La nonviolenza e' in cammino. 511



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 511 del 18 febbraio 2003

Sommario di questo numero:
1. Lidia Menapace, sulla manifestazione di Roma
2. Tiziano Tissino, pace da tutti i balconi
3. Rossana Rossanda, la guerra e' isolata
4. Giulio Vittorangeli, dell'uccidere e del vivere
5. Luciana Castellina, da Berlino
6. Mao Valpiana, "Azione nonviolenta" di gennaio-febbraio
7. Maria Luigia Casieri: sintesi di Emilia Ferreiro e Ana Teberosky, "La
adquisicion de la lecto-escritura como proceso cognitivo", 1978
8. Archivi della disobbedienza civile: "Che cosa fai li' dentro, Henry?"
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: SULLA MANIFESTAZIONE DI ROMA
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it) per questo
intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a
cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani,
Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia
politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in
collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra
indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]
Sulla manifestazione per la pace alcune osservazioni per ora alla rinfusa.
La prima e' che non si possono piu' fare marce o cortei, le forme del
muoversi sono piu' simili alla scampagnata, alla passeggiata, agli incontri,
e sono - per cosi' dire- tenute insieme dalla loro stessa imponenza.
In molti luoghi si erano gia' svolte biciclettate: un modo di muoversi che
indica pure una propensione a non disturbare la natura.
A Roma l'affluenza e' stata impressionante, anche per chi - come me - e' una
assidua frequentatrice. Del resto il fatto che si sia dovuti partire da
Ostiense due ore prima del previsto per lasciare posto a chi di continuo
arrivava, e che un percorso di circa dieci chilometri abbia dovuto essere
allungato di frequente con deviazioni su strade parallele per contenere la
folla, lo dice chiaramente.
E tale mole di dimostranti non ha provocato nessunissimo incidente e
nessunissimo nervosismo: e' ancora un altro segno molto importante. Infatti
vi e' stata una spontanea autodisciplina per lasciar passare ambulanze,
soccorsi per chi stava male, rallentamenti e code, incroci di processioni di
diversa direzione tra chi voleva arrivare a San Giovanni e chi tornava verso
i luoghi del concentramento per i ritorni, discussioni sugli slogans.
I residui di "militarismo politico" (marcia, servizio d'ordine, sfilate,
legioni ecc.) tutto andato. Si cammina, si canta, ci si scambiano notizie e
opinioni, si discute e si discorre con una tensione vera verso gli eventi,
ma nessuno spinge strattona prevarica ecc.
La sopportazione delle inevitabili fatiche e inconvenienti appare molto
elevata: persino quando alla fine di tutto alle scale della metro ci si
trova a dover essere avviati con fatica e lentezza nessuno si lamenta o
protesta. E il deflusso e' in fin dei conti piu' rapido di quanto non si
potesse  immaginare.
L'afflusso e la partecipazione individuale compongono un processo di
comunicazione e relazione che sembra dare ragione allo slogan con il quale
l'Udi (Unione donne italiane) sta conducendo il suo congresso "per imparare
a dire noi, dove ciascuna sa gia' dire io", la necessita' di recuperare un
tessuto collettivo dopo aver raggiunto la soggettivita' individuale e prima
che essa diventi individualismo.
E tutto sotto il segno della pace, nonviolenza e raduno civile.
Le forme militaresche quando se ne sente qualche residuo (tra i
disobbedienti o in qualche parte un po' piu' inquadrata) sa di patetico e
vien bellamente ignorato e  bypassato da una folla fatta di gruppi amicali
locali di base molto varii, che praticano senza magari saperlo e quelli che
sanno senza mai sognarsi di dirlo, forme inventate dal femminismo:
specialmente i gruppi di ragazzi e ragazze giovanissimi stanno in
connessione diretta e immediata.
E' capitato nel pezzo di manifestazione nella quale ero: appena noi avevamo
finito di dire uno slogan molto ripetuto "Ne' soldate, ne' terroriste, siamo
tutte femministe" e' stato subito ripreso da classi di scuola che dicevano
"Ne' soldati, ne' terroristi, siamo tutti pacifisti".
Cosi' pure le canzoni con parole mutate come la fortunatissima "pace e' la
cosa che piu' ce n'e' meglio e': noi lottiamo per la pace e per  la
liberta', la nostra lotta non finisce qua" e anche gli inviti a togliere il
disturbo rivolti unanimemente a Bush e a Saddam. Insomma una prova di piu'
che metodi forme e contenuti dell'azione nonviolenta stanno passando nel
movimento in modo abbastanza consolidato ormai.
