I LAVORI IN SENATO PER LA LIBERALIZZAZIONE DEL COMMERCIO DELLE ARMI



SENATO DELLA REPUBBLICA
XIV LEGISLATURA

346a SEDUTA PUBBLICA

RESOCONTO

SOMMARIO E STENOGRAFICO

MARTEDÌ 4 MARZO 2003

(Antimeridiana)

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Presidenza del presidente PERA,

indi del vice presidente DINI

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[...omissis...]

Presidenza del vice presidente DINI

Seguito della discussione del disegno di legge:

(1547) Ratifica ed esecuzione dell'Accordo quadro tra la Repubblica francese, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica italiana, il Regno di Spagna, il Regno di Svezia e il Regno Unito della Gran Bretagna e dell'Irlanda del Nord relativo alle misure per facilitare la ristrutturazione e le attivita' dell'industria europea per la difesa, con allegato, fatto a Farnborough il 27 luglio 2000, nonche' modifiche alla legge 9 luglio 1990, n. 185 (Approvato dalla Camera dei deputati)


PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 1547, gia' approvato dalla Camera dei deputati.

Ricordo che nella seduta antimeridiana del 27 febbraio ha avuto inizio la discussione generale.

È iscritto a parlare il senatore Giarretta. Ne ha facolta'.


GIARETTA (Mar-DL-U). Signor Presidente, desidero intervenire per sostenere l'approvazione dell'ordine del giorno G3. Il poco tempo che abbiamo a disposizione, del tutto inadeguato, ritengo, rispetto ad un provvedimento cosi' importante, mi impedisce di sviluppare le argomentazioni al riguardo. Chiederei percio' fin d'ora l'autorizzazione a consegnare l'intervento scritto, limitandomi qui a sottolineare il seguente aspetto.

Noi riteniamo che ci siano strumenti meno rozzi della guerra preventiva per prevenire la diffusione degli armamenti. La legge n. 185 del 1990 e' uno di questi strumenti; essa andrebbe rafforzata e non indebolita, come fa il provvedimento al nostro esame. In modo particolare, l'ordine del giorno G3, e sottolineo l'esigenza di approvarlo, e' volto appunto a contrastare la diffusione delle armi leggere (di cui il nostro Paese purtroppo e' un grande produttore), diffusione che alimenta molte guerre locali. Per questo e' necessario utilizzare i primi strumenti, anche di cooperazione internazionale, che sono volti ad ostacolare la diffusione di questi mezzi di guerra.

Consegno il mio intervento, se il Presidente mi autorizza. (Applausi dai Gruppi Mar-DL-U e DS-U).


PRESIDENTE. La autorizzo in tal senso, senatore Giaretta.

È iscritto a parlare il senatore D'Onofrio. Ne ha facolta'.


*D'ONOFRIO (UDC). Signor Presidente, onorevole Sottosegretario, ci troviamo in una situazione per qualche aspetto singolare, in seconda lettura, dopo il voto della Camera di ratifica ed esecuzione dell'Accordo quadro stipulato il 27 luglio 2000 a Farnborough sul tema della cooperazione europea. Ricordo (poiche' siamo in fase conclusiva di questa vicenda molto lunga e tormentata) che i Paesi firmatari dell'Accordo quadro sono la Francia, la Germania, l'Italia, la Spagna, la Svezia e la Gran Bretagna, Paesi quindi di particolare rilevanza.

In cosa consisteva questo Accordo? Perche' noi, in seconda lettura, discutiamo ancora nel merito di un Accordo che, ragionevolmente, dovrebbe essere stato ratificato da qualche tempo? Voglio soltanto osservare che gli altri Paesi lo hanno tutti ratificato.

Le ragioni della lunghezza della procedura italiana e delle incertezze che si sono manifestate non riguardano tanto l'esecuzione dell'Accordo, quanto il fatto che la legge italiana di ratifica e di esecuzione dell'Accordo medesimo prevede alcune modifiche di un'altra legge italiana - non europea quindi - la n. 185 del 1990 in materia di esportazione di armi.

Tale legge e' ritenuta, complessivamente, particolarmente rigorosa e garantista, sia dal punto di vista degli elementi conoscitivi di cui il Governo viene in possesso nel momento in cui si chiede di esportare armi, sia per quanto riguarda la destinazione delle armi stesse. Si e' ritenuto da piu' parti che, nel dare ratifica a questo Accordo, si sia colta l'occasione per ridurre, indebolire o - come qualche minuto fa diceva il collega Giaretta - ammorbidire talune delle prescrizioni della legge n. 185, rendendola piu' blanda.

Alla Camera dei deputati queste preoccupazioni, dopo il varo della ratifica in Commissione, avvenuto all'unanimita', si sono manifestate in Aula, la quale ha votato questo provvedimento nel giugno 2002, quasi un anno fa. Tali preoccupazioni si sono nuovamente manifestate al Senato.

Allora, poiche' si tratta di preoccupazioni particolarmente rilevanti, molto diffuse, che hanno riguardato settori assai significativi della societa' civile italiana, interessati in modo particolare ai problemi della produzione e dell'esportazione di armi, ho ritenuto di fermare, a nome del Gruppo dell'UDC, l'approvazione del provvedimento in Aula al Senato e di attivare, insieme ai colleghi Forlani, Tarolli e Meleleo, che e' componente della Commissione difesa, una serie di consultazioni anche tecniche, per capire se le preoccupazioni che erano state manifestate prima alla Camera e quindi nuovamente al Senato erano in qualche misura fondate dal punto di vista del merito oppure potevano essere, si', legittimamente manifestate, ma altrettanto legittimamente fatte rientrare, una volta chiarito che queste stesse preoccupazioni, che pure il testo al nostro esame poteva far insorgere, non sussistono ad un'adeguata e attenta lettura tecnica.

Dico questo perche' le preoccupazioni sono state manifestate soprattutto in riferimento a tre questioni che sono state riproposte anche qui in Senato.

Nella legge n. 185 del 1990 (la legge italiana sulle esportazioni di armi) si prevede che non si dia luogo ad esportazione di armi nei Paesi in cui si sia riscontrata violazione dei diritti umani. Nel disegno di legge di ratifica del Trattato, invece, si dice che e' vietata l'esportazione di armi prodotte in seguito alla cooperazione europea in Paesi i cui Governi siano responsabili di "gravi violazioni" dei diritti umani.

Ci si chiede, in altri termini, se non vi sia una riduzione di garanzia, nel senso che l'esportazione di armi prodotte in seguito all'Accordo di cooperazione finisca con l'essere consentito anche in Paesi responsabili di violazione dei diritti umani riducendo, in un certo senso, le garanzie previste dalla citata legge n. 185.

Al riguardo, vorrei far riferimento senza intento polemico di sorta - lo dico ai colleghi del centro-sinistra, in particolare ai colleghi diessini - ad una considerazione svolta in Aula alla Camera dall'onorevole Minniti, il quale ad un'Assemblea forse distratta, comunque non sufficientemente attenta, come attenta invece era l'opinione pubblica esterna che polemizzava con questa legge di ratifica, cercava di spiegare che con l'Accordo quadro non si introduce una nuova disciplina di esportazione delle armi, bensi' una disciplina per la produzione coordinata europea di armi, cosa radicalmente diversa.

L'Accordo quadro, in altri termini, tende a consentire l'aggregazione di piu' forze produttive, governative e private, da parte dei Paesi sottoscrittori dell'Accordo medesimo per realizzare armi. La disciplina dell'esportazione delle armi rimane in vigore come disciplina distinta, per cui la legge n. 185 del 1990, che riguarda appunto l'esportazione di armi, non e' coinvolta in quanto tale dalla ratifica dell'Accordo quadro che concerne invece l'attivita' dell'industria europea di difesa.

Dico questo perche' all'epoca c'era il Governo D'Alema e l'onorevole Minniti aveva una specifica conoscenza della questione, non perche' la responsabilita' della riduzione delle garanzie sia di un altro Governo: se cosi' fosse, questo Governo non avrebbe alcun dovere di dare attuazione ad un accordo del genere. Dico soltanto che il Governo D'Alema non aveva dato vita ad un accordo quadro con la conseguenza di ridurre le garanzie interne, e lo ripeto perche' e' importante che anche i colleghi senatori, i quali hanno mostrato comprensibilmente preoccupazione rispetto alla legge italiana di ratifica di questo Accordo, sappiano qual e' stata l'opinione espressa al riguardo da un collega della Camera particolarmente autorevole.

L'onorevole Minniti ha poi votato contro la legge, esprimendosi a favore della ratifica dell'Accordo, ma contro la modifica della legge n. 185. Infatti, dagli atti della Camera risulta che voto' a favore in Commissione, mentre mi sembra che in Aula si sia espresso contro gli articoli dal 3 al 17. Vorrei pero' evitare argomenti troppo tecnici perche' in questo momento mi interessa rendere chiaro il perche', a nostro giudizio, le preoccupazioni del tutto comprensibili non sono tuttavia giustificate, per cui il Gruppo dell'UDC, se vorra' seguire il mio orientamento, votera' a favore della legge di ratifica nel suo complesso.

L'onorevole Minniti sosteneva che "il cuore del Trattato di Farnborough riguarda la cooperazione e la ristrutturazione dell'industria europea per la difesa, mentre l'aspetto dell'esportazione non solo non e' essenziale, ma anzi, derivando unicamente come conseguenza della cooperazione, non e' un punto di riferimento dell'Accordo".

