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La nonviolenza e' in cammino. 533
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 533
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 12 Mar 2003 13:52:23 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 533 del 12 marzo 2003 Sommario di questo numero: 1. E' ancora possibile fermare la guerra, e necessario 2. Hannah Arendt, ogni obbedienza 3. Mao Valpiana, Massimiliano o dell'obiezione 4. Donatella Di Cesare intervista Richard Rorty 5. Simone Weil, soltanto dei fanatici 6. La Comunita' del Cassano ricorda Ciro Castaldo 7. Adriano Apra' ricorda Stan Brakhage 8. Roberto Silvestri ricorda Stan Brakhage 9. Una presentazione di "Oltre il nulla" di Ausilia Riggi 10. Cristina Piccino, The Lysistrata Project 11. Laura Boella, il dolore di Ingeborg Bachmann 12. La "Carta" del Movimento Nonviolento 13. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. E' ANCORA POSSIBILE FERMARE LA GUERRA, E NECESSARIO Fermare la guerra e' ancora possibile, ed e' necessario sempre. Ma per farlo occorre contrastare la macchina bellica: contrastarla anche e innanzitutto con l'azione diretta nonviolenta che impedisca la produzione, la dislocazione e l'uso delle risorse e le strutture finalizzate a uccidere, che impedisca alle armi e agli armati di agire. Occorre contrastare i golpisti e stragisti che la guerra promuovono e fiancheggiano: fermarli anche promuovendo azioni giudiziarie contro di loro e chiedendo a magistratura e organi di pubblica sicurezza di intervenire per arrestarli e processarli. La Costituzione italiana vieta la partecipazione italiana alla guerra, anzi fa obbligo alle istituzioni italiane di opporsi alla guerra. Chiunque la guerra sostiene o fiancheggia commette un crimine. E se a sostenere e favoreggiare la guerra sono persone investite di pubblici poteri, al crimine di promotori e fiancheggiatori di stragi e terrorismo essi aggiungono quello di tradimento della Costituzione cui hanno giurato fedelta': devono essere perseguiti ai sensi di legge, devono essere arrestati e messi in condizioni di non nuocere, devono essere giudicati e puniti dalle competenti magistrature sulla base del codice penale in vigore. * Opporsi alla guerra significa dunque anche difendere la Costituzione, lo stato di diritto, la democrazia: opporsi alla guerra e' quindi diritto e dovere di tutti, a tutela e vantaggio di tutti e di noi stessi. E opporsi alla guerra significa inoltre e innanzitutto difendere vite umane minacciate di morte; significa difendere i diritti umani di tutti gli esseri umani, diritti umani di cui il fondamento ultimo, ovvero la prima radice, e' il diritto a vivere, a non essere uccisi. E la guerra consistendo della commissione di uccisioni di massa e' intrinsecamente, costitutivamente il piu' grande e piu' grave crimine contro l'umanita', la piu' grande e piu' grave violazione dei diritti umani. Opporsi alla guerra e' un dirittto e un dovere di tutti, diritto soggettivo e legittimo interesse, valore morale ed obbligazione giuridica, bisogno radicale e razionale determinazione, esigenza materiale e civile. E' assunzione personale di responsabilita' a difesa dell'umanita' intera e di se stessi. Opporsi alla guerra e' un atto di legittima difesa, della propria persona e dell'umanita'. * Ma opporsi alla guerra richiede rigore intellettuale e morale, richiede una scelta ineludibile: la scelta della nonviolenza. Solo la nonviolenza si oppone alla guerra nel modo piu' nitido ed intransigente; solo la nonviolenza costruisce la pace; solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe. 2. MAESTRE. HANNAH ARENDT: OGNI OBBEDIENZA [Da Hannah Arendt, La vita della mente, Il Mulino, Bologna 1987, 1993, p. 400. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l 'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] Ogni obbedienza presuppone il potere di disobbedire. 3. MEMORIA. MAO VALPIANA: MASSIMILIANO O DELL'OBIEZIONE [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: azionenonviolenta at sis.it) per questo intervento. Mao Valpiana e' direttore di "Azione nonviolenta" e una delle figure piu' prestigiose della nonviolenza in Italia. Sulla figura di Massimiliano di Tebessa (la citta' nella diocesi di Cartagine di cui era originario) naturalmente si veda quanto riferito negli Acta Sanctorum] Il giorno 12 marzo e' dedicato, dal calendario della Chiesa cattolica, al ricordo di San Massimiliano. Infatti il 12 marzo dell'anno 295 dopo Cristo, il giovane Massimiliano di Cartagine fu martirizzato perche' rifiuto' di prendere le armi ed entrare nell'esercito dell'Impero Romano. Al processo motivo' il suo rifiuto professando la fede cristiana: quindi non poteva in alcun modo imparare ad uccidere, ma anzi doveva amare il suo prossimo, persino i nemici. Un seguace di Gesu' non poteva entrare nell'esercito, avendo scelto di servire solo il Dio dell'amore. Massimiliano venne condannato a morte. Oggi questo santo e' considerato il patrono degli obiettori di coscienza. Il martirio del giovane obiettore Massimiliano e' un patrimonio prezioso per la Chiesa e il mondo intero. Duemila anni dopo il papa Giovanni Paolo II e' ritirato in preghiera e digiuno per contrastare la guerra che viene dal male. L'obiezione di coscienza e' ancor oggi il mezzo piu' efficace per opporsi a tutte le guerre, fatte da chiunque, per qualsiasi motivo. Nessuna guerra potrebbe essere combattuta se le pesone chiamate alle armi seguissero l'esempio di Massimiliano. La forza della storia millenaria dell'obiezione di coscienza oggi deve essere messa in campo per fermare la guerra dell'Iraq. 4. RIFLESSIONE. DONATELLA DI CESARE INTERVISTA RICHARD RORTY [Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 marzo 2003. Donatella Di Cesare e' attenta studiosa della riflessione filosofica contemporanea. Richard Rorty, come e' noto, e' uno dei piu' influenti pensatori nordamericani contemporanei. Piu' d'una delle sue opinioni ci trova