*
Tutto bene?
Nella manifestazione a me pare di si': anche le indicazioni che parevano in
contrasto per gli appuntamenti delle donne si sono rapidamente sistemate:
per quelle che arrivavano da fuori Roma con pullnam o treni speciali a
piazza Albania, per congiungersi  piu' tardi alla piazzetta San Marco con le
romane della Casa internazionale delle donne, l'Udi (che arrivava a piccoli
gruppi  autonomamente e non con pulmann o treni locali) e la Convenzione
permanente di donne contro la guerra, che aveva un impegno - di cui subito
diro' - nella mattina alle 10.
L'impegno era un invito ricevuto da  un gruppo di giuristi federalisti che
avevano tenuto un convegno sul testo finora noto di Costituzione europea e
che avevano rilevato la mancanza di riferimenti alla pace nell'art.1.
Avevano studiato una proposta, e venuti a conoscenza dell'interesse della
Convenzione per l'argomento ci avevano invitato per discutere: abbiamo
presentato i nostri emendamenti e ora si procedera' a una raccolta di firme.
La proposta e' per noi molto importante perche' avvia un rapporto con le
istituzioni teso a influenzarne il funzionamento e controllarne i lavori
senza intralciare o ridurre l'autonomia o le mete che il movimento si
prefigge e senza venire a mediazioni previe sui contenuti.
Noi della Convenzione lavoriamo perche' nella Costituzione europea il tema
della pace sia inserito come fondamento e non sia di ostacolo a un processo
ulteriore verso la neutralita' (della cui efficacia e' segno in questi
giorni il fatto che la piccola Austria essendo uno stato neutrale pu' dire
di no al passaggio dei mezzi militari americani, e gli Usa debbono passare
da un'altra parte). Abbiamo nel frattempo avviato alcune proposte per lo
sviluppo della campagna sulla neutralita'.
*
A me pare che la modalita' della presenza del femminismo nelle
manifestazioni non sia buona e che bisogni progettarne un'altra.
Personalmente sono pochissimo affezionata alla "testa del corteo" ( anche
perche' non pare ce ne  possano piu' essere) e anche a trattative che mirino
a stabilire solo o soprattutto spezzoni di donne.
Le manifestazioni femministe e'  giusto che siano tutte di donne, quelle
miste specifiche alberghino una presenza cointrattata di donne, quelle su
temi molto generali e che prevedano una spontanea presenza da varie
provenienze con mescolanza di donne e uomini (scuole, sindacati, movimenti
della societa' civile), sia per non disperdersi rispetto ai gruppi di
provenienza, sia per motivi anche piu' intrinseci, che la mescolanza sia
frequente.
Non credo pero' che possa esaurire la visibilita' il fatto che vi siano
spezzoni fatti da donne: le cronache non se ne sono accorte. Penso che si
debba insistere - e ora che ci si impegnera' per dare una forma autonoma al
movimento e' il momento giusto - per pretendere presenze sui palchi (se ve
ne  saranno) e un accesso al diritto di parola vario, molteplice e
autodeciso: non puo' piu' succedere che la direzione patriarcale del
movimento cominci a prendere gusto ad avere sul palco la madre dell'eroe in
rappresentanza delle donne, non amiamo forme anche "velate" di
fondamentalismo islamico e che nei resoconti televisivi non venga data
parola a nessuno che non sia un uomo del teatrino della politica da Rutelli
a Fassino a Bertinotti e poi i vari portavoce della maggioranza (tra di essi
il portavoce di An direttamente in camicia nera che straparla come uno che
la manifestazione non l'ha  nemmeno vista (accuse di antiamericanismo e di
unilateralita'!).
Le persone delle istituzioni piu' festeggiate da noi sono state Rosy Bindi e
i sindaci: era davvero il caso del piu' elementare rispetto delle cose e
segno di professionalita' e autonoomia dei giornalisti, che fossero
intervistate Bindi e Jervolino.
E' davvero irritante che i patriarchi della politica del movimento, della
chiesa, della comunicazione non si rendano mai conto che se della guerra
possono parlare con cognizione di causa, dato che l'hanno inventata loro, e
praticata fino alla rovina del mondo, sulla pace e' bene che ascoltino un
po', non si autoassolvano cosi' rapidamente (come fa il papa che non
ricordandosi di aver avviato la tragedia della  ex Jugolavia con il
riconoscimento della Croazia, continua a dire che le "radici cristiane"
dell'Europa sono una garanzia di pace e beatifica tutti tranne papa
Benedetto XV, reo di aver detto che la prima guerra mondiale era una
"inutile strage"), e tacciano un  po', e si tirino un po' indietro, e
facciano la cura del silenzio e della meditazione, e non occupino tutti gli
spazi. Che davvero non se ne puo' piu', stancherebbero anche Giobbe.
