La nonviolenza e' in cammino. 539



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 539 del 18 marzo 2003

Sommario di questo numero:
1. Rachele
2. Gruppo "teologia al femminile": noi donne diciamo
3. Suor Rosemary Lynch in Italia
4. Nadia Cervone, un newroz dedicato a Leyla Zana e ad Amina
5. Amelia Alberti, al vento di marzo
6. Maria G. Di Rienzo, una strategia nonviolenta per la democrazia in Iraq
7. Giulio Vittorangeli: la prima radice, la violenza di genere
8. Il 22 marzo a Verona incontro del Movimento Nonviolento
9. Aggiornamenti del sito di "Donne in viaggio"
10. Cristina Papa, aggiornamento del sito de "Il paese delle donne"
11. Letture: Silvina Ocampo, Autobiografia di Irene
12. Riletture: Alain, Cento e un ragionamenti
13. Riletture: Carlo Ludovico Ragghianti, profilo della critica d'arte in
Italia
14. La "Carta" del Movimento Nonviolento
15. Per saperne di piu'

1. LUTTI. RACHELE
[Il nostro collaboratore Luciano Bonfrate ha scritto queste righe per la
fanciulla americana assassinata in Palestina mentre nonviolenta difendeva
l'umanita']

Quelli di noi che hanno passato notti
al freddo e al gelo sanno che vuol dire
non avere una casa.

E quelli di noi che hanno avuto paura
subendo minacce e percosse, di essere uccisi
sanno cos'e' la paura.

E quelli di noi che ai padri hanno chiuso
sul letto di morte gli occhi, sanno sanno
sanno la morte che orrendo nemico e' di tutti.

E quelli di noi che hanno avuto lo strazio
di vedere morire gli amici e di vedere
eserciti muovere alla caccia
di carne umana, come possono, come possiamo
tacere, restare nelle tiepide case
col cibo caldo tra i visi amici.

Cosi' Rachele mosse di lontano
verso quel cuore del mondo che ha nome Palestina.

Cosi' Rachele mise l'anima sua e il suo corpo
tra l'esercito e le vittime
tra le ruspe che demoliscono
e le case in cui poter vivere ancora.

Cosi' Rachele la molto amata
torno' in Palestina.
Lo dico a te Labano, lo dico a te Giacobbe.

Cosi' Rachele fu uccisa e questa morte
e' la morte di tutte le donne che portano vita
lungo i tornanti di questa preistoria
di Margarete dai capelli d'oro
di Sulamith dai capelli di cenere.

Non ho parole, ho solo greve un pianto
e molte amare memorie e una speranza sola:
che resusciti Rachele
nella pace tra i popoli, nel ricordo
dell'orrore, nell'alleanza nuova
che a tutte e tutti riconosca vita,
che a tutte e tutti riconosca dignita'.

E' questa resurrezione
questa compresenza dei morti e dei viventi
nella comune lotta per l'umano
cio' che qui chiamo ancora nonviolenza.

E' la lotta di Rachele
la nonviolenza in cammino.

