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La nonviolenza e' in cammino. 511
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 511
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 17 Feb 2003 19:52:53 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 511 del 18 febbraio 2003 Sommario di questo numero: 1. Lidia Menapace, sulla manifestazione di Roma 2. Tiziano Tissino, pace da tutti i balconi 3. Rossana Rossanda, la guerra e' isolata 4. Giulio Vittorangeli, dell'uccidere e del vivere 5. Luciana Castellina, da Berlino 6. Mao Valpiana, "Azione nonviolenta" di gennaio-febbraio 7. Maria Luigia Casieri: sintesi di Emilia Ferreiro e Ana Teberosky, "La adquisicion de la lecto-escritura como proceso cognitivo", 1978 8. Archivi della disobbedienza civile: "Che cosa fai li' dentro, Henry?" 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: SULLA MANIFESTAZIONE DI ROMA [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001] Sulla manifestazione per la pace alcune osservazioni per ora alla rinfusa. La prima e' che non si possono piu' fare marce o cortei, le forme del muoversi sono piu' simili alla scampagnata, alla passeggiata, agli incontri, e sono - per cosi' dire- tenute insieme dalla loro stessa imponenza. In molti luoghi si erano gia' svolte biciclettate: un modo di muoversi che indica pure una propensione a non disturbare la natura. A Roma l'affluenza e' stata impressionante, anche per chi - come me - e' una assidua frequentatrice. Del resto il fatto che si sia dovuti partire da Ostiense due ore prima del previsto per lasciare posto a chi di continuo arrivava, e che un percorso di circa dieci chilometri abbia dovuto essere allungato di frequente con deviazioni su strade parallele per contenere la folla, lo dice chiaramente. E tale mole di dimostranti non ha provocato nessunissimo incidente e nessunissimo nervosismo: e' ancora un altro segno molto importante. Infatti vi e' stata una spontanea autodisciplina per lasciar passare ambulanze, soccorsi per chi stava male, rallentamenti e code, incroci di processioni di diversa direzione tra chi voleva arrivare a San Giovanni e chi tornava verso i luoghi del concentramento per i ritorni, discussioni sugli slogans. I residui di "militarismo politico" (marcia, servizio d'ordine, sfilate, legioni ecc.) tutto andato. Si cammina, si canta, ci si scambiano notizie e opinioni, si discute e si discorre con una tensione vera verso gli eventi, ma nessuno spinge strattona prevarica ecc. La sopportazione delle inevitabili fatiche e inconvenienti appare molto elevata: persino quando alla fine di tutto alle scale della metro ci si trova a dover essere avviati con fatica e lentezza nessuno si lamenta o protesta. E il deflusso e' in fin dei conti piu' rapido di quanto non si potesse immaginare. L'afflusso e la partecipazione individuale compongono un processo di comunicazione e relazione che sembra dare ragione allo slogan con il quale l'Udi (Unione donne italiane) sta conducendo il suo congresso "per imparare a dire noi, dove ciascuna sa gia' dire io", la necessita' di recuperare un tessuto collettivo dopo aver raggiunto la soggettivita' individuale e prima che essa diventi individualismo. E tutto sotto il segno della pace, nonviolenza e raduno civile. Le forme militaresche quando se ne sente qualche residuo (tra i disobbedienti o in qualche parte un po' piu' inquadrata) sa di patetico e vien bellamente ignorato e bypassato da una folla fatta di gruppi amicali locali di base molto varii, che praticano senza magari saperlo e quelli che sanno senza mai sognarsi di dirlo, forme inventate dal femminismo: specialmente i gruppi di ragazzi e ragazze giovanissimi stanno in connessione diretta e immediata. E' capitato nel pezzo di manifestazione nella quale ero: appena noi avevamo finito di dire uno slogan molto ripetuto "Ne' soldate, ne' terroriste, siamo tutte femministe" e' stato subito ripreso da classi di scuola che dicevano "Ne' soldati, ne' terroristi, siamo tutti pacifisti". Cosi' pure le canzoni con parole mutate come la fortunatissima "pace e' la cosa che piu' ce n'e' meglio e': noi lottiamo per la pace e per la liberta', la nostra lotta non finisce qua" e anche gli inviti a togliere il disturbo rivolti unanimemente a Bush e a Saddam. Insomma una prova di piu' che metodi forme e contenuti dell'azione nonviolenta stanno passando nel movimento in modo abbastanza consolidato ormai. * Tutto bene? Nella manifestazione a me pare di si': anche le indicazioni che parevano in contrasto per gli appuntamenti delle donne si sono rapidamente sistemate: per quelle che arrivavano da fuori Roma con pullnam o treni speciali a piazza Albania, per congiungersi piu' tardi alla piazzetta San Marco con le romane della Casa internazionale delle donne, l'Udi (che arrivava a piccoli gruppi autonomamente e non con pulmann o treni locali) e la Convenzione permanente di donne contro la guerra, che aveva un impegno - di cui subito diro' - nella mattina alle 10. L'impegno era un invito ricevuto da un gruppo di giuristi federalisti che avevano tenuto un convegno sul testo finora noto di Costituzione europea e che avevano rilevato la mancanza di riferimenti alla pace nell'art.1. Avevano studiato una proposta, e venuti a conoscenza dell'interesse della Convenzione per l'argomento ci avevano invitato per discutere: abbiamo presentato i nostri emendamenti e ora si procedera' a una raccolta di firme. La proposta e' per noi molto importante perche' avvia un rapporto con le istituzioni teso a influenzarne il funzionamento e controllarne i lavori senza intralciare o ridurre l'autonomia o le mete che il movimento si prefigge e senza venire a mediazioni previe sui contenuti. Noi della Convenzione lavoriamo