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newsletter N. 9 del 24 Febbraio 2003
- Subject: newsletter N. 9 del 24 Febbraio 2003
- From: newsletter at bbs.olografix.org
- Date: Mon, 24 Feb 2003 23:39:17 +0100
============================================ *** Associazione Culturale Telematica *** ********** "Metro Olografix" ********** Newsletter n. 8 del 24 febbraio 2003 ============================================ IN PRIMO PIANO ------------------------- Una nuova navigazione lunga 10 anni Chi si ricorda di Mosaic? Sono passati appena dieci anni, ma quel programma segnò una rivoluzione nella navigazione su Internet. Era il primo software che consentiva di navigare in maniera ipertestuale e ipermediale sul Web. A realizzarlo fu una piccola università dell'Illinois. Il capo progetto era Marc Andreessen, uno studente ancora non laureato che si pagava gli studi lavorando al centro di calcolo. Oggi il «pioniere» è un milionario (in dollari) che gestisce una piccola società. A dominare il mercato è Explorer, «regalato» con Windows dalla Microsoft di Bill Gates. FRANCO CARLINI Ti distrai un attimo e sono già passati dieci anni. Era la primavera del 1993 quando cominciarono a circolare le versioni iniziali, le «alfa», del primo software per navigare sul web in maniera ipertestuale e ipermediale. Si chiamava Mosaic e venne realizzato da una squadra di giovani programmatori all'Università di Urbana-Champaign, nell'Illinois. Il capo progetto era Marc Andreessen, uno studente non ancora laureato che si pagava l'università lavorando al centro di calcolo. Ma quello era un famoso supercentro, l'Ncsa, (National Center for Supercomputing Applications), uno dei quattro grandi laboratori di informatica degli Stati Uniti dove si sviluppavano le applicazioni di frontiera del calcolo veloce e uno dei nodi più importanti della rete Internet di allora. Oggi sembra normale accendere il computer e trovarsi in rete. E la rete, nella percezione comune, coincide quasi esclusivamente con due sole modalità: la posta elettronica e il web. Non era così agli inizi degli anni `90, dato che l'Internet era sta ta messa in opera fin dal 1969, aveva maturato la sua tecnologia di trasmissione dei dati negli `80, ma lo scambio di materiali e le interazioni avvenivano con modi ben diversi da quelli che oggi pratichiamo. Si caricava e scaricava file (upload e download) dai computer connessi alla rete con un protocollo chiamato Ftp e si colloquiava da persona a persona con la posta elettronica e nei newsgroup Usenet. Il tutto attraverso interfacce di solo testo, senza colori, né clic del mouse. Come mai questa relativa arretratezza? Il motivo è semplice: i nodi della rete non erano dei personal computer, ma soprattutto dei computer di grossa taglia, tutti basati sull'ottimo sistema operativo Unix; macchine per l'uso professionale in cui le interfacce gradevoli con finestre, mouse e colori non erano poi così essenziali: strumenti di lavoro efficiente per una popolazione di studiosi e di praticanti dell'informatica. Del resto nel 1993 gli unici personal computer dotati di una vera interfaccia a finestre erano gli Apple, mentre la gran parte di quelli Microsoft non ne aveva ancora uno adeguato (solo nel 1995 farà il debutto Windows 95, finalmente un prodotto adeguato, dopo molti tentativi scadenti). Chi fa coincidere l'alta tecnologia di rete con la Silicon Valley a questo punto rimarrà deluso: il progetto Arpanet, poi Internet, prese vita a Boston, e l'altro grande salto concettuale avvenne nel 1991 addirittura in Europa, anzi in Svizzera, al Cern di Ginevra, il grande e internazionale centro di ricerca sulle particelle subatomiche. Fu a Ginevra che un giovane inglese, Tim Berners-Lee, che si occupava di questioni del tutto secondarie rispetto alla missione di ricerca del Cern, inventò il World Wide Web. Tim doveva semplicemente mettere ordine nella grande massa di materiali di documentazione che il Cern produceva; dunque non faceva ricerca, non andava in cerca di quark o di mesoni, era «solo» un archivista digitale. Tuttavia ebbe un'idea che avrebbe cambiato la vita a tutti noi: collegare tra di loro i documenti con dei link (dei rimandi) di modo che, automaticamente, l'uno potesse «chiamare» l'altro. La qual cosa, vista con il senno di poi, sembra ovvia e naturale. In fondo si trattava soltanto di trasformare le note che sempre arricchiscono gli articoli e i libri in legami attivi e