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Auto-riduzione contro la guerra
- Subject: Auto-riduzione contro la guerra
- From: "Pasquale Pugliese" <puglipas at interfree.it> (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>)
- Date: Tue, 25 Feb 2003 00:16:45 +0100
Auto-riduzione contro la guerra. Riflessione in 11 punti sulla guerra e il nuovo movimento per la pace 1. In uno dei pochi testi disponibili in lingua italiana sul tema, Jeremy Rifkin scrive: "Nuove ricerche suggeriscono che la produzione globale di petrolio raggiungerà il picco fra il 2010 e il 2020 (secondo alcuni addirittura prima del 2010). In altre parole, in quell'arco di tempo metà delle riserve stimate disponibili del pianeta sarà consumata. Una volta raggiunto il picco, i prezzi del petrolio cominceranno a crescere inarrestabilmente, mentre nazioni, aziende e consumatori faranno a gara per procurarsi la rimanente metà delle riserve" (Economia all'idrogeno, mondadori). A quel punto, spiega il fisico Alberto Di Fazio, "il gettito (del petrolio) comincia a diminuire per poi discendere progressivamente a zero. Infatti, proseguendo l'estrazione ad un costo energetico sempre crescente, arriva un momento in cui per estrarre un barile di petrolio bisogna impiegare una quantità di energia maggiore o uguale a quella contenuta nel barile stesso. A quel punto l'estrazione viene arrestata, in quanto senza ormai più senso energetico e quindi economico (Le grandi crisi ambientali globali, in "Contro le nuove guerre", Odradek)". 2. L'alba del nuovo secolo si è aperta con i conflitti armati alla conquista - in Cecenia, in Afghanistan, in Iraq - degli ultimi giacimenti petroliferi utilizzabili prima del raggiungimento del "picco definitivo della produzione del petrolio". Ed essi non avranno termine fino a che un' ultima goccia di greggio sarà utilizzabile: dopo l'Iraq sarà la volta dell' Iran, se non, direttamente, di un conflitto mondiale tra le potenze in spietata concorrenza energetica. Già nel giugno del 2000 Di Fazio continuava il suo saggio scrivendo "la stessa potenza militare degli Stati Uniti - come quella delle altre grandi potenze - è estremamente dipendente dal petrolio, e il fatto che le riserve strategiche USA non possano durare molti mesi la dice lunga sui rischi di guerra. Ciò che distingue le potenze orientali dagli USA - a proposito di forniture belliche di petrolio - è che probabilmente gli USA avranno più problemi a rifornirsi, a meno di non accettare un conflitto generalizzato con Cina, India e Russia, magari scatenato dalla conquista americana dei pozzi mediorientali" 3. Non è un caso infatti che in questa precisa fase storica il governo statunitense sia guidato da una vera e propria "junta petrolifera" nella quale, come scrive D. Caveli (citato da M. Chossudovski in "Guerra e globalizzazione", EGA), "la famiglia del presidente George W.Bush ha gestito compagnie petrolifere fin dal 1950. Il vicepresidente Dick Cheney ha trascorso la seconda metà degli anni Novanta come chief executive offier della Halliburton, la maggiore fornitrice di servizi per le industrie petrolifere. Condoleezza Rice, consigliere per la Sicurezza nazionale, ha fatto parte del consiglio di amministrazione della Chevron, che ha battezzato con il suo nome una petroliera. Il segretario del commercio Donald Evans è stato per più di dieci anni chief executive offier della Tom Brown Inc., una compagnia che possiede giacimenti di gas naturale in Texas, Colorado e Wyoming. Ma i legami non si esauriscono a livelo personale. La famiglia bin Laden e altri membri della ricchissima élite saudita (che deve il proprio patrimonio al petrolio) hanno partecipato a numerose imprese d' affari della famiglia Bush, proprio mentre l'industria energetica americana contribuiva all'elezione di Bush. Dei 10 principali finanziatori di sempre di George W., sei provengono dal settore petrolifero o hanno legami con esso.(4)". 