La nonviolenza e' in cammino. 524



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 524 del 3 marzo 2003

Sommario di questo numero:
1. Eugenio Melandri, un digiuno per la pace
2. Maria G. Di Rienzo, la scelta di Rabi'ah
3. Errata corrige: non armi, ma aiuti
4. Enrico Peyretti, ispezionare fabbriche di armi e depositi militari
5. Lidia Menapace, depositi e trasporti di armi illegali e pericolosi
6. Benito D'Ippolito, un encomio e un incitamento
7. Adriana Cavarero, la prospettiva di Hannah Arendt
8. Augusto Cavadi, etica e politica da Aristotele a Rawls
9. Rossana Rossanda ricorda Karel Kosik
10. Milano Kundera ricorda Karel Kosik
11. Stefano Petrucciani rilegge la "Dialettica del concreto" di Karel Kosik
12. Riviste: "A. Rivista anarchica" di febbraio
13. Riviste: "Micromega" n. 1/2003, Un'altra Italia e' possibile
14. Letture:Franca Bimbi (a cura di), Differenze e diseguaglianze
15. Riletture: Ana Maria Matute, Festa al Nordovest
16. Riletture: Hans Mayer, I diversi
17. Riletture: Carla Ravaioli, Maschio per obbligo
18. La "Carta" del Movimento Nonviolento
19. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. EUGENIO MELANDRI: UN DIGIUNO PER LA PACE
[Ringraziamo Eugenio Melandri (per contatti: eugyn at tiscalinet.it) per questo
intervento. Eugenio Melandri, padre saveriano, giornalista, impegnato nei
movimenti di pace, di solidarieta', contro il razzismo, per la nonviolenza,
e' tra gli animatori di "Chiama l'Africa". Tra le opere di Eugenio Melandri
segnaliamo almeno I protagonisti, Emi, Bologna 1984]
Quella di mercoledi' 5 marzo si presenta come una giornata storica. E spero
proprio che tutti noi ci saremo. Ognuno con la sua fede e le sue
convinzioni.
A digiunare, come ci chiede il papa, in occasione di un mercoledi' delle
ceneri in cui piu' che mai esperimentiamo che, come dice Gesu' nel vangelo,
"certi demoni si cacciano solo con il digiuno e la preghiera".
Un digiuno, quello che ci chiede il papa, che non vuole essere soltanto
preghiera e supplica a Dio perche' converta i nostri cuori e ci renda donne
e uomini di pace. Ma anche un momento di condivisione della sofferenza di
tante sorelle e fratelli che in ogni parte del mondo, soprattutto in Africa,
non vedono riconosciuto nei fatti il loro diritto all'alimentazione, alla
salute, ad una vita degna di questo nome.
C'era un cartello il 15 febbraio nella grande manifestazione per la pace:
"L'unica guerra giusta e' quella contro la miseria". E oggi piu' che mai,
mentre si preparano le armi e gli eserciti per una guerra che avra' costi
umani altissimi, risuona il monito della Populorum Progressio: "I popoli
della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell'opulenza".
*
Il digiuno, in piu', assume per coloro che vogliono conformare la loro vita
alla pratica della nonviolenza, un significato particolare: quello che gli
ha dato Gandhi.
Come momento di dialogo estremo sia con gli amici che con gli avversari. Un
dialogo che mette in gioco non la vita dell'altro, ma la propria vita, allo
scopo di trovare una soluzione umana e duratura ai conflitti.
Digiuno, quindi, come penitenza e preghiera, come solidarieta' e
condivisione, come segno di giustizia che sta alla base della pace, di
qualsiasi pace, ma anche come strumento di una politica che, nei momenti di
conflitto estremo, piuttosto che attentare alla vita dell'altro, mette in
questione la propria stessa vita.
*
Ho riflettuto a lungo in questi giorni sul protagonismo del papa nella
vicenda della guerra annunciata contro l'Iraq.
Certo, dietro questa grande attivita' c'e' il ripudio che la chiesa, nel
momento in cui si confronta con il vangelo, e' chiamata a scoprire nei
confronti di ogni guerra.
Penso pero' che in questo caso ci sia un altro elemento importante che entra
in campo: questa guerra rischia di apparire come un'ulteriore guerra di
religione. Proprio per questo ci giunge anche l'invito al digiuno: come
risposta religiosa. Come invito a tutti i credenti, di qualsiasi fede, a
mettersi insieme, in una sorta di conversione collettiva: Mai piu' guerre in
nome di Dio.
*
C'e' un filo rosso che lega tutti coloro che in ogni parte del mondo sono
scesi e scenderanno per strada: la convinzione che ormai la guerra,
qualsiasi guerra, debba essere definitivamente bandita dalla storia.
Donne e uomini di qualsiasi condizione e di qualsiasi fede stanno
comprendendo che siamo ad un tornante della storia. E' il tempo del
villaggio-mondo in cui siamo chiamati a dialogare, a vivere in solidarieta'
gli uni con gli altri, a rispettarci nelle differenze e a trovare forme
nuove e forse mai esperimentate di economia e di politica che permettano a
tutti di sentirsi a casa in questa terra che e' data in consegna a tutti.
*
Sembra calare la sera su questo mondo difficile. Lo stesso Dio sembra
tacere, quasi disgustato delle nostre azioni. E' proprio questo il momento
in cui abbracciare con piu' consapevolezza e convinzione la speranza. Spes
contra spem.
Anche i piccoli gesti, come quelli di un digiuno, diventeranno talmente
forti da cambiare il corso stesso delle cose.
Non c'e' bisogno del diluvio perche' spunti all'orizzonte l'arcobaleno.

