Dove sono diversi dai loro genitori e nonni, se lo sono? E le donne anziane, in particolare, dove vanno, come si comportano? A queste domande ha cercato di rispondere una bella ricerca condotta da due sociologhe, Elisabetta Donati e Pina Madami per conto della Fondazione Asm di Brescia e pubblicata di recente (Il futuro accettato, ricerca di Elisabetta Donati e Pina Madami, ed. Fondazione Asm di Brescia). Nell'introduzione Chiara Saraceno si pone una domanda: "Come chiamare chi ha tra i 60 e i 70 anni? Giovani anziani?". I loro comportamenti stanno creando qualche problema a chi si occupa di Welfare perche' sono diametralmente opposti agli stereotipi secolari sui "vecchi". Quali sono allora le "mappe mentali" che caratterizzano questi nuovi anziani del tremila? E' solo a partire dalla fine degli anni settanta e primi ottanta che le generazioni di sessantenni sperimenta l'eta' dell'anzianita' a livello di massa. Rispetto alla generazioni passate, meno istruite e meno autonome economicamente, le generazioni ultime di anziani sono preparate ad accettare la dipendenza dai familiari e sono meno disponibili a modificare le proprie abitudini. Sono le prime generazioni anziane ad avere piu' istruzione e ad essere stati bambini ed adolescenti in una Paese in forte evoluzione economica e di costume. Hanno assistito a rilevanti trasformazioni quali la diminuzione delle nascite e l'allungamento della vita. La riduzione della fecondita', anche per la diffusione degli anticoncezionali, ha liberato tempo alle donne e cosi' il modello della doppia presenza ha rappresentato una conquista ed insieme un'enorme fatica a reggere l'equilibrio senza l'aiuto di adeguati (in Italia) servizi sociali. Diventa pero' una sorta di risorsa in vecchiaia perche' l'impegno di cura conferma queste generazioni di donne come anello forte di rapporti intergenerazionali. Chi sono, allora, i sessantenni e settantenni? Si tratta di persone non piu' giovani, ma non ancora vecchie: vengono definiti post adulti in una fase in cui si porta a compimento la propria storia lavorativa e si ridisegna la collocazione nella rete parentale. Persone che, appunto, sono state coinvolte da processi di modernizzazione che differenzia la loro condizione dalle precedenti. Sono stati esposti a complessi mutamenti e sono soprattutto portatrici di domande nuove sul significato dell'invecchiare. Sono aumentati i pensionati con un'abitazione di proprieta' e pensione dignitosa; molti aiutano i genitori e i figli. Mediamente sono in buona salute e praticano la prevenzione. Ma tra uomini e donne ritornano le differenze. Quando giungono al pensionamento gli uomini da sempre hanno tempo libero organizzato, mentre per le donne e' un tempo diverso rispetto alla loro vita di prima e alle generazioni delle loro mamme. Gli uomini sembrano un po' quasi rallentare il passo, "sostare incapaci di affrontare il ricambio", e fanno piu' fatica a mettersi in discussione, mentre le donne sono piu' curiose. A questo punto emerge il lato della progettualita'. Nelle passate epoche non era concepito una periodo di vita aperto alla progettualita' dopo una certa eta'. E' questa la novita': emerge un bisogno, una tendenza alla progettualita' futura. Non poche sono le persone che continuano a lavorare, soprattutto tra gli autonomi. * Un segno di questa nuova tendenza lo si verifica nell'atteggiamento rispetto alla sessualita'. E' certamente ancora forte la mentalita' che ritiene la vita anziana come disdicevole per l'intimita' sessuale. Nella ricerca emerge chiaro che questo genera pero' sofferenza al posto della passiva antica accettazione: "dopo i 60 anni c'e' un bisogno di intimita' insoddisfatto, dovuto sia alla