attivabili. Leggo un saggio di genetica e anziché alzarmi, andare in biblioteca, cercare l'articolo citato, me lo trovo immediatamente sul monitor. Nemmeno l'idea dell'ipertesto globale era nuova, a dire il vero. Ma Tim escogitò le regole (il protocollo direbbero gli informatici) con cui computer sparpagliati per la rete potevano facilmente svolgere queste funzioni. Come lui stesso ricorda nel suo libro autobiografico («L' architettura del nuovo web». Feltrinelli 2001) furono pochissimi allora, nella comunità informatica (aziende e centri di ricerca) a prenderlo sul serio; non la Ibm, ma nemmeno Microsoft e gli altri. Se ne sarebbero accorti solo più tardi. Ed è qui che, attraverso i percorsi misteriosi dell'innovazione, entra in gioco Andreessen: un'altra figura minore e defilata, sepolta in un lavoro di routine in un centro di calcolo dell'Illinois. Mosaic offrì al www la possibilità di diffondersi in tutti i computer: venne offerto contemporaneamente in tre versioni diverse, per tutte e tre le piattaforme tecnologiche esistenti: Unix, Apple e Microsoft. E da allora tutti abbiamo preso familiarità con una parola nuova, browser: questo categoria di software, da installare sul proprio computer, fa essenzialmente due cose, ma assai importanti; intanto mette in contatto il mio computer con un altro lontano, che svolge la funzione di server ed è identificato da un indirizzo web - per esempio www.cnn.com, il sito web del famoso network televisivo. Quando si batte quell'indirizzo nel proprio browser l'effetto è che il nostro Pc manda un messaggio alla Cnn che grosso modo suona così: «Ciao, mi mandi la tua Home Page?». La pagina viene spedita e a questo punto il brow ser (ieri Mosaic, oggi Explorer, Netscape, Opera, Mozilla) si dà immediatamente da fare per «renderla», sul nostro monitor, seguendo le istruzioni relative al colore, ai caratteri, alla posizione delle immagini e degli altri elementi che sono immerse nel file spedito, sotto forma di «marche» (tag). Un modo semplice, elementare ed efficiente di «brucare» qua e là (to browse), o se si preferisce di «navigare»: il figlio di Mosaic, che Andreessen avrebbe realizzato nel 1994, abbandonando l'università per fondare una società privata chiamata Netscape, aveva appunto un timone come simbolo, per indicare che si trattava appunto di uno strumento per muoversi da un sito all'altro, dal ponte di comando di un veloce vascello. Oggi Mosaic non lo usa più nessuno e Netscape, che andò in borsa nel 1995, aprendo la corsa alla New Economy, è solo un'azienda controllata da America Online. Il mondo dei browser è dominato al 90% dall'Internet Explorer di Microsoft che non è il migliore software di navigazione possibile (per esempio Opera è senza dubbio più ricco e più veloce), ma che domina il mercato grazie al fatto che viene regalato insieme al sistema operativo Windows, il quale a sua volta è leader assoluto tra i sistemi operativi per personal computer. Andreessen, cui vennero dedicati titoli entusiastici del tipo «Il nuovo Bill Gates», è solo un giovane milionario che gestisce una società minore, specializzata in applicazioni Internet per le imprese (si chiama Opsware). Nel tempo ha dimostrato tutti i suoi limiti: non era bravo come manager e anche come tecnologo è solo uno dei tanti, che a trent'anni vive della gloria passata. Soprattutto non è nemmeno un sognatore o visionario: negli ultimi dieci anni le idee nuove sono venute da un finlandese come Linus Torvalds e soprattutto da una comunità sparpagliata di giovani che ripropone instancabilmente la filosofia e le tecniche di una comunicazione «da pari a pari». Quando nacque Mosaic c'erano solo 200 computer al mondo predisposti per il protocollo del web, quello chiamato http e le pagine che proponevano erano tutte a sfondo grigio, semplici elenchi di voci, ognuno identificato da un pallino. Tuttora una filosofia di comunicazione Internet essenziale e spartana propone pagine del genere; è il caso per esempio della benemerita associazione dei bibliotecari italiani (www.aib.it). Altri, come il leggendario programmatore di Nescape, Jamie Zawinski, (www.jwz.org) nasconderanno i loro link in una interminabile sequenza di caratteri esadecimali, incitandovi alla scoperta ed evidenziando la propria cultura da Geeks. Altri, come Illy e Benetton, vi propongono siti gelidi con caratteri di testo al limite della leggibilità. Il mondo della comunicazione web in un decennio ha