Su questo vorrei che fosse fatta chiarezza fino in fondo: l'Accordo riguarda la possibilita' di dare vita ad armi prodotte con la cooperazione europea, mentre i procedimenti di esportazione delle armi cosi' prodotte sono altra cosa. Se noi, dando vita alla ratifica, riducessimo le garanzie per le esportazioni delle armi, si sarebbe in presenza di una diminuzione della garanzie, ma cosi' non e'.

Il primo dei tre punti fondamentali di cui parlavo riguarda il passaggio dal divieto di esportazione in Paesi che abbiano commesso violazioni di diritti umani al divieto di esportazione verso Paesi nei quali si siano verificate e siano state accertate, da parte degli organismi internazionali a cio' preposti, "gravi violazioni" dei diritti umani.

Se cosi' fosse, la preoccupazione sarebbe seria. Qui, pero', mi riferisco ad una specifica dichiarazione di voto dell'onorevole Mattarella, ex ministro della difesa, che proprio in riferimento alla questione delle "gravi violazioni" rispetto alle "violazioni" svolge due considerazioni (che risultano dai resoconti stenografici della seduta dell'Aula della Camera del 25 giugno scorso) di estrema rilevanza, esprimendo un voto favorevole al testo che contiene la previsione delle "gravi violazioni".

L'onorevole Mattarella dichiara : "Prevedere la parola "gravi", colleghi, non e' senza un fondamento, bensi' vi sono due ragioni. Anche l'Italia riceve contestazioni per violazioni dei diritti umani: per la lunghezza dei processi, per lo stato delle carcerazioni, ma se tutti i comportamenti vengono omologati e uniformati nel medesimo trattamento sanzionatorio, le norme perdono efficacia, diventano grida manzoniane".

Prosegue poi l'onorevole Mattarella con la seguente affermazione: "Del resto, i comportamenti per i quali e' vietato - ed anche nella citata legge n. 185 si intende vietare - il trasferimento di armi sono quelli in cui si realizzano genocidi, repressioni armate e uso delle armi, cioe' le violazioni che sono gravi e che tali sono dichiarate dall'ONU, dal Consiglio di sicurezza e dall'Unione europea".

Questo, pero', non e' il punto decisivo dell'intervento dell'onorevole Mattarella; il punto decisivo viene immediatamente dopo, e lo cito testualmente perche' su questo ritengo sia stata fatta chiarezza. Non vorrei percio' che si riaprisse una discussione nel merito, che considero conclusa nel senso in cui l'ha conclusa alla Camera dei deputati l'onorevole Mattarella.

Egli afferma che non e' soltanto il codice di condotta europeo, perche' la previsione delle gravi violazioni e' contenuta nel codice di condotta europeo, che e' uno strumento - come il Presidente gli riconosce - del Consiglio europeo; non e' cioe' una normativa italiana, ma l'espressione di un orientamento del Consiglio europeo ad operare in questo senso. La legge italiana si ispira alla formulazione del codice di condotta europeo.

L'onorevole Mattarella, quindi, afferma (ed e' questo il punto fondamentale): "Non e' soltanto il codice di condotta europeo a prevedere gravi violazioni dei diritti umani sotto questo profilo. Vi e' una differenza e su questo punto chiedo l'attenzione dei colleghi: il codice di condotta europeo chiede ai Paesi aderenti soltanto una particolare cautela nel cedere, vendere o trasferire armi a quei Paesi. Questa legge - quella di ratifica dell'Accordo - "prevede il divieto - non la particolare cautela - di cedere, esportare, vendere o far transitare armi attraverso quei Paesi. Si tratta di un passo in avanti, anche se vi e' scritto "gravi", perche' finalmente vi e' un carattere ineludibile e non piu' discrezionale che rappresenta un passo in avanti nella disciplina". "Per queste ragioni", afferma ancora l'onorevole Mattarella, "personalmente votero' a favore di questo articolo".

Sul punto della differenza tra "violazioni gravi" e "violazioni", il Senato puo' - se lo ritiene - attestarsi sulle motivazioni indicate dall'onorevole Mattarella, particolarmente esperto e non solo particolarmente sensibile, in ordine alla difesa dei diritti umani. Mattarella non e' caratterizzato da indifferenza verso i diritti umani, ma, al contrario, mostra particolare sensibilita' rispetto alla violazione dei diritti umani medesimi. Se Mattarella ritiene che in questo caso la legge sia addirittura piu' rigorosa del codice di condotta europeo, credo che ci dovremmo sentire tranquilli sul fatto che questa differenza non configura una riduzione delle garanzie, ma una diversa modulazione delle stesse, alla quale poterci attenere.

Oggi al Senato sono poste altre due questioni, e io ritengo che, rispetto a quella delle "gravi violazioni", le considerazioni dell'onorevole Mattarella alla Camera dei deputati siano conclusive. Chi non le condivide legittimamente porrebbe di nuovo il discorso, ma io ritengo che siano conclusive e, da questo punto di vista, tranquillizzanti.

Le altre questioni riguardano la destinazione finale dell'arma una volta prodotta (quindi, torniamo a parlare di esportazioni) e le notizie bancarie sulla cooperazione europea per la produzione di armi. Sono entrambe questioni significative; infatti, se fosse vero che le armi prodotte in seguito alla cooperazione europea si sottraessero alla disciplina rigorosa che la legge italiana prevede (in base alla quale occorre sapere qual e' l'uso finale, il punto di arrivo dell'arma), evidentemente la cooperazione europea finirebbe per consentire un aggiramento della normativa italiana, ma cosi' non e'. Allo stesso modo, se le notizie bancarie previste per la produzione di armi non fossero piu' richieste, il ragionevole - non uso il termine legittimo per evitare polemiche antiche - sospetto di far fuori il circuito bancario da questa materia potrebbe diventare legittimo, ma cosi' non e'.

E cosi' - ripeto - non e'. Dico questo perche' abbiamo giustamente approfondito, anche in contraddittorio con le parti che avvertono queste preoccupazioni, le due questioni che, signor Presidente, intendo esporre.

Nell'articolo 6 del disegno di legge di ratifica non si prevede che la domanda per il rilascio della licenza globale di progetto - che costituisce una innovazione normativa rispetto al passato e che rappresenta la ragione dell'Accordo di Farnborough - sia accompagnata anche dal certificato di uso finale, richiesta che invece e' prevista per la esportazione di armi.

La domanda e' la seguente: l'arma prodotta in seguito alla cooperazione europea rimane sottoposta alla disciplina italiana che prevede il certificato di uso finale oppure no? Certamente e' cosi'; l'arma resta sottoposta alla disciplina italiana, non perche' sia un'opinione da noi espressa, ma perche' questa norma non viene in alcun modo ne' abrogata ne' modificata. E se la licenza globale di progetto non prevede assolutamente il certificato di uso finale, e' perche' evidentemente essa attiene ad un profilo che non e' quello della esportazione delle armi. Pertanto, quando l'arma prodotta in seguito alla cooperazione deve essere esportata, l'esportazione riguardera' anche il certificato di uso finale.

Dal momento che non riteniamo che questa potesse essere opinione di chi parla, abbiamo voluto esplicitare questa argomentazione in un ordine del giorno, uno strumento parlamentare adoperato, in un certo senso, in modo anomalo perche' di fatto esprime un'interpretazione autentica. Abbiamo quindi esplicato nell'ordine del giorno che noi votiamo a favore del disegno di legge di ratifica, sapendo che e' in vigore la norma a cui ho fatto riferimento. Pertanto, la richiesta di certificato di uso finale deve essere avanzata qualora dalla cooperazione europea risultasse la produzione di armi da esportare.

Un altro punto dibattuto e' quello delle certificazioni bancarie. Ho l'impressione che su questo argomento sia stata montata una polemica al di la' del ragionevole. Non e' che la cooperazione bancaria, prevista nella legge n. 185 del 1990, non e' piu' contemplata nel disegno di legge di ratifica. Se cosi' fosse mi preoccuperei, ma cosi' - lo ribadisco - non e'.

L'articolo 27, comma 1, della citata legge n. 185 stabilisce che "Tutte le transazioni bancarie in materia di esportazione, importazione e transito di materiali di armamento, come definiti dall'articolo 2, vanno notificati al Ministero del tesoro". Quindi, le informazioni bancarie, se riguardanti l'esportazione di un'arma, devono essere trasmesse al Tesoro; la licenza globale di progetto pero' e' un atto autorizzativo del Governo. Che senso avrebbe quindi che il Governo, il quale acquisisce tali informazioni, informi anche il Tesoro, parte del Governo stesso?

Per questo motivo, l'abrogazione delle garanzie bancarie non si traduce in una cancellazione in base alla quale l'attivita' bancaria diventa misteriosa ed occulta; si elimina l'onere di notifica al Tesoro da parte di chi richiede la licenza globale di progetto, poiche' il Governo entra in possesso delle informazioni bancarie in quanto soggetto che autorizza. Non si eliminano quindi le informazioni bancarie, ma solo l'onere di informare il Tesoro. Il Governo e' informato aliunde; da questo punto di vista non c'e' evidentemente alcuna preoccupazione.