2. EDITORIALE. GRUPPO "TEOLOGIA AL FEMMINILE": NOI DONNE DICIAMO
[Ringraziamo Luisa Zanotelli (per contatti: luisa.zanotelli at infinito.it) per
averci inviato questo intervento sottoscritto dal gruppo "Teologia al
femminile" di Rovereto - Trento]
C'e' un'apparente follia nel modo in cui viene trattato, nel nostro mondo,
il tema della guerra.
Coloro che governano e non solo loro, pensano, o almeno dicono di pensare,
che attraverso la guerra, cioe' attraverso la morte, la violenza, il dolore,
l'annientamento della vita, si possano produrre la pace, il benessere, la
giustizia, il rispetto reciproco.
Sarebbe come dire che seminando ortiche puo' nascere grano, che mettendo nel
forno un sasso puo' uscirne pane. Strano. Come mai in quest'occidente
cultore della logica e della razionalita', trova tanto spazio e credibilita'
questo salto logico, questa follia tramandata secolo dopo secolo? Una pazzia
tanto radicata da aver portato il precedente governo (quello "di sinistra")
ad accettare l'uso dell'ossimoro piu' infame che abbia attraversato gli
ultimi anni: "guerra umanitaria".
Parlando di questo all'interno del gruppo di "teologia al femminile" ci e'
sembrato opportuno andare a vedere quale nesso possa porsi tra questa
visione del mondo e il mito fondante della nostra civilta'.
In effetti, il racconto biblico, a cui la nostra tradizione (e non solo la
nostra) si richiama, parla di un Dio creatore, esterno ed onnipotente, che
ordinando e separando le cose (la luce dalle tenebre, la terra dalla acque,
ecc.) da' forma all'universo e con un atto della sua volonta' (alitando su
una massa d'argilla) fa scaturire la vita. In fin dei conti quel racconto ci
propone un modello in cui si suppone che non esista relazione tra cio' che
c'e' prima e cio' che viene dopo; basta un atto di volonta' per determinare
il reale. Ecco perche' ci puo' essere chi pensa che dalla violenza e dalla
brutalita' delle bombe, dallo schieramento in opposti campi di nemici, dalle
macerie e dal vuoto che la guerra determina possa nascere la pace. Se questo
e' l'archetipo, perche' un uomo o un popolo o un'alleanza, dotati di armi
invincibili (e quindi relativamente onnipotenti), non potrebbero creare la
pace dividendo amici e nemici, distruggendo case, vite e ambiente prima, e
alitando poi dollari sulle macerie?
Stavamo analizzando questo tema quando ci e' tornata alla mente una formula:
"Vi e' stato detto, ma io vi dico".
Questa frase, spesso usata da Gesu', ci e' parsa un elemento cardine per
affrontare il discorso sulla guerra, o meglio, per capire in che modo e'
possibile uscire dalla stretta relazione tra potere ed esercizio della forza
che e' alla base della nostra cultura d'appartenenza. Da quel sistema
insomma che le femministe definiscono "patriarcato".
Quell'uomo ebreo, di nome Gesu', che si muoveva nella Palestina di 2000 anni
fa, aveva ragione: per capire chi siamo e come ci muoviamo nella storia e'
necessario in primo luogo riflettere su cosa ci e' stato detto, ossia su
quello che e' il nostro universo simbolico di riferimento, la culla cioe'
all'interno della quale il "pensiero occidentale" nasce, il seno da cui trae
alimento.
E ancora non basta: dobbiamo riflettere anche sulla memoria, sul modo in cui
ciascuna di noi acquisisce l'idea di una appartenenza (alla nazione, alla
patria, alla fazione, al clan, all'uomo, al genere umano, a se stessa) e su
come la trasmette.
In questo senso il palestinese in questione si trovava a fare i conti
proprio con lo stesso universo simbolico con cui dobbiamo fare i conti noi e
anche sul piano delle vicende concrete si trovava in una condizione non
molto dissimile: mentre i romani imponevano la pax imperiale con la forza
degli eserciti, molti soggetti politici auspicavano e praticavano la
resistenza armata per poter finalmente vivere liberi e in pace.
Come si e' mosso? La sua prima preoccupazione e' stata quella di cambiare
l'ordine simbolico cominciando da una ridefinizione di Dio.
"Dio e' mio padre, io sono suo figlio, lui e io siamo una cosa sola".
Facciamola finita con un Dio che sta solo fuori dal mondo e la cui
onnipotenza viene invocata per sconfiggere i nemici. Parliamo di un padre a
cui si chiede un atteggiamento di cura nei confronti dei suoi figli (dacci
oggi il nostro pane quotidiano) in una reciprocita' relazionale (rimetti a
noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori). Io sono nato
da una donna che ha saputo amare Dio e fargli spazio nelle sue viscere,
questo ha consentito al padre di essere oggi nel mondo come figlio.
Cosi' dice Gesu' e c'e' chi a questa riformulazione presta fede, ne riprende
il concetto e lo introduce nel credo: "generato, non creato, della stessa
sostanza del padre" ma poi ne ha paura e lascia perdere, torna a definire
Dio onnipotente e ovviamente ad esercitare il potere in nome di Dio. Cosi'
il "vi e' stato detto ma io vi dico" e' finito nel dimenticatoio della
storia, nessuno ha piu' pensato che fosse possibile amare il proprio nemico,
rinunciare alla violenza e al dominio per fare dell'aiuto, della cura e
dell'ascolto gli elementi centrali della vita. Il parto e la generazione
sono stati considerati impuri, l'amore una debolezza da donnicciole e si e'
continuato a praticare la guerra come levatrice della storia e della
giustizia, fondatrice del nuovo ordine, di volta in volta imperiale o
rivoluzionario.
E le donne, per fortuna non tutte (e in questa serata ne abbiamo validi
esempi), si sono adeguate. Le donne hanno dimenticato che proprio loro da
sempre avevano iscritta nella carne la consapevolezza del processo di
generazione. Ma oggi e' venuto il tempo di capirne l'importanza, di
riportare alla luce il "ma io vi dico".
I capi di governo, gli storici, i teorici delle rivoluzioni ci hanno detto
che dalla violenza puo' nascere la giustizia.
Ma noi donne diciamo che, come l'atto generativo nasce dalla relazione e non
puo' essere disgiunto dalla cura che e' ancora relazione, cosi' anche la
pace non puo' che essere "generata", attraverso un lungo e difficile
percorso che coinvolga i soggetti in una reciproca relazione. La pace e' un
processo, come la gestazione, c'e' bisogno di tempo, di cura, di fatica.
Noi donne diciamo che amare il proprio nemico e' possibile. Noi che siamo
state per secoli oppresse, annientate, private della dignita' da uomini che
hanno fatto del dominio l'unica forma di accezione del termine "potere", pur
lottando contro tutto questo non abbiamo mai smesso di amarli gli uomini, di
nutrirli e di generarli. Abbiamo saputo resistere nell'amore perche'
sappiamo che se esso manca non c'e' vita. Non e' il sacrificio che genera la
vita, non e' il martirio, non e' la morte eroica (neppure quella sulla
croce), e' il fare di se stesse cibo, e' generare ed allattare, e' sedere a
mensa e dividere il pane e il vino.
Perche' tutto questo diventi consapevolezza diffusa, perche' sia possibile
l'esodo da questo esilio nella terra della violenza, a noi donne compete
oggi ripensare il nostro ruolo nella trasmissione della memoria, proporre un
"ma io vi dico" che sappia costruire una visione capace di tutelare la vita
in tutte le sue forme ridando spazio anche ai miti cosmogonici di
generazione.
Oggi ci sono le condizioni perche' tutto questo possa avvenire e dobbiamo
ringraziare per questo anche le sorelle e i fratelli del cosiddetto terzo
mondo che con i loro miti, le loro parole e le loro forme di resistenza ci
hanno aiutate ad uscire dalla presunzione dell'univocita' del punto di vista
spalancandoci gli occhi sulla brutalita' e l'efferatezza del mondo in cui
viviamo.
Penso, nel dire questo, a cio' che hanno saputo comunicarci gli indigeni del
Chiapas in resistenza contro un sistema in cui chi non compra non conta e
non ha diritto a vivere, o le donne dell'India che si oppongono alla
costruzione delle dighe sul fiume Narmada, cioe' ad una visione
dell'economia in cui la sopravvivenza o la morte di migliaia di persone e'
considerata solo un effetto collaterale.
Oggi tocca a noi donne occidentali far capire a chi ci governa che l'unica
via per avere la pace e' dire no alla guerra senza se e senza ma. Non c'e'
legittimita' che tenga: non e' la guerra che sapra' generare la pace, non e'
la violenza che potra' generare la giustizia, non e' l'imposizione che
potra' generare liberta'. Tocchera' a noi mettere in gioco i nostri corpi
per fermare le armi ricordando a tutti ancora una volta quello che diceva il
famoso palestinese: "non e' l'uomo per il sabato ma il sabato per l'uomo"
ossia la regola e la legge servono alla vita dell'umanita' ma se l'umanita'
deve essere sacrificata sull'altare della regola non c'e' legge che tenga.