Bisogna studiare come esercitare il diritto di cittadinanza attraverso
accesso alle risorse pubbliche e e al tempo per politicare, non solo
attraverso i partiti e non solo avendo soldi per pagare funzionari.

2. INIZIATIVE. TIZIANO TISSINO: PACE DA TUTTI I BALCONI
[Dalla mailing list "Peacelink news" riprendiamo questo intervento di
Tiziano Tissino. Tiziano Tissino (per contatti: t.tissino at itaca.coopsoc.it)
e' impegnato nel movimento dei "Beati i costruttori di pace", nella
cooperativa sociale Itaca di Pordenone, ed in innumerevoli iniziative per la
pace, i diritti umani, la nonviolenza]
In silenzio, come le primule che annunciano l'arrivo della primavera o
l'erba tenace che riesce a forare l'asfalto, in questi mesi, mentre tv e
giornali insistevano a proporci come sempre piu' vicina ed inevitabile la
guerra, l'Italia si e' andata colorando di bandiere della pace.
Da Bolzano a Siracusa, i colori dell'arcobaleno sventolano sui balconi di
casa, sui campanili e sui pennoni dei municipi, dalle finestre delle
scuole... e la trovate anche sul portone della Coop Service Noncello e sulla
facciata della Cooperativa Itaca a Pordenone.
Non so voi, ma a me si riempie il cuore, ogni volta che vedo esposta una
nuova bandiera della pace: non solo perche' quel drappo colorato e' bello,
perche' rimanda allo spettacolo sempre affascinante dell'arcobaleno.
C'e' di piu', c'e' la scoperta di un'altra persona, un'altra famiglia, che
mentre espone la bandiera espone se stessa. Dichiara al mondo che questa
guerra non s'ha da fare.
Appendere la bandiera della pace fuori dalla propria finestra e' un gesto
alla portata di tutti. Non serve aver studiato, ne' allenamento, ne'
disponibilita' di tempo o di soldi. Non serve nemmeno aderire ad una
ideologia o ad una fede: quella bandiera e' di tutti proprio perche' non e'
di nessuno.
Al tempo stesso, appendere quella bandiera non e' affatto facile: bisogna
riuscire a superare la naturale ritrosia ad esporsi, bisogna trovare il
coraggio di sfidare il perbenismo delle consuetudini, essere disposti a
mettere a rischio la propria reputazione e magari le proprie amicizie.
Soprattutto, e' una sfida alla propria coerenza, perche' ogni volta che
tornerai a casa, quel drappo colorato ti spingera' a chiederti se tu, con i
tuoi comportamenti quotidiani, sei veramente degno di quel simbolo di pace.
E' quindi con stupore e meraviglia sempre crescenti che da settembre seguo
da vicino l'impressionante sviluppo della campagna "Pace da tutti i
balconi", nata quasi per caso intorno a una tavola imbandita, tra un piccolo
gruppo di amici alla ricerca di un segno da proporre a tutti gli italiani
per permettere loro di manifestare il loro no alla guerra.
Una manciata di persone, che pero' si lascia trascinare dall'entusiasmo di
questa idea semplice e geniale, e si mette a lavorare sodo per realizzarla.
Nel giro di pochi giorni e' pronto il logo e subito dopo il sito internet
www.bandieredipace.org; "Beati i costruttori di pace" si fa carico di
gestire la distribuzione delle bandiere, cominciano ad arrivare le prime
adesioni ed i primi ordini.
Ogni occasione diventa buona per proporre la campagna e distribuire
bandiere: le manifestazioni contro la guerra, lo sciopero generale della
Cgil, la marcia di avvicinamento al Social forum europeo.
La stupenda manifestazione di Firenze ci fa capire che ormai la bandiera ha
messo radici, la campagna si allarga, nuovi gruppi si segnalano come
distributori locali.
Poi viene il 10 dicembre, con le manifestazioni in tutt'Italia, e poi Natale
con tanta gente che sceglie di regalare o regalarsi una bandiera della pace.