Si tratta di elementi che apprenderemo dalla relazione che il Governo presentera' al Parlamento. Pertanto, le informazioni saranno ovviamente disponibili; non vi e' alcun occultamento di attivita' bancarie.

Per queste ragioni, signor Presidente, abbiamo voluto che le due questioni, quella del certificato di uso finale e quella delle informazioni bancarie, risultate ancora controverse, fossero indicate in questo ordine del giorno con il quale non impegniamo il Governo ad essere bravo, cosa che non avrebbe senso, ma avvertiamo che noi voteremo in favore del disegno di legge di ratifica sapendo che gli strumenti di cui ho parlato sono in vigore. Riteniamo quindi, da questo punto di vista, che la tranquillita' possa essere garantita.

È evidente - e concludo - che la connessione tra questo Accordo e la complicatissima vicenda irachena ha concorso a far modificare taluni atteggiamenti, anche politici o di opinione, in ordine all'Accordo medesimo.

Non vorrei che, mentre per quanto riguarda l'Iraq si continua a discutere anche della legittimita' del ricorso alle armi, in riferimento al disarmo di quello stesso Paese, si creasse una commistione con quest'altra vicenda...


BEDIN (Mar-DL-U). Nessuno l'ha fatto, senatore D'Onofrio.


D'ONOFRIO (UDC). ....che non ha alcuna attinenza con la prima.

Da questo punto di vista ci si deve anche chiedere per quale ragione l'Accordo e' stato votato all'unanimita' in Commissione alla Camera, mentre in Aula e' stato votato dal centro-destra, con l'astensione del Gruppo della Margherita e con il voto contrario del Gruppo DS, e, ancora, per quale ragione queste preoccupazioni, che aleggiano anche al Senato, debbano comportare un nostro convincimento che sia necessario modificare la legge.

Sono favorevole a rimuovere le questioni di incertezza; non sono favorevole a modificare il provvedimento soltanto per il gusto di farlo, sapendo che se le ragioni di incertezza erano quelle che sono state espresse, esse vengono meno. Se invece si vuole comunque non approvare questa legge, il discorso e' diverso e noi a questo siamo contrari. (Applausi dal Gruppo UDC. Congratulazioni).


PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Viviani. Ne ha facolta'.


VIVIANI (DS-U). Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi senatori, dobbiamo oggi affrontare un provvedimento di particolare importanza e delicatezza. Doveva essere una normale ratifica di un'intesa a livello europeo relativa alla coproduzione di armi e a regole comuni nel loro commercio da parte di sei Paesi dell'Unione europea e della NATO, inserito nel processo di costruzione di una politica europea di difesa e di sicurezza, sulla quale era facile arrivare ad una intesa bipartisan.

Il Governo, invece, con una forzatura intollerabile - e mi meraviglia la capziosita' delle considerazioni teste' fatte dal senatore D'Onofrio - ha voluto approfittare di questa occasione per caricare sulla legge di ratifica dell'Accordo di Farnborough una modifica radicale della legge n. 185 del 1990 sulla regolazione e il controllo del commercio delle armi, che ha scatenato una diffusa e prolungata reazione (e non solo preoccupazione) di gran parte del Paese.

Si poteva e si puo' ancora, usando un po' di saggezza politica, stralciare dall'intesa europea la parte relativa alla modifica della legge n. 185, per affrontarla in un secondo momento in un contesto meno carico di tensioni, in modo da trovare piu' facilmente un giusto equilibrio tra le diverse esigenze.

Finora il Governo, pero', si e' intestardito in una posizione intransigente, peraltro priva di motivazioni significative, dal momento che la gestione dell'Accordo di Farnborough non richiede affatto modifiche cosi' radicali e stravolgenti come quelle inserite nel provvedimento in discussione.

In questa materia, signor Presidente, occorre procedere invece con grande attenzione perche' ci troviamo in un ambito di particolare rilevanza per creare le condizioni della costruzione di una pace durevole nel futuro della nostra umanita'.

In un bel libro, edito recentemente, Tommaso Padoa Schioppa, nel delineare i princi'pi di una politica di pace dopo l'11 settembre 2001, afferma che essi consistono nel "sostituire la giustizia alla forza, il regno del diritto alla legge del piu' forte, porre un limite al potere assoluto di chicchessia, controllare insieme le armi".

L'esperienza degli ultimi decenni ha, del resto, dimostrato che esiste una stretta correlazione tra la nascita e l'estensione di focolai di guerra e lo sviluppo, piu' o meno incontrollato, del commercio delle armi.

La legge n. 185 del 1990 e' nata appunto con la finalita' di rompere questo rapporto attraverso rigorose regole di limitazione, controllo e trasparenza in tale commercio. Perche', signor Presidente, una reazione cosi' forte e prolungata da parte di tante istituzioni locali, di movimenti pacifisti e del volontariato, dei sindacati dei lavoratori e di molte altre associazioni di vario genere? Reazione non improntata a disinformazione o a superficialita' come, con una certa dose di cinismo, ha sostenuto in Commissione il rappresentante del Governo.

Questo avviene perche' la legge n. 185 del 1990 e' una legge di civilta', nata da una grande mobilitazione, culturale, sociale e politica nella seconda meta' degli anni '80 per nuove, coerenti e stringenti regole sul commercio delle armi e degli annessi processi commerciali e finanziari, che fino a quel momento avevano consentito uno sviluppo abnorme di tale commercio particolarmente nei Paesi del Terzo mondo.

A premere sul Parlamento furono allora una pluralita' di soggetti che, a vario titolo e da diversi punti di vista, hanno voluto cambiare una situazione che rappresentava un oggettivo moltiplicatore delle guerre e quindi una vergogna per un Paese democratico e civile quale vuole essere l'Italia.

Ricordo, per averle vissute direttamente nel sindacato, le numerose lotte dei lavoratori delle fabbriche di armi che, mettendo persino in discussione il proprio posto di lavoro, condussero diversi scioperi per riconvertire la produzione delle proprie aziende da militare in civile e ottennero alcuni risultati significativi.

Dietro questa legge c'e' quindi una fortissima sensibilita' civile e di pace, rispetto alla quale il Governo sta facendo violenza per finalita' che non hanno niente a che vedere con il ruolo del nostro Paese nel contesto europeo e internazionale. Anzi, sulla base di questa legge, l'Italia avrebbe potuto giocare, in un periodo nel quale i venti di guerra sono purtroppo tornati a farsi piu' minacciosi, un ruolo particolarmente innovativo, dando un contributo originale alla qualita' della politica di difesa e di sicurezza europea e al suo ruolo di pace nel mondo. Si e' preferita invece la scelta gregaria e subalterna di modificare radicalmente queste regole, aprendo nuovamente la strada a forme di commercio deregolato e non trasparente per finalita' di business che avranno effetti negativi sulle prospettive di pace.

Approfittare della introduzione della "licenza globale di progetto" per reinserire, oltre il necessario, regole semplificate di autorizzazione all'esportazione di armi, eliminando la necessita' dell'indicazione della loro destinazione finale e modificando in profondita' i controlli finanziari presso gli istituti di credito coinvolti, significa creare le condizioni, attraverso le sperimentate forme di triangolazione, per alimentare il commercio di armi in Paesi esterni all'Unione europea e alla NATO in conflitto o in procinto di esservi, con conseguenze disastrose in termini di distruzione di risorse da impiegare in quei Paesi per la lotta alla fame e per lo sviluppo.

Per salvaguardare la "riservatezza delle imprese" si sono diminuite la quantita' e la qualita' delle informazioni richieste, consentendo cosi' operazioni meno trasparenti e diminuendo in modo significativo il contenuto della relazione annuale che il Governo deve presentare in Parlamento, e quindi l'efficacia della funzione di controllo del medesimo.

Indicare che il commercio delle armi e' vietato solo nei confronti dei Paesi che compiono "gravi" violazioni dei diritti umani significa aprire pericolose possibilita' di diffusione delle armi in Paesi nei quali i diritti umani vengono negati o vilipesi in forme forse meno evidenti e piu' sofisticate, ma alla fine non meno gravi.

Per questi motivi ribadiamo la richiesta di scorporo della ratifica dell'accordo dalla discussione della modifica della legge n. 185 del 1990 e di approfondire poi le eventuali modifiche che si rendessero necessarie per l'applicazione dell'intesa. Sta ora al Governo e alla maggioranza, una parte della quale, al di la' delle considerazioni svolte dal senatore D'Onofrio, sappiamo essere seriamente preoccupata per lo stravolgimento, operato in questo disegno di legge, degli obiettivi fondamentali della legge n. 185, tener conto o meno dell'opportunita' di costruire un possibile consenso trasversale rispetto a un problema che ha notevole influenza sul futuro dell'Europa e sul suo ruolo di pace nel mondo.

In caso contrario esprimeremo il nostro no nel modo piu' determinato, con la coscienza che in tal modo non adempiremmo soltanto un doveroso ruolo di opposizione ma difenderemmo anche un patrimonio di civilta' e di pace dell'Italia. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e del senatore Peterlini).


PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Rigoni. Ne ha facolta'.


RIGONI (Mar-DL-U). Signor Presidente, chiedo di poter allegare agli atti il mio intervento.


PRESIDENTE. La Presidenza l'autorizza in tal senso.

Ha chiesto di parlare il rappresentante del Governo. Ne ha facolta'.