2. MAESTRE. MARIA G. DI RIENZO: LA SCELTA DI RABI'AH
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo scritto.
Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio;
prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista
teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche
sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza.
Rabi'ah al-'Adawiyyah e' stata una grande mistica islamica dell'VIII secolo;
per un primo accostamento alla sua figura - ed alla tradizione e
all'ambiente in cui si colloca - cfr. ad esempio: Virginia Vacca (a cura
di), Vite e detti di santi musulmani, Tea, Milano 1998, e Carmela Baffioni,
Storia della filosofia islamica, Mondadori, Milano 1991]
Rabi'ah era una donna ascetica, viveva sola, nubile, e in poverta', avendo
rinunciato al mondo.
Un ricco mercante volle un giorno donarle una borsa piena d'oro. Ella
rifiuto', dicendo che Dio sosteneva l'intero mondo, persino chi lo
disonorava, e non avrebbe percio' mancato di sostenere lei, il cui animo era
"sommerso dall'amore per Lui". E aggiunse: "Come potrei, in ogni caso,
prendere del denaro da qualcuno di cui non so se l'abbia guadagnato
onestamente o meno?".

3. ERRATA CORRIGE: NON ARMI MA AIUTI
Quando si redige un foglio quotidiano per quanti sforzi si facciano qualche
errore si commette sempre; se si tratta di errori veniali o facilmente
correggibili dall'accorto e smaliziato lettore poco male, ma se si rischia
un equivoco grave allora una correzione occorre.
E' quanto ci e' accaduto nel numero 522, in cui abbiamo riferito di
un'esercitazione sulle "cinque cose da fare contro la guerra": al punto in
cui riferivamo dell'esito di essa, per un lapsus - che avrebbe fatto la
gioia del dottor Freud come analista e la sua disperazione come uomo di
pace - nella trascrizione invece di riportare il testo corretto, che
recitava ovviamente "non soldati ma aiuti" abbiamo scritto l'insensata
formula "non soldati ma armi". Chiediamo venia della distrazione,
evidentemente mentre battevamo a macchina eravamo talmente ossessionati
dagli illegali e criminali trasporti di armi per l'Italia che esse hanno
invaso anche il nostro foglio.
Il lettore compassionevole osservera': suvvia, si capiva che era un errore.
Diremmo proprio di si', ma valeva la pena segnalarlo e rettificare.
Con un grazie di cuore ad Andrea e Brigitte che lo hanno colto e lo hanno
segnalato al responsabile, che anche da questi indizi intende come il
logorio - diciamo cosi' - della vita moderna gli stia progressivamente
indebolendo la capacita' di concentrazione, se non addirittura ottenebrando
l'intelletto, ahilui (anzi: ahime').

4. INIZIATIVE. ENRICO PEYRETTI: ISPEZIONARE FABBRICHE DI ARMI E BASI
MILITARI
[Riportiamo un estratto da una lettera di Enrico Peyretti (per contatti:
peyretti at tiscalinet.it) che sviluppa una delle proposte (l'impegno decisivo
per il disarmo unilaterale) formulate da Mao Valpiana nel suo intervento
apparso nel n. 521 di questo notiziario. Enrico Peyretti e' uno dei
principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi
della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a
cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei
giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella,
Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa
attraverso la rete telematica (ed abbiamo recentemente ripresentato in
questo notiziario) la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza
guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate  e nonviolente]
... [Occorre] il disarmo, quello proprio, non degli altri.
Come hanno fatto alcune ong in Usa, poi respinte dalle basi militari,
dovremmo fare ora le ispezioni in casa nostra, in Italia: fabbriche,
depositi, basi straniere e atomiche.
Organizziamo squadre di ispettori del popolo della pace, che documentano la
presenza di roba micidiale e ne chiedono la distruzione, non sotto ultimatum
di bombardamenti, ma di condanna politica popolare.
Come per i treni, ma per tutto cio' che sta fermo e nascosto, ma e'
minaccia.
Squadre preparate, notificate. Se sono respinte vuol dire che ci sono cose
vergognose, "pudenda" come dicevano gli antichi delle parti "minus honestae"
del corpo, onestissime specialmente a confronto dei depositi di armi.

5. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: DEPOSITI E TRASPORTI DI ARMI ILLEGALI E
PERICOLOSI
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace at virgilio.it) per
questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a
cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani,
Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia
politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in
collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra
indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]
L'azione diretta nonviolenta verso i treni che trasportano armi e munizioni
ha allargato il consenso del popolo della pace e ci ha ricordato cose
tremende sulla pericolosita' delle installazioni militari in genere.
Quello che si trova a Vicenza, quel che c'e' ad Aviano, a Pisa, alla
Maddalena e altrove e' tutto pericoloso per la salute, persino quando non e'
ne' usato ne' spostato, ma solo stoccato: figurarsi quando passa attraverso
le citta' (Verona) o lungo le ferrovie, in mezzo alle case praticamente.
Sara' il caso di calcolare anche i danni e progettare programmi di
disinquinamento, rimborso di analisi e fondi per assicurazioni, a carico del
governo Usa: davvero non capisco perche' il governo italiano sia l'unico che
non fa neppure pagare niente (a meno che non si tratti di fondi segreti!).
Azioni di questo tipo sono contenute anche nelle proposte per la campagna
"Una Europa neutrale".