perplessi o in netto dissenso, ma non vi e' dubbio che meritino attenzione] Richard Rorty e' cresciuto nell'ambiente della sinistra americana, ben prima di diventare uno dei piu' noti filosofi contemporanei. Entrambi i genitori erano fedeli simpatizzanti del partito comunista fino al 1932 e poi attivi antimilitaristi impegnati nei circoli intellettuali della sinistra libertaria e socialista, dove i punti di riferimento privilegiati erano il poeta Walt Whitman e il filosofo John Dewey. La dedizione di Rorty alla filosofia ha inizio nel '46 a Chicago dove insegnava tra gli altri Rudolf Carnap, l'allievo di Frege che, tra gli altri, ha contribuito alla diffusione della filosofia analitica in America. Dopo aver discusso una tesi su Whitehead nel 1949, Rorty ha portato a termine il suo dottorato a Yale nel 1956. Il Wesley College, l'Universita' di Princeton, quella della Virginia e infine la Stanford University, dove ancora insegna, hanno scandito gli spostamenti della sua carriera accademica. Dopo essersi formato alla scuola analitica, negli anni '70 Rorty se ne allontano' in modo clamoroso proponendo una mediazione tra filosofia del linguaggio ordinario, pragmatismo ed ermeneutica. Si rese cosi' protagonista di una vera e propria svolta nella filosofia americana - gia' preannunciata con La svolta linguistica del 1967 - aprendosi alla filosofia europea. Il primo passo di questa svolta, espresso nel suo libro del '79, La filosofia e lo specchio della natura si realizza nella critica all'idea tradizionale, sostenuta da Cartesio fino a Husserl, che la conoscenza sia una rappresentazione, un rispecchiamento mentale del mondo esterno. La fine di una filosofia "spettatoriale", fondata su una verita' universale che richiederebbe la validita' del criterio di corrispondenza e di conformita', e' d'altronde anticipata tanto da Heidegger, che da Wittgenstein e da Dewey, protagonisti della incrinatura di questo paradigma epistemologico. Rorty ha rifiutato la concezione della filosofia come "scienza rigorosa", difesa ancora dal positivismo e dalla fenomenologia, e ha invece mirato a una trasformazione della filosofia - come si legge in Conseguenze del pragmatismo - che deve rinunciare ad essere paradigma di obiettivita' per divenire filosofia storico-letteraria, in grado anzitutto di edificare il dialogo. E' cosi' che Rorty si e' avvicinato alle posizioni dell'ermeneutica, sebbene il suo pensiero si sia andato precisando in un senso fortemente etico e politico. Nella cultura "postfilosofica" di oggi, dove sono venuti meno i tradizionali vincoli religiosi, filosofici, politici e sociali, e' necessario per Rorty rafforzare un atteggiamento etico di simpatia e solidarieta' - come scrive nel suo libro dell'89, Contingenza, ironia e solidarieta' - che siano alla base della comunita'. E' in questo senso che il compito della filosofia diviene quello di ricercare non la verita', ma la felicita'. Cosi' la filosofia puo' rispondere meglio a quelle richieste, anzi a quelle urgenze, che si presentano ogni volta in forma nuova a partire dalle diverse contingenze storiche e individuali. Negli ultimi scritti Rorty ha offerto un panorama complesso e variegato di quella che nel futuro molto prossimo potrebbe essere "la filosofia dopo la filosofia". Questa intervista riflette quello che e' l'impegno recente del filosofo americano contro la guerra all'Iraq, che per quanto sembri inevitabile, e' tuttavia di giorno in giorno piu' delegittimata, non solo in Europa, ma negli ambienti intellettuali degli Stati Uniti. - Donatella Di Cesare: Vorrei iniziare chiedendole come vive un filosofo in America questo momento. Un filosofo che, come lei, e' stato sempre, per il suo paese, una voce critica? - Richard Rorty: Tutti quelli che criticano le scelte politiche del governo americano vivono vite piu' o meno tranquille e indisturbate dato che gli Stati Uniti sono ancora un paese in cui la stampa e le universita' sono libere e indipendenti. Noi americani che esprimiamo indignazione contro la politica del governo siamo nella stessa situazione degli italiani che stanno facendo altrettanto con Berlusconi. Forse non abbiamo alcuna influenza, ma nessuno cerca di vendicarsi su di noi. Pero', e' bene dirlo, le cose potrebbero peggiorare se ci fossero altri casi di "mega-terrorismo". L'amministrazione Bush si e' servita dell'11 settembre per diminuire gravemente le liberta' civili. Per ora questi provvedimenti hanno riguardato solo poche persone, per lo piu' immigranti o comunque cittadini non statunitensi, il che e' significativo. Ma e' sconvolgente che il General Attorney, il nostro ministro della Giustizia, abbia avuto cosi' la possibilita' di mettere in galera cittadini americani senza che questi abbiano potuto servirsi di una rappresentanza legale e senza che la loro situazione abbia potuto essere dibattuta in tribunale. E' la prima volta, nella mia vita, che un governo americano si e' permesso di avanzare sul piano legale pretese del genere. Se Al-Quaeda avesse ancora piu' successo, il General Attorney reclamerebbe poteri maggiori; potrebbe, in breve, far si' che gli Stati Uniti diventino a tutti gli effetti uno stato di polizia. - D. D. C.: A piu' di un anno di distanza dall'11 settembre, come riassumerebbe i cambiamenti intervenuti nella vita dei cittadini americani? - R. R.: Benche' le preoccupazioni iniziali siano ora diminuite, non e' detto che non tornino a rifarsi vive, soprattutto se si concretizzasse la minaccia di un altro attacco terroristico. Il cambiamento piu' significativo, pero', e' stato il tentativo dell'amministrazione Bush - dato che la nazione e' "in guerra" - di pretendere di dare inizio, indisturbati, a una guerra preventiva, e a violare le liberta' civili. Bush e i suoi consulenti sperano di continuare a vincere le elezioni insistendo sul fatto che e' pericoloso cambiare cavalli nel mezzo della corsa, ovvero cambiare presidente nel mezzo della guerra. - D. D. C.: La guerra