BERSELLI, sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, onorevoli senatori, il provvedimento in esame approda all'Assemblea del Senato dopo un iter tormentato. Nella Commissione difesa della Camera non si manifestarono particolari divergenze tra i deputati della maggioranza e quelli dell'opposizione, tant'e' che il disegno di legge fu licenziato senza contrasti. I contrasti sono sorti in Aula, inizialmente con il tentativo di stralcio dei primi due articoli che si riferiscono alla ratifica dell'Accordo di Farnborough, per poi proseguire su altri punti - a partire dall'articolo 3 - che attenevano a modifiche della legge n. 185 del 1990.

Infatti, come e' gia' stato ricordato ripetutamente da molti onorevoli senatori, il provvedimento si distingue in due parti diverse l'una dall'altra: i primi due articoli attengono la ratifica del Trattato di Farnborough sottoscritto dal Governo italiano nel luglio 2000; i rimanenti articoli attengono la modifica della legge n. 185 del 1990.

Approvato il testo dalla Camera dei deputati, esso e' approdato alle Commissioni riunite difesa e affari esteri del Senato, dove abbiamo assistito ad un legittimo ma intransigente ostruzionismo, che non ha consentito di completarne l'esame nelle Commissioni riunite, tant'e' che siamo giunti in Aula senza la relazione dei due Presidenti.

Premesso che e' legittimo esprimere dissenso anche quando forse non se ne hanno tutte le ragioni, come il senatore D'Onofrio ha brillantemente illustrato, vogliamo sgomberare il campo da alcuni pregiudizi.

Il Governo non ha alcuna intenzione di stravolgere la legge n. 185 del 1990. Ritiene doveroso - cosi' come gli onorevoli senatori dell'opposizione - ratificare un Trattato che solo l'Italia non ha ancora ratificato; allo stesso tempo, ritiene d'intervenire su una legge del 1990 che obiettivamente, in alcune parti soltanto, risulta superata proprio dall'accordo di Farnborough.

Ci troviamo di fronte ad un provvedimento che e' stato bloccato nelle Commissioni riunite e contro il quale legittimamente, dal proprio punto di vista, l'opposizione ha avanzato molteplici critiche.

Voglio ricordare in questa sede che in Aula nell'altro ramo del Parlamento l'intero Gruppo della Margherita - che, come gli onorevoli senatori sanno, nella passata legislatura esprimeva il Ministro della difesa - si astenne su questo provvedimento perche' il Governo...


BEDIN (Mar-DL-U). Per poterlo migliorare qui.


BERSELLI, sottosegretario di Stato per la difesa. ...anche attraverso mia personale sollecitazione, si dimostro' oltremodo disponibile ad approvare alcuni emendamenti e ad accogliere degli ordini del giorno.

Ricordo che l'intero Gruppo della Margherita si e' espresso in questo senso. Potrei aggiungere l'UDEUR e altri esponenti dell'opposizione, ma voglio ricordare soprattutto che l'onorevole Mattarella, mentre appunto l'intero Gruppo della Margherita si astenne, voto' a favore non solo dell'articolo 3, ma dell'intero testo su cui questo ramo del Parlamento e' chiamato ad esprimersi.

È evidente che le opposizioni e anche il Gruppo della Margherita al Senato sono liberi di esprimersi diversamente - ci mancherebbe altro! - rispetto all'orientamento manifestato nell'altro ramo del Parlamento; pero' voglio ricordare ancora una volta, per amore di verita', che l'intero Gruppo della Margherita si astenne e il ministro della difesa di allora, onorevole Mattarella, voto' a favore.

La questione divise anche il Gruppo dei DS perche' non tutti votarono contro il provvedimento. Si astennero l'onorevole generale Angioni, gli onorevoli Benvenuto, Bova, Buglio, Cabras, Lulli...


BEDIN (Mar-DL-U). Guardi anche a tutti quelli che votarono contro!


BERSELLI, sottosegretario di Stato per la difesa. ... Mancini, l'allora sottosegretario di Stato per la difesa onorevole Minniti, gli onorevoli Nigra, Quartiani, Sandi, l'allora ministro delle finanze onorevole Visco.

Questo a dimostrazione del fatto che, almeno nell'altro ramo del Parlamento, non ci si trovo' al muro contro muro che ci viene contestato dall'opposizione. Il muro contro muro non ci fu perche' vasti settori dell'opposizione alla Camera dei deputati non assunsero allora quell'atteggiamento intransigente che e' stato assunto poi in questo ramo del Parlamento.

È noto come il Governo di allora, presieduto dall'onorevole D'Alema, si fosse posto il problema della modifica della legge n. 185 del 1990, e se lo fosse posto prima ancora che, nel luglio del 2000, venisse sottoscritto l'Accordo di Farnborough, vale a dire sei mesi prima dell'accordo che oggi ci accingiamo a ratificare. Noi ci proponiamo di modificare la legge n. 185 del 1990 anche per adeguarla alle novita' introdotte dall'Accordo di Farnborough.

Il Governo presieduto dall'onorevole D'Alema si propose dunque di modificare la legge n. 185 del 1990 a prescindere dall'Accordo di Farnborough, che sarebbe stato sottoscritto soltanto sei mesi dopo. Io credo sia interessante riandare alle argomentazioni addotte dal Governo di allora per modificare la citata legge n. 185, perche' esse possono tranquillamente essere condivise da tutti i componenti del Senato della Repubblica, maggioranza e opposizione.

Si legge nella relazione al disegno di legge governativo: "L'iniziativa di avviare un processo di revisione della legge 9 luglio 1990, n. 185, prese le mosse nel mese di giugno 1998" - quindi due anni prima - "allorquando il Presidente del Consiglio dei ministri" - espressione di un Governo di centro-sinistra - "anche su esplicita richiesta dei Ministri degli affari esteri e della difesa, istitui', per lo scopo, un gruppo di lavoro ad hoc. Tale volonta' era gia' stata anticipata, sempre dal Presidente del Consiglio dei ministri, nel marzo dello stesso anno nella relazione al Parlamento sulle esportazioni, importazioni e transito dei materiali di armamento prevista dall'articolo 5 della legge stessa ed inoltre, successivamente, la medesima volonta' e' stata confermata nella relazione presentata nel corso del 1999". Quindi, l'iniziativa del Governo del gennaio 2000 non fu estemporanea o improvvisata, ma fu la logica conseguenza di un serio lavoro fatto dal Governo, che scaturi' appunto in quel disegno di legge.

Si legge ancora: "In questi due documenti, infatti, tra gli intendimenti programmatici del Governo, fu posta in evidenza la necessita' di un adeguamento della vigente normativa sull'interscambio di materiali di armamento ai nuovi scenari europei al fine di consentire al nostro Paese di poter partecipare attivamente al processo di integrazione di questo delicato settore di attivita'. Dalla data di promulgazione della legge n. 185 del 1990 ad oggi, infatti, sono sopravvenuti, particolarmente in Europa, cambiamenti tali da sconvolgere l'ambiente stesso in cui la legge deve operare. Cambiamenti che se da una parte hanno confermato la piena validita' dei princi'pi informatori della legge italiana..." - e noi non li mettiamo in discussione - "dall'altra richiedono opportuni adeguamenti operativi alle procedure autorizzative per l'interscambio di questi materiali: cio' sia nell'interesse primario dell'Amministrazione ma anche in quello, non secondario," - e su questo conveniamo - "dell'industria nazionale che deve essere posta nelle condizioni di potersi presentare al meglio nel processo di integrazione strutturale europea dell'industria degli armamenti e di poter partecipare, su base paritetica, ai programmi di coproduzione intergovernativa".

Quindi, l'allora Governo D'Alema in sostanza anticipo', prima dell'Accordo di Farnborough, l'iniziativa di cui si e' fatto promotore l'attuale Governo.

Noi siamo convinti che la situazione sia molto chiara. È legittimo contrastare l'azione del Governo; meno giustificato e' assumere un atteggiamento contraddittorio con quello assunto da altri Gruppi del medesimo schieramento di centro-sinistra alla Camera dei deputati.

Debbo dare atto al senatore D'Onofrio della particolare sensibilita' dimostrata nel momento in cui chiese al Governo e ai Gruppi della maggioranza una pausa di riflessione per meglio esaminare i punti piu' qualificanti esposti dall'opposizione in modo critico nei confronti dell'iniziativa del Governo.

Lo stesso senatore D'Onofrio credo ci possa dare tranquillamente atto di avere nei suoi confronti e di avere avuto nei confronti di tutti i Gruppi dell'opposizione la massima disponibilita'. La differenza e' che il senatore D'Onofrio ha accolto la nostra disponibilita' contribuendo a risolvere alcune questioni e a sciogliere alcuni nodi che meritavano un approfondimento; debbo dire che dai Gruppi dell'opposizione non c'e' stata la medesima disponibilita' ad esaminare con noi gli stessi punti che sono stati chiariti, al di la' di ogni possibile dubbio, con il senatore D'Onofrio.

Non intendo ripetere quello che ha brillantemente detto il presidente D'Onofrio; voglio soltanto fare una precisazione sul richiamato intervento dell'onorevole Mattarella con riferimento all'articolo 3.