A gennaio, la campagna e' ormai un fiume in piena che straripa da tutte le
parti. Le bandiere vanno a ruba, i distributori locali si moltiplicano, alla
sede dei "Beati" fanno fatica a star dietro agli ordini in arrivo. In questi
giorni (inizio febbraio) il ritmo e' ormai di oltre 10.000 bandiere al
giorno. Ogni mattina il corriere scarica i pacchi provenienti dalla fabbrica
ed il pomeriggio ripassa a prendersi i pacchi confezionati per essere
spediti in tutt'Italia.
Il Friuli sconta probabilmente piu' di altre regioni il carattere schivo
della propria popolazione e qui da noi le bandiere non sono ancora cosi'
diffuse come nel vicino Veneto, che a quest'ora probabilmente ha gia'
sfondato quota 100.000. Pero' anche da noi la campagna sta prendendo piede
e, ne sono sicuro, continuera' a crescere anche nelle prossime settimane.

3. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: LA GUERRA E' ISOLATA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 febbraio. Rossana Rossanda e' nata a
Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente
del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il
Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive
della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi
quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti,
interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui
temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le
altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come
educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna,
persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro
Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con
Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita',
Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma
la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e
morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana
Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in
giornali e riviste]
Francia, Germania, Cina e Russia hanno dunque ottenuto un rinvio di qualche
settimana al Consiglio di sicurezza: gli ispettori torneranno il primo marzo
a riferire sul disarmo di Saddam. Che cosa si intenda per disarmo e'
peraltro sempre piu' confuso. Armi di sterminio in Iraq non ce ne sono
(mentre molti altri paesi le detengono virtuosamente) ed e' da dubitare che
ci siano, ben nascoste, armi chimiche.
Del resto e' ipocrita nascondersi che in questi pochi giorni non si
verifichera' se l'Iraq abbia disarmato o no, (disarmato e' stato in
grandissima parte fin dal 1993), ma se gli Stati Uniti ritireranno la
decisione di invaderlo, o se la terranno ferma, ma soltanto con la Gran
Bretagna, e senza o contro il voto dell'Onu.
Che recedano e' poco probabile. George W. Bush ha da tempo deciso di
completare l'opera di Bush padre, proponendosi molti obiettivi: mostrare i
muscoli dopo la crudele ferita subita l'11 settembre da un'Al Qaeda
inafferrabile, ma che viene dal mondo arabo; installarsi nel cuore del Medio
Oriente, zona sfuggente e testa di ponte sull'inquietante Asia; impadronirsi
del secondo grande giacimento mondiale di petrolio. E' una volonta' di
dominio, che ben si coniuga con gli interessi economici a breve ma non e'
riducibile ad essi.
Possesso di armi di sterminio e collegamenti con Al Qaeda - indimostrati e
improbabili, Saddam essendo un tiranno laico - non sono che il pretesto con
il quale gli Usa giustificano, fin dal rapporto sulla New Strategy, la
determinazione di imporsi al mondo. L'attuale amministrazione americana e'
convinta di essere la sola ad aver capito qual e' il nemico, il terrorismo
ora internazionale ora islamico e si e' istituita come gendarme mondiale -
quel che di loro dicevano gli estremisti degli anni '70 scrivono di se
stessi, nero su bianco - e si considerano in grado, dunque in diritto, di
intervenire dovunque ritengano lesi i loro presenti e futuri interessi, nei
quali identificano senz'altro quelli della Liberta'.
*
Come Colin Powell e Bush hanno detto ieri, si riservano, Blix o non Blix, di
intervenire con le armi, cominciando con il rovesciare tonnellate di
esplosivo sul territorio iracheno e poi scaraventando su Baghdad tutta la
loro forza d'urto militare. Il solo problema che si pongono e' usare queste
poche settimane non per accertare che cosa l'Iraq abbia o sia, cosa che gli
e' affatto indifferente, ma per tentare di uscire dall'isolamento nel quale
si sono trovati al Consiglio di sicurezza.
Questo non lo avevano previsto e nascondono a stento davanti alle telecamere
la collera nello sperimentare, per la prima volta dopo la caduta dell'Urss,
che qualcuno gli opponga un veto. Hanno dilapidato in poco tempo
l'unanimita' nel mondo che gli era venuta dopo l'attentato alle due Torri. E
non riescono a darsene ragione. Non celano di essere stufi delle Nazioni
Unite, ma non ignorano che senza il loro accordo ogni operazione in Iraq
sara' illegittima e potrebbe costituire un incontrollabile precedente. Bush
e qualche suo sciocco emulo italiano dicono che il Palazzo di Vetro non
conta piu' niente - mentre conta proprio adesso, quando e' tornato ad essere
la scena visibile di un conflitto mondiale, sulla quale la superpotenza
americana incontra un ostacolo. E' avvenuto qualcosa di irreversibile: cade
l'Onu? cade ogni regola o garanzia nella guerra di tutti contro tutti; non
cade? evidenzia clamorosamente che le scelte di Bush sono state rovinose per
l'Alleanza atlantica.