e' stata nei secoli un tema della riflessione filosofica - una riflessione che ovviamente ha mirato per lo piu' alla pace, anzi alla pace perpetua tra i popoli, anche agitando, come ha fatto Kant, lo spettro di un ulteriore significato a cui "pace perpetua" rinvia. Nel suo libro piu' famoso La filosofia e lo specchio della natura (Bompiani) lei ha insistito sul ruolo "edificante" che puo' svolgere la filosofia permettendo a tutti di partecipare alla "conversazione del genere umano". Cosa puo', oggi, la filosofia contro la guerra? - R. R.: Nulla. Messe di fronte a dittatori e tiranni folli come gli attuali sovrani dell'Iraq e della Corea del Nord, non c'e' filosofia, non c'e' religione, non c'e' letteratura che tenga. E' come essere messi davanti a un cane impazzito. La cosa piu' saggia che si possa fare sara' probabilmente quella di rifugiarsi da qualche parte sperando che il cane muoia o se ne vada. Dipende dalle circostanze. Tuttavia non credo davvero che ci siano buone ragioni per preferire una guerra all'Iraq a una politica di contenimento. Credo al contrario che la guerra sara' lunga e rovinera' l'Iraq lasciandolo nel caos. Non penso, come sostiene l'amministrazione Bush, che la guerra durera' poco e avra' poche vittime. - D. D. C.: Ma lei non crede che tutto questo vada interpretato, allora, come un fallimento della filosofia? - R. R.: No. L'idea che la filosofia possa invocare il grande potere chiamato Ragione e' un'idea sbagliata come quella che i sacerdoti possano invocare il grande potere chiamato Dio. Non ci sono magiche pallottole intellettuali. La filosofia arriva dopo che i grandi mutamenti culturali hanno avuto luogo e cerca di vederci chiaro. Non puo' far si' che accadano. - D. D. C.: Lei e' tra quei filosofi che, a partire dalla questione della solidarieta', ha sottolineato l'esigenza di un dialogo non solo con le culture "altre", ma anche con quelle societa' che non sono edificate all'insegna della tolleranza. Eppure mai come ora questa parola "dialogo" appare fallimentare. - R. R.: Il dialogo si puo' avviare solo quando le relazioni di potere si stabilizzano - anche solo temporaneamente - e quando c'e' la possibilita' di una azione comune, di una cooperazione. Quando si ha a che fare con dittatori folli, con preti fondamentalisti, e con i loro seguaci, il dialogo e' irrilevante. Persone del genere si tappano le orecchie. Non vogliono neppure che si rivolga loro la parola. - D. D. C.: Nel libro che in italiano si intitola Una sinistra per il prossimo secolo (Garzanti, 1999) lei ha esaminato in modo originale, talvolta spietato, la sinistra americana. Alla sinistra tradizionale, concentrata sulla scolastica del marxismo, lei ha rimproverato un programma politico antiquato e rigido, fondato su una metafisica di stampo illuminista che avanza pretese di verita' universale e di rigore scientifico. Alla sinistra culturale, nata negli anni '60, lei ha rimproverato di confondere l'astrazione con la sovversione. Insomma, la nuova sinistra che, richiamandosi a Nietzsche e a Heidegger, a Foucault e a Derrida, ha lottato in nome delle "differenze", oggi le appare una spettatrice, disgustata e sarcastica, pericolosamente lontana dalla pratica politica - sa problematizzare e smascherare, ma non riesce a sperare. Rispetto alla situazione che si e' andata delineando negli ultimi due o tre anni cosa si sente di rimproverare, in particolare, alla nuova sinistra? - R. R.: Credo che alla sinistra europea si possa rimproverare di non aver lavorato abbastanza duramente per l'unificazione dell'Europa e in particolar modo per la creazione di una comune politica estera europea in grado di rafforzare l'Onu e di far avanzare il disarmo nucleare. Troppo spesso la sinistra europea, soprattutto quando si e' trattato di questioni internazionali, si e' accontentata di un antiamericanismo comodo e a buon mercato. Per quel che riguarda la sinistra americana, mi pare che abbia troppo spesso rifiutato di prendere sul serio i pericoli rappresentati da dittatori come Saddam o Kim Jong Il e da politici senza scrupoli e avidi come Yeltsin, come Mugabe o come ora in Italia Berlusconi. Mentre per l'amministrazione Bush non si puo' certo parlare di lungimiranza, l'amministrazione Clinton aveva affrontato questi pericoli se non altro con senso pratico. E quelli che l'hanno criticata da sinistra non si sono mai chiesti: "Cosa faremmo noi se fossimo al suo posto?". Si sono accontentati di sparare giudizi dalle retrovie senza riflettere sulla possibilita' di politiche alternative. - D. D. C.: Nella sua riflessione di qualche anno fa lei ha delineato con sconcertante chiarezza uno scenario del futuro prossimo in cui era previsto, tra l'altro, un "uomo forte" alla guida dell'America, il quale - scrive - "evochera' la gloriosa memoria della guerra del Golfo per provocare avventure militari che genereranno una prosperita' di breve periodo". Sembra che le sue previsioni si stiano avverando... - R. R.: Fa bene a ricordarmelo. E' lo scenario peggiore che si possa immaginare, Bush lo sta rendendo via via piu' credibile, anche se non e' detto sia imminente. In quello stesso passaggio avevo scritto che per distrarre dalla propria disperazione i piu' poveri, in America come nel mondo, sarebbero stati sufficienti pseudo-eventi creati dai media, comprese guerre occasionali, brevi quanto sanguinose. In tal caso la casta dei super-ricchi, che si sta formando con la globalizzazione, avra' ben poco da temere. E sara' un disastro per il paese e per il mondo. La gente si meravigliera' che vi sia stata una resistenza cosi' debole alla sua evitabile ascesa. Legittimamente si chiedera' dove fosse la sinistra americana. - D. D. C.: Torno a riproporle una frase di Hegel su cui lei ha piu' volte insistito, per chiederle se possa valere ancora: "l'America e' il paese del futuro... la terra del desiderio per tutti coloro che sono stanchi dell'arsenale storico della vecchia Europa". Davvero l'Europa e' relegata