perche' nella Costituzione europea il tema della pace sia inserito come fondamento e non sia di ostacolo a un processo ulteriore verso la neutralita' (della cui efficacia e' segno in questi giorni il fatto che la piccola Austria essendo uno stato neutrale pu' dire di no al passaggio dei mezzi militari americani, e gli Usa debbono passare da un'altra parte). Abbiamo nel frattempo avviato alcune proposte per lo sviluppo della campagna sulla neutralita'. * A me pare che la modalita' della presenza del femminismo nelle manifestazioni non sia buona e che bisogni progettarne un'altra. Personalmente sono pochissimo affezionata alla "testa del corteo" ( anche perche' non pare ce ne possano piu' essere) e anche a trattative che mirino a stabilire solo o soprattutto spezzoni di donne. Le manifestazioni femministe e' giusto che siano tutte di donne, quelle miste specifiche alberghino una presenza cointrattata di donne, quelle su temi molto generali e che prevedano una spontanea presenza da varie provenienze con mescolanza di donne e uomini (scuole, sindacati, movimenti della societa' civile), sia per non disperdersi rispetto ai gruppi di provenienza, sia per motivi anche piu' intrinseci, che la mescolanza sia frequente. Non credo pero' che possa esaurire la visibilita' il fatto che vi siano spezzoni fatti da donne: le cronache non se ne sono accorte. Penso che si debba insistere - e ora che ci si impegnera' per dare una forma autonoma al movimento e' il momento giusto - per pretendere presenze sui palchi (se ve ne saranno) e un accesso al diritto di parola vario, molteplice e autodeciso: non puo' piu' succedere che la direzione patriarcale del movimento cominci a prendere gusto ad avere sul palco la madre dell'eroe in rappresentanza delle donne, non amiamo forme anche "velate" di fondamentalismo islamico e che nei resoconti televisivi non venga data parola a nessuno che non sia un uomo del teatrino della politica da Rutelli a Fassino a Bertinotti e poi i vari portavoce della maggioranza (tra di essi il portavoce di An direttamente in camicia nera che straparla come uno che la manifestazione non l'ha nemmeno vista (accuse di antiamericanismo e di unilateralita'!). Le persone delle istituzioni piu' festeggiate da noi sono state Rosy Bindi e i sindaci: era davvero il caso del piu' elementare rispetto delle cose e segno di professionalita' e autonoomia dei giornalisti, che fossero intervistate Bindi e Jervolino. E' davvero irritante che i patriarchi della politica del movimento, della chiesa, della comunicazione non si rendano mai conto che se della guerra possono parlare con cognizione di causa, dato che l'hanno inventata loro, e praticata fino alla rovina del mondo, sulla pace e' bene che ascoltino un po', non si autoassolvano cosi' rapidamente (come fa il papa che non ricordandosi di aver avviato la tragedia della ex Jugolavia con il riconoscimento della Croazia, continua a dire che le "radici cristiane" dell'Europa sono una garanzia di pace e beatifica tutti tranne papa Benedetto XV, reo di aver detto che la prima guerra mondiale era una "inutile strage"), e tacciano un po', e si tirino un po' indietro, e facciano la cura del silenzio e della meditazione, e non occupino tutti gli spazi. Che davvero non se ne puo' piu', stancherebbero anche Giobbe. Bisogna studiare come esercitare il diritto di cittadinanza attraverso accesso alle risorse pubbliche e e al tempo per politicare, non solo attraverso i partiti e non solo avendo soldi per pagare funzionari. 2. INIZIATIVE. TIZIANO TISSINO: PACE DA TUTTI I BALCONI [Dalla mailing list "Peacelink news" riprendiamo questo intervento di Tiziano Tissino. Tiziano Tissino (per contatti: t.tissino at itaca.coopsoc.it) e' impegnato nel movimento dei "Beati i costruttori di pace", nella cooperativa sociale Itaca di Pordenone, ed in innumerevoli iniziative per la pace, i diritti umani, la nonviolenza] In silenzio, come le primule che annunciano l'arrivo della primavera o l'erba tenace che riesce a forare l'asfalto, in questi mesi, mentre tv e giornali insistevano a proporci come sempre piu' vicina ed inevitabile la guerra, l'Italia si e' andata colorando di bandiere della pace. Da Bolzano a Siracusa, i colori dell'arcobaleno sventolano sui balconi di casa, sui campanili e sui pennoni dei municipi, dalle finestre delle scuole... e la trovate anche sul portone della Coop Service Noncello e sulla facciata della Cooperativa Itaca a Pordenone. Non so voi, ma a me si riempie il cuore, ogni volta che vedo esposta una nuova bandiera della pace: non solo perche' quel drappo colorato e' bello, perche' rimanda allo spettacolo sempre affascinante dell'arcobaleno. C'e' di piu', c'e' la scoperta di un'altra persona, un'altra famiglia, che mentre espone la bandiera espone se stessa. Dichiara al mondo che questa guerra non s'ha da fare. Appendere la bandiera della pace fuori dalla propria finestra e' un gesto alla portata di tutti. Non serve aver studiato, ne' allenamento, ne' disponibilita' di tempo o di soldi. Non serve nemmeno aderire ad una ideologia o ad una fede: quella bandiera e' di tutti proprio perche' non e' di nessuno. Al tempo stesso, appendere quella bandiera non e' affatto facile: bisogna riuscire a superare la naturale ritrosia ad esporsi, bisogna trovare il coraggio di sfidare il perbenismo delle consuetudini, essere disposti a mettere a rischio la propria reputazione e magari le proprie amicizie. Soprattutto, e' una sfida alla propria coerenza, perche' ogni volta che tornerai a casa, quel drappo colorato ti spingera' a chiederti se tu, con i tuoi comportamenti quotidiani, sei veramente degno di quel simbolo di pace. E' quindi con stupore e meraviglia sempre crescenti che da settembre seguo da vicino