L'onorevole Mattarella mise in evidenza come il testo della legge n. 185 del 1990, rispetto al testo di questo disegno di legge governativo, fosse vago, di difficile applicazione e di ardua esecuzione; infatti, esso prevede che l'esportazione e il transito di materiale di armamento sono altresi' vietati "verso i Paesi i cui governi sono responsabili di accertate violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti dell'uomo", ma il punto qualificante e' quello ricordato dal presidente D'Onofrio: al di la' del fatto che le violazioni fossero piu' o meno gravi, mancava il soggetto che accertasse l'esistenza di queste violazioni.

Il Governo e' corso ai ripari e ha introdotto, nella legge n. 185 del 1990, una modifica nel senso di prevedere il divieto delle esportazioni "verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell'UE o del Consiglio d'Europa". Cioe', quello che prima era lasciato all'assoluta incertezza, oggi viene disciplinato, codificato, precisato nella gravita' dei comportamenti esportativi da parte di organi predisposti all'accertamento.

Noi riteniamo, per concludere, che tutte le osservazioni fatte sul disegno di legge abbiano, a nostro avviso, un punto debole, siano cioe' ispirate ad un preconcetto, ad una sfiducia nei confronti del Governo, quasi che il Governo stesso si fosse fatto e si facesse promotore di una legge per favorire l'esportazione di armi.

Non e' assolutamente cosi': noi siamo intervenuti laddove l'Accordo di Farnborough imponeva un intervento; siamo intervenuti in linea con l'iniziativa governativa del presidente D'Alema; siamo stati e siamo disponibili a qualsiasi confronto, non soltanto parlamentare ma anche con tutte le associazioni che hanno avanzato critiche e osservazioni a quest'iniziativa, nella certezza di aver reso un buon servizio all'Italia e di aver contribuito ad eliminare una concorrenza inaccettabile da parte di altri Paesi dell'Unione Europea nei confronti anche dell'industria italiana della difesa.

Come i partiti e le organizzazioni sindacali giustamente si sono mobilitati, quando e' scoppiata la crisi della FIAT, per tutelare doverosamente quei livelli occupazionali, cosi' noi non possiamo trascurare l'industria italiana della difesa, che da' lavoro a decine di migliaia di addetti che hanno i medesimi diritti di tutti gli altri lavoratori italiani. I lavoratori dell'industria della difesa italiana non sono e non possono essere considerati lavoratori di serie B: hanno gli stessi diritti degli altri lavoratori italiani.

Noi non abbiamo promosso un'iniziativa per liberalizzare le esportazioni. Non vogliamo favorire i mercanti di armi, ma vogliamo mantenere in essere la legge n. 185 del 1990 nei suoi pilastri fondamentali, adeguandola pero' - perche' e' una legge che ha tredici anni di vita - alle nuove realta', soprattutto europee; vogliamo adeguarla alla nuova realta' che scaturisce dall'Accordo di Farnborough che ci accingiamo a ratificare.

Per queste ragioni il Governo auspica una pronta approvazione del disegno di legge in esame.


PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Berselli e lamento che non tutti i senatori lo hanno ascoltato mentre esprimeva i suoi giudizi e le sue motivazioni sugli argomenti in esame.

Riprendiamo la discussione generale.

È iscritta a parlare la senatrice Bonfietti. Ne ha facolta'.


BONFIETTI (DS-U). Signor Presidente, purtroppo per cause indipendenti dalla nostra volonta', questa mattina, io e altre colleghe siamo arrivate un po' in ritardo in Aula; pertanto, vorrei chiederle di autorizzarmi a consegnare l'intervento scritto per la pubblicazione in allegato al Resoconto della seduta odierna.

Abbiamo ascoltato quanto stava riferendo il sottosegretario Berselli. Tuttavia, ritengo non si possa non rilevare che nel disegno di legge governativo per la ratifica del Trattato internazionale di Farnborough, recante misure per facilitare la ristrutturazione e le attivita' dell'industria europea per la difesa, si sono volute inserire in modo subdolo numerose norme che vanno ad intaccare punti qualificanti della legge n. 185 del 1990.

Si e' voluta cioe' utilizzare - a mio avviso indebitamente - tale ratifica per apportare modifiche ad una legge che riguarda la commercializzazione dei materiali di armamento e non attiene alla ristrutturazione e all'attivita' delle industrie del sistema bellico, tema, invece, dell'Accordo di Farnborough.

Poteva essere l'occasione, fermandosi alle disposizioni recanti l'autorizzazione alla ratifica, per discutere approfonditamente sui temi della difesa europea, per discutere del ruolo della NATO all'interno del contesto geopolitico sicuramente mutato dopo il 1989. Ce n'era e ce n'e' bisogno nel momento in cui ci sono nuovi venti di guerra.

Si poteva discutere piu' approfonditamente della necessita' o meno di una reale autonomia difensiva europea per contribuire ad un effettivo riequilibrio degli assetti geopolitici mondiali.

Io credo fermamente ad un ruolo sempre piu' importante, nello scenario mondiale, dell'Unione europea al servizio di politiche internazionali di sicurezza, di pace e di prevenzione dei conflitti. Mai come oggi, se prevalesse la saggezza europea sul rifiuto di guerre preventive non giustificabili da alcun punto di vista, si paleserebbe il ruolo determinante della vecchia Europa.

Avviandomi a concludere, sono anch'io d'accordo con Norman Mailer, che la scorsa settimana, al Los Angeles Institute for the Humanities, ha denunciato come il tentativo politico di Bush di far riemergere l'America dal suo declino attraverso una sempre piu' forte presenza militare potrebbe portarla si' alla testa dell'impero, ma - teme Norman Mailer - anche alla perdita, per gli americani, della loro democrazia.

So che la politica di sicurezza e di difesa comune deve poggiarsi su una propria industria militare, capace di ricerca, di innovazione e di autonomia ed e' per questo che credo sia importante ratificare il trattato di Farnborough. Cio' potrebbe avvenire immediatamente, oggi stesso, approvando i primi due articoli e stralciando le ulteriori norme che prevedono la modifica della legge n. 185 del 1990.

Come ha ripetutamente sostenuto anche il sottosegretario Berselli, qualcuno nel centro-sinistra aveva gia' proposto tale modifica nella scorsa legislatura, ma cio' non vuol dire che non si possano tranquillamente e seriamente riconsiderare nelle Commissioni di merito gli articoli dal 3 al 12 del disegno di legge governativo. (Applausi dai Gruppi DS-U, Verdi-U e Mar-DL-U).


PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Donati. Ne ha facolta'.


DONATI (Verdi-U). Signor Presidente, la ringrazio per la gentilezza che ci ha voluto accordare.

Onorevoli colleghi e colleghe, signori rappresentanti del Governo, nel 1990 il nostro Paese, approvando la legge n. 185, si doto' di uno strumento avanzatissimo per il controllo sull'esportazione delle armi, subordinando tale attivita' alla politica estera italiana, alla nostra Costituzione e ad una serie di princi'pi previsti dalle norme internazionali.

In questo senso, la citata legge n. 185 ha anticipato il cosiddetto Codice di condotta europeo, attraverso la previsione di trasparenza nei passaggi e di controlli rigorosi. Va detto anche che nel 1993 la legge, anche per adeguamenti a direttive comunitarie, fu gia' in parte svuotata, perche' ne fu ristretta l'applicazione ad armamenti di esclusivo uso militare.

Ora, con il provvedimento alla nostra attenzione, di ratifica dell'Accordo di Farnborough, si stravolge ancora di piu' una legge rigorosa per il controllo della produzione ed esportazione di armamenti; anzi, la ratifica dell'Accordo non implica affatto la modifica e il peggioramento della citata legge n. 185: l'Accordo non lo richiede e non lo impone e sarebbe corretto separare questa discussione stralciando dal testo gli articoli successivi al 2. Basti pensare che ben 10 articoli su 14 recano modifiche peggiorative, che allentano i controlli e deregolamentano la produzione e l'esportazione di armi.

Non siamo contrari alla razionalizzazione dell'industria europea della difesa, perche' essa e' certamente parte di un futuro sistema di difesa europeo, anche se e' evidente che le politiche di sicurezza non possono basarsi sull'industria degli armamenti, ma su un complesso di azioni politiche ed istituzionali a sostegno della pace e della cooperazione tra i popoli; tuttavia, non vogliamo che l'applicazione dell'Accordo significhi fare passi indietro rispetto ad una conquista di civilta' e le nostre preoccupazioni sono condivise da migliaia di cittadini e da associazioni cattoliche, pacifiste e sindacali che si sono mobilitate fuori di quest'Aula contro il disegno di legge.

Le modifiche peggiorative riguardano essenzialmente la previsione di semplificazione dell'azione di vigilanza e delle procedure di controllo attraverso la cosiddetta licenza globale di progetto: addirittura essa viene estesa anche ai Paesi europei che non hanno firmato l'Accordo e soprattutto ai restanti paesi NATO.

Va ricordato che molte legislazioni europee e dei Paesi NATO sono molto piu' permissive della nostra e cio' significa rilasciare, attraverso una licenza globale di progetto, una delega in bianco al Paese con cui si coproduce, rispetto alla scelta delle destinazioni finali, senza controllo da parte del nostro Governo e del Parlamento.