al passato? E quale ruolo politico potrebbe svolgere, di per se' e in relazione all'America? - R. R.: Ovviamente l'Europa non e' relegata al passato. E' l'unico posto al mondo, fuori dall'America del nord, in cui la democrazia e la liberta' convivono - ancora - con la ricchezza economica. Se l'Europa si unisse, si federasse, potrebbe diventare il leader morale delle democrazie al posto degli Stati Uniti; potrebbe evitare che persone come Bush sovvertano le istituzioni americane e rendano gli Stati Uniti una potenza imperiale egoista e corrotta. La resistenza di parte dell'Europa a Bush - vorrei sottolinearlo - ci incoraggia enormemente. Se i leaders europei si rendessero davvero conto della necessita' di avere una politica internazionale indipendente da Washington, e se proseguissero in questa direzione, a sua volta Washington potrebbe maturare dei ripensamenti sul proprio tentativo di egemonia. - D. D. C.: Quali conseguenze avrebbe per il mondo questa egemonia americana? - R. R.: Se l'Europa fallira' l'obiettivo di una comune politica estera, l'America continuera' imperterrita a fare il poliziotto del mondo. E' probabile che in tal caso fara' di tutto per mantenere la propria supremazia militare. Tutto cio' rappresentera' alla lunga una sfida per la Cina; l'egemonia americana condurra' allora a uno scontro militare - probabilmente nucleare - tra l'America e la Cina. Certo questo non si verifichera' per parecchi decenni; ma sara' quasi inevitabile se l'Europa non interverra' creando una terza forza e incoraggiando iniziative multilaterali per il mantenimento della pace tra Europa, Russia, Cina e America. - D. D. C.: Lei ha scritto che "la sinistra, per definizione, e' il partito della speranza". Al posto della conoscenza devono subentrare "sogni utopici condivisi"". Allora, quale speranza resta oggi di evitare la guerra? E, soprattutto, qual e' il compito della sinistra, in America, ma anche in Europa e nel mondo? - R. R.: La speranza e' la stessa che ci ha accompagnato fin qui: la speranza in un mondo in cui tutti i governi siano eletti democraticamente, la stampa sia libera ovunque e le opportunita' socio-economiche siano equiparate. I sogni utopici della sinistra non sono cambiati per oltre cento anni e non e' affatto necessario che cambino. Evitare la guerra si deve, ma non sempre si puo'. La seconda guerra mondiale e la guerra fredda sono state combattute per sconfiggere dittatori come Hitler e Stalin. Dittatori spunteranno sempre qua o la'. Forse, se avremo fortuna, potremo avere un giorno delle Nazioni Unite con un proprio esercito in grado di condurre direttamente una guerra eventuale contro regimi dittatoriali, piuttosto che riservarsi solo l'alternativa di intraprendere una guerra demandata a leaders opportunistici di singoli stati nazionali, o di fermarla. 5. MAESTRE. SIMONE WEIL: SOLTANTO DEI FANATICI [Da Simone Weil, Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale, Adelphi, Milano 1983, 1984, p. 130. Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, EDB, Bologna 1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994] Soltanto dei fanatici possono attribuire valore alla propria esistenza unicamente nella misura in cui essa serve una causa collettiva. 6. LUTTI. LA COMUNITA' DEL CASSANO RICORDA CIRO CASTALDO [Dal sito de "Il dialogo" (www.ildialogo.org) riprendiamo questo recente comunicato diffuso dalla Comunita' del Cassano per la morte di Ciro Castaldo, indimenticabile animatore dell'esperienza delle comunita' di base in Italia] La Comunita' del Cassano vive oggi un momento molto triste del suo cammino nell'annunciare a quanti lo hanno conosciuto ed amato, la morte di Ciro Castaldo che, oltre ad essere una saggia guida nella nostra comunita', svolgeva con grande dedizione il ruolo di responsabile della segreteria tecnica nazionale delle comunita' di base italiane, un fratello, un amico molto caro, ma principalmente un testimone di fede, una fede in ricerca. La sua testimonianza di coerenza profonda ci da' oggi la certezza che costruire una "Chiesa Altra", senza potere, a servizio degli ultimi e degli oppressi, portatrice di un messaggio di pace e di fraternita', e' possibile seguendo anche la strada che Ciro con il suo impegno, la sua passione e la sua umilta' ci ha tracciato. 7. LUTTI. ADRIANO APRA' RICORDA STAN BRAKHAGE [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 marzo 2003. Adriano Apra' e' uno degli studiosi del cinema piu' prestigiosi. Sempre dal medesimo quotidiano riprendiamo la seguente nota su Brakhage: "Stan Brakhage e' morto nel pomeriggio di domenica 9 marzo a Victoria, in Columbia Britannica (Canada), la citta' dove si era trasferito il 10 settembre scorso dopo essere andato in pensione. Era in ospedale, ricoverato in seguito a una infezione. Ma soffriva da mesi per un dolorosissimo cancro. L'ultima moglie, Marylin Brakhage, con la quale ha avuto due figli, era con lui. Tra le sue ultime parole "Ho avuto una vita meravigliosa. La vita e' grande". Orfano, aveva avuto cinque figli con la moglie precedente, Jane Collum. La notizia del decesso e' arrivata via internet attraverso Bruce McPherson, l'editore che ha pubblicato una antologia degli scritti del filmaker indipendente piu' famoso del mondo, Essentian Brakhage. Tra i suoi ultimi film ricordiamo Panels for the walls of heaven (con fotogrammi dipinti a mano) che dura 40 minuti, Ascension, Lovesong 3 e 4, Max, Seasons... A Rotterdam 2003 ne aveva inviati un po' di questi "movimentati dipinti astratti", saggi teorici sulla pittura del Novecento, che devono molto a Rotkho, Monet, Maya Deren e Turner, all'ultimo momento, per ringraziare il festival della personale che era stata organizzata nel 2002. In quella occasione, nonostante il bastone e un incedere claudicante, le sue lezioni a fine proiezione erano sempre uno stimolante avvenimento. Inoltre tutti i filmgoers olandesi lo ricorderanno perche', durante la proiezione di Corpus callosus, delirante