*
E' un problema anche per le "vecchie potenze europee", soprattutto per la
Germania che nel dopoguerra e' stata il baluardo degli Stati Uniti in
Europa, almeno fino alla seconda fase di Brandt. Erano stati gli Usa a
garantirne la rinascita e il ruolo dopo la sconfitta. Meno sorprendente la
ribellione della Francia, che da de Gaulle in poi ha avuto delle velleita'
di indipendenza. E infatti e' a Parigi che la stampa americana invia gli
strali piu' velenosi (e ricambiati).
Ma non e' una scaramuccia. L'Onu non solo puo' sopravvivere allo scontro di
oggi ma perfino riprendere respiro; quella che non ne uscira' intatta e' la
Nato. La quale si trova di fronte alla domanda "ma a che servi?", che aveva
evitato di porsi nel cinquantesimo anniversario della sua fondazione, quando
invece di sciogliersi, essendo scomparso il nemico contro il quale era nata,
si rilanciava allargando indefinitamente il proprio campo di azione. La Nato
presuppone una unita' di politica estera fra Stati Uniti e Europa, se questa
cessa la Nato non ha senso. Gia' oggi il rifiuto francese, tedesco e belga
di prendere subito misure di aiuto militare alla Turchia, da sempre
superbase americana puntata a est, mette in serio imbarazzo il governo
islamico di quel paese, che poco gradisce l'intervento in Iraq e vorrebbe
esserne protetto anche ai fini interni.
*
Le carte sono tutte sul tavolo e non ci sono molte varianti.
La meno probabile e' che gli Stati Uniti riescano ad ottenere la testa di
Saddam Hussein senza invadere il paese per qualche manovra dell'ultimo
minuto.
La piu' seria sarebbe che Bush recedesse, riservandosi di tener sospesa sul
capo dell'Iraq la spada di Damocle che non ha mai deposto, ma pagando un
prezzo assai elevato all'interno e nei rapporti mondiali. Pagherebbe subito
cioe', quel che prima o poi dovra' pagare se si infila in quella tragica
avventura, e molto sangue sarebbe risparmiato. E sarebbe il realizzarsi
d'una volonta' popolare che ieri e in queste ore dilaga nel mondo.
Terza e piu' probabile ipotesi e' che Bush vada avanti e Francia, Russia e
Cina siano costrette a scegliere se mettergli o no il veto al Consiglio di
sicurezza. Consumare o no la rottura, finora evitate con l'espediente di
dare piu' tempo agli ispettori. Ma anche per i quattro paesi e' difficile,
arrivati questo punto, recedere o sgattaiolare attraverso una seconda
risoluzione architettata da Powell. Ma se non si piegano anche l'Europa
risultera' divisa in due, e i governi di Blair, assediato dal suo partito
oltre che dalla folla, di Aznar e Berlusconi, assediati da folle immense, si
troveranno in difficolta'. La spinta popolare, anche se non e' stata la sola
a determinare l'atteggiamento di Francia e Germania, avra' segnato una mossa
importantissima.
*
Non ancora decisiva perche' e' tremenda, salvo per i nostri governi e i
nostri grandi media, la prospettiva di un paese, gia' ridotto allo stremo
come l'Iraq, investito da una potenza militare schiacciante. Soltanto Bush,
Rumsfeld e Condoleezza Rice, nonche' i loro vassalli italiani, tengono in
non cale le decine o centinaia di migliaia di vite che verranno, come nel
1991, devastate dai bombardamenti, dei quali ci descrivono con soddisfazione
l'entita' e l'efficacia. C'e' nell'atteggiarsi di questi leader repubblicani
quel che di piu' simile ho sentito alla certezza di se' del Terzo Reich, la
stessa determinazione a portare dovunque con le armi il loro ordine. Assieme
al ripetere, che fa venire i brividi e un europeo, del "Dio e' con noi",
Gott mit uns.