presenza di modelli culturali che identificano sessualita' e giovinezza che ai ruoli sessuali rigidamente definiti, che renderebbero gli uomini vittime anche in tarda eta' di una sorta di 'machismo' e le donne di 'mistica femminile'". La ricerca bresciana ha messo in evidenza come la dimensione affettiva e sentimentale e' pero' fonte di generale soddisfazione: si dichiarano soddisfatti nel 44% dei casi e abbastanza per il 37%, "componendo una popolazione di persone fra i 60 e i 70 anni diffusamente appagata nel bisogno di legami intimi". I desideri non fanno comunque i conti con il persistere degli stereotipi culturali. Infatti le donne temono soprattutto la reazione maschile e gli uomini che restano vedovi o divorziano a questa eta' cercano donne piu' giovani, anche perche' sarebbero terrorizzati dall'idea di provarci con una della loro eta'. Scrive Chiara Saraceno nell'introduzione che le donne anziane si rimettono in coppia meno degli uomini anziani e cio' ha certamente a che fare con il mito del corpo giovane, non segnato dagli anni "che accompagna in modo un po' contraddittorio lo spostamento in avanti della soglia dell'eta' anziana: perche' e' un corpo che non matura, che non e' segnato dal tempo, che non riconosce debolezze". La grossa novita' di queste generazioni nuove di donne anziane, e' che e' venuta un po' meno l'etica della sofferenza e l'oblativita' a tutto campo. Inoltre sono finalmente soggetti meno predicatori, meno invadenti perche' sentono, come scrivono le ricercatrici, "di non avere una eredita' certa da passare e non si sentono di dover sanzionare i comportamenti 'trasgressivi' dei figli/e (come nel caso di una separazione, divorzio)". Per concludere sembra terminata l'era antica degli anziani passivi verso il tempo che inesorabilmente avanza, lasciando emergere bisogni di progettualita' con un'immagine del futuro come tempo da riempire con progetti vicini ai propri desideri. 7. LUTTI. VALENTINO PARLATO RICORDA LAURA LOMBARDO RADICE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 marzo 2003. Valentino Parlato, tra i fondatori del "Manifesto", rivista prima e quotidiano poi, e' uno dei piu' prestigiosi intellettuali della sinistra italiana] La notizia della morte di Laura Lombardo Radice, nata nel 1913 a Fiume e sposatasi nel 1944 con Pietro Ingrao, suscita due pulsioni, convergenti. La prima e' il dolore per la morte, che e' forte e continua a persistere. Sappiamo bene che la morte e' il destino dei viventi, tuttavia resta il senso della perdita. La seconda pulsione, piu' personale e, quindi, anche piu' aspra e' quella di conoscere poco, o di aver rimosso, la storia della persona per la cui morte ci addoloriamo, tanto piu' che quella storia e' - dovrebbe essere - anche storia nostra. Ieri mattina, lo confesso, la mia prima reazione alla notizia e' stata quella di prendere il dizionario enciclopedico della Treccani per leggermi chi era Giuseppe Lombardo Radice, padre di Laura e anche di Lucio, che ho conosciuto e frequentato piu' di Laura. Giuseppe Lombardo Radice era un pedagogista importante, che ebbe grande peso nella riforma Gentile, che (a mio sommesso parere) nonostante il fascismo del suo autore, e' stata fondamentale nella formazione degli italiani e anche di quell'antifascismo che poi si espresse nella Resistenza e nella Repubblica. Quella di Giuseppe Lombardo Radice era la famiglia formativa di Laura e una famiglia che gia' nei primi anni '30 si sarebbe incontrata con quella di Adolfo Natoli, padre di Aldo, e di Fortunato Pintor, uno dei protagonisti della storia della Treccani. Tre persone, tutte uscite dalla Scuola Normale di Pisa e tutte e tre fondamentali per la generazione nata tra la seconda