l'impressionante sviluppo della campagna "Pace da tutti i balconi", nata quasi per caso intorno a una tavola imbandita, tra un piccolo gruppo di amici alla ricerca di un segno da proporre a tutti gli italiani per permettere loro di manifestare il loro no alla guerra. Una manciata di persone, che pero' si lascia trascinare dall'entusiasmo di questa idea semplice e geniale, e si mette a lavorare sodo per realizzarla. Nel giro di pochi giorni e' pronto il logo e subito dopo il sito internet www.bandieredipace.org; "Beati i costruttori di pace" si fa carico di gestire la distribuzione delle bandiere, cominciano ad arrivare le prime adesioni ed i primi ordini. Ogni occasione diventa buona per proporre la campagna e distribuire bandiere: le manifestazioni contro la guerra, lo sciopero generale della Cgil, la marcia di avvicinamento al Social forum europeo. La stupenda manifestazione di Firenze ci fa capire che ormai la bandiera ha messo radici, la campagna si allarga, nuovi gruppi si segnalano come distributori locali. Poi viene il 10 dicembre, con le manifestazioni in tutt'Italia, e poi Natale con tanta gente che sceglie di regalare o regalarsi una bandiera della pace. A gennaio, la campagna e' ormai un fiume in piena che straripa da tutte le parti. Le bandiere vanno a ruba, i distributori locali si moltiplicano, alla sede dei "Beati" fanno fatica a star dietro agli ordini in arrivo. In questi giorni (inizio febbraio) il ritmo e' ormai di oltre 10.000 bandiere al giorno. Ogni mattina il corriere scarica i pacchi provenienti dalla fabbrica ed il pomeriggio ripassa a prendersi i pacchi confezionati per essere spediti in tutt'Italia. Il Friuli sconta probabilmente piu' di altre regioni il carattere schivo della propria popolazione e qui da noi le bandiere non sono ancora cosi' diffuse come nel vicino Veneto, che a quest'ora probabilmente ha gia' sfondato quota 100.000. Pero' anche da noi la campagna sta prendendo piede e, ne sono sicuro, continuera' a crescere anche nelle prossime settimane. 3. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: LA GUERRA E' ISOLATA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 febbraio. Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste] Francia, Germania, Cina e Russia hanno dunque ottenuto un rinvio di qualche settimana al Consiglio di sicurezza: gli ispettori torneranno il primo marzo a riferire sul disarmo di Saddam. Che cosa si intenda per disarmo e' peraltro sempre piu' confuso. Armi di sterminio in Iraq non ce ne sono (mentre molti altri paesi le detengono virtuosamente) ed e' da dubitare che ci siano, ben nascoste, armi chimiche. Del resto e' ipocrita nascondersi che in questi pochi giorni non si verifichera' se l'Iraq abbia disarmato o no, (disarmato e' stato in grandissima parte fin dal 1993), ma se gli Stati Uniti ritireranno la decisione di invaderlo, o se la terranno ferma, ma soltanto con la Gran Bretagna, e senza o contro il voto dell'Onu. Che recedano e' poco probabile. George W. Bush ha da tempo deciso di completare l'opera di Bush padre, proponendosi molti obiettivi: mostrare i muscoli dopo la crudele ferita subita l'11 settembre da un'Al Qaeda inafferrabile, ma che viene dal mondo arabo; installarsi nel cuore del Medio Oriente, zona sfuggente e testa di ponte sull'inquietante Asia; impadronirsi del secondo grande giacimento mondiale di petrolio. E' una volonta' di dominio, che ben si coniuga con gli interessi economici a breve ma non e' riducibile ad essi. Possesso di armi di sterminio e collegamenti con Al Qaeda - indimostrati e improbabili, Saddam essendo un tiranno laico - non sono che il pretesto con il quale gli Usa giustificano, fin dal rapporto sulla New Strategy, la determinazione di imporsi al mondo. L'attuale amministrazione americana e' convinta di essere la sola ad aver capito qual e' il nemico, il terrorismo ora internazionale ora islamico e si e' istituita come gendarme mondiale - quel che di loro dicevano gli estremisti degli anni '70 scrivono di se stessi, nero su bianco - e si considerano in grado, dunque in diritto, di intervenire dovunque ritengano lesi i loro presenti e futuri interessi, nei quali identificano senz'altro quelli della Liberta'. * Come Colin Powell e Bush hanno detto ieri, si riservano, Blix o non Blix, di intervenire con le armi, cominciando con il rovesciare tonnellate di esplosivo sul territorio iracheno e poi scaraventando su Baghdad tutta la loro forza d'urto militare. Il solo problema che si pongono e' usare queste poche settimane non per accertare che cosa l'Iraq abbia o sia, cosa che gli e' affatto indifferente, ma per tentare di uscire dall'isolamento nel quale si sono trovati al Consiglio di sicurezza. Questo non lo avevano previsto e nascondono a stento davanti alle telecamere la collera nello sperimentare, per la prima volta dopo la caduta dell'Urss, che qualcuno gli opponga un veto. Hanno dilapidato in poco tempo l'unanimita' nel mondo che gli era venuta dopo l'attentato alle due Torri. E non riescono a darsene ragione. Non celano di essere stufi delle Nazioni Unite, ma non ignorano che senza il loro accordo ogni operazione in Iraq sara' illegittima e potrebbe costituire un incontrollabile precedente. Bush e qualche suo sciocco emulo italiano dicono che il Palazzo di Vetro non conta piu' niente - mentre conta proprio adesso, quando e' tornato ad essere la scena visibile di un conflitto mondiale, sulla quale la superpotenza americana incontra un ostacolo. E' avvenuto qualcosa di irreversibile: cade l'Onu? cade ogni regola o garanzia nella guerra di tutti contro tutti; non cade? evidenzia clamorosamente che le scelte di Bush sono state rovinose per l'Alleanza atlantica. * E' un problema anche per le "vecchie potenze