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E-mail di Rachel del 7 febbraio 2003 concessa dalla sua famiglia
- Subject: E-mail di Rachel del 7 febbraio 2003 concessa dalla sua famiglia
- From: Enrico Marcandalli <ramalkandy at iol.it>
- Date: Thu, 20 Mar 2003 12:29:46 +0100
Craig e Cindy Corrie, genitori di Rachel Corrie: Stiamo vivendo un momento di grande dolore e ancora non conosciamo tuttii dettagli della morte di Rachel avvenuta nella Striscia di Gaza.Abbiamo insegnato a tutti i nostri figli ad apprezzare la bellezza dellaComunita’ globale e il valore della famiglia e siamo orgogliosi che Rachelabbia potuto vivere nelle proprie convinzioni. Rachel era carica di amore edi senso del dovere nei confronti del suo prossimo, qualunque fosse la suanazionalità.Ha sacrificato la propria vita cercando di proteggere chi non aveva la possibilita’di difendersi con le proprie forze.Rachel ci ha scritto dalla Striscia di Gaza, noi vorremmo far conoscere ai media la sua esperienza con le sue stesse parole.Grazie. Estratto da una e-mail di Rachel Corrie alla sua famiglia, 7 febbraio 2003. Mi trovo in Palestina da due settimane e un’ora, e ancora ho troppe pocheparole per descrivere quel che vedo. Quando mi siedo a scrivere a casa negli Stati Uniti e’ cosi’ difficile per me pensare a quello che sta succedendo qui,mi sembra quasi di aprire un varco virtuale verso il lusso. Non so se la maggiorparte dei bambini qui abbia mai vissuto senza fori di proiettile neimuri di casa e senza le torrette di una forza di occupazione che li sorveglianocontinuamente da vicino. Credo, anche se non ne sono del tutto sicura, che ancheil piu’ piccolo di questi bambini riesca a intuire che la vita non è così dappertutto.Un bambino di 8 anni è stato colpito e ucciso da un tank israeliano duegiorni prima che io arrivassi e molti bambini mi sussurrano il suo nome(Ali’) o mi indicano la sua immagine sui muri. Ai bambini piace anchefarmi parlare quel poco di arabo che conosco chiedendomi “Kaif Sharon”,“Kaif Bush” e ridono quando rispondo “Bush majnoon”, “Sharon majoon” nelmio arabo stentato (Com’e’ Sharon? Com’e’ Bush? Bush e’ un pazzo, Sharon e’un pazzo). Ovviamente non e’ esattamente quello che penso e alcuni adultiche parlano inglese mi correggono: Bush mish majnoon... Bush è un uomo d’affari.Oggi ho cercato di imparare come dire “Bush è un burattinaio”, ma non credodi averlo tradotto bene. Comunque qui ci sono bambini di 8 anni più consapevolidei meccanismi del potere globale di quanto lo fossi io solo qualche annofa, almeno per quello che riguarda Israele. Ciononostante penso che nessuna lettura, conferenza, documentario o parolaumana avrebbe potuto prepararmi alla realta’ di questa situazione. Non poteteimmaginarla senza averla vista, e anche allora sareste sempre ben consapevoliche la vostra esperienza non corrisponde affatto alla realta’: pensate aiproblemi che avrebbe l’esercito israeliano nel caso sparasse ad un cittadinoamericano disarmato, e al fatto che ho soldi per comprare acqua anche sel’esercito distrugge i pozzi e, ovviamente, che posso andarmene quando voglio.Nessuno dei miei familiari e’ mai stato colpito mentre guidava con un razzolanciato da una torretta allo sbocco della strada principale della mia città.Io ho una casa. Posso vedere l’oceano. E’ molto improbabile che io possaessere reclusa per mesi o anni senza un processo (questo perche’ sono unacittadina americana bianca al contrario di molti altri). Quando vado a scuolao al lavoro posso essere certa che non ci sara’ nessun soldato armato adattendermi a meta’ strada tra Mud Bay e Olympia Downtown in un checkpoint.Un soldato che ha il potere di decidere se posso continuare a fare il miodovere e se potro’ ancora tornare a casa al termine. Cosi’ se mi sembra inconcepibile arrivare e vivere in modo breve ed incompleto nel mondo in cui vivono questi bambini, mi domando come possa essere per loro entrare nel mio mondo.Loro sanno che negli Stati Uniti nessuno spara ai genitori dei bambini,e che loro qualche volta vanno a vedere l’oceano. Ma una volta che tu abbiavisto il mare o l’oceano e abbia vissuto in un posto tranquillo, dove l’acquasi da per scontata e non viene rubata di notte dai bulldozers, e una voltache tu abbia passato una serata senza chiederti se i muri di casa tua possanocrollare improvvisamente svegliandoti nel sonno, e una volta che tu abbiaconosciuto delle persone che non hanno mai perso nessuno dei propri cariuna volta che tu abbia provato la realta’ di un mondo non circondatoda torri assassine, tanks, insediamenti fortificati e un gigantescomuro di metallo, mi chiedo se puoi perdonare il mondo per tutti gli annidella tua infanzia passati ad esistere - solo ad esistere - resistendo allacostante morsa del quarto esercito più potente del mondo - spalleggiato dall’unicasuperpotenza mondiale - nel suo tentativo di cancellarti dalla tua terra.Questo è quello che mi chiedo quando penso a quei bambini. Mi chiedo cosasuccederebbe se solo sapessero. E dopo tutte queste divagazioni mi trovo a Rafah, una città di circa 140000persone, il 60% delle quali sono rifugiati, molti di questi lo sono dueo tre volte. Rafah esisteva prima del 1948 ma molti dei suoi attuali abitantisono sfollati dalle loro case nella Palestina storica, ora Israele - o