e divertente opera video dell'amico e collega canadese Michael Snow, seppe dare ritmo alla ricezione generale con fragorose risate di cuore. Tutta la produzione di Stan Brakhage e' stata recentemente trasferita dal suo laboratorio, il Western Cine, al Moma (Museum of Modern Art) di New York per la conservazione e il restauro degli internegativi. L'Universita' del Colorado aveva comunque curato recentemente la ristampa di tutti i suoi 380 film circa, quasi tutti in 16 millimetri e senza sonoro, dei quali pochissimi sono in vendita home video o dvd. A Boulder, dove Brakhage insegno' dal 1986, e dove si era tenuta l'anno scorso una grande festa per festeggiare i 50 anni di produzione artistica e la fine dei suoi corsi, dovrebbe sorgere un Brakhage Center. Non solo per la proiezione e protezione dei film suoi e degli altri grandi filmakers sperimentali, ma per conservare appunti, scritti, lettere (80 scatole) e, dove possibile, gli originali dei film. Uno di questi, Dog Star Man, e' stato recentemente incluso dalla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti nel registro nazionale dei film "a futura memoria". Ricordiamo anche i suoi poemi neri come The dead e Beautiful funeral, In between con la musica di John Cage (1955) e le Sexual meditations"] E' morto il piu' grande cineasta amatore della storia del cinema. Da noi "cinema amatoriale" si traduce piuttosto "cinema famigliare". Stan Brakhage avrebbe amato anche questa seconda versione del concetto, perche', per tanti anni, fino a che non si e' separato dalla moglie Jane, lei e i loro figli (allora bambini) sono stati parte integrante dell'universo su cui egli puntava la propria cinepresa 16mm. Film di famiglia fatti con amore, come ribadisce uno dei suoi testi piu' belli, In difesa del cine-amatore. Sembra poco. Ma, lo ha detto Jonas Mekas, grande patriarca dello sperimentalismo statunitense, nel suo Manifesto per l'anti-centenario del cinema (1995): "In tempi di produzioni opulente, spettacolari, da 100 milioni di dollari, voglio prendere la parola in favore dei piccoli, invisibili atti dello spirito umano, cosi' tenui, cosi' piccoli, che quando vengono esposti ai proiettori muoiono. Voglio celebrare le forme del cinema piccole, le forme liriche, la poesia, l'acquerello, lo studio, lo schizzo, la cartolina, l'arabesco, il sonetto, la bagattella e le canzoncine in 8mm". Tutto questo ha fatto Brakhage, e molto di piu'. La sua e' una sterminata filmografia, iniziata nel 1952, quando aveva 19 anni, e sicuramente non terminata, perche' sono convinto che i suoi amici troveranno nelle cantine, o forse ancora in macchina, pellicola girata ma non ancora sviluppata o montata. Brakhage ha fatto film cortissimi e lunghissimi (The Art of Vision, 1961-65, dura 4 ore e mezza), con immagini captate dalla "realta'", o incollate sulla pellicola (Mothlight, 1963), o dipinte (The Dante Quartet, 1987, dove per una volta abbandona il 16mm per lavorare su una pellicola 70mm successivamente rifotografata in 35mm), e talvolta perfino contrappuntate da suoni (come nel suo film-opera in quattro parti Faust, 1987-89, con musica di Rick Corrigan). Ma anche se quasi sempre la fonte delle immagini e' la realta' esterna, Brakhage la modella, quasi fosse un disegno animato, con i pochi strumenti di una qualsiasi 16mm amatoriale (quando non 8mm, come nella stupenda serie di 30 Songs, 1964-69, cosi' realizzati perchi' gli avevano rubato la 16mm). Non e' infatti la realta' che lo interessa, ma la luce che "fa" la realta': The Riddle (l'indovinello/enigma) of Lumen, The Text of Light, come ribadiscono i titoli di due suoi film del 1972 e del 1974. Da ragazzo Brakhage, che era assai miope, decise di fare a meno degli occhiali, perche' la miopia, diceva, non fa che aumentare se la si "vizia" con lenti artificiali. Gli stupidi ne concludevano che i suoi film erano per questo "fuori fuoco". Ma basta un po' di abitudine per convincersi che il suo fuori fuoco e' un "altro" fuoco, un modo per vedere diversamente cio' che di solito la gente, e il cinema, vede "normalmente", per vedere al di qua e al di la' della realta', per vedere in un fiore, per esempio, la cellula e tutto l'universo nello stesso tempo: perche' tutto e' contenuto in quel fiore, basta correggere l'ottica, della cinepresa e della mente. Il suo e' un cinema materico, fatto della materia del cinema, che e' un composto chimico modellato dalla luce, ed e', nella successione dei pezzi, una serie di giunte di montaggio che si devono vedere. Annette Michelson non ha esitato a dedicare un numero speciale della prestigiosa rivista d'arte "Artforum" (gennaio 1973) ai due maestri del montaggio: Ejzenstejn e, appunto, Brakhage. E quest'ultimo, in quel libriccino delizioso e utilissimo (anche da un punto di vista pratico) che e' il Manuale per riprendere e ridare i film (tradotto da Massimo Bacigalupo assieme al piu' corposo Metafore della visione per Feltrinelli nel 1970), scende nei dettagli tecnici e filosofici della giunta scambiando lettere con Gregory Markopoulos. Carmelo Bene, cogliendo a suo modo l'essenza di tale cinema (probabilmente leggendo questi testi senza aver visto i film), urla: "Giunta te stesso, Brakhage, e non la tua trasparenza!", e poi si serve dei consigli per inserire fotogrammi colorati "invisibili" nel montaggio del suo Don Giovanni; e Piero Bargellini (chi ricorda piu' il nostro maggiore cineasta sperimentale?) attinge a Brakhage ogni volta che si mette a manipolare la propria pellicola-pelle mentre la sviluppa... Ma i figli di Brakhage sono molti, perche' egli era il piu' "accessibile" dei cineasti sperimentali, non nel senso che fosse "facile" ma nel senso che aveva una visione totale del cinema, e che quindi chiunque poteva prenderci qualcosa. Se e' difficile pensare a prosecutori dell'opera di Michael Snow o di Ernie Gehr, per citare due sommi film-makers di un cinema ridotto all'osso, Brakhage e' fratello di cineasti di ampio respiro, in sintonia con tutto il mondo, quindi con tutto il cinema, come Rossellini e John Ford. Ho avuto il privilegio di assistere nei primi anni '80, prima e unica volta, a una serie di lezioni tenute da Brakhage nella cantina, anzi nella soffitta, del Millennium, uno dei mitici templi dell'underground newyorkese. Lezioni di vita, oltre che di cinema. Ma Brakhage commise un piccolo errore: quando, per dimostrare quanto assurdo fosse il "sistema" nel suo paese, riferi' con sdegno del premio alla carriera che il presidente Nixon aveva assegnato, congiuntamente, a lui e a John Ford. Per una volta, pensai, Nixon aveva avuto degli ottimi suggeritori. 