europee", soprattutto per la Germania che nel dopoguerra e' stata il baluardo degli Stati Uniti in Europa, almeno fino alla seconda fase di Brandt. Erano stati gli Usa a garantirne la rinascita e il ruolo dopo la sconfitta. Meno sorprendente la ribellione della Francia, che da de Gaulle in poi ha avuto delle velleita' di indipendenza. E infatti e' a Parigi che la stampa americana invia gli strali piu' velenosi (e ricambiati). Ma non e' una scaramuccia. L'Onu non solo puo' sopravvivere allo scontro di oggi ma perfino riprendere respiro; quella che non ne uscira' intatta e' la Nato. La quale si trova di fronte alla domanda "ma a che servi?", che aveva evitato di porsi nel cinquantesimo anniversario della sua fondazione, quando invece di sciogliersi, essendo scomparso il nemico contro il quale era nata, si rilanciava allargando indefinitamente il proprio campo di azione. La Nato presuppone una unita' di politica estera fra Stati Uniti e Europa, se questa cessa la Nato non ha senso. Gia' oggi il rifiuto francese, tedesco e belga di prendere subito misure di aiuto militare alla Turchia, da sempre superbase americana puntata a est, mette in serio imbarazzo il governo islamico di quel paese, che poco gradisce l'intervento in Iraq e vorrebbe esserne protetto anche ai fini interni. * Le carte sono tutte sul tavolo e non ci sono molte varianti. La meno probabile e' che gli Stati Uniti riescano ad ottenere la testa di Saddam Hussein senza invadere il paese per qualche manovra dell'ultimo minuto. La piu' seria sarebbe che Bush recedesse, riservandosi di tener sospesa sul capo dell'Iraq la spada di Damocle che non ha mai deposto, ma pagando un prezzo assai elevato all'interno e nei rapporti mondiali. Pagherebbe subito cioe', quel che prima o poi dovra' pagare se si infila in quella tragica avventura, e molto sangue sarebbe risparmiato. E sarebbe il realizzarsi d'una volonta' popolare che ieri e in queste ore dilaga nel mondo. Terza e piu' probabile ipotesi e' che Bush vada avanti e Francia, Russia e Cina siano costrette a scegliere se mettergli o no il veto al Consiglio di sicurezza. Consumare o no la rottura, finora evitate con l'espediente di dare piu' tempo agli ispettori. Ma anche per i quattro paesi e' difficile, arrivati questo punto, recedere o sgattaiolare attraverso una seconda risoluzione architettata da Powell. Ma se non si piegano anche l'Europa risultera' divisa in due, e i governi di Blair, assediato dal suo partito oltre che dalla folla, di Aznar e Berlusconi, assediati da folle immense, si troveranno in difficolta'. La spinta popolare, anche se non e' stata la sola a determinare l'atteggiamento di Francia e Germania, avra' segnato una mossa importantissima. * Non ancora decisiva perche' e' tremenda, salvo per i nostri governi e i nostri grandi media, la prospettiva di un paese, gia' ridotto allo stremo come l'Iraq, investito da una potenza militare schiacciante. Soltanto Bush, Rumsfeld e Condoleezza Rice, nonche' i loro vassalli italiani, tengono in non cale le decine o centinaia di migliaia di vite che verranno, come nel 1991, devastate dai bombardamenti, dei quali ci descrivono con soddisfazione l'entita' e l'efficacia. C'e' nell'atteggiarsi di questi leader repubblicani quel che di piu' simile ho sentito alla certezza di se' del Terzo Reich, la stessa determinazione a portare dovunque con le armi il loro ordine. Assieme al ripetere, che fa venire i brividi e un europeo, del "Dio e' con noi", Gott mit uns. La loro arroganza e' accompagnata dalla approssimazione con la quale guardano a quel che seguirebbe un'invasione anche relativamente "riuscita": non hanno ad oggi alcun piano. In Afghanistan c'erano i "signori della guerra", eroi della resistenza all'Unione Sovietica, cui consegnare il paese al posto dei precedentemente amati talebani; ma che interlocutore hanno in Iraq? I tentativi di trovare nei due incontri di Londra un successore a Saddam Hussein sono falliti per i pessimi rapporti esistenti fra la maggioranza sciita, la grande minoranza curda e la minoranza sunnita che governa. La certezza che con la forza e i soldi si risolve tutto rivela soltanto la miopia dell'attuale Dipartimento di stato, e non e' l'ultima ragione dell'esitazione europea a seguirlo. E' simile alla cecita' con la quale hanno creduto di catturare un'organizzazione terroristica prendendo a bombe un paese che forse la ospitava e dal quale essa si e' dileguata, quella con la quale si inoltrano nell'orgoglioso e turbolento continente arabo, sollecitandone i fondamentalismi piu' furibondi. Salvo il rispetto, l'Iraq non e' l'Afghanistan, e' il cuore del mondo arabo, accanto a infide polveriere come il Pakistan e l'Arabia Saudita - sospette di coltivare Al Qaeda molto piu' che il rais laico. E' insensato pensare che con l'eliminazione di Saddam Hussein la faccenda sara' conclusa: e non solo perche' sembra ovvio attendersi una reazione terrorista, ma perche' tutto il Medio oriente, dall'Iran all'Egitto, entrera' in fibrillazione. Non si tiene militarmente una regione di antica civilta' e poteri, attraversata da contraddizioni terribili e con la quale non si hanno rapporti se non con le gia' detestate oligarchie. * E' questo che induce alcuni stati europei, oltre a Russia e Cina, a non seguire Bush in un'operazione nella quale non sara' facilissimo entrare, ma ancora piu' difficile durare. E che produrra' odio e rivolte nelle grandi minoranze musulmane che dilagano in Europa e in Asia. Francia e Germania non auspicano un nuovo fronte interno sotto la sempre piu' potente spinta migratoria. Se e' rischioso rompere con gli Stati Uniti non lo e' meno esacerbare il rapporto con l'Islam. Tutti hanno capito il vicolo cieco in cui Bush si e' messo, salvo