3. INCONTRI. SUOR ROSEMARY LYNCH IN ITALIA
[Ringraziamo Gianni Novelli (per contatti: novelli.gianni at tiscalinet.it) per
averci comunicato questa bella notizia]
Tra marzo ed aprile sara' in Italia suor Rosemary Lynch.
*
Suor Rosemary Lynch e' nata a Phoenix, in Arizona, il 18 marzo 1917.
Nella sua congregazione francescana e' stata per anni insegnante nel
Montana.
Nel 1960 il Capitolo generale della Congregazione la elesse consigliera
generale cosicche' dovette trasferirsi a Roma. Ebbe cosi' occasione di
conoscere le diverse esperienze delle comunita' religiose in tutto il mondo.
L'evento piu' decisivo fu pero' la partecipazione diretta alla stagione del
Concilio Vaticano II e poi ai lavori della Commissione Justitia et Pax.
Dall'ottobre 1976 e' tornata negli Stati Uniti, in una piccola comunita'
francescana a Las Vegas. Qui  ha scoperto nuovi mondi ignorati dalla maggior
parte dei frequentatori della folle citta' del gioco d'azzardo: gli
esperimenti nucleari nel deserto del Nevada, con tutte le loro vittime umane
e la distruzione della natura, ma anche le forme di opposizione pacifista.
Dal mercoledi' delle Ceneri del 1982 con un gruppo di frati, suore e laici
ha iniziato a passare la quaresima davanti all'ingresso del luogo degli
esperimenti nucleari, il Nevada Test Site, in preghiera, digiuno e gesti
disobbedienza civile. Da allora queste presenze si sono ripetute decine di
volte. Sia suor Rosemary che altre decine di persone sono state arrestate e
processate per questi ed altri gesti di disobbedienza civile.
Nel 1983 fu invitata a partecipare ad alcune attivita' di donne per la pace
a Comiso e a Catania. Da allora e' tornata frequentemente in Italia dove e'
particolarmente amata la sua testimonianza di "francescana e pacifista".
Nel 1985 le edizioni Borla pubblicarono con tale titolo una sua
autobiografia curata da Gianni Novelli, direttore del Cipax - Centro
interconfessionale per la pace di Roma.
A Las Vegas Suor Rosemary ha dato vita e lavora tuttora nel centro
francescano "Pace e bene per la nonviolenza". Sono innumerevoli i gruppi e
le comunita' religiose che la chiamano per apprendere dalla sua personale
testimonianza sulla spiritualita' francescana e sulla noviolenza. Nel
capodanno 2001 e' tornata in Italia dove ha svolto un corso sui testimoni
della nonviolenza nel movimento pacifista degli Stati Uniti. I testi sono
raccolti dal Cipax.
A ottantasei anni di eta', suor Rosemary torna ancora una volta in Italia
per parlare di impegno per la pace in giornate che risuonano di preparativi
di guerra. Lo fara' a Roma, nella tradizionale commemorazione del vescovo
Oscar Romero, martire della giustizia e della pace, e poi in altre citta'
d'Italia in alcuni incontri con giovani e comunita' religiose e laiche.
Il suo indirizzo e': Suor Rosemary Lynch, 6517 Ruby Red Circle, Las Vegas,
Nevada, Usa, tel. 0017028221160.
Per contatti in Italia: Cipax, via Ostiense 152, 00154 Roma; tel.
0657287347; e-mail: cipax at romacivica.net
*
Il programma degli incontri in Italia e' il seguente:
- 17 marzo: arrivo a Roma, Fiumicino, ore 8,45; permanenza presso suore
francescane, in via Cassia; ore 17,30 incontro con Jim Douglass in via
Cassia;
- 18 marzo: riposo (festa compleanno in comunita');
- 19 marzo: ore 16 intervista alla Rai per rubrica "Uomini e profeti";
- 21 marzo: ore 18,30 incontro al Cipax con amiche/amici;
- 22 marzo: ore 1: incontro con obiettori di coscienza Caritas Roma;
- 23 marzo: ore 11,30 partecipazione a celebrazione Comunita' di San Paolo;
- 24 marzo: ore 18 messa in memoria di Oscar Romero ai Santi Apostoli (dopo
messa incontro amici/amiche);
- 27 marzo: partenza per Sulmona (Abruzzo): conferenza pubblica;
- 28 marzo: partenza per Jesi (Ancona), incontro comunita' Clarisse;
- 29 marzo: conferenze pubbliche a Jesi;
- 30 marzo, domenica: ritorno direttamente a Roma o sosta ad Assisi;
- 2 aprile: incontro Giustizia e pace;
- un giorno della settimana seguente: celebrazione e meditazione alle suore
Benedettine di Santa Cecilia a Trastevere (don Guerino Di Tora);
- 8 aprile: partenza per Las Vegas.
Sede a Roma: Suore Francescane, Via Cassia 870, 00189 Roma, tel. 063225821;
per contatti: Gianni Novelli, tel. 3356159057.

4. RIFLESSIONE. NADIA CERVONE: UN NEWROZ DEDICATO A LEYLA ZANA E AD AMINA
[Ringraziamo Nadia Cervone (per contatti: giraffan at tiscalinet.it) per questo
intervento. Nadia Cervone e' impegnata nelle Donne in nero ed in
innumerevoli iniziative di pace, di solidarieta', di nonviolenza]
Nel Kuwait ci sono gia' 30 gradi, a fine mese la temperatura salira' a 40
gradi e le truppe Usa non hanno l'equipaggiamento adatto per sostenere
simili temperature. Di giorno in giorno questa sciagurata guerra e' slittata
di quasi due mesi, ancora una manciata di giorni e forse dovra' essere
almeno sospesa o forse, ipotesi di cui gia' si parla, si fara' in due tempi:
nel Nord dell'Iraq, dove e' comunque gia' iniziata, per poi riparlarne a
settembre. Anche se questo dovesse accadere, fallirebbe comunque il piano
originario Usa.
*
Il 21 marzo si avvicina, per noi l'entrata della primavera, per i kurdi il
Newroz. Se la guerra non ci sara' potremmo anche noi festeggiare il nostro
Newroz ed essere cosi' anche a fianco delle donne e uomini curdi dell'Iraq
ma anche della Turchia, un paese chiave nella vicenda internazionale. A
fronte del buon esito del pronunciamento della corte suprema europea dei
diritti umani che ha riconosciuto la Turchia colpevole di gravi violazioni
del diritti umani nei confronti di Ocalan, ieri e' arrivata la risposta del
governo turco che ha chiuso le sedi del partito filokurdo Hadep, perche'
vicino al Pkk e questo grazie alla famigerata lista nera della commissione
europea stilata un anno fa che includeva il Partito dei lavoratori del
Kurdistan (Pkk) tra le organizzazioni terroristiche. 46 dirigenti dell'Hadep
interdetti per 5 anni da ogni attivita' politica.
Chi e' stata/o in Kurdistan ha avuto modo di verificare l'impegno dell'Hadep
per l'avvio del processo di democratizzazione in Turchia. Chi e' stata come
me in Kurdistan ha potuto conoscere tantissime donne che facendo capo
all'Hadep si impegnano per la liberta' e il riconoscimento del popolo kurdo
ma anche per intervenire sulla condizione delle donne vittime di un sistema
patriarcale feroce che spesso porta le donne a quello che viene definito
"suicidio d'onore".
Nella regione del Kurdistan turco, la piu' coinvolta militarmente per
l'attacco Usa nel Nord Iraq, ci sono 37 municipalita' vinte alle ultime
elezioni dall'Hadep. In queste vi sono 4 donne sindache. Quale sara' la
sorte dei sindaci eletti nelle liste dell'Hadep ora che l'Hadep e' stato
dichiarato fuorilegge? L'associazione delle Madri della Pace che noi Donne
in nero ben conosciamo, e' molto sostenuta anche dall'Hadep e cosi' anche
l'associazione per i diritti umani, Ihd.
*
Non so se nel Kurdistan turco quest'anno si riuscira' a celebrare il Newroz,
e probabilmente molte saranno le citta' dove si registreranno gravi
incidenti e le delegazioni internazionali in partenza come osservatrici per
il Newroz, subiranno molte restrizioni.
Da tempo le nostre amiche kurde e turche ci hanno detto che si sta portando
la Turchia verso la guerra civile. Anche una guerra civile, soprattutto in
un'area cosi' strategica, puo' essere utile per piani piu' ampi di dominio
mondiale e non c'e' nessuna differenza tra le vittime delle guerre siano
esse civili o mondiali. Il Kurdistan irakeno, ricco di petrolio ma anche di
assetti estremi, temo sara' ancora una volta teatro di inimmaginabili
violenze sulla popolazione; il kurdistan turco subira' ancora di piu' la
pesantissima repressione militare dello stato turco che cerchera' di
provocare rivolte spontanee per poterle reprimere ferocemente.
Un copione che puntualmente si ripete, vedremo anche come finira' la
riaccesa polveriera nei Balcani. La storia ci insegna che i delitti
eccellenti non avvengono mai in tempi casuali.
Ma se tutte e tutti ci arrendessimo a subire il tragico e violento disordine
mondiale che stiamo vivendo non faremmo altro che il gioco dei signori della
guerra che vogliono diventare signori del mondo.
*
Noi donne, che non rinunciamo alla voglia di vivere e alla liberta',
inventiamoci il nostro Newroz, usando le bandiere della pace sulle quali
potremmo metterci tutta la nostra voglia e intenzione di fermare questa
guerra e la regia per un mondo militarizzato e assoggettato.
Sempre in Turchia Ii 28 marzo ad Ankara, prendera' avvio il processo per
Leyla Zana e altri 3 ex parlamentari kurdi accusati di separatismo. La prima
condanna fu di 15 anni. Sempre la corte suprema europea per i diritti umani
ha costretto la Turchia a ripetere ora il processo. Le Donne in nero hanno
portato piu' volte in piazza Leyla, prigioniera di pace.
Dedichiamo a lei il nostro Newroz , dedichiamolo ad Amina, la donna
nigeriana condanna alla lapidazione, dedichiamolo a tutte le donne vittime
come loro della profonda ingiustizia con la quale si vorrebbe dominare il
mondo. E dedichiamolo anche a tutte quelle donne coraggiose che vivono nei
luoghi piu' colpiti dalle guerre, dai fondamentalismi, che non rinunciano,
come noi, alla liberta' universale, alla forza della speranza e alla
quotidianita' di un sorriso.

5. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: AL VENTO DI MARZO
[Ringraziamo Amelia Alberti (per contatti: lambient at tiscalinet.it) per
questo intervento. Amelia Alberti, presidente del circolo verbano di
Legambiente, docente, di formazione tanto scientifica quanto umanistica,
collaboratrice di questo foglio, impegnata in iniziative di pace e di
solidarieta', ha questa straordinaria capacita' di restituire in parola
poetica vibrante di emozione e verita' cio' che lo sguardo sui fatti del
mondo coglie di essenziale, e cosi' la sua voce e' ad un tempo voce di
denuncia e di impegno, di strazio per la visione dell'inumano, e di
irriducibile resistenza all'inumano]
"Con la cifra che si stima necessaria per la futura guerra, circa 100
miliardi di dollari, si potrebbero finanziare circa 4 anni di assistenza
sanitaria alle popolazioni piu' povere del mondo". Cosi' Cinzia Tromba per
l'agenzia di giornalismo scientifico Zadig (www.zadig.it).
Da qualunque parte la si guardi, questa guerra oscena mostra all'analisi
risvolti insopportabili. E noi ci sentiamo impotenti, avviliti, tristi, e ci
viene voglia di ritirare dai nostri balconi le bandiere della pace che vi
appendemmo, perche' troppo festose quando sventolano al vento di marzo,
tutte colorate.