Inoltre, come prevede questo provvedimento, la licenza si applica non solo alle coproduzioni governative, ma anche a quelle tra industrie private, con una evidente riduzione dei controlli e delle garanzie: basti ricordare, sempre per fare un confronto, che l'Accordo di Farnborough prevedeva tutto questo esclusivamente per le coproduzioni governative.

Si riducono e si allentano, dunque, i controlli, eludendo le norme relative - ad esempio - alle attivita' bancarie, che non verranno piu' notificate al Ministero del tesoro e da questo autorizzate.

Questo aspetto e' di per se' assai grave, perche' - lo voglio ricordare - la legge n. 185 del 1990 nacque proprio a seguito dello scandalo BNL-Atlanta: le accertate triangolazioni di commercio di armi in cui fu coinvolto il nostro Paese diedero vita ad una campagna sociale di numerose associazioni cattoliche e non violente "Contro i mercanti di morte", che richiesero ed ottennero dal nostro Paese una normativa assai stringente ed avanzata.

L'attuale normativa prevede il divieto di esportazioni di armi a Paesi in conflitto armato, la cui politica contrasti con l'articolo 11 della Costituzione, Paesi a cui sia stato dichiarato l'embargo totale o che siano responsabili di accertate violazioni dei diritti umani.

La norma alla nostra attenzione introduce il concetto di gravi violazioni, distinguendo in modo inaccettabile, e anche difficilmente controllabile, i livelli di gravita' nelle violazioni dei diritti umani. Inoltre, l'accordo siglato da sei Paesi europei e' esteso, oltre che a tutti i Paesi dell'Unione Europea, anche ai Paesi della NATO, contrastando in questo modo lo stesso senso dell'Accordo sottoposto alla nostra ratifica, che doveva appunto costituire il nucleo per una razionalizzazione ed una politica di sicurezza europea.

È quindi in contrasto con lo stesso Accordo quadro l'estensione a tutti i Paesi NATO degli stessi criteri di allentamento e di deregolamentazione nella produzione e industria degli armamenti e costituisce di per se' un tradimento del concetto europeo dell'Accordo che stiamo ratificando.

Va ricordato ancora che il Codice di condotta europeo, approvato nel 1998, e' stato il primo passo importante verso l'approccio comune e responsabile sull'export di armi da parte degli Stati membri dell'Unione Europea. Sappiamo anche che il Codice di condotta ha al momento una forte debolezza attuativa, tanto che il 5 ottobre 2000 il Parlamento europeo ha chiesto di rendere piu' stringente e vincolante questo strumento di controllo comune. Ma il testo dell'Accordo in discussione va esattamente nella direzione opposta, deregolamentando, semplificando, allentando controlli, eliminando verifiche bancarie e specifiche autorizzazioni nella produzione ed esportazione di armamenti.

Ricordiamo e riproponiamo quindi la necessita' che vengano stralciati da questo provvedimento di ratifica articoli estranei, gravi e sbagliati. Cioe' ancora piu' indispensabile oggi che soffiano venti di guerra e che il terrorismo e' una realta' concreta e drammaticamente pericolosa. Altrimenti, il nostro Paese si rendera' complice di guerre e violenze, invece di lavorare concretamente per la pace e il rispetto dei diritti umani. (Applausi dai Gruppi Verdi-U, DS-U, Mar-DL-U e del senatore Peterlini. Congratulazioni).


PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice De Zulueta. Ne ha facolta'.


DE ZULUETA (DS-U). Signor Presidente, io sono tra coloro che, contro ogni evidenza, continuano a coltivare la speranza che la guerra annunciata contro l'Iraq non avra' luogo e lo faccio perche' ritengo che una grande democrazia, come quella degli Stati Uniti, non possa andare in guerra contro il volere della stragrande maggioranza dei Governi e dei popoli del mondo, che cosi' si sono espressi nella discussione presso l'Assemblea generale dell'ONU.

Cio' nonostante, devo notare che la guerra e' drammaticamente vicina e percio' e' singolare la decisione del Governo di portare in votazione proprio in questi giorni - lo ritengo un caso di pessimo tempismo politico - un disegno di legge che mira ad allentare i controlli sulle vendite di armi all'estero e, di conseguenza, a ridurre uno degli strumenti principali per evitare l'estensione dei conflitti. Tanto piu', signori colleghi, se si considera che la legge n. 185 del 1990, quella che noi, ratificando l'Accordo in esame, ci accingiamo a modificare, nacque proprio in seguito a scandali venuti alla luce per un improprio armamento dell'Iraq. La legge fu votata nel 1990, a seguito di numerosi scandali che riguardavano canali leciti e meno leciti di riarmo e armamento dell'Iraq.

Puo' sembrare ingeneroso insistere proprio in questo momento sul contributo italiano all'armamento di Saddam Hussein, visto che in Inghilterra sono state diffuse notizie relative a ingentissimi contributi britannici, e conosciamo tutti quelli specifici di molte industrie americane. Il contributo italiano pero' ebbe una sua peculiarita' e fu il risultato diretto dell'assenza di una legge organica e, soprattutto, di ampie zone di discrezionalita' amministrativa nella scelta di concedere o meno l'autorizzazione all'esportazione.

Queste zone di discrezionalita' riemergono con le modifiche proposte dal Governo con la legge di ratifica alla nostra attenzione. Faccio notare che l'Italia in quegli anni contribui' agli armamenti di Saddam Hussein fornendo non solo tecnologia per la fabbricazione dei gas nervini, ma soprattutto una piattaforma finanziaria attraverso la quale - se ricordate - la Banca Nazionale del Lavoro, attraverso la sua filiale di Atlanta, negli Stati Uniti, si trasformo' in una specie di piazza finanziaria per le transazioni relative all'esportazione di armi all'Iraq di tutta l'Europa e degli stessi Stati Uniti.

Ci fu inoltre il pasticcio della vendita di una costosissima flotta navale, che costo' all'Italia una brutta figura e, soprattutto ai contribuenti, un salatissimo conto, perche' l'Italia dovette addirittura indennizzare l'Iraq per la mancata consegna.

Infine, l'Italia contribui' all'industria nucleare di Saddam Hussein facilitando lo sviluppo di una sua arma atomica e fu una decisione dell'allora presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter a bloccare un contratto di vendita ad una nostra societa' colpevole di fornire tecnologia nucleare all'Iraq.

Cito questi precedenti per ricordare che, ancora una volta, il Governo utilizza lo strumento di una ratifica internazionale per tentare di allentare impropriamente i controlli nel nostro Paese. È un meccanismo che ho visto adoperare, ad esempio, con una legge relativa alle centrali elettriche nucleari, che non solo non rispetta le normative europee ma ne prescinde.

Ci troviamo adesso di fronte ad una legge di ratifica che dovrebbe tranquillamente accogliere - e caso mai adeguare - un accordo europeo agli alti standard vigenti nel nostro Paese e che invece utilizza questa scorciatoia per allentare i controlli.

Ritengo che la prova di questa volonta' stia nel fatto che non sono richiesti dall'Accordo i numerosi adempimenti che il Governo ci propone. Non e' richiesta, ad esempio, l'abolizione dell'autorizzazione alle transazioni bancarie; l'allentamento dei controlli finanziari e' infatti lo strumento principe per facilitare le notorie triangolazioni. Con il sistema tuttora vigente in Italia possiamo evitare queste triangolazioni e soprattutto mantenere la tracciabilita' delle transazioni e delle vendite, che non solo e' un dovere di trasparenza verso il Parlamento e gli elettori, ma e' soprattutto uno strumento utile in epoca di lotta al terrorismo.

In conclusione, questa ratifica - che doveva passare tranquillamente tra le technicalities del Governo - e' stata giustamente riportata all'attenzione del Paese dalla mobilitazione della societa' civile come passaggio di grave significato politico.

Credo che l'attenzione con cui e' stato seguito il dibattito sia una prova davvero incoraggiante della vigilanza democratica e della sua efficacia. Grazie ad Internet i cittadini ci seguono, ci ascoltano e valutano quello che stiamo facendo.

Signor Sottosegretario, coloro che hanno seguito il dibattito con puntuale attenzione ritengono che voi stiate compiendo un passo indietro e percio' credo che condanneranno vivamente quello che state tentando di fare. (Applausi dal Gruppo DS-U).


PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Moro. Ne ha facolta'.


MORO (LP). Signor Presidente, sostituisco il senatore Peruzzotti, oggi impossibilitato a venire a Roma, il quale mi ha pregato di esporre quanto egli stesso intendeva dire nella discussione generale, avendo seguito questo provvedimento nel suo iter presso le Commissioni riunite.

Due degli aspetti piu' importanti della politica di difesa concernono l'acquisizione dei materiali di armamento e la politica nei confronti dell'industria addetta alla loro produzione.

Per quanto riguarda il primo aspetto, e' un indirizzo che si va consolidando da tempo quello di centralizzare a livello europeo il processo di acquisizione degli armamenti, nell'intento di evitare quella parcellizzazione delle commesse militari che e' considerata uno dei piu' gravi svantaggi competitivi dell'industria europea per la difesa in rapporto a quella statunitense. L'obiettivo principale di questa politica di centralizzazione e di europeizzazione e' quello di pervenire ad un abbattimento dei costi e ad un parallelo rafforzamento delle principali imprese europee del settore, in realta' grandi multinazionali continentali o transatlantiche.