Blair, Aznar e Berlusconi. I quali dovrebbero riflettere sugli sviluppi concreti della New Strategy e sulla straordinaria mobilitazione contro di essi dell'opinione mondiale. I governi che fanno della maggioranza numerica alle Camere e del controllo dei media l'alfa e l'omega del potere, dovranno pur chiedersi perche' non stanno piu' comandando l'opinione pubblica. Perche' d'improvviso cede un consenso di cui erano sicuri. Tutte le capitali del mondo sono attraversate da manifestazioni che non possono essere attribuite ai soli gruppi militanti - e' come se tutta l'opinione riflessiva, anche quella gia' indifferente o astensionista, si risvegli insofferente, non ne possa piu', non sopporti piu', domandi con animosita' ai propri governi: ma dove ci state portando? * Colpisce che lo spirito di questo movimento sia quello della Carta delle Nazioni Unite, dichiari il ripudio alla guerra come soluzione dei conflitti. L'esperienza della guerra del Golfo, di quella del Kossovo e di quella dell'Afghanistan hanno distrutto qualsiasi illusione, se mai c'era, che le armi fossero una scelta dura ma necessaria per esportare piu' giustizia e quindi piu' pace. I tessuti devastati non guariscono, la democrazia e' una conquista che va seminata e coltivata, anche nei campi altrui, con altri argomenti. Che certo l'ordine neoliberista non possiede. Di colpo grandi masse che si credevano addomesticate dai consumi facili, compresa la facilita' delle idee, si sono levate a dire di no. Sono masse acculturate, niente affatto inclini a passar sopra ai guasti delle dittature. Sono pero' convinte che non si aggiustano con la prepotenza delle armi. E sono lungi dal credere alla favola della generosita' occidentale. E se lo comunicano. Quella tecnologia che era stata pensata per accelerare i tempi reali soprattutto della speculazione finanziaria, si e' rivelata un'arma a doppio taglio. Serve anche a chi si oppone al sistema. Davanti al messaggio della stampa e delle tv, tutte belliciste, il net si rivela il mezzo ingovernabile e incontrollabile dell'opposizione sociale e civile, che in esso costituisce la sua propria rete di informazione e di scambio, piu' agile e mobilitante di qualsiasi apparato di comunicazione abituale. Con esso il movimento no global, per natura contrario alla leadership dei paesi piu' ricchi, si e' incontrato con le piu' antiche nonviolenze, ha incrociato sia il sindacato sia la preoccupazione delle chiese, ha costituito un circuito sul quale nulla possono i poteri. Da noi ha accerchiato perfino il conflitto di interessi, dato che non e' certo da Mediaset e dalla Rai che sono venute le centinaia di slogan, dai piu' seri ai piu' divertenti, che punteggiavano il serpentone di gente che ha percorso ieri Roma dilagando in mille affluenti. Questo movimento ha perfino una bandiera, riscoperta contro tutte le tradizioni patriottarde, la bandiera bellissima, mondiale, multicolore, da sventolare o nella quale avvolgersi sotto il sole d'inverno. C'e' un nuovo humus per la produzione di simboli. * Come si spiega che la gente compia quell'atto insolito, e un po' scomodo, che consiste nel prendere il treno o il pullman per due notti di fila, per raggiungere decine di migliaia di altre persone in una piazza, mescolarsi con altri corpi, riconoscersi e sorridersi? Perche' se qualcosa e' stato straordinario a Roma, oltre alla quantita' della folla, era il senso di festa con il quale si ritrovava una collettivita' mossa da una preoccupazione drammatica come la guerra. Veniva credo dalla percezione di non essere solo succubi, ascoltatori, massa destinata a subire. Era anche la prova che la crisi della politica non esiste. Ne sono in crisi le forme depauperate, e' in crisi la politica come professione, e' in crisi una sinistra superprudente, compromissoria, intellettualmente pigra, settaria. E infatti non la si e' quasi vista in quell'immensa fiumana, anche se c'era. S'e' vista soltanto la Cgil. Ma si vede quel che si cerca, e come si sarebbero potuti cercare in una grande manifestazione contro Bush e la guerra, i partiti sedicenti di sinistra e incapaci di pensarsi fuori dalla calda coltre atlantica, siano le nuove frontiere o Rumsfeld a tirarne i capi? Ben incauta e' suonata la battuta di d'Alema: Berlusconi, se ci sei batti un colpo. Questa folla la domanda l'avrebbe rivolta a lui: se ci sei batti un colpo. Sinistra per bene, non farti bypassare dall'astuto Chirac, dall'ex sessantottino Fischer. Su', un sussulto di coraggio. Non e' il popolo che manca. 4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: DELL'UCCIDERE E DEL VIVERE [Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, e una delle piu' limpide e autorevoli figure della solidarieta' internazionale] Le grandi manifestazioni di massa per la pace che si sono tenute in tutto il mondo il 15 febbraio ci hanno restituito il senso dell'umano. Rompendo, finalmente, un quotidiano ogni giorno piu' tragico, e connotato dai concetti di morte e guerra. Si veda, in questo senso, il terrorismo e la guerra "infinita" contro il terrorismo, la guerra che insanguina i territori israeliani e quelli palestinesi; la tragedia del popolo ceceno come di quello curdo; le barriere innalzate contro coloro che vengono bollati come clandestini e le retoriche sullo scontro fra Occidente ed Oriente e sulla presunta superiorita' dell'Occidente; ma anche le cronache nazionali di omicidi fra familiari, di vicini, di uomini che uccidono donne, di piccoli uomini che uccidono piccole donne. "Perche' se qualcosa e' stato straordinario a Roma, oltre alla quantita' della folla, era il senso di festa con il quale si ritrovava una collettivita' mossa da una preoccupazione drammatica come la guerra. Veniva credo dalla