Fwd: Portare testimonianza/8 - Baghdad, 25 dicembre 2002



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NATALE A BAGHDAD

Baghdad, 25 dicembre 2002


Questa è una lettera da parte di tutti e due, l'ultima, per ora,
dall'Iraq. Dopo due mesi dal nostro arrivo abbiamo deciso di tornare negli
Stati Uniti per contribuire lì agli sforzi di chi nel nostro paese si
adopera per fermare la corsa alla guerra.
Non è stata una decisione facile. Anche adesso ci chiediamo se sia la
mossa giusta. Abbiamo semplicemente paura di essere coinvolti nello
scontro? Prendiamo i nostri figli come scusa per evitare di condividere la
sofferenza e il rischio mortale che la guerra comporterebbe?
Un gruppetto della nostra delegazione ha deciso di restare per tutta la
durata della guerra, se dovesse accadere. Amiamo e ammiriamo queste
persone. C'è Charlie, settantadue anni, già cappellano militare in
Vietnam, insignito dal Congresso di una medaglia al valore per aver tratto
in salvo ventidue feriti durante uno scontro a fuoco. In seguito ha
restituito la medaglia, e la relativa pensione, per protestare contro la
politica USA in Sud America. È un uomo alto, dalla voce pacata, che dice:
"Immagino che il mio compito sia andare in prima linea e vedere cosa Dio
vuole da me. La mia vita e la mia morte sono nelle Sue mani". C'è Cynthia,
anche lei sulla settantina, una bibliotecaria in pensione dallo stato di
New York, che cita dai classici e dai racconti per ragazzi, e che non
farebbe male a nessuno. C'è Kathy, l'ispiratrice della delegazione per la
pace, che vuole condividere i rischi degli iracheni e dimostrare che non
saranno abbandonati nell'ora del bisogno. C'è Michael, un irlandese di
trentatré anni con un sorriso luminoso, che semplicemente sente che questo
è il posto migliore dove stare per scongiurare la guerra. "Non abbiamo il
diritto di rinunciare alla pace", ci ricorda. Gli altri membri del gruppo
"degli irriducibili" la pensa allo stesso modo.
Per quanto ci riguarda, i motivi principali che ci spingono a tornare
negli Stati Uniti sono due. Il primo riguarda i nostri figli. Non ci
sembra giusto affrontare un rischio così elevato senza il loro consenso.
Potremmo ancora chiederglielo, ma finora non lo abbiamo fatto.
In secondo luogo, a malincuore ci siamo convinti che al momento siamo più
utili in America. Tutti quelli che si oppongono alla guerra devono uscire
allo scoperto e far valere il proprio diritto: "NON NEL NOSTRO NOME!". La
posta in gioco è troppo alta. Adesso è il momento di portare il messaggio
contro la guerra sui gradini della Casa bianca e del Congresso, e dovunque
e comunque possiamo. Le prossime sei settimane sono di importanza
cruciale. Una volta negli Stati Uniti, dedicheremo pressoché tutte le
nostre energie a questo lavoro. Parleremo nelle chiese, nelle università,
ai raduni, alla radio, alla televisione, con membri del congresso e via
dicendo. Avendo passato gli ultimi due mesi in Iraq, forse riceveremo
attenzione. Se siete in grado di aiutarci offrendo contatti o spazi per il
nostro intervento ne saremo molto grati. Siamo disponibili a viaggiare nel
caso di un pubblico adeguato.
Speriamo di essere di aiuto in tutti i modi possibili alle esistenti
azioni per la pace. La marcia a Washington in programma per il 18 gennaio
potrebbe innescare un'onda lunga nell'opposizione contro il militarismo
nel nostro paese. Potete intervenire? Inondiamo Washington con un milione
di persone! E non solo per la giornata, restiamo! Un milione di noi per le
strade! Paralizziamo Washington! Potrebbe essere il solo modo di fermare
la guerra imminente: disobbedienza civile non violenta di massa.
Vogliamo riprenderci il nostro paese, salvarlo dalla china pericolosa di
un imperialismo ignorante. Un giornalista russo ha domandato a una donna
della nostra delegazione se aveva paura. "Di morire?", ha risposto, "Un
po'. Ma ho più paura del mio paese. Ho paura di quello che sta diventando
e di cosa sta succedendo alla sua anima".
Siamo venuti qui per essere testimoni della realtà del popolo iracheno e
per condividere la loro posizione vulnerabile. Abbiamo compreso qualcosa
in più e abbiamo visto tanta sofferenza e tanto amore. Mentre gli
ispettori delle Nazioni Unite cercavano le armi, noi abbiamo cercato segni
di gentilezza, amore pace: e li abbiamo trovati.
L'altro aspetto dell'essere testimoni è attestare la verità di cui abbiamo
fatto esperienza diretta. Il nostro rientro negli USA ci permette di
farlo: dire la verità al potere. Condividere quello che abbiamo imparato.
Contribuire a gettare un po' più di luce sull'oscurità del pregiudizio che
in questo momento ottenebra il nostro governo.
C'è anche l'idea di inviare in Iraq un'ultima, più ampia delegazione
(75-100 persone) per dieci giorni (dal 18 al 28 gennaio). Questo viaggio
non implicherà visite a ospedali, scuole, agenzie, o ad altre città come
nel caso di delegazioni precedenti. Il suo scopo sarà piuttosto di
costituire una presenza spirituale, una presenza orante, a Baghdad, come
appello contro la guerra. Per informazioni, contattate Kathy o Jeff al
seguente indirizzo: info at vitw.org

Ieri sera abbiamo partecipato a una veglia per la vigilia di Natale nella
piccola chiesa parrocchiale di St. Raphael. Il sacerdote, Padre Vincent,
ha detto che eravamo caldamente benvenuti, anche se (gli abbiamo spiegato)
probabilmente avremmo attirato una folla di giornalisti. Abbiamo montato
uno striscione sullo spazio antistante la chiesa con su scritto, in arabo
e inglese: "Che sia pace sulla terra". Con le candele in mano, e intonando
canti natalizi, abbiamo ricevuto una folla di operatori televisivi di CNN,
BBC, NBC, ABC, Reuters e di emittenti francesi e russe. È comparso perfino
il nunzio apostolico, che ha celebrato la messa solenne. A un certo punto
le telecamere hanno inquadrato Rabia, e le hanno chiesto perché era lì.
Rabia ha risposto: "Questo è il momento più buio dell'anno. È il momento
in cui la gente si riunisce a pregare perché torni la luce, e perché lo
spirito di Cristo nasca dentro di noi. Qui in Iraq, oggi, c'è la doppia
oscurità della minaccia di guerra. Perciò siamo venuti a pregare perché
torni la luce, nel mondo e nei nostri governanti. Perché il Cristo della
pace nasca davvero".

Elias Amidon
Rabia (Elizabeth Roberts)


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