8. LUTTI. ROBERTO SILVESTRI RICORDA STAN BRAKHAGE [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 marzo 2003] Film di 4 secondi o di 4 ore. Opere "in prima persona singolare", dove conta la tensione del punto di vista. Lo sguardo che inquadra, vede, rispetta e accarezza cose che noi non vediamo. Oltre 300 film che raccontano i sogni, l'amore, il parto dei figli, l'ascensione in montagna, i giochi dei bimbi, i viaggi in citta', le foreste che bruciano, il pellegrinaggio nel mondo di un americano... "Americano e' la capacita' di essere nello stesso tempo essenziale e volgare". Pellicole che sanno padroneggiare storia e estetica musicale, letteraria, pittorica e cinematografica, aprendo nuove piste. "Arte e' un significato di magico". E che utilizzano budget zero, ogni tecnica e forma espressiva, comprese quelle piu' manuali e materiche (graffiare sulla pellicola, dipingervi a mano), per anticipare l'emancipazione del cineasta/videoartista dalla dittatura del cliche' e combattere il modo di produzione basato su studio-system, star-system, sterminio del nemico e massimizzazione dei profitti. Ma anche "occupazione anarchica di un territorio vuoto" lasciato libero dal mercato. Dunque una maniera tutta americana di concepire la liberta' d'espressione artistica che si fa passione "mercantile" del vivere e quel certo modo di dire un grande si' al mondo, alla natura, agli esseri viventi. Il suo titolo piu' famoso? Dog Star Man. Prototipo che anticipa forme estetiche eventualmente utilizzabili per piu' pratici obiettivi. Hollywood e il design tv, Mtv e lo spot devono molto al sintetico gioco onnivoro dei designer underground, Brakhage compreso. E' lui a utilizzare il fotogramma flash che interrompe la sequenza come effetto psicologico in Cat's Cradle. La pubblicita' saccheggera'. L'uomo del banco dei pegni rubera' il fotogramma di un'immagine precedente usato per riattivare la memoria, come facevano Brakhage e Markopoulos in Twice a man, altro capolavoro underground. La piu' clamorosa smentita e la piu' convincente prova, dunque, che siamo davvero nell'"epoca della riproducibilita' tecnica dell'opera d'arte". Stan Brakhage, un grande del "New American Cinema", il simbolo del filmaker indipendente e underground, e' nato il 14 gennaio 1933 a Kansas City, Missouri. Ha completato il suo primo film, Interim, a 19 anni e nel 1998 ha realizzato il suo trecentesimo. Ha scritto molti libri, dal piu' celebre Metafore della visione (1964, pubblicato anche in Italia, da Feltrinelli) a A Moving Picture Giving and Taking Book, The Breakhage Lectures, Seen, Film Biographies, The Brakhage Scrapbook, Film at Wit's End, I...Sleeping, The Domain of Aura... Ha sfornato allievi ed e' diventato soggetto di documentari. Adorava Superman ('78) e ha recitato in Cannibal! The Musical ('96) di Trey Parker e Matt Stone, quelli di South Park, suoi allievi. Negli ultimi 35 anni Brakhage (professore emerito dell'universita' di Boulder, Colorado, dove ha insegnato per decenni) ha tenuto corsi e conferenze (dal 1969 al 1981 all'Istituto d'arte di Chicago) in universita', colleges, musei, gallerie e nei festival che gli hanno dedicato personali e retrospettive (le ultime a Rotterdam 2002 e al Sundance) e premi (Bruxelles, Telluride, il Maya Deren 1986 e Guggenheim). A Torino 2003 sarebbe stato ospite d'onore e ne stava creando la nuova sigla. Chiedere i suoi film a Canyon Cinema, 145 Ninth Street, Suite 260 San Francisco, CA 94103; tel. 4156262255, e-mail: films at canyoncinema.com 9. LIBRI: UNA PRESENTAZIONE DI "OLTRE IL NULLA" DI AUSILIA RIGGI [Ringraziamo Ausilia Riggi (per contatti: ausiliariggi at tiscalinet.it) per averci messo a disposizione questa presentazione del suo recente libro Oltre il nulla, percorsi di vita religiosa femminile, Edizioni Il Segno dei Gabrielli, 2003] L'idea L'idea nasce tra le "Donne Cosi'" (donne contro il silenzio) Dopo la prima iniziativa di lanciare un libro per le donne in rapporto ai preti, ora, senza abbandonare il settore che sta tanto a cuore a noi "donne contro il silenzio", il nostro interesse e' diretto verso le donne che hanno amato tanto (e non e' detto che non amino ancora) Cristo e la sua chiesa, nonche' tutti i bisognosi della terra, fino al punto di farsi suore. Che cosa le fa essere "diverse"? perche' la loro diversita' si esprime in un contesto che le pone "fuori dal mondo"? perche' il loro discepolato particolarmente impegnato rappresenta una categoria di serie A, che suscita, deve suscitare ammirazione? E perche' i voti sono cosi' esclusivi rispetto al modo comune di seguire Cristo? Di fronte a questi e ad altri interrogativi, noi - un gruppo organizzativo che fa da motore, ma che chiede l'aiuto di co-attori - vogliamo indicare una via di liberazione delle coscienze sia a chi si affida ad un'istituzione totalizzante, sia a chi resta affascinato dall'alone sacrale che le protegge ed esalta. Precisiamo che il nostro intento non e' metterci contro la Chiesa, ma contro tutto cio' che dentro e fuori di essa e' contro i diritti e il bene delle persone. Cio' ha una portata teologica concreta, quale le donne sono chiamate a realizzare. Le idee che si trasformano in iniziative diventano fatti. E questi vogliamo privilegiare. * Il libro E' da dare in mano alle religiose senza esitazione. E a chiunque voglia