sonodiscendenti di sfollati. Rafah fu divisa a meta’ quando il Sinai venne resoall’Egitto. Al momento l’esercito israeliano sta costruendo un muro alto14 metri tra Rafah e il confine, scavando una terra di nessuno al posto dellecase. Secondo il Rafah Popular Refugee Commitee 602 case sono state rase al suolo. Il numero delle case parzialmente distrutte è molto più grande.Oggi mentre camminavo sulle rovine dove una volta erano le case i soldatiegiziani mi hanno chiamato dall’altra parte del confine “go! go!” perchéstava arrivando un tank, il tutto seguito da gesti di saluto e da “what’syour name”. C’è qualcosa di fastidioso in questa amichevole curiosità.Mi ha ricordato quanto, fino ad un certo punto, tutti siamo ragazzi curiosil’uno dell’altro: ragazzi egiziani che gridavano verso una strana donnache vagabondava sul percorso dei tank. Ragazzi palestinesi che vengono colpitidai tanks quando si sporgono da dietro i muri per vedere quel che succede.Ragazzi internazionali di fronte ai carri armati con degli striscioni. Ragazziisraeliani chiusi anonimamente nei tank, alle volte gridando - e talvoltaanche salutando - molti costretti ad essere qui, molti semplicemente aggressivi,sparando nelle case quando ce ne andiamo via.Oltre alla presenza costante dei tank lungo il confine e nella zona ovesttra Rafah e gli insediamenti sulla costa ci sono qui più torrette di quantene possa contare - lungo l’orizzonte, alla fine delle strade.Alcune sono semplicemente di metallo verde militare, altre sono delle speciedi scale a chiocciola ricoperte con un tipo di rete che rende impossibilevedere all’interno.Alcune nascoste al di sotto dell’orizzonte cittadino. Una nuova e’ spuntatal’altro giorno nel tempo che abbiamo impiegato a lavare i vestiti e ad attraversare due volte la citta’ per portare degli striscioni.Sebbene alcune delle aree piu’ vicine al confine fanno parte della citta’originaria e sono abitate da famiglie che hanno vissuto qui per almeno unsecolo, solo i campi profughi nel centro della citta’ sono, dopo Oslo, sottocontrollo palestinese. Ma, per quanto ne so, i posti che non sono sottoil controllo dell’una o dell’altra torretta sono pochi o forse nessuno.Certamente non esistono posti irraggiungibili dagli Apache o dalle telecameredell’invisibile fuoco che sentiamo ronzare sopra la città, ogni volta perore.Ho trovato difficile accedere da qua alle notizie sul mondo esterno, masento che un escalation della guerra in Iraq è inevitabile. C’è grande preoccupazione per la rioccupazione di Gaza. Gaza, a vari livelli, viene rioccupata ogni giorno, ma penso che la paura sia che i tank entrino in tutte le strade e vi rimangano, anziche’ entrare solo in alcune per poi ritirarsi poche oreo pochi giorni dopo per osservare e sparare dai confini del centro abitato.Se la gente non sta gia’ pensando alle conseguenze di questa guerra per gliabitanti dell’intera regione, allora mi auguro che si cominci a farlo.Mi piacerebbe che voi veniste qua. Siamo cinque o sei internazionali. Iquartieri vicini che ci hanno richiesto qualche forma di presenza sono Yibna,Tel El Sultan, Hi Salam, Brazil, Block J, Zorob e Block O. C’è anche bisognodi presenza costante notturna presso un pozzo nella periferia di Gaza, daquando l’esercito israeliano ha distrutto i due pozzi principali. Secondol’ufficio municipale per le risorse idriche, i pozzi distrutti la settimanascorsa erogavano metà del fabbisogno idrico di Rafah.Molte delle comunita’ hanno richiesto la presenza degli internazionali neltentativo di proteggere le case da ulteriori demolizioni. Più o meno dopole dieci di sera e’ molto difficile muoversi perchè l’esercito israelianoconsidera chiunque passi per la strada come un resistente e gli spara. Perquesta ragione siamo chiaramente troppo pochi.Continuo a credere che casa mia, Olympia, potrebbe guadagnare molto e offriremolto se decidesse di fare un gemellaggio con Rafah. Alcuni insegnanti egruppi di bambini si sono mostrati interessati agli scambi via e-mail, maquesta è solo la punta dell’iceberg del lavoro solidale che si dovrebbe fare.Molte persone vogliono far sentire la propria voce, e io penso che dovremmousare alcuni dei nostri privilegi in qualita’ di internazionali per portarele loro voci direttamente negli Stati Uniti, piuttosto che attraverso ilfiltro degli internazionali volenterosi come me. Ho appena cominciato adimparare, nel corso di quello che mi aspetto sara’ un percorso molto intenso,come le persone possano organizzarsi malgrado tutto, e possano resistere,malgrado tutto.Grazie per le notizie che sto ricevendo dagli amici negli Stati Uniti. Hoappena letto il racconto di un amico che ha organizzato un gruppo di pacifistia Shelton, Washington, ed ha potuto prender parte alla grande marcia diprotesta a Washington D.C. del 18 gennaio.Qui la gente segue le notizie e anche oggi mi hanno detto che ci sono stategrandi proteste negli Stati Uniti e problemi per il governo in Gran Bretagna.Dunque grazie per non farmi fare del tutto la parte dell’ingenua ottimistaquando timidamente faccio notare alla gente di qua che molte persone negliStati Uniti non condividono le politiche del nostro governo, e che stiamoimparando come resistere dalle esperienze di lotta in tutto il mondo.
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