6. RIFLESSIONE. BENITO D'IPPOLITO: UN ENCOMIO E UN INCITAMENTO
[Dal nostro collaboratore Benito D'Ippolito riceviamo questo intervento, dal
chilometrico titolo "Un encomio e un incitamento agli amici delle
biciclettate nonviolente, e alla campagna di boicottaggio della Esso"]

I.
Non ho mai posseduto un'automobile
non ho mai neppure preso la patente
ogni giorno ho camminato per chilometri
il mio passo volli lieve sulla terra.

Se la guerra e' anche la guerra del petrolio
tu boicottalo il petrolio della guerra.

Un'umanita' di libere ed eguali
donne e uomini potra' darsi soltanto
se si sceglie una piu' lenta e sobria vita
un piu' vivo darsi tempo e darsi pace.

II.
Do' il mio appoggio al boicottaggio della Esso
che ha l'appalto per fornire il propellente
della macchina da stragi e che lubrifica
l'apparato digerente della guerra
che divora carne umana e fa profitto
della morte e che riduce a oscene scorie
quelle che erano un minuto fa persone.

III.
E cosi' vogliate avere, amici cari
di "StopEssoWar" e delle nonviolente
antibelliche biciclettate
anche il plauso del burbero vecchione
che qui scrive queste storte righe e lente.

E che pensa - e qui lo dico in un sussurro -
che anche questa e' necessario fare scelta:
rinunciare all'automobile privata
costruire invece collettivo e pubblico
un modello di mobilita' per tutti
rispettoso della dignita' di tutti
della salute di tutti e del mondo.

Lo dicevamo gia' molti anni fa:
contro la guerra, cambia la vita.

7. MAESTRE. ADRIANA CAVARERO: LA PROSPETTIVA DI HANNAH ARENDT
[Da Adriana Cavarero, Nel nome di Antigone, in "I quaderni di Micromega", No
alla guerra di Bush! (suppl. a "Micromega" n. 1/2003), p. 29.
Adriana Cavarero e' docente di filosofia politica all'Università di Verona;
dal sito "Feminist Theory Website: Zagreb Woman's Studies Center" ospitato
dal Center for Digital Discourse and Culture at Virginia Tech University
(www.cddc.vt.edu/feminism), copyright 1999 Kristin Switala, riportiamo
questa scheda bibliografica delle sue opere pubblicate in volume: a) libri:
Dialettica e politica in Platone, Cedam, Padova 1974; Platone: il filosofo e
il problema politico. La Lettera VII e l'epistolario, Sei, Torino 1976; La
teoria politica di John Locke, Edizioni universitarie, Padova 1984;
L'interpretazione hegeliana di Parmenide, Quaderni di Verifiche, Trento
1984; Nonostante Platone, Editori Riuniti, Roma1990. (traduzione tedesca:
Platon zum Trotz, Rotbuch, Berlin 1992; traduzione inglese: In Spite of
Plato, Polity, Cambridge 1995, e Routledge, New York 1995); Corpo in figure,
Feltrinelli,Milano 1995; Platone. Lettera VII, Repubblica: libro VI, Sei,
Torino 1995; Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli, Milano 1997;
Adriana Cavarero e Franco Restaino (a cura di), Le filosofie femministe,
Paravia, Torino 1999. b) saggi in volumi collettanei: "Politica e ideologia
dei partiti in Inghilterra secondo Hume", in Per una storia del moderno
concetto di politica, Cleup, Padova 1977, pp. 93-119; "Giacomo I e il
Parlamento: una lotta per la sovranita'", in Sovranita' e teoria dello Stato
all'epoca dell'Assolutismo, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma 1980,
pp. 47-89; "Hume: la politica come scienza", in Il politico. Da Hobbes a
Smith, a cura di Mario Tronti,Feltrinelli, Milano 1982, vol. II, pp.
705-715; "Il principio antropologico in Eraclito", in Itinerari e
prospettive del personalismo, Ipl, Milano 1987, pp. 311-323; "La teoria
contrattualistica nei Trattati sul Governo di John Locke", in Il contratto
sociale nella filosofia politica moderna, a cura di Giuseppe Duso, Il
Mulino, Bologna 1987, pp. 149-190; "Per una teoria della differenza
sessuale", in Diotima. Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga,
Milano 1987, pp. 43-79. (traduzioen tedesca: "Ansatze zu einer Theorie der
Geschlechterdifferenz", in Diotima. Der Mensch ist Zwei, Wiener
Frauenverlag, Wien 1989); "L'elaborazione filosofica della differenza
sessuale", in La ricerca delle donne, Rosenberg & Sellier, Torino 1987, pp.
173-187. (traduzione inglese: "The Need for a Sexed Thought", in Italian
Feminist Thought, ed. by S. Kemp and P. Bono, Blackwell, Oxford 1991);
"Platone e Hegel interpreti di Parmenide", in La scuola Eleatica,
Macchiaroli, Napoli 1988, pp. 81-99; "Dire la nascita", in Diotima. Mettere
al mondo il mondo, La Tartaruga, Milano 1990, pp. 96-131. (traduzione
spagnola: "Decir el nacimiento", in Diotima. Traer al mundo el mundo, Icaria
y Antrazyt, Barcelona 1996); "Die Perspective der Geschleterdifferenz", in
Differenz und Gleicheit, Ulrike Helmer Verlag, Frankfurt 1990, pp. 95-111;
"Equality and Sexual Difference: the Amnesias of Political Thought", in
Equality and Difference: Gender Dimensions of Political Thought, Justice and
Morality, edited by G. Bock and S. James, Routledge, London 1991, pp.
187-201; "Il moderno e le sue finzioni", in Logiche e crisi della modernita,
a cura di Carlo Galli, Il Mulino, Bologna 1991, pp. 313-319; "La tirannia
dell'essere", in Metamorfosi del tragico fra classico e moderno, a cura di
Umberto Curi, Laterza, Rma-Bari 1991, pp. 107-122; "Introduzione" a: B.
Head, Una questione di potere, El, Roma 1994, pp. VII-XVIII; "Forme della
corporeita'", in Filosofia, Donne, Filosofie, Milella, Lecce 1994, pp.
15-28; "Figures de la corporeitat", Saviesa i perversitat: les dones a la
Grecia Antiga, coordinacio de M. Jufresa, Edicions Destino, Barcelona 1994,
pp. 85-111; "Un soggetto femminile oltre la metafisica della morte", in
Femminile e maschile tra pensiero e discorso, Labirinti 12, Trento, pp.
15-28; "La passione della differenza", in Storia delle passioni, a cura di
Silvia Vegetti Finzi, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 279-313; "Il corpo e il
segno. Un racconto di Karen Blixen", in Scrivere, vivere, pensare, a cura di
Francesca Pasini, La Tartaruga, Milano 1997, pp. 39-50; "Schauplatze der
Einzigartigkeit", in Phaenomenologie and Geschlechterdifferenz, edd. Silvia
Stoller und Helmuth Vetter, WUV-Universitatsverlag, Wien 1997, pp. 207-226;
"Il pensiero femminista. Un approccio teoretico", in Le filosofie
femministe, a cura di Franco Restaino e Adriana Cavarero, Paravia, Torino
1999, pp. 111-164; "Note arendtiane sulla caverna di Platone", in Hannah
Arendt, a cura di Simona Forti, Bruno Mondadori, Milano 1999, pp. 205-225.
Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva
di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe
all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America. E' tra le
massime pensatrici politiche del Novecento. Docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani. Mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano è spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l
'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Tra passato e
futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a
Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963),
Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente
(1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento
politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i
carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica,
Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza
di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una
recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948,
Feltrinelli, Milano 2001. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la
biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri,
Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt,
Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah
Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah
Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della
polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt,
Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su
Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah
Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli
monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono:
Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999;
Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, DTV, München 2000]
La prospettiva di Hannah Arendt si presenta percio' come uno strumento
decisivo per qualsiasi lettura della guerra in generale e dello sterminio in
particolare. Qui sta infatti il nodo essenziale e perverso che lega, da
millenni (e nonostante il variare delle forme), la guerra alla politica:
pensato nei termini di un "ente fittizio", l'essere umano diventa uccidibile
perche' e' privato del senso della sua vita, irrimediabilmente singolare, e
della unicita' insostituibile della sua storia. Diventa non solo un nemico
senza volto, ma un bersaglio in cui la sembianza umana svanisce. Target.
Non e' cosi' un caso che molta parte del pacifismo femminile, presso il
quale la teoria arendtiana e' ben nota, opponendosi alla morte massificata
che caratterizza la guerra moderna, si opponga appunto, innanzitutto, alla
morte di coloro che, ogni volta e singolarmente, muoiono ad uno ad uno.
L'attenzione all'unicita' orienta il giudizio sulla guerra.

8. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: DA ARISTOTELE A RAWLS
[Ringraziamo Augusto Cavadi per averci messo a disposizione questo
intervento gia' apparso nell'edizione palermitana de "La repubblica" del 27
febbraio 2003. Augusto Cavadi e' docente di filosofia, storia ed educazione
civica, impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento
a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di
problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia.
Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della
consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a
questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo,
Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad.
portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera,
Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad.
portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico,
ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa
puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda
ed.; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll.,
Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri
educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione
profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola
1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998;
Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale,
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998,
seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di
storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999;
Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica,
Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste
antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito:
http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)]
La cronaca politica in generale, e quella siciliana in particolare,
pullulano di casi clamorosi in cui le ragioni dell'etica (comunque
concepita: religiosa, laica "forte", laica "debole"...) si scontrano con le
mosse della politica.
Persino i governanti meno esposti agli eccessi di moralismo, avvertono il
bisogno - almeno tattico - di mascherare con nobili ideali etici le loro
opzioni pratiche: la guerra la si fa in nome di Dio, il monopolio delle
televisioni lo si persegue in nome della liberta' da difendere, il
clientelismo spicciolo lo si coltiva in nome della solidarieta' a chi parte
svantaggiato nella lotta per la sopravvivenza...
Di fronte a questi segnali scoraggianti si suppone che non sia stato sempre
cosi' e si cede alla tentazione di mitizzare le epoche precedenti come
modello di onesta' pubblica e privata. Ma la storia smentisce queste pie
illusioni.
E' dai tempi dei Greci che, senza interruzioni, si e' protratta sino ai
nostri giorni la tensione fra chi - come i Sofisti - ritiene che la
giustizia sia solo l'etichetta con cui il piu' forte spaccia la propria
volonta' di dominio e chi  - come Platone  - ritiene che nessun artificio
retorico possa modificare la struttura essenziale, ed eterna, della
giustizia (senza la quale non solo le citta' cadono in rovina, ma neppure
una banda di ladri riesce a spartirsi il bottino senza litigare e
sfasciarsi).
Ripercorrere alcune tappe di questa lotta gigantesca puo' costituire
un'avventura intellettuale e civile non poco intrigante: e, fedele alla sua
stessa denominazione, la Scuola di formazione etico-politica "G. Falcone" di
Palermo non poteva esimersi dall'affrontarla. Con cadenza settimanale,
presso il Gruppo di studio italiano per la qualita' della vita (via
Notarbartolo 41) si stanno tenendo quattro incontri (iscrizione
all'ingresso) dedicati ad esaminare altrettanti modelli di filosofia
politica diversi non solo per collocazione nel tempo ma anche, e
soprattutto, per orientamento prospettico: Aristotele, Pascal, Weber, Rawls.
*
Si e' cominciato col vecchio Aristotele (IV secolo a. C.) e con la sua
prospettiva aristocratica e conservatrice, a parere del quale la politica e'
tale solo se ingloba in se' l'etica ed ha come scopo  - niente di meno che -
la felicita' soggettiva e collettiva.
E' una prospettiva totalizzante che garantisce da vari pericoli ma rischia
di diventare addirittura totalitaria: ai governanti spetta infatti il
compito di stabilire cio' che e' bene e cio' che e' male nei comportamenti
tanto pubblici quanto privati.
Sappiamo che il cristianesimo reagisce a questa identificazione senza
residui del "cittadino" e della "persona umana": ma e' una reazione che, a
sua volta, tende a peccare per legittima difesa. Infatti (lo si vedra' nel
caso paradigmatico di Blaise Pascal, geniale pensatore del XVII secolo) la
cultura cristiana, rivendicando giustamente un ambito personale distinto
dalla sfera pubblica, finisce piu' di una volta per cadere in una sorta di
scetticismo riguardo alle possibilita' di valori civici condivisi: la
ragione da sola si smarrisce e, senza la fede in Cristo, non ci sono
riferimenti etici su cui costruire gli Stati.
Due secoli dopo provera' Max Weber (a cavallo fra il XIX ed il XX secolo) a
distinguere, senza separarli nettamente, il dovere (come uomini) di seguire
la propria coscienza ed il dovere (come politici) di mediare fra principi e
circostanze concrete, calcolando le conseguenze oggettive e sociali delle
nostre scelte.
Da lui ereditiamo l'inquietante avvertimento: "Quando si tratta dell'azione
di un politico non e' vero che dal bene possa seguire solo del bene e dal
male solo del male: spesso avviene il contrario. E chi non lo vede e', in
effetti, politicamente un bambino".
Per la verita', solo qualche decennio dopo, socialismo stalinista e nazismo
hitleriano dimostreranno che forse dal bene etico non sempre discende il
bene politico, ma sempre dal male etico - piu' o meno indirettamente -
deriva il male politico.
*
In ogni caso, vivere la politica senza un orizzonte di giustizia (senza
basarsi su presupposti minimi di giustizia e senza mirare a realizzare una
giustizia progressiva) e' fallimentare dal punto di vista tanto etico quanto
politico.
Lo ha ricordato, dedicando la sua vita ad approfondire criticamente la
questione, uno dei massimi politologi del XX secolo, John Rawls, scomparso
solo da pochi mesi. A lui si deve un ammirevole tentativo sistematico di
conciliare il meglio della tradizione liberale ("Ogni persona ha un uguale
diritto alla piu' estesa liberta' fondamentale compatibilmente con una
simile liberta' degli altri") con il meglio della tradizione socialista ("Le
ineguaglianze sociali ed economiche devono esere combinate in modo da essere
ragionevolmente previste a vantaggio di ciascuno e collegate a cariche e
posizioni aperte a tutti").
Con l'esame della sua prospettiva - e delle obiezioni che gli sono state
mosse da vari versanti della cultura contemporanea (non escluso il fronte
del pensiero femminista) - si chiudera' questo breve ciclo di seminari
proposti nel tentativo di sprovincializzare il dibattito pubblico in citta'
e di trovare, nella memoria storica, un punto di vista opportunamente
distante dalle beghe quotidiane.