6. RIFLESSIONE. MARIA G. DI RIENZO: UNA STRATEGIA NONVIOLENTA PER LA
DEMOCRAZIA IN IRAQ
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Sembra che negli Usa il progetto di guerra di George W. Bush continui ad
essere sostenuto dalla maggioranza della popolazione: almeno, cosi'
direbbero i sondaggi.
Poiche' mi rifiuto di credere che gli americani siano assetati di sangue, e'
evidente che due "preoccupazioni" devono aver davvero fatto presa: la prima
e' che l'Iraq nasconda armi di distruzione di massa (come se gli Usa non ne
avessero), la seconda, innegabile, e' che Saddam Hussein e' un tiranno ed
opprime la sua gente (e gli Usa ne sostengono parecchi altri nel mondo, e
fino al 1988 sostenevano anche lui). Il lavoro degli ispettori dell'Onu sta
sensibilmente riducendo la prima preoccupazione, ma la seconda rimane senza
risposta. Possiamo e dobbiamo ora piu' che mai opporci alla guerra e a tutto
quello che sta gia' affamando e uccidendo il popolo iracheno, e forse, per
ridurre la seconda preoccupazione, per essere propositivi e per guadagnare
altri/e attivisti/e alla nostra causa, possiamo anche ipotizzare un sostegno
ad una transizione nonviolenta verso la democrazia in quel paese.
*
Un po' di storia
L'Iraq confina con l'Iran, il Kuwait, l'Arabia Saudita, la Giordania, la
Siria e la Turchia. La popolazione irachena (stima 2001) conta circa 23
milioni e 300.000 persone, di cui il 72% sono arabi, il 23% kurdi ed il
rimanente 5% consta di gruppi etnici piu' piccoli. La lingua ufficiale e'
l'arabo, che e' parlato dall'80% della popolazione. La capitale e' Baghdad.
L'Iraq faceva parte dell'impero ottomano e dal 1920 fu posto sotto tutela
dalla Societa' delle Nazioni e controllato principalmente dalla Gran
Bretagna. Durante questo periodo, si formarono una Costituzione ed un
sistema parlamentare bicamerale: il potere fu dato a re Faisal, con
l'appoggio della Gran Bretagna. Nel 1932 il mandato della Societa' delle
Nazioni cesso' e l'Iraq comincio' ad esistere come stato indipendente. Gli
inglesi continuarono ad esercitare una notevole influenza politica e
militare e sia re Faisal che il suo successore (re Faisal II) furono
fortemente filo-britannici.
Nel 1958, re Faisal II fu rovesciato da un regime nazionalista "di sinistra"
ed i legami con la Gran Bretagna furono recisi. Segui' una serie di violenti
colpi di stato e nel 1968 il Partito socialista del rinascimento arabo
(Ba'ath) prese il potere. Il generale Ahmad Hassan al-Bakr divenne
presidente e primo ministro dell'Iraq, con Saddam Hussein quale suo
rappresentante e "delfino".
Nel 1979, il presidente si dimise lasciando la carica a Saddam Hussein.
Nello stesso anno, a seguito della rivoluzione islamica in Iran, le
relazioni fra i due paesi si deteriorarono sino all'esplosione della guerra.
L'Iraq era sostenuto dagli Usa. Durante questo lungo conflitto armato,
entrambi i paesi soffrirono significative perdite umane e finanziarie. Il
"cessate il fuoco" fu finalmente raggiunto nel 1988. Nonostante la guerra,
Saddam Hussein mantenne saldamente il potere nel proprio paese.
Nel 1990, l'Iraq invase il Kuwait. Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu
rispose con una serie di risoluzioni che condannavano l'azione e poi
autorizzando l'uso della forza militare contro l'Iraq. Nel 1991, le forze
alleate guidate dagli Usa cominciarono a bombardare il paese. In capo ad un
mese, la cosiddetta "Guerra del Golfo" raggiunse un "cessate il fuoco". Come
parte dell'accordo, fu creata la Commissione speciale dell'Onu (Unscom) che
aveva lo scopo di individuare ed eliminare tutte le armi di distruzione di
massa presenti in Iraq. L'atteggiamento del governo iracheno nei confronti
degli ispettori fu dall'inizio scarsamente cooperativo, sino a che nel 1998
essi furono espulsi dal paese. Gli Usa e la Gran Bretagna risposero con
l'"Operazione volpe del deserto" (bombardamenti). Il resto, le sanzioni
economiche che perdurano dal '91 e la conseguente catastrofe umanitaria,
ecc. e' storia dei nostri giorni, che tutti/e conoscete.
*
Scegliere la nonviolenza
Ci sono coloro che si definiscono pacifisti ma non considerano la democrazia
un ingrediente importante per la pace (molti di essi sono spesso
acquiescenti sulle violazioni dei diritti umani se commesse in nome di
qualche ideologia). Altri pacifisti credono che la democrazia non possa
radicarsi in Iraq in questo momento, e che chiunque rimpiazzi Saddam Hussein
sara' "cattivo" quanto lui, se non peggiore: costoro dicono di non poter
sostenere una causa senza speranza, per quanto valida. Altri ancora credono
che il popolo iracheno possa liberarsi in modo nonviolento del dittatore, ma
pensano che un eventuale movimento di resistenza verrebbe compromesso
dall'accettare sostegno politico o finanziario da stranieri. Eppure un
movimento d'opposizione in Iraq esiste (non e' affatto "eventuale") e
potrebbe beneficiare del nostro supporto alle sue attivita' nonviolente.
Potrei capire le resistenze rispetto ad un aiuto finanziario offerto dal
governo degli Usa, che pero' al momento sta offrendo solo bombe, morte e
disperazione, per cui il problema non si pone.
La maggioranza degli iracheni non e' affatto entusiasta del proprio leader,
per quanti proclami egli stesso faccia al proposito. Nel referendum del 15
ottobre dello scorso anno, il 100% dei votanti ha espresso il proprio
sostegno ad un altro settennato di presidenza per Saddam Hussein: c'e' da
notare che nessun altro candidato partecipava al plebiscito. Differenti urne
erano predisposte per il "si'" e per il "no" ed ognuno dei presenti poteva
vedere dove stavano. Votare contro il presidente si era gia' dimostrato
pericoloso in passato: coloro che avevano espresso un "no" sono stati
arrestati, molti non hanno fatto ritorno alle loro case. I cittadini e le
cittadine dell'Iraq non hanno a disposizione strumenti facili per mostrare
il loro dissenso.
Un iracheno trovato in possesso di un impianto per la ricezione satellitare
dei programmi televisivi viene multato dell'equivalente di 500 euro, mentre
il suo eventuale delatore ne riceve in premio 250. Tuttavia, la popolazione
mediamente e' molto piu' informata sugli "affari occidentali" di quanto noi
ne sappiamo dell'Iraq e la comunicazione via internet si sta rapidamente
diffondendo, nonostante le sanzioni abbiano limitato il numero dei computer
a quelli che possono essere contrabbandati.
Il benessere del popolo iracheno richiede che due difficili scopi vengano
raggiunti: che il regime totalitario vigente scompaia e che un governo
democratico nasca in un paese lacerato da fazioni ideologiche, religiose,
etniche, impoverito da guerre e sanzioni economiche, che da troppo tempo non
sperimenta liberta' e speranza. E' ovvio che non stiamo discutendo
sull'autodeterminazione degli iracheni uomini e donne, che hanno il pieno ed
incontestabile diritto di decidere le proprie forme di governo, e nemmeno se
sia desiderabile o no liberarsi da un dittatore (anche questo e'
lapalissiano) ma solo se sia fattibile appoggiare il movimento per la
democrazia in Iraq e come.
Si tratta di un movimento in crescita, sia all'interno del paese che fra le
comunita' di migranti. Il 22 ottobre 2002 due imponenti manifestazioni si
sono tenute davanti al Ministero dell'Informazione a Baghdad, dove i
dimostranti hanno chiesto notizie dei loro parenti imprigionati. "Una cosa
mai accaduta prima. E' davvero un evento inusuale e importante", ha
commentato Wamid Nadhmi, docente di scienze politiche all'Universita' di
Baghdad.
Ismail Zayer e' invece un iracheno emigrato, un giornalista che vive in
Olanda. E' il coordinatore di un gruppo di opposizione democratica
nonviolenta a Saddam Hussein e lavora anche per l'International Center for
Nonviolent Conflict di Washington. "La nonviolenza e' il fattore nuovo della
politica araba", sostiene Zayer. Nel gennaio scorso, questa ong di
Washington ha fatto incontrare attivisti Kurdi con
organizzatori/organizzatrici delle lotte nonviolente in Sudamerica, Usa,
Cile, Polonia, Mongolia e Serbia. In quella sede sono state ipotizzate
azioni dirette nonviolente commisurate alla realta' irachena.
E' assai probabile che questa sia, per il momento, una visione di minoranza.
Molti dei gruppi conosciuti che si oppongono a Saddam Hussein aspettano
l'attacco che detronizzera' il dittatore e credono che null'altro che la
guerra possa portare questo cambiamento. La prospettiva di ottenere
cooperazione fra i disparati gruppi politici iracheni sembra attualmente
debole: sia perche' sono semiclandestini, sia perche' le loro politiche sono
spesso confliggenti ed un coordinamento pluralista forse non funzionerebbe
neppure in condizioni democratiche. Inoltre, la polizia segreta include una
frazione significativa della popolazione; ci sono villaggi iracheni privi di
elettricita', ma ben forniti di informatori politici.
*
Il potere della resistenza nonviolenta
Il potere della resistenza nonviolenta non e' ancora ben compreso e anche
quando si dimostra vincente la gente tende ad attribuire il suo successo ad
altri fattori. Il successo o il fallimento dipendono dalle scelte operate
sulle tecniche, in relazioni a luoghi, culture e momenti: per riuscire e'
necessario usare metodi che lavorino con precisione contro le circostanze
che mantengono lo status quo. Su che cosa, ad esempio, Saddam Hussein basa
il suo potere? Su un misto di lealta' personali, ricompense materiali e
minacce mortali. Se una campagna di resistenza implementasse azioni dirette
disperse su tutto il territorio nazionale, senza quindi offrire un
riferimento "fisso" o concentrarsi sulla capitale, la repressione sarebbe
compito dei membri per cosi' dire meno "affidabili" dell'apparato, quelli
piu' lontani dal centro del potere: se gli organizzatori, gli attivisti e i
partecipanti alla resistenza nonviolenta rendessero chiaro a costoro, a
polizia ed esercito, che non li si sta trattando da nemici, ma che si chiede
onestamente un cambiamento politico, il pericolo relativo alle azioni
susseguenti diminuirebbe. Man mano che l'opposizione divenisse aperta e
visibile si formerebbero nuovi spazi per accogliere chi desidera abbandonare
il dominio.
*
Le opposizioni
I kurdi, che costituiscono il 19% della popolazione irachena, vivono nella
regione autonoma del Kurdistan, nel nord dell'Iraq. L'autonomia della
regione fu stabilita negli anni '70 ma le relazioni fra essa ed il governo
sono sempre state tese e durante la guerra Iran-Iraq i guerriglieri kurdi
ricevettero aiuto dall'Iran per attaccare il regime. In risposta, Saddam
Hussein intraprese una guerra contro il Partito democratico kurdo (Kdp),
usando armi chimiche su molti villaggi. Dopo la "guerra del Golfo", il
presidente Bush (senior) incito' alla ribellione i kurdi, senza peraltro
fornire loro alcuna assistenza. L'insurrezione avvenne, fu annegata nel
sangue, e un milione e mezzo di kurdi fuggirono in Iran o in Turchia.
I due maggiori partiti Kurdi in Iraq, il Kdp e l'Unione patriottica del
Kurdistan (Puk) si sono spesso combattuti l'un l'altro: nel 1996, il Kdp
ottenne aiuto dalle truppe irachene per stabilire il controllo su territori
influenzati dal Puk. Oggi le relazioni fra i due partiti sembrano
relativamente tranquille. Insieme, essi dispongono di 40.000 uomini armati,
che l'amministrazione statunitense intenderebbe usare come alleati per la
guerra contro l'Iraq. E' improbabile che i due partiti si assumano questo
rischio, ora che godono di qualche livello di liberta' e profittano del
contrabbando di petrolio, incoraggiati dal loro governo. Inoltre, essi
sembrano aver perso influenza fra i gruppi di opposizione democratica al
regime.
Gli sciiti sono circa il 60% della popolazione irachena. Il gruppo dirigente
di Baghdad e' stato a lungo dominato dai musulmani sunniti, che sono invece
circa il 16%. Gli sciiti non intendono cooperare ad un'invasione
statunitense e si dichiarano dubbiosi sul fatto che essa rovescerebbe Saddam
Hussein. Nel 1991 parteciparono all'insurrezione caldeggiata dagli Usa,
perdendo migliaia di vite. L'opposizione sciita e' sostenuta dall'Iran, e
mantiene un'organizzazione militare stimata fra i 7.000 e i 15.000 uomini,
il Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq, che ha base a
Teheran. In Iraq ci sono altri gruppi sciiti minori. Ad un incontro fra i
gruppi di opposizione, avvenuto a Londra quest'autunno, i delegati sciiti
hanno dichiarato di non volere che l'Iraq si trasformi in uno stato
federale. Il movimento di opposizione in esilio comprende per la maggior
parte kurdi e sciiti, ma include anche altri gruppi etnici e politici.
Lo sforzo per coordinare queste differenti realta' si e' concretizzato in un
tavolo che si chiama Congresso nazionale iracheno (Inc), nato nel 1992, la
cui base e' a Londra. Per il passato, il governo statunitense ha finanziato
questa organizzazione e la sostiene ancora oggi. Gli Usa avrebbero pensato
anche ai possibili successori di Saddam Hussein: uno e' un ex generale,
Nizar Al-Khazraji, che guido' l'esercito iracheno durante l'invasione del
Kuwait e che e' seriamente sospettato di aver usato armi chimiche contro i
Kurdi negli anni '80. Un altro candidato sarebbe Ahmad Al-Chalabi, un ex
banchiere sciita fuggito a Londra nel 1989 perche' accusato di
appropriazione indebita dei fondi bancari. Ha diretto il Congresso nazionale
iracheno per qualche tempo, e in quel periodo i finanziamenti statunitensi
hanno subito delle misteriose sparizioni: nonostante cio', molti diplomatici
e "strateghi" americani si riferiscono ancora a lui come al "prossimo
presidente dell'Iraq".
*
Ambiguita' e incertezze
Nel maggio scorso, una conferenza di tre giorni si e' tenuta nel Kurdistan
iracheno, a Erbil, sotto gli auspici della Westminster Foundation for
Democracy. I 130 partecipanti (mondo accademico, religiosi, giornalisti,
studenti, capi locali), in rappresentanza delle differenti etnie e fedi,
hanno chiesto la fine delle sanzioni e riforme democratiche, ed ipotizzato
il rimodellamento dell'Iraq sull'esempio dell'Unione Europea. Nel luglio
seguente, un incontro simile e' stato ospitato dal Dipartimento di Stato
americano, e vi hanno partecipato il Congresso nazionale iracheno, i partiti
kurdi, ex membri del partito Ba'ath al potere, il Movimento per la monarchia
costituzionale ed il Consiglio supremo per la rivoluzione islamica in Iraq:
tuttavia, le prospettive su un programma comune sono rimaste sul vago.
L'atteggiamento statunitense rispetto ai gruppi politici espatriati rimane
ambiguo. Le ipotesi sul tappeto per la fase successiva al rovesciamento del
regime iracheno sono il finanziamento di un colpo di stato militare o la
messa sotto tutela del paese da parte dell'Onu. La prospettiva della
costruzione di una vera democrazia non e' in discussione.
*
La democrazia e' possibile
Laith Kubba e' un iracheno che lavora a Washington per il Fondo nazionale
per la democrazia, una ong creata nel 1983 allo scopo di rafforzare nel
mondo le istituzioni democratiche.
Kubba sostiene che la democrazia e' possibile in tutti i paesi musulmani,
Iraq compreso, giacche' non vi e' nulla nei testi e nelle tradizioni
religiose che possa interferire con un processo di democratizzazione: egli
parla di ostacoli culturali, piu' che di ostacoli religiosi.
La sua proposta e' la creazione di un'amministrazione ad interim in cui le
varie aggregazioni condividano effettivamente il potere, permettendo a tutti
i gruppi di interesse di esprimere le loro idee; il primo passo sarebbe
un'assemblea costituente che pianifichi un successivo referendum, sicuro e
libero, di ratificazione del nuovo assetto nazionale. "L'ultima cosa di cui
l'Iraq ha bisogno e' un altro uomo forte", sostiene Kubba. E prosegue
spiegando nei dettagli le tre "camere" di questo ipotizzato governo
temporaneo, che darebbero modo di includere nel processo di transizione le
minoranze (caldei, cristiani), i capi tradizionali tribali o religiosi, i
militari dissidenti, ecc.
*
In conclusione
George W. Bush puo' prevenire la guerra all'Iraq semplicemente decidendo di
non dichiararla. Puo' migliorare la qualita' della vita dei civili iracheni
acconsentendo a mettere fine alle sanzioni che hanno ucciso cosi' tanta
gente, in special modo bambine e bambini. Nessuna di queste decisioni
portera' di per se stessa democrazia al popolo dell'Iraq. E' chiaro che
questo verra' ottenuto solo con la creazione di un governo in cui le antiche
ostilita' etniche, ideologiche e religiose vengano contenute da un civile e
pluralistico dialogo. Questo pu' accadere. Non accadra' domani mattina, e
non accadra' senza sostegno morale e finanziario.
I governi e le ong hanno di solito scarsa fiducia nel potenziale di una
resistenza nonviolenta: spesso temono di apparire ingenui, utopisti che
sostengono una causa senza speranza. Sarebbe certo ingenuo credere che
Saddam Hussein lascera' il potere facilmente, o che l'opposizione
democratica non debba soffrire repressioni. Tuttavia, i costi del sostegno
ad un movimento nonviolento autonomo che chieda diritti e democrazia in Iraq
sono infinitamente minori, a tutti i livelli (in termini di vite umane, di
costi finanziari, ecc.), di una guerra. Fino ad ora, nessun governo o ong ha
ipotizzato questa soluzione, che pure si rivelo' vincente nel caso di
Milosevic.
Vogliamo provare a pensarci?

7. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: LA PRIMA RADICE, LA VIOLENZA DI GENERE
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it)
per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei principali
collaboratori di questo foglio, e una delle persone piu' lucide e rigorose
impegnate nella solidarieta' internazionale]
Esistono diverse forme di violenza nella nostra societa' e piu' generale in
quello che e' il nostro mondo. Johan Galtung ne sottolinea fondamentalmente
tre:
1. la violenza culturale, la produzione di idee che giustificano le altre
forme di violenza;
2. la violenza economica (o strutturale), quella che produce miseria e
affama la popolazione;
3. la violenza militare (o diretta) che oggi arriva a fare strage di civili.
Tre tipi fondamentali di violenza che, semplificando, sono rappresentati da:
1. coloro che detengono il potere della parola;
2. coloro che detengono il potere economico;
3. coloro che detengono il potere delle armi.
Il risultato e' un dato inquietante: il crescente divario fra il 20% piu'
ricco della popolazione mondiale e il 20% piu' povero, costretto a vivere
con meno di un dollaro al giorno.
Ma esiste una forma di violenza che sorregge queste tre forme, e' la
violenza di genere; quella da sempre esercitata - in ogni angolo della
terra - dall'uomo sulla donna.
Su questo tema, partendo dall'8 marzo, giorno internazionale della donna, il
n. 534 di questo notiziario ha proposto due belle riflessioni di Ida
Dominijanni "Ritorno alle origini", e di Angela Giuffrida "Sul naturale
pacifismo delle donne".
Ricordiamo che le origini della festa dell'8 marzo risalgono al 1908,
quando, pochi giorni prima di questa data, a New York, le operaie
dell'industria tessile Cotton scioperarono per protestare contro le
terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero si
protrasse per alcuni giorni, finche' l'8 marzo il proprietario Mr. Johnson
blocco' tutte le porte della fabbrica per impedire alle operaie di uscire.
Allo stabilimento venne appiccato il fuoco e le 129 operaie chiuse
all'interno morirono arse dalle fiamme. Successivamente questa data venne
proposta come giornata di lotta internazionale a favore delle donne, proprio
in memoria della tragedia.
Ritornando alle riflessioni di Ida Dominijanni e di Angela Giuffrida, pur
con le dovute differenze, entrambe danno per acquisito il concetto per cui
"il personale e' politico": rimettere insieme i poli precedentemente
profondamente separati tra vita privata e vita sociale. Avere presente che
la problematica dei sessi, e in essa la violenza del dominio maschile, e'
una delle componenti che caratterizzano di volta in volta le situazioni
personali e sociali in cui ci troviamo a vivere.
Soltanto che oggi viene sovente confuso (nel linguaggio comune che subisce
l'ideologia dominante) il concetto "il personale e' politico", con il
concetto - solo apparentemente simile - che "il privato e' politico", che ha
rappresentato la volgarizzazione da parte degli altri movimenti prima, e del
senso comune e mediatico poi (si veda per un'analisi su questo tema il
seminario "L'eredita' del femminismo per una lettura del presente", Milano,
novembre 2000, gennaio 2001, aprile 2001, edito da "Il paese delle donne"
supplemento al numero 37/38 del 2002).
E' questo un terreno estremamente difficile per noi uomini "militanti";
sempre "prigionieri" di corse frenetiche, senza respiro. Per cui il tempo
della (nostra) vita e' tempo della politica, perche' tutta la vita (ci
sembra) e' politica, anche gli spazi privati, quelli riempiti dalle letture
per capire.
Quando il femminismo diceva che la storia personale (le problematiche del
corpo: sessualita', maternita', ecc.) sono gia' politica, operava uno
spostamento non indifferente rispetto alla storia, alla cultura e alla
politica come erano ereditate. Oggi in una situazione che e' molto cambiata,
sarebbe interessante interrogarsi sullo sviluppo avuto da quella originale,
radicale intuizione.
Ha scritto Daniela Gagliani, storica del fascismo e della Resistenza: "Il
ritorno a una politica che stravolge e usa spregiudicatamente tutto cio' che
negli anni Settanta si definiva come la sfera personale. L'uso e l'abuso di
quello che definirei soggettivismo al posto della soggettivita',
individualismo al posto dell'individualita', moralismo al posto della
moralita', e contestualmente, perche' va di pari passo, una politica
spettacolarizzante che fa presa sul pregiudizio e sull'emotivita', e rinvia
a una massa anziche' a un insieme concreto di uomini e di donne (...). Mi
riferisco a quel grumo di pregiudizi, a quel soggettivismo che ignora
responsabilita' verso l'altro e l'altra. Quel personalismo che difende il
piu' forte e schiaccia o e' indifferente al piu' debole, negando quindi ogni
concreta personalita'. E mi riferisco anche a quel profluvio di parole in
liberta', parole senza significato e senza ancoraggio alla realta', in grado
di generare un baratro tra il pubblico e il privato e tra cio' che si dice
in pubblico e cio' che si dice in privato. Con conseguenze chiaramente
devastanti".
Vale a dire che oggi ci viene ributtato in faccia un personale politico che
e' una specie di metamorfosi orrenda: da una splendida farfalla e' nato
l'orrido bruco.