La loro arroganza e' accompagnata dalla approssimazione con la quale
guardano a quel che seguirebbe un'invasione anche relativamente "riuscita":
non hanno ad oggi alcun piano. In Afghanistan c'erano i "signori della
guerra", eroi della resistenza all'Unione Sovietica, cui consegnare il paese
al posto dei precedentemente amati talebani; ma che interlocutore hanno in
Iraq? I tentativi di trovare nei due incontri di Londra un successore a
Saddam Hussein sono falliti per i pessimi rapporti esistenti fra la
maggioranza sciita, la grande minoranza curda e la minoranza sunnita che
governa. La certezza che con la forza e i soldi si risolve tutto rivela
soltanto la miopia dell'attuale Dipartimento di stato, e non e' l'ultima
ragione dell'esitazione europea a seguirlo. E' simile alla cecita' con la
quale hanno creduto di catturare un'organizzazione terroristica prendendo a
bombe un paese che forse la ospitava e dal quale essa si e' dileguata,
quella con la quale si inoltrano nell'orgoglioso e turbolento continente
arabo, sollecitandone i fondamentalismi piu' furibondi. Salvo il rispetto,
l'Iraq non e' l'Afghanistan, e' il cuore del mondo arabo, accanto a infide
polveriere come il Pakistan e l'Arabia Saudita - sospette di coltivare Al
Qaeda molto piu' che il rais laico. E' insensato pensare che con
l'eliminazione di Saddam Hussein la faccenda sara' conclusa: e non solo
perche' sembra ovvio attendersi una reazione terrorista, ma perche' tutto il
Medio oriente, dall'Iran all'Egitto, entrera' in fibrillazione.
Non si tiene militarmente una regione di antica civilta' e poteri,
attraversata da contraddizioni terribili e con la quale non si hanno
rapporti se non con le gia' detestate oligarchie.
*
E' questo che induce alcuni stati europei, oltre a Russia e Cina, a non
seguire Bush in un'operazione nella quale non sara' facilissimo entrare, ma
ancora piu' difficile durare. E che produrra' odio e rivolte nelle grandi
minoranze musulmane che dilagano in Europa e in Asia. Francia e Germania non
auspicano un nuovo fronte interno sotto la sempre piu' potente spinta
migratoria. Se e' rischioso rompere con gli Stati Uniti non lo e' meno
esacerbare il rapporto con l'Islam.
Tutti hanno capito il vicolo cieco in cui Bush si e' messo, salvo Blair,
Aznar e Berlusconi. I quali dovrebbero riflettere sugli sviluppi concreti
della New Strategy e sulla straordinaria mobilitazione contro di essi
dell'opinione mondiale. I governi che fanno della maggioranza numerica alle
Camere e del controllo dei media l'alfa e l'omega del potere, dovranno pur
chiedersi perche' non stanno piu' comandando l'opinione pubblica. Perche'
d'improvviso cede un consenso di cui erano sicuri. Tutte le capitali del
mondo sono attraversate da manifestazioni che non possono essere attribuite
ai soli gruppi militanti - e' come se tutta l'opinione riflessiva, anche
quella gia' indifferente o astensionista, si risvegli insofferente, non ne
possa piu', non sopporti piu', domandi con animosita' ai propri governi: ma
dove ci state portando?
*
Colpisce che lo spirito di questo movimento sia quello della Carta delle
Nazioni Unite, dichiari il ripudio alla guerra come soluzione dei conflitti.
L'esperienza della guerra del Golfo, di quella del Kossovo e di quella
dell'Afghanistan hanno distrutto qualsiasi illusione, se mai c'era, che le
armi fossero una scelta dura ma necessaria per esportare piu' giustizia e
quindi piu' pace. I tessuti devastati non guariscono, la democrazia e' una
conquista che va seminata e coltivata, anche nei campi altrui, con altri
argomenti. Che certo l'ordine neoliberista non possiede.
Di colpo grandi masse che si credevano addomesticate dai consumi facili,
compresa la facilita' delle idee, si sono levate a dire di no. Sono masse
acculturate, niente affatto inclini a passar sopra ai guasti delle
dittature. Sono pero' convinte che non si aggiustano con la prepotenza delle
armi. E sono lungi dal credere alla favola della generosita' occidentale. E
se lo comunicano. Quella tecnologia che era stata pensata per accelerare i
tempi reali soprattutto della speculazione finanziaria, si e' rivelata
un'arma a doppio taglio. Serve anche a chi si oppone al sistema. Davanti al
messaggio della stampa e delle tv, tutte belliciste, il net si rivela il
mezzo ingovernabile e incontrollabile dell'opposizione sociale e civile, che
in esso costituisce la sua propria rete di informazione e di scambio, piu'
agile e mobilitante di qualsiasi apparato di comunicazione abituale. Con
esso il movimento no global, per natura contrario alla leadership dei paesi
piu' ricchi, si e' incontrato con le piu' antiche nonviolenze, ha incrociato
sia il sindacato sia la preoccupazione delle chiese, ha costituito un
circuito sul quale nulla possono i poteri. Da noi ha accerchiato perfino il
conflitto di interessi, dato che non e' certo da Mediaset e dalla Rai che
sono venute le centinaia di slogan, dai piu' seri ai piu' divertenti, che
punteggiavano il serpentone di gente che ha percorso ieri Roma dilagando in
mille affluenti. Questo movimento ha perfino una bandiera, riscoperta contro
tutte le tradizioni patriottarde, la bandiera bellissima, mondiale,
multicolore, da sventolare o nella quale avvolgersi sotto il sole d'inverno.