ripercorrere le tappe della propria vita, per scorgere nei momenti piu' bui il segno e l'annunzio della liberazione spirituale. Gli spunti di riflessione che esso offre sono tanti. Non ultimo quello di cogliere l'essenzialita', il quid della sequela di Cristo, ma senza l'illusione di poter tornare alle pure origini del cristianesimo. Questo libro si inserisce nella ricerca storica femminista, la quale, come dice Adriana Valerio nella sua premessa al volume, sta portando alla luce alcuni tra gli innumerevoli casi nei quali emerge la conflittualita' tra l'arbitrio dell'autorita' (che chiede negazione e dipendenza dell'io) e la ricerca da parte delle donne del proprio "esserci". Ausilia Riggi, nel narrare il suo iter spirituale, dimostra come nella vita religiosa si possano ottenere imprevedibili, preziose opportunita', proprio grazie all'educazione all'interiore svuotamento delle apparenze mondane. Quasi in amichevole contrasto con la psicologa, Ines Damilano, lei si mostra consapevole della grande ricchezza che le e' venuta dai quindici anni trascorsi in Istituto. D'altra parte, afferma, le occasioni che l'hanno fatto crescere sono analoghe a molte altre, proprie di ogni stato di vita. Sia la sua, sia le altre trentasette testimonianze riportate nella terza parte, riproducono - in via generale - lo stesso standard di vita religiosa: un mondo a se', davvero altro, e non tanto in virtu' del distacco spirituale dal mondo, quanto per la preminenza che viene attribuita alla Regola e a tutto cio' che si muove nelle comunita' di persone affiliate, prive o quasi di autonomia, perfino nell'intimo della coscienza. Ma che cosa e' il Nulla, che l'autrice ha voluto evocare come traguardo non voluto ne' cercato, oltre il quale le si schiuderanno orizzonti di Luce? In una pagina del libro ("Attraversando il Nulla"), cosi' l'autrice si esprime: "resto ancor piu' sola a sopportare il peso del nulla, a vagare nel buio, priva del senso di me". Questa mancanza di senso di se' non e' forse una fase in cui molti inciampano? Del Nulla non si puo' parlare, ne' la mente lo puo' concepire. Eppure esso, quando non logora le energie fisiche psichiche spirituali della persona, e' la nube scura dietro la quale si nasconde il Dio dell'Amore. La filosofia e' impotente a spiegare il mistero. Solo l'esperienza diretta puo' lasciare una traccia preziosa, inseguendo la quale trovare un orientamento nel silenzio della fede, quando essa non ha risposte. La proposta della Riggi di tradurre il vocabolario della vita consacrata in un linguaggio piu' evangelico, va nella direzione opposta a quella di una letteratura religiosa che esalta virtu' eroiche ed eccezionali opere di bene, proprio grazie all'addio dato al mondo. Senza negare i frutti di bene operati da tante di coloro che ci hanno preceduto, lei segue una pista diversa: vuol suonare un'altra campana, come dicono le parole finali del libro. I fatti narrati spiegano meglio di ogni teoria che la sequela dentro le strutture istituzionali puo' nascondere delle insidie, e percio' esige modifiche strutturali di fondo. I sacri voti, che nella narrazione unanime delle testimoni sarebbero da considerare come la summa del programma delle persone consacrate, andrebbero ridimensionati per dare largo spazio alla parzialita', propria di tutto cio' che e' umano, in modo tale che parole come servizio consacrazione radicalita' umilta' eccetera, siano davvero incarnate nella realta': cosa facile a dirsi, non a farsi. Importante e' l'uso del mezzo narrativo. Il quale ha una sua "innocenza" e si presta alla ricerca appassionata di chi non vuole enunciare verita', tanto meno pretende di fare generalizzazioni. Eppure il monito sotteso nelle molte pagine del libro, senza la pretesa di imporlo, e' questo: e' ora di caricarci, tutti e tutte, della responsabilita' di seguaci di Cristo, senza demandarla ad icone costruite su misura di una santita' sacrale, benefica, elargitrice di mediazione presso Dio. Un libro che non "fa letteratura ascetica", ma nemmeno "fa romanzo". Anche se il raccontare serio puo' suscitare, oltre che sentimenti, pensiero. E, nel nostro caso, pensiero teologico. * L'autrice Ausilia Riggi, siciliana, ormai alla soglia dei settant'anni, ha una lunga esperienza di vita religiosa. I suoi studi abbracciano l'ambito antropologico del rapporto donna-sacro. Da poco le e' mancato il marito, Giacomo Pignata, col quale ha condiviso gli ultimi tre decenni della sua vita, senza smarrire gli ideali che anche lui, parroco per lunghi anni, ha continuato a coltivare, soprattutto nei luoghi in cui spira ancora la brezza rigeneratrice del Vaticano II. Nel suo impegno possiamo ritrovare il seme della profezia dal quale non sono esclusi gli emarginati. Lei, consapevole dei limiti nei quali si muove una scelta non-istituzionale, propone di fare di essi un mezzo di incarnazione concreta. 10. INIZIATIVE. CRISTINA PICCINO: THE LYSISTRATA PROJECT [Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 marzo 2003] Tutto comincia in gennaio a New York, quando cioe' la protesta contro la guerra preventiva in Iraq esplode con forza, sostenuta apertamente da intellettuali, artisti, attori, attrici, Sean Penn in testa che vola anche a Bagdad per vedere cosa accade realmente in quel paese. L'idea viene a Kathryn Blume e Sharron Bower, registe e attrici di teatro, che in quei giorni stavano lavorando a un adattamento di Lisistrata, e la storia scritta da Aristofane secoli fa e' diventata subito gesto contemporaneo nella volonta' di quelle donne, guidate dalla bella ateniese, che stanche della guerra infinita tra Atene e Sparta organizzano lo "sciopero" del sesso. Nasce cosi' The Lysistrata Project, pensato come un gesto di pace collettivo che coinvolga i palcoscenici di tutto il mondo. La filosofia delle due ideatrici e' "pensare globalmente, agire localmente", che poi e' anche un po' il modello seguito per i Dialoghi della vagina di Eva Esler - la quale ha dichiarato: "e' fantastico sapere che un evento simile sia possibile, inviate il mio sostegno e sappiate che sono li' tra voi con tutta l'anima" - visto che per protestare contro la politica di Bush, le due attrici cercano di coinvolgere sullo stesso testo il piu' grande numero di artisti. E nello stesso momento, una data, il 3 marzo che vuole essere scaramantica e simbolica. "Prima di tutto questo ci sentivamo impotenti, non potevamo fare altro che guardare in tv l'orrore della politica di Bush, i suoi preparativi per l'attacco unilaterale all'Iraq. Abbiamo iniziato a spedire e-mail ai nostri amici, e abbiamo aperto un sito. La risposta e' stata incredibile. Ci hanno scritto in migliaia dicendoci che vivevano il nostro stesso stato d'animo e che nei loro paesi discutevano ogni giorno sui pericoli di questa guerra". Un lavoro appassionato, frenetico e instancabile. Infatti all'appuntamento hanno aderito cinquantasei paesi sparsi nel mondo, dagli Stati Uniti all'America Latina, e poi Giappone, Australia, Europa (in Italia l'evento e' stato ospitato dal teatro Vascello di Roma, e dal Teatro Miela di Trieste), oltre novecento artisti e compagnie e circa mille teatri... E tutti presenti con forme e modi diversi, utilizzando anche spazi non teatrali, biblioteche, parchi, improvvisando o seguendo una regia piu' studiata. A Londra il Progetto Lisistrata ha "occupato" la piazza di fronte al Parlamento. Nel coro contro la guerra c'erano anche Vanessa Redgrave, Magie Steed, Alan Rickman, David Hare, e Toni Harrison che ha "regalato" al pubblico e alla pace la lettura in anteprima del suo adattamento di Lysistrata. A New York The Lysistrata Project e' stato rappresentato all'Harvey Theater, nel ruolo di Lisistrata c'era Mercedes Ruehl, insieme a Fred Murray Abraham, Kevin Bacon, Peter Boyle, Kathleen Chalfont, Delphi Harrington, Kyra Sedgwick, Lori Singer con la regia di Ellen McLaughlin. Ha detto Julie Christie, che ha sostenuto l'iniziativa in California (regia di Michael Clark Haney, John Densore alle percussioni): "la storia deve scrivere che milioni e milioni di persone erano contro questa guerra". All'iniziativa hanno aderito anche moltissime organizzazione per la pace, e i soldi raccolti nei diversi teatri erano destinati all'aiuto delle organizzazioni non governative che lavorano nei paesi massacrati dalle guerre. E ora? Cosa accadra' del Progetto Lisistrata? Le curatrici continuano a lavorare (si parla di un prossimo appuntamento per il 3 maggio) e sperano che la macchina teatrale di protesta non si fermi finche' si parla di guerra. Dicono Blume e Bower: "noi amiamo il nostro paese e per questo pensiamo che la sua liberta' e la sua ricchezza devono essere legate a un grosso senso di responsabilita'. Questa guerra non e' un'azione responsabile. Bush non vuole ammettere che una guerra rendera' il nostro paese piu' povero, ci allontentanera' da molti paesi alleati e soprattutto fara' crescere un sentimento antiamericano in tutto il mondo. Deve essere chiaro che Bush non parla a nome degli americani. E tutti coloro che sono contro questa guerra devono dirlo, devono agire per la pace". 11. MAESTRE. LAURA BOELLA: IL DOLORE DI INGEBORG BACHMANN [Da Laura Boella, Le imperdonabili, Tre Lune Edizioni, Mantova 2000, pp. 89-90. Laura Boella, docente di storia della filosofia morale all'Universita' di Milano, e' tra le massime studiose di Gyorgy Lukacs, Agnes Heller, Ernst Bloch, Hannah Arendt. E' impegnata nella ricostruzione del pensiero femminile nel Novecento. Fa parte della redazione della rivista filosofica "aut-aut". Opere di Laura Boella: Il giovane Lukacs, De Donato, Bari 1977; Intellettuali e coscienza di classe, Feltrinelli, Milano 1977; Ernst Bloch. Trame della speranza, Jaca Book, Milano 1987; Dietro il paesaggio. Saggio su Simmel, Unicopli, Milano 1987; Parole chiave della politica, Mantova 1995; Hannah Arendt. Agire politicamente, pensare politicamente, Feltrinelli, Milano 1995; Morale in atto, Cuem, 1997; Cuori pensanti. Hannah Arendt, Simone Weil, Edith Stein, Maria Zambrano, Tre Lune, Mantova 1998; con Annarosa Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein, Cortina, Milano 2000; Le imperdonabili. Etty Hillesum, Cristina Campo, Ingeborg Bachmann, Marina Cvetaeva, Tre Lune, Mantova 2000. Ingeborg Bachmann, scrittrice e poetessa austriaca (Klagenfurt 1926 - Roma 1973) di straordinaria bellezza e profondita', maestra di pace e di verita'. Tra le opere di Ingeborg Bachmann: versi: Il tempo dilazionato; Invocazione all'Orsa Maggiore; Poesie. Racconti: Il trentesimo anno; Tre sentieri per il lago. Romanzi: Malina. Saggi: L'elaborazione critica della filosofia esistenzialista in Martin Heidegger; Ludwig Wittgenstein; Cio' che ho visto e udito a Roma; I passeggeri ciechi; Bizzarria della musica; Musica e poesia; La verita' e' accessibile all'uomo; Il luogo delle donne. Radiodrammi: Un affare di sogni; Le cicale; Il buon Dio di Manhattan. Libretti: L'idiota; Il principe di Homburg; Il giovane Lord. Discorsi: Luogo eventuale. Prose liriche: Lettere a Felician. Opere complete: Werke, 4 voll., Piper, Muenchen-Zuerich. Interviste e colloqui: Interview und Gespraeche, Piper, Muenchen-Zuerich. Opere su Ingeborg Bachmann: un'ampia bibliografia di base e' nell'apparato critico dell'edizione italiana di Invocazione all'Orsa Maggiore] E' vero che Ingeborg Bachmann ha esplicitamente posto il dolore come mediatore tra esperienza e verita'. Era il suo dolore di donna, ma era anche tutt'altro, e questo tutt'altro abita e viene ospitato nel suo dolore. Perche' in Ingeborg Bachmann c'e' tutto. La disperazione e l'autonomia di pensiero, la solitudine e la resistenza eroica, la critica distruttiva e la ricerca della verita', l'impotenza della parola e il compimento dello sforzo linguistico. 12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 13. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 533 del 12 marzo 2003
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