9. MEMORIA. ROSSANA ROSSANDA RICORDA KAREK KOSIK
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo marzo 2003.
Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio
Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per
aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in
rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del
"Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata
da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu'
drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti.
Opere di Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio
inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano
1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli,
Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo,
Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte,
resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati
Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale,
della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta
culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli,
saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste.
Karel Kosik e' il grande filosofo autore della Dialettica del concreto, che
prese parte alla lotta antifascista e fu tra i protagonisti della Primavera
di Praga; e' scomparso pochi giorni fa]
Per quanti di noi lo conoscevano, la morte di Karel Kosik non e' solo un
dolore. E' il rimorso per come abbiamo prima guardato dall'alto e poi
dimenticato i sussulti che negli anni '60, '70 e '80 smossero il mortale
torpore di alcuni paesi dell'Est.
Quello cecoslovacco del 1968 fu il piu' maturo. I protagonisti cechi e
slovacchi del '67 e del '68 sono stati i nostri veri interlocutori.
Kosik era uno di loro. Aveva percorso tutta la tragedia di quel cuore colto
dell'Europa, l'invasione nazista, la guerra, l'aver raccolto con speranza
nel 1945 il fatto di trovarsi nel campo dell'Urss (la Cecoslovacchia voto' i
comunisti al 38%, percentuale mai raggiunta altrove), si proponevano di
essere la vetrina europea del socialismo. Ricevettero un colpo terribile nel
1948, e poi nel 1951, ma nel 1968 avrebbero dato vita, senza sangue ne'
urla, a quella rivoluzione tranquilla che coinvolse il paese dagli apici
alle fondamenta, dalle universita' alle fabbriche.
Fu un esperimento socialista, forse socialdemocratico per quel che poteva
essere la socialdemocrazia in un paese dove erano gia' pubbliche le grandi
proprieta' e nessuno metteva in causa i diritti sociali: quel che cadeva era
il meccanismo di un partito separato. Si apriva una dialettica nel sistema,
sarebbe dilagata in tutto l'Est. Era l'ultimo treno che passava per il
socialismo, pochi anni dopo la rivolta polacca sarebbe stata dominata in
parte dalla chiesa. Per questo il Pcus gli piombo' addosso, fu un assassinio
e un suicidio. E ci volle un anno a Husak per mettere la museruola a quella
societa' che tutta aveva preso voce. L'Occidente la prese con calma,
sull'ammazzamento del socialismo non piange nessuno.
*
Fra gli uomini di quella primavera era Karel Kosik.
Piu' giovane di me, un gran ciuffo di capelli biondi sugli occhi chiari e
sorridenti, l'avevo conosciuto nel 1965, quando il regime di Novotny doveva
gia' presentare qualche crepa se nel freddissimo castello rococo' di Dobris,
poco lontano da Praga, comunisti e non comunisti italiani erano ricevuti per
una discussione di fondo sui rapporti fra politica e cultura.
C'erano Carlo Levi e Pier Paolo Pasolini, noti e festeggiati, ma le
questioni brucianti erano rivolte a me, che rappresentavo il Partito
comunista italiano, allora una specie di chimera. Un partito comunista deve
essere la garanzia totale della liberta' della cultura e il laboratorio del
marxismo come chiave di lettura del suo fare, dissi. Avevo alle spalle
l'ultimissimo Togliatti ("Abbiamo un grande debito con le scienze sociali")
e credevo di avere anche gli intellettuali comunisti, cosa che si rivelo'
non vera. A Praga si trattava di riprendere il filo di una grande cultura
censurata (Kafka veniva appena ripubblicato) e andare oltre; in quell'anno
strano trovai la stessa domanda in Ungheria, mentre la Rdt restava
sigillata.
A Dobris c'erano credo tutti, cechi e slovacchi, Liehm e Kundera, Novomesti
e Fris, ma piu' di tutti mi colpi' Kosik. Si era battuto contro i tedeschi
ancora ragazzo, aveva studiato due anni a Mosca e Leningrado, insegnava
all'universita', viveva in una casetta in Mala Strana, non lontano dal
Castello, scriveva sul marxismo critico. Dopo poco avrebbe interpellato
Heidegger per gli interrogativi radicali che poneva sull'esistente e la
denuncia della tecnica come sovrastante ogni umana decisione.
Allora occorreva svincolarsi dall'ossificazione di un marxismo sfigurato in
ideologia; era questo che stava alle spalle, anzi sotto i piedi degli
impiccati di neanche quindici anni prima, i Vlado Clementis, i Rudolf
Slansky. Nel 1965 Kosik, dopo aver lavorato sulla democrazia radicale nel
suo paese, aveva gia' pubblicato la sua opera maggiore, Dialettica del
concreto, che sarebbe stata tradotta dovunque.
A Dobris non parlavano di filosofia, ma del come essere del partito, come
tenere la rotta del socialismo e inoltrarsi in tutti i sentieri della
ricerca e della creazione. Levi parlo' con qualche prudenza, il mio
vis-a-vis culturale non pareva ne' entusiasta ne' minaccioso, Pasolini si
annoiava. E a un certo punto sbotto', con gentilezza, ma sbotto': ma parlate
sempre della stessa cosa! Lo ascoltarono attenti, mi dissi che in fondo
volevamo il comunismo non solo perche' cessassero ingiustizie e iniquita',
ma per essere restituiti a noi stessi - finita la fatica della nuda vita,
schiavitu' sotto padrone, liberati i bisogni, gli uomini e le donne
avrebbero cominciato a unirsi e dividersi, amarsi e ammazzarsi per grandi
passioni e idee, invece che per l'imbecillita' dei consumi.
*
Ma Kosik e gli altri dovevano prima demolire una gabbia, e farlo in modo che
non crollasse tutto. Ci lasciammo pieni di speranza.
Rividi Kosik al convegno Gramsci del 1967 e non ebbi il coraggio di dirgli
che ero stata mandata via dalla direzione della sezione culturale. E infatti
quel convegno, sotto la sovrintendenza di Giorgio Amendola, fu asettico.
Poi venne la Primavera del 1968, soltanto Longo intui' quanto andasse contro
la torbida violenza brezneviana, si espose, li difese - e i tanks arrivarono
lo stesso. Sloboda, il presidente, dovette andare a riprendersi un Dubcek
ammanettato a Mosca, mentre sulle porte del comitato centrale Pajetta ci
interpellava nervoso: "Ma non e' meglio cosi'? Non e' meglio che non ci sia
sangue? Che si normalizzi?". Il Pci parlo' di tragico errore, noi dicemmo
che no, non era un tragico errore ma una logica conseguenza di quel che
l'Unione Sovietica era diventata. Fummo radiati e cominciava la nostra
strada verso il tentativo di mettere assieme le ragioni di un
anticapitalismo radicale e di una radicale liberta'. Ma questo fu "il
manifesto" fino al 1990.
*
Rimasi in contatto con Fris a Bratislava, con Kosik a Praga e con i compagni
della Primavera emigrati all'estero, e Pelikan che li seguiva attraverso
Listy, che poi fu Charta 77.
Kosik era stato escluso dall'insegnamento, faceva lezioni private, e mi
disse che coltivava soprattutto le rose.
Il 1989 filo' liscio nelle mediocri mani di Havel. Kosik riprese a
pubblicare. Non venne mai via da quel paese che non gli piaceva piu'. Non so
quanto abbia sofferto del suo male ai polmoni. Non sapevo che fosse cosi' am
malato.
Si e' spento mentre due amici parlavano di lui, lontano, a Parigi, Kundera
ed io, e forse non e' il modo peggiore di lasciare la vita.