prodotto tutti i modelli e i linguaggi possibili e almeno mezza dozzina di stili e mode. Resta tuttora instabile, tra affollati portali lampeggianti e pesanti e nuove ricerche di leggerezza, ma anche questo probabilmente è un segno di vitalità. Se poi riesce a generare anche un sorriso incuriosito, come nel caso delle ricerche Diesel qui sotto descritte, allora tanto meglio. Avvertenza per il lettore: l'autrice del pezzo su Diesel acquista solo abbigliamento Diesel e quindi è portatrice di «interessi vestiti». http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/24-Febbraio-2003/art74.html TECNOLOGIA&INTERNET -------------------------------------- Documenti blindati su Windows 2003 Il big di Redmond svela una nuova tecnologia di digital rights management studiata per proteggere i contenuti aziendali, come e-mail, Web e documenti, dall'interno dell'ormai imminente Windows Server 2003 http://punto-informatico.it/p.asp?i=43185 File sharing, la mela della discordia Apple blocca iCommune, un plug-in che trasforma il software iTunes in uno strumento peer-to-peer di Nicola D'Agostino http://www.mytech.it/mytech/internet/art006010044997.jsp La prima BBS compie 25 anni Un quarto di secolo è passato da quando si ritiene che sia stato attivato il primo Bullettin Board System a Chicago. Le BBS hanno fatto la storia della telematica anche in Italia. PI è nato lì http://punto-informatico.it/p.asp?i=43126 Venduto Altavista il pioniere di Internet La Cmgi lo cede alla Overture per 140 milioni di dollari Nel '99 lo aveva comprato per 2,3 miliardi di dollari http://www.repubblica.it/online/scienza_e_tecnologia/altavista/altavista/altavista.html TEMI&APPROFONDIMENTI ------------------------------------------ La nuova classe digitale La diffusione del computer nella vita sociale e la difficoltà di ridurre la conoscenza a merce, mentre cresce la protesta contro la globalizzazione economica grazie all'uso di Internet. Un saggio di Anna Carola Freschi su «La società dei saperi» edito da Carocci ARTURO DI CORINTO Fin dagli anni Settanta i sociologi hanno enfatizzato l'importanza della conoscenza nei processi di crescita economica. Tale enfasi registrava i cambiamenti in atto nella produzione di ricchezza, sia nella tradizionale trasformazione delle materie prime che nella nascente industria dell'intrattenimento. In base a questa lettura, la gestione dell'informazione era considerata il presupposto della produzione di beni e servizi immateriali, cioè di merci che non erano più oggetto di una manipolazione fisica ma cognitiva. Il capitale di base di questa nuova forma di produzione non era quindi più rappresentato da materie prime come greggio e minerali, ma dal sapere sociale e dalle conoscenze intellettuali la cui messa in produzione poneva le basi per un'economia di tipo completamente diverso. Per indicare questa discontinuità nelle modalità di produzione della ricchezza e delle stratificazioni sociali che ne conseguivano, sono state coniate definizioni molteplici, tutte caratterizzate dal prefisso post: società pos tindustriale, società postmoderna, società postmateriale, società postfordista. Termini diversi per indicare quella «società del non più e del non ancora» che si stava delineando all'orizzonte. Cardine di questa trasformazione sono state le reti di comunicazione, crocevia di una economia che si caratterizzava sempre più per l'immaterialità dei suoi prodotti e la sofisticazione dei saperi necessari a produrla, ma anche per la globalità dei suoi processi e l'interdipendenza dei soggetti e delle sfere produttive che intorno ad essa si organizzavano. In particolare, attraverso Internet, la rete delle reti. La ridefinizione della centralità della conoscenza nei processi fondati sulle tecnologie dell'Information and Communication Technology ha favorito nel tempo l'affermarsi del concetto di «società dell'informazione», per indicare l'impiego di quelle tecnologie per innovare i servizi, sostenere le politiche pubbliche, ampliare i mercati e inserire i singoli paesi nel flusso della globalizzazione, attraverso dispositivi legislativi, tecnici e finanziari orientati a trasformare l'informazione in conoscenza produttiva, organizzandola sia sul piano delle infrastrutture che della gestione dei saperi che ne dipendono. Una politica dell'innovazione che rimanda a un modello di relazioni incentrato sulla tecnica e sulla ragione strumentale all'interno di una dimensione economica