8. INCONTRI. IL 22 MARZO A VERONA INCONTRO DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito www.nonviolenti.org riprendiamo questo comunicato di convocazione
della sesta riunione del comitato di coordinamento del Movimento
Nonviolento]
Cari amici,
e' convocata la sesta riunione del comitato di coordinamento del Movimento
Nonviolento che si terra' sabato 22 marzo a Verona, con inizio alle ore
10,30 e termine prevedibile alle ore 17,30. Si ricorda a tutti gli eletti e
ai rappresentanti dei gruppi locali l'importanza del coordinamento, e si
raccomanda la presenza e la puntualita'.
All'ordine del giorno: 1. Approvazione verbale precedente; 2. Iniziative
contro la guerra; 3. Iniziativa War Resisters' International; 4. Camminata
Assisi-Gubbio; 5. Campagna "Scelgo la nonviolenza"; 6. Questionario iscritti
al Movimento Nonviolento; 7. Servizio civile volontario al Movimento
Nonviolento; 8. Atti del seminario sulla laicita'; 9. Nuovo depliant del
Movimento Nonviolento; 10. Attivita' delle sedi; 11. Varie ed eventuali.
Il luogo dellíincontro e' la Casa per la nonviolenza, in via Spagna 8
(vicino alla basilica di San Zeno): dalla stazione autobus n. 61 (direzione
centro, scendere alla fermata di via Da Vico, all'altezza del Ponte
Risorgimento); chi viene in macchina deve uscire al casello di Verona Sud,
seguire la direzione centro fino a Porta Nuova, poi a sinistra lungo la
circonvallazione interna fino a Porta San Zeno. Chi desidera pernottare
nella notte fra venerdi' e sabato o fermarsi anche la domenica, e' pregato
di farcelo sapere (meglio se portate il sacco a pelo, grazie).
Per informazioni e contatti: tel. 0458009803, e-mail:
azionenonviolenta at sis.it.