10. MEMORIA. MILAN KUNDERA RICORDA KAREK KOSIK
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo marzo 2003. Milan Kundera, come e'
noto, e' uno dei piu' grandi scrittori viventi]
Qualche giorno fa lo avevano portato all'ospedale e domenica scorsa per
telefono sua moglie ci ha detto che venerdi' 21 febbraio Karel Kosik, mio
vecchio amico, e' morto.
Grande conoscitore di Heidegger aveva fatto compiere da tempo - col suo
libro La dialettica del concreto (1963) - una svolta alla filosofia cui si
riferiva la sinistra, liberandola radicalmente dal dogmatismo.
Era noto in tutto il mondo, soprattutto in America Latina. Ernesto Sabato lo
cita diverse volte nel suo romanzo L'angelo delle tenebre.
Il pensatore della Primavera di Praga era lui. Sotto l'occupazione russa del
1970 la polizia, come se volesse tornare a soffocare quella meravigliosa
rivolta nella sua essenza, ha perquisito il suo appartamento e confiscato
mille pagine dei suoi manoscritti filosofici, delle quali non aveva copia.
Piu' tardi, dopo la mia emigrazione, gli ho spesso telefonato. Le idee dei
miei testi sull'Europa centrale pubblicate allora nascevano dalle nostre
conversazioni fra Parigi e Praga.
Carlos Fuentes ha fatto líimpossibile per farlo venire in Messico. Ma Kosik,
uomo modesto, straordinariamente privo di vanita' e di ambizioni, non ha mai
voluto lasciare il suo paese dove e' restato, in ritiro, fino al suo ultimo
giorno.
Addio, amico mio.