percezione di non essere solo succubi, ascoltatori, massa destinata a subire" (Rossana Rossanda). Certo, restiamo ancora col fiato sospeso temendo le bombe su Baghdad, ma con ancora un filo di speranza (da oggi piu' forte) che alla fine prevalga il lume della ragione. L'altra cosa straordinaria, e' che il divieto delle telecamere del servizio pubblico di trasmettere in diretta la manifestazione pacifista di Roma, non ha tolto nulla all'effettiva partecipazione di milioni di persone contro la guerra. "Siamo cosi' sicuri di aver bisogno di essere visti per esistere? Credo che sia come scendere sul terreno dell'avversario e rimanere in qualche modo imbrigliati, come succede nella politica italiana. Ognuno deve fare i conti con se stesso e prendere le sue decisioni" (Marco Bechis, regista cinematografico). La realta' e' che i grandi mezzi d'informazione (le tv in particolare), al di la' della censura, hanno trasformato la guerra in una semplice operazione di logoramento della capacita' aggressiva del nemico, cancellando la morte propria e altrui dall'immaginario bellico; cancellando violenze, incendi, stupri, come ogni volta che l'uomo e' caino al fratello. Finendo con il rappresentare un mondo che non c'e', inventando un "Truman-show" per il quale e' gia' stato scritto il copione della guerra giusta. Cosi' non si racconta piu' l'orrore e l'oscenita' della morte, dei cadaveri, perche' una realta' di questo tipo non e' "adatta" ai telegiornali e alla fine nessuno sarebbe piu' disposto ad appoggiare una guerra. Cose che non possono essere mostrate alle opinioni pubbliche, italiane e europee, gia' in maggioranza contrarie alla guerra di Bush. Per essere mostrate in tv le vittime devono essere morte in un bel modo, "romanticamente" riverse, magari con una mano sul volto sfigurato. Una morte pietosa, senza ferite evidenti, senza nulla di sporco, senza tracce di muco o di sangue rappreso, di membra straziate e di sofferenza. La causa della morte deve essere cancellata in omaggio al buon gusto. Solo cosi' riusciamo a sopportare la prospettiva di una guerra. Per Gorge W. Bush e Tony Blair, e tutti gli altri piccoli guerrieri nostrani che ci vogliono trascinare verso la guerra, ci sono solo attacchi chirurgici, danni collaterali e tutti gli altri artifici linguistici della menzogna bellica. Davvero il nostro e' un mondo di giganti atomici e infanti etici. Sappiamo piu' della guerra che della pace, sappiamo piu' riguardo all'uccidere che non riguardo al vivere. Cosi' continua la corsa agli armamenti, convenzionali e nucleari, le merci oscene che assorbono denaro, lavoro, materiali sottratti ai bisogni veramente umani. Cosi', anche noi, ignoriamo giornalmente le guerre senza nome, a partire dall'Africa. Sudan, Grandi Laghi, Costa d'Avorio, Liberia, ecc. Nomi che ogni tanto, non molto in verita', leggiamo magari sui giornali. Dietro ad ognuno di questi nomi un numero senza fine di vittime innocenti che hanno come unica colpa quella di essere nati in questi paesi e non altrove. E' davvero lungo e difficile il cammino della pace e della giustizia ottenuta con la pace. 5. RIFLESSIONE. LUCIANA CASTELLINA: DA BERLINO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 febbraio 2003. Luciana Castellina, militante politica, promotrice dell'esperienza del "Manifesto", piu' volte parlamentare italiana ed europea, e' tra le figure piu' significative dell'impegno pacifista in Europa. Ovviamente la gran parte degli scritti di Luciana Castellina, testi di intervento politico e di giornalismo militante, e' dispersa in giornali e riviste, atti di convegni, dibattiti parlamentari; in volume segnaliamo Che c'e' in Amerika?, Bertani, Verona] "Questo e' il mandato che la coalizione rosso-verde ha ricevuto dalla maggioranza del nostro popolo il 22 settembre 2002: il coraggio della pace", aveva detto Schroeder giovedi nel suo discorso al parlamento. Quel mandato le e' stato rinnovato alla grande con la manifestazione che si e' tenuta sabato a Berlino, la piu' grande della sua storia. "Ci aspettavamo il solito cancelliere insicuro e difensivo, il solito ministro degli esteri furbetto ed arrogante, un'opposizione sovrana; e invece e' stato tutto diverso" - ha scritto all'indomani del dibattito parlamentare la "Tageszeitung". "Quello che il capo del governo ha tenuto, facendo fronte ad un attacco alla politica estera tedesca che non era mai stato cosi' forte dai tempi di Willi Brandt, e' stato forse - continua il quotidiano della sinistra berlinese - il suo miglior discorso". E' segno che Gerard Schroeder, ondivago e indeciso nella sua politica di tutti i giorni, tira fuori la grinta quando si trova con le spalle al muro. E con le spalle al muro ora si sente. Perche' la Germania non e' - non e' ancora per via delle sue vicende storiche, e non sara' forse mai per via della sua collocazione geografica e delle sue dimensioni - un paese come gli altri. I sospetti e le paure sono ancora molte, altrettanti i complessi. Aver rivendicato la propria autonomia rispetto agli Stati Uniti - rifiutando il tradizionale argomento della riconoscenza all'America che ha liberato il paese dal nazismo ("la nostra amicizia e' ormai adulta, ci obbliga a reciproco rispetto e ci consente diversita' di vedute", ha dettto Schroeder), aver ribadito la propria sovranita' e il diritto ad una alleanza non unilaterale pesa qui assai piu' che altrove. E paradossalmente, oggi che al di qua e al di la' del Reno i due paesi che hanno osato sfidare Bush si fan forza l'uno con l'altro, riaffermando la centralita' della speciale alleanza Berlino-Parigi, la manifestazione si e' conclusa all'obelisco che ricorda la schiacciante vittoria della Germania sulla Francia, nel 1871. C'e' una Germania