C'e' un nuovo humus per la produzione di simboli.
*
Come si spiega che la gente compia quell'atto insolito, e un po' scomodo,
che consiste nel prendere il treno o il pullman per due notti di fila, per
raggiungere decine di migliaia di altre persone in una piazza, mescolarsi
con altri corpi, riconoscersi e sorridersi? Perche' se qualcosa e' stato
straordinario a Roma, oltre alla quantita' della folla, era il senso di
festa con il quale si ritrovava una collettivita' mossa da una
preoccupazione drammatica come la guerra. Veniva credo dalla percezione di
non essere solo succubi, ascoltatori, massa destinata a subire.
Era anche la prova che la crisi della politica non esiste. Ne sono in crisi
le forme depauperate, e' in crisi la politica come professione, e' in crisi
una sinistra superprudente, compromissoria, intellettualmente pigra,
settaria. E infatti non la si e' quasi vista in quell'immensa fiumana, anche
se c'era. S'e' vista soltanto la Cgil. Ma si vede quel che si cerca, e come
si sarebbero potuti cercare in una grande manifestazione contro Bush e la
guerra, i partiti sedicenti di sinistra e incapaci di pensarsi fuori dalla
calda coltre atlantica, siano le nuove frontiere o Rumsfeld a tirarne i
capi? Ben incauta e' suonata la battuta di d'Alema: Berlusconi, se ci sei
batti un colpo. Questa folla la domanda l'avrebbe rivolta a lui: se ci sei
batti un colpo. Sinistra per bene, non farti bypassare dall'astuto Chirac,
dall'ex sessantottino Fischer. Su', un sussulto di coraggio. Non e' il
popolo che manca.

4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: DELL'UCCIDERE E DEL VIVERE
[Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it) e' uno dei
principali collaboratori di questo foglio, e una delle piu' limpide e
autorevoli figure della solidarieta' internazionale]
Le grandi manifestazioni di massa per la pace che si sono tenute in tutto il
mondo il 15 febbraio ci hanno restituito il senso dell'umano. Rompendo,
finalmente, un quotidiano ogni giorno piu' tragico, e connotato dai concetti
di morte e guerra. Si veda, in questo senso, il terrorismo e la guerra
"infinita" contro il terrorismo, la guerra che insanguina i territori
israeliani e quelli palestinesi; la tragedia del popolo ceceno come di
quello curdo; le barriere innalzate contro coloro che vengono bollati come
clandestini e le retoriche sullo scontro fra Occidente ed Oriente e sulla
presunta superiorita' dell'Occidente; ma anche le cronache nazionali di
omicidi fra familiari, di vicini, di uomini che uccidono donne, di piccoli
uomini che uccidono piccole donne.
"Perche' se qualcosa e' stato straordinario a Roma, oltre alla quantita'
della folla, era il senso di festa con il quale si ritrovava una
collettivita' mossa da una preoccupazione drammatica come la guerra. Veniva
credo dalla percezione di non essere solo succubi, ascoltatori, massa
destinata a subire" (Rossana Rossanda). Certo, restiamo ancora col fiato
sospeso temendo le bombe su Baghdad, ma con ancora un filo di speranza (da
oggi piu' forte) che alla fine prevalga il lume della ragione.
L'altra cosa straordinaria, e' che il divieto delle telecamere del servizio
pubblico di trasmettere in diretta la manifestazione pacifista di Roma, non
ha tolto nulla all'effettiva partecipazione di milioni di persone contro la
guerra. "Siamo cosi' sicuri di aver bisogno di essere visti per esistere?
Credo che sia come scendere sul terreno dell'avversario e rimanere in
qualche modo imbrigliati, come succede nella politica italiana. Ognuno deve
fare i conti con se stesso e prendere le sue decisioni" (Marco Bechis,
regista cinematografico).