11. MEMORIA. STEFANO PETRUCCIANI RILEGGE LA "DIALETTICA DEL CONCRETO" DI
KAREL KOSIK
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo marzo 2003. Stefano Petrucciani e'
un acuto studioso di filosofia e saggista di forte impegno civile]
Chi volesse fare l'esperimento di riprendere in mano oggi, a quarant'anni
esatti dalla sua pubblicazione, il libro piu' importante di Karel Kosik, la
Dialettica del concreto (che in italiano venne tradotta subito, nel 1963,
presso Bompiani), vi riconoscerebbe immediatamente i segni di una atmosfera
intellettuale inconfondibile, quella che fu propria del marxismo critico
elaborato, dopo il '56 e soprattutto negli anni Sessanta, da un folto gruppo
di intellettuali dell'Est europeo.
Un marxismo caratterizzato nel suo insieme da motivi come l'umanismo, la
critica dell'alienazione, il rifiuto del rigido materialismo dialettico, il
ruolo del momento etico, la centralita' della prassi umana, e nel quale,
dietro la riflessione filosofica, si sentiva, talvolta piu' esplicita e
radicale, talaltra meno, la critica del socialismo di modello sovietico
imposto alle democrazie popolari est-europee.
All'interno di questo comune orizzonte la riflessione del cecoslovacco Kosik
ha costituito sicuramente una delle punte di maggior rilievo: nel suo
contributo alla grande Storia del marxismo pubblicata da Einaudi nel 1982,
Johann Arnason definiva il libro di Kosik come "probabilmente il lavoro
filosofico piu' fecondo che sia stato prodotto in Europa orientale dopo la
guerra". Un giudizio che in buona misura si potrebbe ancor oggi condividere:
quel che colpisce infatti, anche a rileggerla oggi, nella scrittura
filosofica di Kosik, e' la sottigliezza dell'analisi, la precisione del
linguaggio, che nulla concede agli stereotipi e agli ideologismi che invece
appesantiscono molti testi del marxismo europeo.
*
Nell'elaborare la sua originale concezione della dialettica Kosik tiene
molto presente non solo la tradizione fenomenologica, ma piu' in particolare
l'opera principale del primo Heidegger, Essere e tempo. Essa diventa, come
accade anche in un altro studioso che Kosik cita spesso, Lucien Goldmann, un
termine di confronto per precisare e approfondire quella tematica marxiana
dell'alienazione che, mentre resta uno dei punti chiave per ripensare il
rapporto tra filosofia e marxismo, riveste anche una valenza critica nei
confronti del socialismo burocratico e manipolatorio impostosi nell'Est
europeo. Come in Heidegger l'Esserci si perde innanzitutto presso il mondo
delle cose utilizzabili di cui si prende cura, smarrendo se stesso
nell'anonimato e nell'inautenticita', cosi' in Kosik il punto di partenza e'
la critica di quella che egli definisce la "pseudo-concretezza": smarrito
nella prassi utilitaria che occupa tutto il suo tempo e che ne assorbe tutte
le energie, l'individuo non si avvede piu' che questa dimensione
onnipervasiva non e' un dato fisso e indiscutibile della condizione umana,
ma al contrario e' il risultato di determinati processi storici, e' una
forma di rapporto tra gli uomini che non e' ne' eterna ne' l'unica
possibile.
L'alienazione, la reificazione, sta appunto nel non vedere che il piano
della prassi utilitaria quotidiana e' soltanto un livello di superficie; sta
nel dimenticare che le forme che plasmano la nostra vita sono sempre un
qualcosa di derivato e di mediato, un sedimento della prassi umana che in
ultima istanza da questa dipende, e che percio' non  e' immodificabile.
La dialettica, quindi, non e' altro che la consapevolezza che nessun momento
fissato e isolato e' la verita' ultima; anzi, ognuno non e' che un aspetto
di un intero strutturato, di un insieme di nessi, di un complesso che,
proprio in quanto e' generato in ultima istanza dalla prassi umana, non e'
mai fermo, ma sempre mobile, attraversato da tensioni e da contraddizioni,
processualmente aperto alla costruzione di nuova realta' e di nuova
razionalita'. La ragione dialettica e' appunto la consapevolezza della
storia e della prassi umana come processo dinamico, attraversato da
contraddizioni, e capace di far scaturire il qualitativamente nuovo: la
ragione opera sulla realta' per renderla piu' ragionevole, piu' libera, piu'
adeguata all'uomo, e in questo operare trasforma anche se stessa.
Il modello della filosofia della storia, per Kosik, e' in fondo quello
dell'Odissea (motivo che si ritrova in Rousseau e in Goethe, in Hegel e in
Marx): per giungere a se stesso, alla piena umanita', l'uomo deve compiere
un lungo itinerario, nel quale rischia la perdita di se'. Le forze del
lavoro umano, della cooperazione sociale, danno luogo, nel capitalismo, a un
apparato di straordinaria potenza, le cui leggi ferree e impersonali
sembrano sottrarsi a qualsiasi controllo, dominano gli uomini e li
sottomettono alla loro logica. Superare l'alienazione significa dunque
compiere il giro di questa peregrinazione, sottoporre di nuovo il mondo
dell'uomo, che si e' straordinariamente ampliato attraverso questo viaggio,
all'uomo stesso. Si tratta di un modello filosofico divenuto ormai
irrimediabilmente inattuale? Si' e no. Si', se presuppone (ma questo non mi
sembra il caso di Kosik) una sorta di romantica conciliazione finale, dove
le antitesi sono superate e il viaggio di Ulisse si conclude in un trionfale
ritorno a casa. No, se ci si mantiene nella consapevolezza della tensione:
dove al mondo alienato del dominio della cosa sull'uomo si contrappone
un'altra logica, quella che vuole sottoporlo a una misura di razionalita' e
di democrazia.
*
E la democrazia e' stata uno dei temi centrali su cui ha battuto Kosik come
protagonista del nuovo corso cecoslovacco: una "democrazia integrale", che
doveva permeare non solo i luoghi della produzione, ma assicurare la piena
garanzia di tutte le liberta': perche' senza di esse, diceva Kosik, non puo'
esserci socialismo degno di questo nome.