9. INFORMAZIONE. AGGIORNAMENTI DEL SITO DI "DONNE IN VIAGGIO"
[Dalla redazione di "Donne in viaggio" (per contatti: e-mail:
donneinviaggio at tiscali.it; sito: www.donneinviaggio.com) riceviamo e
diffondiamo]
Aggiornamenti del 16 marzo 2003
*
Roma: Noi = uguali diritti
- Russia: Giustizia in rosso;
- Bologna: Corso di formazione per redattrici on line con competenze di
genere;
- Modena: Penelope-net, Donne e lavoro, conciliazione dei tempi, pari
opportunita';
- Napoli: 21 marzo, Giornata mondiale della poesia;
- Prato: Raccontar(si), terzo laboratorio di mediazione interculturale sul
tema ''Genere, complessita', cultura''.
*
- Donne tipografe ra il XV e il XVIII secolo, di Elena Vaccarino;
- La piu' grande organizzazione politica delle donne, di Lidia Campagnano;
- Osteoporosi:la prevenzione inizia dalla nascita, di Elena Vaccarino;
- Ad Agape per dirsi, narrarsi, raccontarsi, di Sara Bouchard;
- Viaggiare in Africa: Burkina Fasu e Mali, di Katia Bouc;
- Audience e TV, di Mariella Todaro;
- Uganda: guerra e disperazione, di Chiara Guerzon.
*
Percorsi di lettura a cura di Mary Nicotra
- Davide Tolu, Il viaggio di Arnold. Storia di un uomo nato donna
- Carla Fuligni, Patrizia Rumito, Il counselling per adolescenti
*
"Donne in viaggio" e' una rivista quindicinale a cura dell'associazione
Donne in viaggio. Direttrice editoriale Mary Nicotra; direttrice
responsabile Elena Vaccarino. Sito: www.donneinviaggio.com

10. INFORMAZIONE. CRISTINA PAPA: AGGIORNAMENTI DEL SITO DE "IL PAESE DELLE
DONNE"
[Da Cristina Papa, della redazione de "Il paese delle donne" (per contatti:
e-mail: womenews at www.womenews.net; sito: www.womenews.net), riceviamo e
diffondiamo]
Aggiornamento de "Il paese delle donne" n. 9 e 10, del 16 marzo 2003.
* Femminismi
- Scelte necessarie.
* Pace & guerra
- Le donne afghane non vestono Benetton;
- Si chiama Codice Rosa;
- Quel che e' chiaro.
* Diritti
- Dipende dalla materia;
- Con le donne iraniane;
- Il mercato delle donne;
- Articolo 51: ed ora?
- Strategie di democrazia a due;
- Le chiavi e la macchina;
- L'agenda del movimento;
- Femminismi globali;
- Dove va l'universita' in Europa?
* Culture
- Fuori dal cicaleccio;
- Donne ri-leggono donne;
- Il colore della vita;
- L'undicesima scommessa;
- I salotti della politica;
- Follia come profezia;
- Gente di plastica.
* Global/local
- Penelope: i nodi e la tela;
- Le case d'Aurora;
- Una galleria di donne.

11. LETTURE. SILVINA OCAMPO: AUTOBIOGRAFIA DI IRENE
Silvina Ocampo, Autobiografia di Irene, Sellerio, Palermo 2000, pp. 164,
lire 15.000. Una raccolta di cinque racconti diafani e struggenti,
enigmatici e lievi - ma insieme anche aspri, e di crudeli condizioni e sorti
specchio e denuncia - della grande scrittrice argentina (Buenos Aires
1906-1993) sorella di Victoria e collaboratrice di Borges e di Bioy Casares.

12. RILETTURE. ALAIN: CENTO E UN RAGIONAMENTI
Alain, Cento e un ragionamenti, Einaudi, Torino 1960, 1975, pp. XLIV + 258.
Per le cure di Sergio Solmi, una classica raccolta di "propos" dell'umanista
ed educatore che fu maestro di Simone Weil.

13. RILETTURE. CARLO LUDOVICO RAGGHIANTI: PROFILO DELLA CRITICA D'ARTE IN
ITALIA
Carlo Ludovico Ragghianti, profilo della critica d'arte in Italia,
Vallecchi, Firenze 1973, pp. X + 252. La limpida sintesi scritta in carcere
nel 1942 (Ragghianti, uno dei piu' grandi intellettuali novecenteschi, era
detenuto in quanto antifascista - e dell'antifascismo e della Resistenza e'
stato uno dei rappresentanti piu' autorevoli), in una nuova edizione
integrata da complementi e annotazioni.

14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

15. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 539 del 18 marzo 2003