4. Come da manuale si saldano dunque i vertici del triangolo della violenza: strutturale, un sistema economico fondato sulla crescita continua per la quale è necessaria, come una droga, una sempre crescente dose di carburante; culturale, la mistificazione dei costi sociali e ambientali del sistema - a cominciare dal sistema dei trasporti centrato sull'automobile - e la giustificazione delle guerre per l'appropriazione delle fonti energetiche; diretta, della guerra che, pur ammantandosi di volta in volta di nuove trovate pubblicitarie - l'ultima è la guerra preventiva contro il terrorismo - è la sporca guerra di sempre, necessaria a garantire qualche altro anno di cieca crescita all'Occidente prima della crisi sistemica globale. 5. D'altro canto, la lunga preparazione della guerra all'Iraq ha messo in moto un movimento mondiale per la pace di enormi dimensioni, trasversale alle diverse appartenenze politiche e religiose, inglobante cittadini non militanti. Le quasi due milioni di bandiere arcobaleno distribuite in Italia e i 110 milioni di manifestanti globali del 15 febbraio sono segno concreto di una enorme mobilitazione diffusa dal basso. E' uno di quei momenti in cui il movimento per la pace raggiunge il picco quantitativo di attivismo: era già successo, seppure in minori dimensioni, negli anni '80 per le mobilitazioni contro gli euromissili e nel '91 contro la prima guerra della Golfo. Oggi, nonostante tutti gli sforzi contrari della propaganda bellica, il convincimento dell'ingiustizia della guerra è finora prevalente nell' opinione pubblica. 6. Da un lato, la grande mobilitazione di massa ha indotto il movimento per la pace in Italia a moltiplicare e differenziare le iniziative volte a fermare la guerra: dalle telefonate in prefettura ai grandi cortei, dalle bandiere ai balconi ai presidi sui binari dei treni militari a molte altre ancora. Questa articolazione consente a chiunque di esprimere il proprio dissenso dalla politica di guerra del governo, impegnandosi nella modalità che sente più vicina. 7. Dall'altro lato, l'opposizione di massa alla guerra fornisce ai movimenti nonviolenti che - senza impennate in occasione degli eventi bellici, ma senza riflusso in assenza di questi - lavorano con perseveranza alla eliminazione delle cause strutturali delle guerre, una grande occasione per incidere sui processi profondi che generano questo ciclo senza fine di guerre imperiali, ossia sul bisogno crescente di petrolio - in regime di scarsità definitiva del combustibile fossile - nell'organizzazione economica, sociale e tecnologica della nostra società. E, in particolare, nel nostro stile di vita e di movimento. Anche di tutti coloro che si dicono - e sono - contrari alla guerra, ossia la maggioranza delle persone che abitano il Nord del mondo le quali, con il proprio consumo di greggio e dei suoi derivati alimentano la causa strutturale della guerra contro la quale, magari, scendono in piazza a manifestare. Poichè "le guerre scoppiano a valle, contro la guerra cambia la vita" esortava già nel 1991 Alex Langer, proprio in occasione della prima guerra del Golfo. 8. In questo senso rivestono un'importanza centrale e una dimensione strategica, all'interno di questo grande movimento per la pace, gli sforzi volti a collegare la violenza strutturale, del bisogno di petrolio, e la violenza diretta, della guerra per conquistarselo, volti a depotenziare la prima per rendere inutile la seconda. Un'importanza centrale, perché cercano di convincere chi è contro la guerra a fare un passo in più operando delle rinunce personali sul piano dei consumi petroliferi. Una dimensione strategica perché cercano di affrontare questa guerra all'interno del quadro generale della questione energetica attuale, operando contemporaneamente in funzione preventiva della prossima. 