In relazione al secondo aspetto, riguardante la politica industriale della difesa, deve essere invece sottolineato come sia avvertito da anni il bisogno di pervenire ad una uniforme disciplina europea dell'esportazione dei materiali di armamento. L'export dei materiali, infatti, e' importante perche' permette di ampliare i volumi prodotti e riduce quindi i costi unitari di produzione, attivando un circolo virtuoso di cui beneficiano sia le imprese del settore che le Forze armate acquirenti.

E' utile sottolineare, pertanto, che l'industria italiana di armamenti soffriva di una legislazione nazionale punitiva e, quindi, la richiesta di una maggiore uniformita' normativa e' quanto mai lecita.

L'adozione di rigide normative su scala continentale e' stata pero' caldeggiata anche dai pacifisti. La circostanza non deve stupire; la contraddizione e' infatti solo apparente. Se per le industrie il problema e' quello di eliminare la differenza di rigorosita' tra la durissima normativa italiana e quella in vigore nei principali Paesi partner e competitori in Europa, i pacifisti auspicano l'estensione delle rigide regole italiane in questo campo per ridurre complessivamente l'export europeo dei materiali di armamento.

Il provvedimento sembra pertanto capace di soddisfare l'insieme di queste esigenze prevedendo norme per il coordinamento e l'armonizzazione del processo di acquisizione dell'armamento militare europeo e stabilendo princi'pi comuni in materia di esportazioni di materiali di armamento che dovrebbero, al tempo stesso, ripristinare la competitivita' delle imprese italiane e colpire in qualche modo l'export dei nostri partner piu' agguerriti. La base risiede comunque in un codice di condotta europeo approvato a suo tempo.

Il provvedimento consta di 14 articoli e autorizza la ratifica e l'esecuzione di un accordo internazionale che ne contiene ben 60. Per quanto riguarda il disegno di legge, gli articoli 1 e 2 autorizzano rispettivamente la ratifica e l'esecuzione dell'accordo in questione, mentre gli articoli da 3 a 12 intervengono sulla legge n. 185 del 1990 che racchiude la disciplina italiana dell'esportazione di materiali di armamento.

Con riferimento al testo dell'accordo in questione, si fa notare che esso consta di nove parti: la prima fissa le nozioni terminologiche rilevanti ai fini del resto del testo e delinea l'organizzazione generale preposta alla gestione dell'accordo, istituendo in particolare il comitato esecutivo; la seconda parte si occupa della sicurezza degli approvvigionamenti; la terza riguarda il trasferimento all'esportazione dei materiali di armamento risultanti da un programma di armamento in cooperazione (ed e' quella che ha imposto la modifica della legge n. 185 del 1990) e introduce le licenze globali di progetto, che soppiantano le vecchie procedure nazionali per l'autorizzazione dell'export e del transito dei materiali d'armamento.

La quarta parte concerne la sicurezza delle informazioni classificate e fa riferimento alle normative nazionali; la quinta parte riguarda le attivita' di ricerca e sviluppo nel campo della difesa, prevedendo una maggiore cooperazione tra gli Stati contraenti sotto forma di scambi di informazioni che dovranno coprire anche le strategie elaborate dai singoli Governi. Sono previste misure di garanzia e di incentivazione senza pero' compromettere il carattere competitivo del settore industriale. Si e' apparentemente cercato un compromesso tra la soluzione americana e quella piu' interventista e protezionista di stampo francese.

La sesta parte disciplina il trattamento delle informazioni tecniche; la settima si occupa della delicata materia dell'armonizzazione dei requisiti militari, uno scoglio sul quale si sono arenati molti importanti programmi europei tra i quali quelli delle fregate trinazionali Horizon ora prodotte a due da Italia e Francia. Il processo delineato per superare gli ostacoli sembra macchinoso, lento e complesso, ma dovrebbe eliminare a monte le difficolta' che sorgono attualmente in fase esecutiva.

L'ottava parte dispone misure di tutela per il trattamento delle informazioni sensibili a livello commerciale, mentre la nona contiene le misure fiscali.

Per concludere, l'Italia resta pienamente coinvolta nel discorso della europeizzazione del processo di acquisizione dell'armamento militare anche dopo la decisione, presa nel dicembre 2001, di non partecipare al programma AM400.

Alle forze politiche che rappresentano il pacifismo piu' radicale andrebbe, invece, ricordato come il provvedimento non elimini affatto il controllo politico sull'esportazione dei materiali di armamento, tanto piu' che i beni, frutto dei programmi multinazionali oggetto dell'accordo, vengono venduti con commesse di elevati importi economici, che sono sempre il frutto di scelte politiche assunte ai piu' alti livelli.

Per queste considerazioni, anticipo anche che il voto sul provvedimento nel suo complesso da parte della Lega sara' favorevole. (Applausi dal Gruppo LP).


PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Andreotti. Ne ha facolta'.


ANDREOTTI (Aut). Signor Presidente, svolgero' alcune brevi considerazioni alle quali vorrei premettere un'osservazione che abbiamo fatto molte volte, ma che non ha trovato mai risposta.

Spesso vengono fissati i tempi del dibattito, poi pero' si autorizzano alcuni oratori a depositare il testo del discorso non letto perche' venga pubblicato in allegato. Vorrei che si riflettesse un poco su questo, perche' il giorno dopo sullo stenografico si possono leggere delle cose tremende a cui nessuno ha potuto rispondere. Questo c'entra solo "di striscio" con l'argomento, pero' vorrei fosse tenuto in considerazione, anche perche' a volte gli stenografici vengono riletti dopo vari anni da qualche studioso e allora i conti potrebbero non tornare.

Sul disegno di legge vorrei fare una proposta. Siamo in una situazione di disagio sia di metodo, sia di contenuto. Di metodo, perche' una ratifica non dovrebbe essere l'occasione per modificare leggi di carattere piu' generale. Quando l'anno scorso arrivo' questo provvedimento, siccome c'era una sollecitazione da parte del Ministro che doveva partecipare ad una riunione all'estero sull'argomento, proponemmo di approvare intanto la ratifica, dicendo non c'era niente di male se il disegno di legge fosse tornato alla Camera dei deputati. Prescindo dalle considerazioni che qui ho ascoltato; mi importa fino ad un certo punto sapere se alla Camera la Margherita ha votato oppure no.

La procedura ammessa, di discutere il provvedimento senza relatori, e' straordinaria e anomalo e' stato l'intervento del rappresentante del Governo - che ha fatto alcune considerazioni importanti - nel corso della discussione generale.

Mi spiace che non sia presente il senatore Contestabile, uno dei colleghi piu' colti che abbiamo, che sa tutto sugli ittiti e sui caldei; e' difficile anche contestarlo, perche' molti di noi non sono addentro a queste tematiche. Nel caso specifico, egli ha formulato due osservazioni. In primo luogo, ha citato, in modo dialettico, una precedente proposta dell'onorevole D'Alema che pero' egli stesso ha affermato non essere ne' uguale, ne' simile, ne' analoga; vorrei capire, allora, perche' e' stata citata. In secondo luogo, ha risposto ai dubbi di metodo circa una modifica della legge n. 185 del 1990 affermando che i tempi nuovi richiedono modificazioni. Quali tempi nuovi?

Dobbiamo pero' evitare di protrarre all'infinito la discussione. Certamente il fatto che ci sia stata una serie di prese di posizione da parte di organizzazioni dei piu' vari tipi non e' irrilevante, perche' sarebbe strano che fossero del tutto infondate. Comunque, essendoci state, a mio avviso, dobbiamo darvi una risposta.

Come affermato dal collega Contestabile, dovrebbe essere presentato un ordine del giorno della maggioranza, eventualita' a cui anche il Sottosegretario ha fatto riferimento. Premetto che ho ascoltato con molto interesse sia quello che ha detto il Sottosegretario, sia quello che ha detto il nostro collega D'Onofrio; il fine dell'ordine del giorno sarebbe quello di dare un'interpretazione autentica: di questo si tratta.

Sappiamo benissimo che nella nostra storia parlamentare gli ordini del giorno e le raccomandazioni hanno sempre avuto un valore piuttosto di documentazione a futura memoria, non certo operativo. In questo caso, invece, si tratterebbe di un ordine del giorno dal valore interpretativo. Tuttavia, e' anche un po' difficile capire come una norma possa essere poi di fatto applicata. Si prevede, infatti che, per dare l'Italia l'autorizzazione all'esportazione di determinati materiali, occorre che il contraente si impegni a non trasferire poi quei materiali a Paesi terzi, ma le misure e gli strumenti volti al rispetto di una tale norma proprio non li vedo.

Mi auguro che, in assenza di relatori su questo provvedimento, il Governo e la maggioranza possano fare un passo avanti, trasferendo quanto richiesto nell'eventuale ordine del giorno in uno specifico emendamento, introducendo cosi' questa interpretazione autentica nel testo stesso della legge.

Certo, in questo caso il provvedimento dovrebbe tornare alla Camera, ma abbiamo aspettato quasi un anno e quindi attendere altri dieci giorni non penso comporterebbe alcun inconveniente. Ritengo che in questo modo si potrebbe evitare la non applicazione di un istituto positivo di cooperazione europea su cui - anche da quello che ho sentito dire da molti colleghi - non mi sembra vi siano obiezioni di principio.