diversa, oramai. Ancora ultrasensibile ai timori di una crisi economica, e percio' sempre tentata di rifugiarsi sotto le ali che crede protettrici della Cdu (come si e' visto nelle ultime elezioni dei Laender) ma certo senza piu' voglia di fare la guerra. Si calcola che i tedeschi che sostengono Schroeder su questo punto siano 60 milioni e anche la mozione che l'opposizione ha voluto far votare in parlamento non e' riuscita a raccogliere i voti di tutti i suoi deputati: fra liberali e democristiani gli astenuti sono stati 37. L'impatto delle Chiese si avverte anche qui. E quello della memoria: fra i ragazzi che sfilavano ce n'erano non pochi anziani, alcuni con una patetica e stinta colomba della pace, il simbolo degli anni '50. Certo, i Patriot alla Turchia sono stati dati; l'uso delle basi agli americani, pure (a differenza di quanto ha fatto l'Austria che ha rifiutato con decisione il transito alle forze armate americane, costringendole, per andare verso il Medio Oriente, a prendere la via del mare). E l'interrogativo sulla saldezza del governo tedesco nel rifiutare di avallare l'intervento militare in Iraq resta, ma vista dalla Berlino di questi giorni sembra forte. Il dramma e' nei paesi al di la' del confine orientale, le cui capitali, contrariamente a quanto ci si sarebbe potuti aspettare, non guardano a Berlino ma direttamente a Washington: in Polonia, nonostante solo il 4% sia a favore della guerra, un movimento della pace non c'e' e il governo ha detto si' a Bush comunque sia; nella Cechia, miglior partner della Casa Bianca, qualche manifestazione pacifista in piu', ma separate, una dei soli comunisti, una degli anarchici, una degli stranieri, in particolare degli americani che sono i piu' attivi nel distinguersi dal proprio governo. In Ungheria il ministero degli interni ha addirittura vietato le manifestazioni. 6. INFORMAZIONE. MAO VALPIANA: "AZIONE NONVIOLENTA" DI GENNAIO-FEBBRAIO [Da Mao Valpiana, direttore di "Azione nonviolenta" (per contatti: azionenonviolenta at sis.it), riceviamo e diffondiamo] Cari amici, e' uscito il numero di gennaio-febbraio 2003 di "Azione nonviolenta", la rivista mensile del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo. L'abbonamento annuo costa euro 25, da versare sul ccp n. 10250363 intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia-saggio inviando una e-mail a: azionenonviolenta at sis.it * In questo numero: - Abbiamo combattuto in Vietnam e nel Golfo. Ora siamo obiettori di coscienza per la pace (Appello dei Veterani); - Le 10 parole della nonviolenza: "Festa" (di Giuliana Martirani); - Le 10 parole della nonviolenza: "Sobrieta'" (di Lidia Menapace); - Le 10 parole della nonviolenza: in cammino verso il Lupo di Gubbio (di Mao Valpiana); - Quando l'ulivo e' davvero il simbolo della pace (di Franco Perna); - Omaggio a Ivan Illich, modernissimo antimodernista (di Giannozzo Pucci); - In memoria di Danilo Dolci, poeta, educatore, maieuta (di Germano Bonora). E poi le consiete rubriche: L'azione (Luca Giusti), Lilliput (Massimiliano Pilati), Aternative (Gianni Scotto), Cinema (Flavia Rizzi), Musica (Paolo Predieri), Educazione (Angela Marasso), Economia (Paolo Macina), Storia (Sergio Albesano), Libri, Lettere. * In copertina: La bandiera della nonviolenza e' la nostra "aggiunta" alla campagna "Pace da tutti i balconi". La bandiera con il fucile spezzato costa 6 euro e si puo' richiedere alla nostra redazione (tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) 7. MATERIALI. MARIA LUIGIA CASIERI: UNA SINTESI DI EMILIA FERREIRO E ANA TEBEROSKY, "LA ADQUISICION DE LA LECTO-ESCRITURA COMO PROCESO COGNITIVO", 1978 [Proseguiamo la pubblicazione di una serie di schede bibliografiche curate da Maria Luigia Casieri relative all'opera di Emilia Ferreiro. Maria Luigia Casieri insegna nella scuola dell'infanzia ed e' una delle principali collaboratrici di questo foglio. Emilia Ferreiro, argentina, docente in Messico, pedagogista illustre, e' una delle piu' grandi studiose viventi del processi di alfabetizzazione, e' di fondamentale importanza il suo contributo sul tema dell'apprendimento della lettura e della scrittura da parte dei bambini. Tra le opere di Emilia Ferreiro si veda in primo luogo l'ormai classico volume scritto insieme ad Ana Teberosky, La costruzione della lingua scritta nel bambino, Giunti, Firenze 1985. Ana Teberosky, docente in varie universita', ha collaborato con Emilia Ferreiro al volume sopra citato, ed ha condotto numerose altre ricerche; un suo lavoro condotto nell'ambito dell'Imipae di Barcellona e' in Emilia Ferreiro, Margarita Gomez Palacio (a cura di), Nuevas perspectivas sobre los procesos de lectura y escritura, Siglo veintiuno editores, Mexico 1982, 2000] Data di edizione: 1978. Tipo di documento: Articolo di rivista. Titolo: La adquisicion de la lecto-escritura como proceso cognitivo. Altri autori: Ana Teberosky. Luogo di edizione: Barcelona. Pagine: 4-6. Fonte: "Cuadernos de Pedagogia", n. 70, Abril 1978. Lingua: Spagnolo. * Abstract L'articolo definisce lo sfondo teorico nel cui ambito si e' originata la ricerca avviatasi nel 1975 a Buenos Aires, finalizzata a comprendere la natura dell'insuccesso scolastico legato alle difficolta' di apprendimento del codice della lingua scritta e che prelude ad un destino di futuro analfabetismo. Vengono soprattutto messe in discussione tre nozioni-chiave che stanno tradizionalmente alla base dell'insegnamento della lingua scritta: "a) che l'apprendimento della letto-scrittura debba essere affrontato come apprendimento di una tecnica; b) che essenziale e' comprendere le corrispondenze tra grafemi (lettere) e fonemi (suoni); c) che la scrittura alfabetica e' la scrittura per eccellenza" (pag. 4). Viene ridefinita