meta' degli anni '20 e i primi anni '30. E' un letto di cultura che abbiamo rimosso, ma senza del quale non saremmo quelli che siamo: come dimenticare che Lucio Lombardo Radice, nel comitato centrale del Pci, si astenne quando ci fu la radiazione degli eretici de "il manifesto"? Laura, che purtroppo ho conosciuto poco e che ho cercato di capire meglio attraverso i racconti di Pietro, delle figlie e soprattutto dalle lacrime della nipote Eva, deve aver rappresentato ed espresso questa ricchezza. Diventata antifascista e comunista in questo brodo di coltura, alieno dal fanatismo, ma senza limiti all'impegno politico ed esistenziale; Laura appena ventenne partecipa alla protesta delle donne in via Giulio Cesare, quella ripresa in Roma citta' aperta, dove la Magnani rappresenta l'uccisione della Gullacci. Laura e' nata e si e' formata in quel ricchissimo crogiuolo del '900, che colpevolmente abbiamo rimosso e che, con poco buon senso, qualcuno condanna. E' questo crogiuolo che ci aiuta a leggere la vita di Laura. L'eredita' della nonna fiumana, maestra di scuole elementari, ma impegnata pedagogista e, a suo modo, femminista. Nella nostra famiglia - mi dicono le figlie - c'e' una sorta di genealogia femminile, di autonomia femminile, che in Laura si e' manifestato nell'eguale impegno materno e politico. Laura frequentava la sezione Italia del Pci, ma ha sempre evitato di essere parlamentare o consigliere comunale; pare che una volta sola sia stata consigliere di circoscrizione. Ma soprattutto l'impegno nell'insegnamento: in casa e a scuola. In casa raccontando ai figli non solo le favole, ma anche pezzi della Divina Commedia o i racconti di Boccaccio o, ancora, pezzi dei Promessi sposi. E poi nella scuola pubblica. Cominciando, ai tempi dell'antico precariato, a Chieti e poi alla scuola magistrale Oriani di Roma. E, sopraggiunta la pensione, insegnante volontaria ai carcerati di Rebibbia, alcuni dei quali ancora telefonavano. Mi piacerebbe concludere, scimmiottando Flaubert, "Laura Lombardo Radice sono io", ma purtroppo non e' cosi' e non per colpa di Laura che fino all'ultimo ha cercato di dircelo, di farcelo capire. I suoi scritti, le sue lezioni, la sua partecipazione all'Udi, ma soprattutto il suo essere se stessa, questo volevano dirci. Per imparare c'e' sempre tempo e, a pensarci bene, ci sono molte Laure e Lauri, che abbiamo trascurato. Certo bisogna stare attenti alle novita', ai cambiamenti strutturali e sovrastrutturali (tanto per rimanere nel linguaggio canonico), ma questo non e' proprio il momento di dimenticare, e vorrei aggiungere che dimenticare e' sempre sbagliato. Protestiamo tanto contro Fukuyama che ha detto che la storia e' finita, ma stiamo commettendo un errore ancora piu' grosso, quello di cancellare la storia che e' alle nostre spalle. Oggi dalle 15 alle 18 la camera ardente al tempietto egizio del cimitero del Verano. Nello stesso luogo, domani alle 9,30, si svolgeranno i funerali. A Pietro, Celeste, Bruna, Chiara, Renata, Guido, a tutti i nipoti un grande abbraccio da noi del "manifesto". 8. LUTTI. LUIGI PINTOR RICORDA LAURA LOMBARDO RADICE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 marzo 2003. Luigi Pintor e' nato nel 1925 a Roma, fratello di Giaime, antifascista, giornalista a "L'Unita'" dal 1946 al 1965, parlamentare, radiato dal PCI nel 1969 ha dato vita al "Manifesto", dapprima rivista e poi quotidiano su cui ancora scrive. E' uno straordinario corsivista politico, unisce una prosa giornalistica di splendida bellezza ad un rigore morale e di ragionamento di eccezionale nitore. Opere di Luigi Pintor: I mostri, Alfani, Roma; Servabo, Bollati Boringhieri, Torino; Parole al vento, Kaos, Milano; La