Un'iniziativa in tal senso potrebbe prenderla il rappresentante del Governo; oppure, l'onorevole D'Onofrio, che sarebbe tra i firmatari dell'eventuale ordine del giorno: trasformarlo, ove formalizzato, in un emendamento di interpretazione autentica da inserire nel testo stesso del disegno di legge. Non mi pare che sia un'anomalia; in ogni caso, si eliminerebbe una parte notevole delle preoccupazioni che tutti noi nutriamo. (Applausi dai Gruppi Aut, Mar-DL-U, Verdi-U e DS-U).


PRESIDENTE. Ringrazio il senatore Andreotti. La Presidenza prende nota della sua osservazione riguardo a dichiarazioni o interventi non conclusi che vengono messi agli atti. La questione sara' portata a conoscenza dei Capigruppo per una loro valutazione.

Dichiaro chiusa la discussione generale.

Ha facolta' di parlare il rappresentante del Governo.


BERSELLI, sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, non credo di dover aggiungere altro agli interventi svolti, eccezion fatta per quello del presidente Andreotti, che ha sollevato una questione nuova e diversa. Nuova per la discussione che stiamo facendo; non nuova in assoluto, perche' il presidente Andreotti aveva gia' anticipato in sede di Commissioni riunite il suo intendimento volto a distinguere, anche dal punto di vista normativo, i primi due articoli dagli altri, stralciando cioe' gli articoli 3 e successivi e limitando la nostra discussione e votazione ai primi due. Cio' significa, in sostanza, limitare il provvedimento alla ratifica dell'Accordo di Farnborough.

La medesima questione fu sollevata in Aula nell'altro ramo del Parlamento ed e' stata, oltre che dal presidente Andreotti, sollevata anche da altri onorevoli senatori in sede di Commissioni riunite. Su questa richiesta la maggioranza ed il Governo non si sono dichiarati disponibili, ritenendo necessario intervenire anche sulla legge n. 185 del 1990 non solo per le motivazioni addotte dal Governo di allora nella relazione al disegno di legge del gennaio 2000, ma anche per adeguare la citata legge n. 185 alla novita' introdotta dall'Accordo di Farnborough.

La questione posta dall'eventuale presentazione di un ordine del giorno da parte dei Presidenti dei Gruppi di maggioranza e' indubbiamente seria. Il Governo non ha proposto la presentazione di un ordine del giorno, ne' presentato emendamenti: si e' limitato a esaminare una bozza di ordine del giorno e io posso, a nome del Governo, anticipare in questa sede quello che sarebbe l'orientamento in riferimento al medesimo.

Mi sembra si tratti di un documento che rispecchia la situazione normativa attuale, sia per quanto riguarda la legge n. 185 del 1990, sia per quanto riguarda alcune preoccupazioni legate alle modifiche al nostro esame. È chiaro che non spetta al Governo modificare un ordine del giorno: sono liberi i Presidenti dei Gruppi di maggioranza, eventualmente, di modificarlo, se lo ritengono. Da parte mia posso rimarcare un aspetto che mi sembra abbastanza evidente: si tratta di un documento in cui si chiede un'interpretazione autentica della legge n. 185 del 1990. Cioe', in sostanza, a fronte delle preoccupazioni emerse, legittimamente, in vasti settori della societa' civile, attentamente valutate non soltanto dai Gruppi dell'opposizione ma anche dai Gruppi della maggioranza, si ritiene, da parte dei Presidenti dei Gruppi della maggioranza, di fornire un chiarimento, in modo da superare le perplessita' avanzate dai Gruppi di opposizione.

Mi sembra di capire che il presidente Andreotti condivida il contenuto dell'eventuale ordine del giorno: condividerebbe il merito, ma non il metodo. In sostanza, condividerebbe quanto in esso richiesto ritenendo tuttavia piu' opportuno, anziche' lo strumento dell'ordine del giorno, quello dell'emendamento. Mi sembra, presidente Andreotti, che intanto - lei ce ne dara' atto - sia stato fatto un passo avanti, perche' sull'argomento le obiezioni di merito erano prevalenti rispetto a quelle di metodo; infatti, nelle Commissioni riunite affari esteri e difesa i punti che l'eventuale ordine del giorno tenderebbe a chiarire erano stati oggetto di una decisa e forte contestazione nei confronti del Governo, che aveva presentato il disegno di legge: quindi un passo avanti indubbiamente e' stato fatto se oggi ci troviamo a discutere soltanto del metodo.

Per quanto riguarda il metodo, sono liberi ovviamente i Presidenti dei Gruppi della maggioranza di presentare eventualmente un emendamento, pero' il Governo ritiene che un ordine del giorno sarebbe piu' che sufficiente, proprio perche' opererebbe un chiarimento in ordine alle perplessita' avanzate dall'opposizione. Penso che un emendamento non porterebbe nessun elemento ulteriore, perche' un ordine del giorno in tal senso sarebbe chiarissimo. Anticipo che il Governo lo accoglierebbe non come raccomandazione, ma in pieno, per cui credo che le perplessita' avanzate da vasti settori dell'opposizione potrebbero rientrare, quanto meno attraverso un'astensione, se non proprio con una condivisione del nostro disegno di legge.

Per queste ragioni, onorevole Presidente, ritengo, a nome del Governo, in assenza di un emendamento da parte dei Presidenti dei Gruppi della maggioranza, che si possa tranquillamente approvare un eventuale ordine del giorno, ove si ritenesse opportuno porlo in votazione.


BEDIN (Mar-DL-U). Domando di parlare.


PRESIDENTE. Ne ha facolta'.


BEDIN (Mar-DL-U). Signor Presidente, poiche' non ho tempo a disposizione, le chiedo di poter depositare agli atti il testo scritto delle motivazioni per cui chiedo, ai sensi dell'articolo 96 del Regolamento, il non passaggio all'esame degli articoli.


PRESIDENTE. Il senatore Bedin, a norma dell'articolo 96 del Regolamento, chiede il non passaggio all'esame degli articoli.

Invito il rappresentante del Governo a pronunziarsi sulla proposta in esame.


BERSELLI, sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, mi sembra di capire che il senatore Bedin chieda il non passaggio all'esame degli articoli, vale a dire che non si passi neanche all'esame degli articoli 1 e 2. Mi sembra stupefacente - lo dico a nome del Governo - che l'opposizione, che fino a poco fa aveva sostenuto la necessita' di ratificare l'Accordo di Farnborough, consacrato nei primi due articoli, oggi chieda di non passare all'esame degli articoli e quindi di non ratificare neanche tale Accordo.


BEDIN (Mar-DL-U). È colpa del Governo e della sua maggioranza.


GIARETTA (Mar-DL-U). Separate i due provvedimenti.


BAIO DOSSI (Mar-DL-U). C'e' modo e modo di chiedere le cose.


PRESIDENTE. Passiamo dunque alla votazione della richiesta di non passaggio all'esame degli articoli.


MALAN (FI). Domando di parlare.


PRESIDENTE. Ne ha facolta'.


MALAN (FI). Chiedo la verifica del numero legale sulla proposta avanzata dal senatore Bedin, invitando i senatori di Forza Italia di appoggiare la nostra richiesta. (Commenti del senatore Garraffa).


BEDIN (Mar-DL-U). La maggioranza fa ostruzionismo.


GIARETTA (Mar-DL-U). Questa maggioranza e' stupefacente.


BERSELLI, sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, ovviamente non entro nel merito della richiesta, ma siccome quando ho preso la parola poc'anzi ho sentito commenti dai banchi dell'opposizione, vorrei meglio sviluppare il mio concetto...


CAVALLARO (Mar-DL-U). Signor Presidente, non puo' parlare; e' stata chiesta la verifica del numero legale.


PAGANO (DS-U). È stata chiesta la verifica del numero legale: che cosa vuole sviluppare? Siamo in votazione!


BERSELLI, sottosegretario di Stato per la difesa. Io credo che il Governo possa prendere la parola. (Vivaci commenti dai banchi dell'opposizione). Signor Presidente, credo sia diritto del Governo intervenire quando ritiene opportuno farlo.


PAGANO (DS-U). Siamo in votazione, non puo' intervenire.


PRESIDENTE. Onorevole Berselli, le devo far notare che c'e' stata una richiesta di verifica del numero legale e quindi, a norma di Regolamento, dobbiamo procedere in tal senso.


Verifica del numero legale


PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.

(La richiesta risulta appoggiata).


Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.

(Segue la verifica del numero legale).


Il Senato non e' in numero legale.

Sospendo la seduta per venti minuti.


(La seduta, sospesa alle ore 11,52, e' ripresa alle ore 12,17).



Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1547

PRESIDENTE. Passiamo nuovamente alla votazione della richiesta di non passaggio all'esame degli articoli, avanzata dal senatore Bedin.


Verifica del numero legale


BOCO (Verdi-U). Aspettavo che intervenisse il collega Malan, ma poiche' non lo fa e vorrei aiutarlo, chiedo io la verifica del numero legale.


PRESIDENTE. Invito il senatore segretario a verificare se la richiesta risulta appoggiata dal prescritto numero di senatori, mediante procedimento elettronico.

(La richiesta risulta appoggiata).


Invito pertanto i senatori a far constatare la loro presenza mediante procedimento elettronico.

(Segue la verifica del numero legale).


Il Senato non e' in numero legale.

Apprezzate le circostanze, tolgo la seduta e rinvio il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.