12. RIVISTE. "A. RIVISTA ANARCHICA" DI FEBBRAIO
Il numero di febbraio di "A. Rivista anarchica", lo storico mensile
libertario milanese (e-mail: arivista at tin.it, sito:
anarca-bolo.ch/a-rivista), e' ancora una lettura di straordinaria ricchezza:
interessantissime interviste a Vandana Shiva e ad Alessandro Zanotelli,
acuti interventi su Ivan Illich e Jacquel Brel, un denso saggio su "Il
bambino e il dolore", un inserto di "Riflessioni sull'uso delle merci", e
ancora articoli, recensioni, dibattiti: una delle migliori riviste di
politica e cultura disponibili in Italia (che puo' essere letta anche on
line).

13. RIVISTE. "MICROMEGA" N. 1./2003: UN'ALTRA ITALIA E' POSSIBILE
Il n. 1/2003 di "Micromega", la bella rivista diretta da Paolo Flores
d'Arcais, e' un volume monografico (di 304 pagine per 12 euro) sul tema
Un'altra Italia e' possibile. Contributi di firme prestigiose della cultura
democratica e della vita civile su tutti i temi della politica, l'economia,
le istituzioni, la societa', con proposte utili e concrete sovente di grande
interesse.

14. LETTURE. FRANCA BIMBI (A CURA DI): DIFFERENZE E DISEGUAGLIANZE
Franca Bimbi (a cura di), Differenze e diseguaglianze, Il Mulino, Bologna
2003, pp. 502, euro 34. Un volume di grande interesse sulle "prospettive per
gli studi di genere in Italia", che reca contributi talvolta assai acuti su
un ampio arco di temi (ed una preziosa bibliografia) di decisiva rilevanza.
Lo raccomandiamo vivamente a tutte e tutti i nostri interlocutori.

15. RILETTURE. ANA MARIA MATUTE: FESTA AL NORDOVEST
Ana Maria Matute, Festa al Nordovest, Einaudi, Torino 1961, pp. 126. Un
grande libro di una delle principali narratrici del Novecento; segnaliamo
qui anche la recente edizione spagnola, assai curata e con un ampio
utilissimo apparato critico a cura di Jose' Mas, nella collana Letras
Hispanicas presso la casa editrice Catedra, Madrid 1999 (ottava edizione).

16. RILETTURE. HANS MAYER: I DIVERSI
Hans Mayer, I diversi, Garzanti, Milano 1977, 1992, pp. 496, lire 28.000.
"Questo libro parte dalla premessa che l'illuminismo borghese e' fallito",
cosi' si apre questo volume del grande critico letterario e saggista
scomparso nel 2001, dedicato ad "alcune costellazioni storiche della
diversita'".

17. RILETTURE. CARLA RAVAIOLI: MASCHIO PER OBBLIGO
Carla Ravaioli, Maschio per obbligo, Bompiani, Milano 1973, 1979, pp. 320.
La grande saggista e militante smaschera e smonta le forme e le pratiche
dell'ideologia maschilista e i meccanismi della sua riproduzione.

18. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

19. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 524 del 3 marzo 2003