9. Non a caso questo tipo di approccio strutturale alle cause della guerra nasce proprio in ambito nonviolento e lillipuziano e si articola attualmente in alcune campagne attive: Scelgo la nonviolenza - campagna promossa da MIR, Movimento Nonviolento e Rete Lilliput - nella quale si associa la dichiarazione di obiezione alla guerra ad una scelta personale anche di "consumo critico ed economia nonviolenta"; StopEssoWar - campagna promossa da Greenpeace, Rete Lilliput, Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Associazione Botteghe del Mondo Bilianci di Giustizia - che propone di diminuire i consumi di carburante e di boicottare le pompe della Esso, multinazionale fornitrice di carburante all'esercito USA. Campagne sulle quali l' investimento complessivo dei movimenti nonviolenti e lillipuziani, dentro il più vasto movimento per la pace, è stato finora in realtà piuttosto modesto e sicuramente non all'altezza della loro portata strategica. 10. Infine, è nata in questi mesi, all'interno di alcuni Gruppi di Azione Nonviolenta - e si sta diffondendo a macchia d'olio dal basso e per passa-parola - la progett/azione nonviolenta "In bici contro la guerra del petrolio". Non si tratta di una campagna vera e propria ma di un progetto di azioni continuative in bicicletta volte a esplicitare il nesso tra il consumo, anche individuale, di petrolio e le guerre, inducendo al cambiamento dei comportamenti nella mobilità personale. Le biciclettate nonviolente, portano le bandiere arcobaleno, issate sulle biciclette, giù dai balconi per strada, in centro e nel traffico; esplicitano l'invito, ripetuto e ben in vista sulle bici e sui banchetti informativi, "contro le guerre per il petrolio lasciamo a casa le automobili"; si rivolge in particolare a chi ha già maturato la propria contrarietà alla guerra proponendo il conseguente piccolo/grande "sacrificio" personale di auto-riduzione; attuano in se stesse il programma costruttivo mostrando l' alternativa all'automobile, possibile e praticabile fin da subito. Insomma cercano di realizzare quella gandhiana "dissociazione, ossia tagliare il legame strutturale con il repressore e/o lo sfruttatore" (uno dei quattro elementi della trasformazione nonviolenta dei conflitti strutturali, come ci ricorda J. Galtung in "Pace con mezzi pacifici", Esperia), indicando la via nonviolenta dell'autosufficienza nei trasporti. Insomma, con l'impegno di tutti gli amici della nonviolenza e dei lillipuziani, la bicicletta può veramente diventare il simbolo del nuovo movimento nonviolento per la pace - contro tutte le guerre per il petrolio - come l'arcolaio lo fu per il movimento gandhiano d'indipendenza. 11. Concludo con le parole con le quali concludeva Di Fazio: "Lamentarsi che ci sono i cattivi non serve. Bisogna usare un metro di analisi più ampio, che permetta d'inquadrare i singoli conflitti nel quadro generale a cui appartengono: quello della lotta per il dominio delle risorse. (.). Concludo ricordando che - nei peggiori casi tra quelli descritti - siamo di fronte a impatti potenzialmente distruttivi, con tempi scala nell'ordine di 10 anni. Non ci si può perdere in chiacchere o riflessioni filosofiche: abbiamo poco tempo." Né ci si può permettere di correre il rischio di disperdersi, aggiungo, in una miriade d'iniziative che - seppur riuscissero a rallentare la guerra - trascurano di fatto la contraddizione fondamentale che la prepara. Anche le campagne citate, come le altre iniziative in corso, probabilmente, purtroppo, non fermeranno questa guerra, ma almeno - soprattutto le biciclettate nonviolente - se diffuse capillarmente e condotte con costanza e persuasione, avranno portato a galla il conflitto fondamentale tra i nostri convincimenti e i nostri comportamenti, aiutando tutti noi a non essere più complici della "necessità" delle guerre per il petrolio. E magari a prevenire con l'auto-riduzione, almeno in parte, la prossima. Prima che la stanchezza e il riflusso abbiano il sopravvento su molti compagni di strada oggi disponibili a mettersi in gioco. Pasquale Pugliese Movimento Nonviolento, Reggio Emilia puglipas at interfree.it **************************************************************************** *********************** La nonviolenza è il punto della tensione più profonda del sovvertimento di una società inadeguata. Aldo Capitini **************************************************************************** ***********************
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