la questione del metodo e il ruolo attivo che il bambino realizza in quanto costruttore di conoscenza nell'ambito dei saperi matematici, nell'apprendimento della lingua parlata dalla sua comunita' e nella lingua scritta. Non si entra ancora nel merito della descrizione dei processi di apprendimento della lingua scritta da parte dei bambini e delle bambine e delle tappe di sviluppo individuabili. * Sintesi Dopo aver messo in primo piano l'importanza del ruolo attivo del bambino che realizza un percorso di ricostruzione del linguaggio, delle sue regole e funzionamento, si rileva come "la psicolinguistica contemporanea ci offra una visione dell'apprendimento che e' molto piu' concorde con le concezioni piagetiane che con le concezioni comportamentiste" (pag. 4). A fronte di questo, le abituali pratiche di apprendimento "sono tributarie di una concezione comportamentista sull'acquisizione del linguaggio. La progressione classica che consiste nel cominciare dalle vocali, seguite dalla combinazione di consonanti labiali con vocali, e in seguito dalle parole, per ripetizione delle stesse sillabe [...] e' una progressione che riproduce [...] la serie di condotte osservabili, e non necessariamente una replica del processo che genera queste condotte osservabili. [...] Implicitamente, si giudicava che fosse necessario passare per le stesse tappe per affrontare la lingua scritta, come se per apprendere a leggere fosse necessario ri-apprendere a parlare" (pag. 4). Vengono quindi messe in discussione tre nozioni-chiave che stanno tradizionalmente alla base dell'insegnamento della lingua scritta: "a) che l'apprendimento della letto-scrittura debba essere affrontato come apprendimento di una tecnica; b) che essenziale e' comprendere le corrispondenze tra grafemi (lettere) e fonemi (suoni); c) che la scrittura alfabetica e' la scrittura per eccellenza" (pag. 4). Passiamo ad esaminarle. a) la letto-scrittura come tecnica Da questa concezione consegue didatticamente la progressione dalla lettura meccanica alla lettura comprensiva fino alla lettura espressiva, secondo una successione del tutto inversa a quella che caratterizza l'apprendimento della lingua parlata in cui l'intonazione e il significato, portato dall'intenzione comunicativa, sono in assoluto prioritarie rispetto alla padronanza della meccanica della lingua. Qualcosa di simile e' gia' accaduto in ambito matematico, dove "il calcolo elementare si insegnava come questione di tecnica, di procedimenti appresi a memoria, per essere dopo applicati a situazioni ragionate. Oggi [...] sappiamo che, apprendendo le nozioni matematiche elementari, il bambino costruisce il suo pensiero logico" (pag. 5). b) relazioni tra lettere e suoni La centralita' di questa corrispondenza si basa sul falso presupposto "che la scrittura sia una trascrizione fonetica della lingua" (pag. 5). In tutte le lingue esiste ad esempio "la poligrafia dello stesso fonema e la polifonia dello stesso grafema" (pag. 5). Inoltre quando i bambini basano la propria lettura esclusivamente sul processo di decifrazione sono spesso obbligati a perdere il significato e sono privati della possibilita' di attuare forme di autocorrezione. c) sulla scrittura alfabetica "Supporre che scrivere sia trascrivere i suoni elementari della lingua e' identificare la scrittura con la scrittura alfabetica" (pag. 5). Segno di "etnocentrismo culturale" che rinuncia a chiedersi "fino a che punto le ipotesi [infantili] sul funzionamento della scrittura non siano buone ipotesi per altri sistemi di scrittura" (pp.5-6). Per quanto riguarda il metodo di insegnamento si fa chiarezza sulla frequente ambiguita' che porta a confondere il processo di apprendimento con il metodo di insegnamento, che puo' solo favorire o ostacolare il processo di apprendimento, di cui il soggetto che apprende e' unico depositario. Percio', posto l'assunto che "non esiste nessun processo di acquisizione di conoscenza che cominci realmente da zero" (pag. 6), cio' che la ricerca iniziata dalle autrici intende perseguire e' l'individuazione degli "antecedenti di una condotta, i suoi meccanismi formativi" (pag. 6). Concludendo: "Piaget ha mostrato che il bambino, nel suo impegno nel comprendere il reale reinvesta le categorie fondamentali del pensiero logico-matematico. La psicolinguistica contemporanea ha mostrato che, nel suo sforzo per appropriarsi della lingua della sua comunita', il bambino ricostruisce la sua grammatica. L'analisi dei dati che possediamo ci porta a postulare che, per comprendere la natura della scrittura, il bambino debba reinventarla, cioe' ricostruirla attivamente" (pag. 6). 8. MATERIALI. ARCHIVI DELLA DISOBBEDIENZA CIVILE: "CHE COSA FAI LI' DENTRO, HENRY?" [L'antefatto e' noto: Henry David Thoreau come protesta contro la guerra rifiuto' di pagare le tasse, e fu incarcerato. La descrizione del fulminante dialogo tra i due grandi americani ("Una storia apocrifa, mi e' stato detto, ma se non e' vero e' ben trovato - se non e' realmente accaduto, sarebbe dovuto accadere") la riprendiamo dal breve, pungente saggio del 1967 di Dwight Macdonald, "La necessita' della disobbedienza civile", in Idem, Controamerica, Rizzoli, Milano 1969, p. 339. Henry David Thoreau (1817-1862) e' l'autore di Walden e de La disobbedienza civile (disponibili in italiano in varie edizioni); Ralph Waldo Emerson (1803-1882) e' il grande pensatore e saggista trascendentalista] "Che cosa fai li' dentro, Henry?" gli chiese il suo vicino ed amico, Emerson, attraverso le sbarre della prigione di Concord. "Che cosa fai tu li' fuori, Waldo?" egli replico'. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 511 del 18 febbraio 2003
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