signora Kirchgessner, Bollati Boringhieri, Torino; Il nespolo, Bollati Boringhieri, Torino 2001; Politicamente scorretto, Bollati Boringhieri, Torino 2001] Cara Laura, io ti ricordo come una sorella maggiore saggia e generosa ed e' con questo animo che vorrei ora salutarti abbracciando i tuoi figli e Pietro. E' un ricordo molto antico, il nostro tempo affannato in un mondo ostile lascia poco spazio all'amicizia e all'affetto. Cosi' abbiamo avuto una esistenza parallela ma senza l'intimita' della nostra adolescenza e giovinezza. La morte restituisce intatto questo antico ricordo. Abitavamo a due passi, in quel quartiere romano familiare, e capitavo a trovare te, Lucio, Giuseppina con la stessa reverenza che voi mostravate verso la nostra casa. Intuivo che con voi cresceva un'altra cultura, una giovane generazione comunista, ma il fascismo e la guerra incombente non oscuravano la serenita' che comunicavate al bambino qual ero. Lucio, il mancato appuntamento al tennis con Giaime, la prigionia, i libri compromettenti gettati nel Tevere, e il conforto della tua tenace presenza. Poi questa presenza, tenace e riservata, l'ho risentita quando al giornale di via IV Novembre e altrove si succedevano nel tempo i quattro nomi femminili e l'ultimo maschile dei vostri figli, che appena conosco ma di cui mi sento nonno. La memoria e' egocentrica e allora penso anche ai miei figli nati anche loro in quegli anni in cui pensavamo di cambiare il mondo. All'amicizia di Giaimetto con Marco, quando leggevano e recitavano Guerra e Pace. Forse abbiamo sbagliato a pensare troppo ai massimi sistemi anziche' a valori piu' elementari e essenziali. Pensieri e parole ora inutili, il dolore e' silenzio. Ma caro Pietro lasciami dire a bassa voce che non sei vissuto solo e non resti solo, anche se noi tutti in questo momento non possiamo nient'altro che abbracciarti. Luigi 9. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: IL CIELO SOPRA BAGHDAD [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, e una delle persone piu' lucide e rigorose impegnate nella solidarieta' internazionale] Si possono dire tante cose sull'assurdita' di questa guerra "Colpire e terrorizzare" (in realta' la prima guerra in Iraq non e' mai finita, e' continuata fino a oggi come guerra aerea e come embargo), scatenata per l'impossibilita' da parte dell'amministrazione americana di recedere senza rimettere in discussione la sua strategia complessiva e il suo primato mondiale, che non e' solo sete di petrolio. "Colpire e terrorizzare" e' la tragica dimostrazione di come la leadership che governa gli Stati Uniti ha interiorizzato e riconosciuto il terrore subito l'11 settembre, al punto da imitarlo e riprodurlo all'ennesima potenza. I bagliori luccicanti delle bombe che piovono sui quartieri di Baghdad; le immagini dei primi marines morti e di quelli catturati e mostrati da al-Jazeera; la gente che in tutto il mondo manifesta per le strade. Manifestazioni negative, le ha definite Berlusconi, e infatti lo sono perche' negano e rinnegano la catastrofe umanitaria che avanza; perche' vogliono spezzare la catena di dolore, di distruzione, di odio e di morte che e' iniziata nel 1991 con la prima guerra del Golfo ed e' proseguita nelle "guerre umanitarie" dei Balcani e in Afghanistan. Mai e' stato cosi' grande l'isolamento internazionale in cui sono precipitati i signori della guerra; perche' come ha scritto il "New York Times" (16 febbraio 2003) "Nel pianeta ormai ci sono due sole superpotenze: gli Stati Uniti e l'opinione pubblica". Una guerra contro la Costituzione e contro l'Onu, la cui ragion d'essere risiede precisamente nella messa al bando della guerra e nel mantenimento della