di matrice liberista che ha ignorato a lungo il fatto che le reti sono apparati sociotecnici dove si esprimono relazioni e identità che si manifestano in maniera difforme da quelle intenzioni. L'effetto di questa interpretazione è stato perciò di ignorare l'emergere di nuovi soggetti produttivi, e di una nuova soggettività politica che non si esauriscono né con l'idea dei nuovi mercati, la new economy, né con l'ascesa e la caduta dei suoi protagonisti, la digital class. Ed è su questo aspetto, spesso non esplicitato, taciuto o negato che invece ritorna Anna Carola Freschi con il libro La società dei saperi. Reti virtuali e partecipazione sociale (Carocci, EUR 16,60). La tesi centrale del libro è che le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione sono state lo strumento di costruzione di una nuova sfera pubblica in cui gli attori, dando vita a forme innovative di interazione sociale, hanno rimesso in discussione le logiche tradizionali della democrazia e della rappresentanza secondo un approccio che è tutto il contrario della impostazione gerarchica e verticale che pretendeva di plasmarne forme e spazi sul modello a beneficio della globalizzazione liberista. Elemento cruciale di questo percorso è stato, secondo l'autrice, proprio il rifiuto dell'informazione come unità discreta, merce da scambiare, e la valorizzazione di quelle pratiche che hanno forgiato all'interno delle comunità virtuali saperi prlurimi e contestuali con una forte connotazione etica. E' così che saperi imitativi, informali e diffusi hanno posto le basi per lo sviluppo di un nuovo tipo di società: la società dei saperi, appunto. L'autrice esemplifica questo discorso analizzando sia le comunità virtuali delle reti civiche, che i network dei programmatori di software e dei produttori dell'informazione indipendente. Cioè di quelle comunità-reti di risorse, relazioni e conoscenze al servizio della crescita personale e dell'autorganizzazione sociale che, rafforzando cooperazione e solidarietà hanno dato origine a dinamiche sociali eccedenti l'idea di una partecipazione democratica fondata unicamente sulla competizione elettorale. E lo dimostrano, secondo la studiosa, l'uso partecipato, consapevole e interattivo del mezzo telematico grazie al quale i grandi temi della proprietà del sapere sono diventati discorso pubblico e la partecipazione diretta ai processi decisionali orientati a contrastare l'esclusione sociale derivante dalle disuglianze nell'accesso al digitale. Così Anna Carola Freschi descrive come le reti telematiche siano diventate il luogo dell'organizzazione dei movimenti antiliberisti, della rivendicazione dei diritti sociali e di una diversa distribuzione delle risorse. Con una riflessione in più. Se i movimenti pacifisti, sindacali, femminili, per i diritti civili hanno usato le reti per ridiscutere necessità e bisogni, contestare poteri e denunciare disuguaglianze, il loro potenziale di mobilitazione è cresciuto insieme a un modello produttivo, etico e solidale, bene esemplificato dalle comunità del software libero. La conclusione è che le comunità di saperi hanno favorito la costituzione di nuovi soggetti svincolati sia dalla logica d'impresa, dai suoi vincoli burocratici e normativi, sia dalla logica dei media, cioè dalla passività, dall'individualismo e dalla spettacolarizzazione. Perciò insieme alla critica dei media e della politica tradizionali, le dinamiche di scambio etico all'interno di questi reti si avvicinerebbero ai modelli di riferimento del «movimento dei movimenti», non necessariamente refrattario al mercato ma alternativo alla logica del profitto, incoraggiando una nuova definizione della cittadinanza e dei diritti sociali. http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/18-Febbraio-2003/art72.html IN LIBRERIA ------------------------------------------- Geert Lovink DARK FIBER Prefazione di Franco Berardi Bifo Luca Sossella Editore EURO 18,00 NEWS DALL'ASSOCIAZIONE ------------------------------------------- Associazione Culturale Telematica "Metro Olografix" http://www.olografix.org -------------------------------------------- a cura di Loris D'Emilio http://www.olografix.org/loris/ hanno collaborato a questo numero: Nicola "nezmar" D'Agostino http://www.olografix.org/nezmar/ Michele "franco21" Cianci http://www.olografix.org/michele/ Ø UNREGISTERED Version of PostMan for Wildcat 5.x
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