pace, attraverso un complesso sistema di misure che include un uso regolato e controllato della forza sotto la costante direzione del Consiglio di sicurezza. Una guerra rilegittimata come sistema politico, presentata in nome della liberta' e della democrazia, negando il sanguinante paradosso: si fa la guerra per portare la democrazia, ma nel farla non ci si puo' permettere di essere democratici. Gli Stati Uniti hanno annunciato una lunga occupazione militare, dopo la vittoria. I suoi generali si faranno carico di stabilire la democrazia in Iraq. Come ha scritto Eduardo Galeano (ripreso nel n. 543 di questo foglio): "Sara' uguale a quella che regalarono a Haiti, alla Repubblica Dominicana o al Nicaragua? Hanno occupato Haiti per diciannove anni e fondato un potere militare che sbocco' nella dittatura di Duvalier. Hanno occupato la Repubblica Dominicana per nove anni, e fondato la dittatura di Trujillo. Hanno occupato il Nicaragua per ventuno anni e fondato la dittatura della famiglia Somoza. La dinastia di Somoza, che i marines avevano messo sul trono, e' durata mezzo secolo, fino a essere cacciata dalla furia popolare nel 1979. All'epoca il presidente Reagan monto' a cavallo e si lancio' a salvare il suo paese minacciato dalla rivoluzione sandinista. Povero tra i poveri, il Nicaragua possedeva in totale cinque ascensori e una scala mobile, rotta. Ma Reagan denunciava che il Nicaragua era un pericolo, e mentre parlava la televisione mostrava una mappa degli Stati Uniti che si tingeva di rosso a partire dal sud, per illustrare l'invasione imminente. Il presidente Bush gli ha copiato i discorsi per seminare il panico? Bush dice Iraq dove Reagan diceva Nicaragua?". Intanto, in queste ore cariche di angoscia e di terrore, mentre il cielo iracheno sputa morte, facciamo nostre le parole del poeta Mudhfar Al-Nawab: "Io non so ancora come e' l'alba e il tramonto laggiu'. Io vorrei vedere ancora il sole splendere in quel paese". 10. INIZIATIVE. QUATTRO SENATORI DENUNCIANO IL MINISTRO MARTINO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 marzo 2003] Il capogruppo del Prc al senato Luigi Malabarba ha depositato ieri alla Procura della Repubblica di Roma un esposto contro il ministro della difesa Antonio Martino, responsabile di aver concesso agli Stati Uniti "l'utilizzo delle infrastrutture di trasporti (porti, aeroporti, ferrovie, ecc.) per consentire il transito di uomini e materiali da utilizzare per la guerra all'Iraq". Nell'esposto, sottoscritto anche dai senatori Francesco Martone (Verdi), Piero Di Siena (Ds) e Oskar Peterlini (misto), si ipotizzano i reati di attentato all'integrita', all'indipendenza e all'unita' dello stato (pena prevista l'ergastolo) e di attentato contro la Costituzione (da dodici anni in su') a carico dell'"on. prof. Antonio Martino e degli ulteriori membri del governo e di altri soggetti, allo stato ignoti, che hanno partecipato". Esposti simili vengono presentati in questi giorni alle Procure di mezza Italia da cittadini e organizzazioni aderenti al Social forum europeo. Secondo i senatori dell'opposizione, le scelte di Martino non si possono giustificare, come invece il ministro aveva fatto in una lettera alle commissioni difesa dei due rami delparlamento, "con il generico riferimento agli obblighi internazionali derivanti all'Italia dall'appartenenza alla Nato. Non vi e' - si legge nell'esposto - alcuna risoluzione del consiglio di sicurezza Onu che autorizzi all'uso della forza" e "la mancanza di una risoluzione Onu non puo' essere superata con il riferimento al trattato Nato". 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 546 del 25 marzo 2003
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