La realta' e' che i grandi mezzi d'informazione (le tv in particolare), al
di la' della censura, hanno trasformato la guerra in una semplice operazione
di logoramento della capacita' aggressiva del nemico, cancellando la morte
propria e altrui dall'immaginario bellico; cancellando violenze, incendi,
stupri, come ogni volta che l'uomo e' caino al fratello. Finendo con il
rappresentare un mondo che non c'e', inventando un "Truman-show" per il
quale e' gia' stato scritto il copione della guerra giusta.
Cosi' non si racconta piu' l'orrore e l'oscenita' della morte, dei cadaveri,
perche' una realta' di questo tipo non e' "adatta" ai telegiornali e alla
fine nessuno sarebbe piu' disposto ad appoggiare una guerra. Cose che non
possono essere mostrate alle opinioni pubbliche, italiane e europee, gia' in
maggioranza contrarie alla guerra di Bush. Per essere mostrate in tv le
vittime devono essere morte in un bel modo, "romanticamente" riverse, magari
con una mano sul volto sfigurato. Una morte pietosa, senza ferite evidenti,
senza nulla di sporco, senza tracce di muco o di sangue rappreso, di membra
straziate e di sofferenza. La causa della morte deve essere cancellata in
omaggio al buon gusto. Solo cosi' riusciamo a sopportare la prospettiva di
una guerra. Per Gorge W. Bush e Tony Blair, e tutti gli altri piccoli
guerrieri nostrani che ci vogliono trascinare verso la guerra, ci sono solo
attacchi chirurgici, danni collaterali e tutti gli altri artifici
linguistici della menzogna bellica.
Davvero il nostro e' un mondo di giganti atomici e infanti etici. Sappiamo
piu' della guerra che della pace, sappiamo piu' riguardo all'uccidere che
non riguardo al vivere.
Cosi' continua la corsa agli armamenti, convenzionali e nucleari, le merci
oscene che assorbono denaro, lavoro, materiali sottratti ai bisogni
veramente umani. Cosi', anche noi, ignoriamo giornalmente le guerre senza
nome, a partire dall'Africa. Sudan, Grandi Laghi, Costa d'Avorio, Liberia,
ecc. Nomi che ogni tanto, non molto in verita', leggiamo magari sui
giornali. Dietro ad ognuno di questi nomi un numero senza fine di vittime
innocenti che hanno come unica colpa quella di essere nati in questi paesi e
non altrove.
E' davvero lungo e difficile il cammino della pace e della giustizia
ottenuta con la pace.

5. RIFLESSIONE. LUCIANA CASTELLINA: DA BERLINO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 febbraio 2003. Luciana Castellina,
militante politica, promotrice dell'esperienza del "Manifesto", piu' volte
parlamentare italiana ed europea, e' tra le figure piu' significative
dell'impegno pacifista in Europa. Ovviamente la gran parte degli scritti di
Luciana Castellina, testi di intervento politico e di giornalismo militante,
e' dispersa in giornali e riviste, atti di convegni, dibattiti parlamentari;
in volume segnaliamo Che c'e' in Amerika?, Bertani, Verona]
"Questo e' il mandato che la coalizione rosso-verde ha ricevuto dalla
maggioranza del nostro popolo il 22 settembre 2002: il coraggio della pace",
aveva detto Schroeder giovedi nel suo discorso al parlamento. Quel mandato
le e' stato rinnovato alla grande con la manifestazione che si e' tenuta
sabato a Berlino, la piu' grande della sua storia.
"Ci aspettavamo il solito cancelliere insicuro e difensivo, il solito
ministro degli esteri furbetto ed arrogante, un'opposizione sovrana; e
invece e' stato tutto diverso" - ha scritto all'indomani del dibattito
parlamentare la "Tageszeitung". "Quello che il capo del governo ha tenuto,
facendo fronte ad un attacco alla politica estera tedesca che non era mai
stato cosi' forte dai tempi di Willi Brandt, e' stato forse - continua il
quotidiano della sinistra berlinese - il suo miglior discorso". E' segno che
Gerard Schroeder, ondivago e indeciso nella sua politica di tutti i giorni,
tira fuori la grinta quando si trova con le spalle al muro. E con le spalle
al muro ora si sente. Perche' la Germania non e' - non e' ancora per via
delle sue vicende storiche, e non sara' forse mai per via della sua
collocazione geografica e delle sue dimensioni - un paese come gli altri. I
sospetti e le paure sono ancora molte, altrettanti i complessi. Aver
rivendicato la propria autonomia rispetto agli Stati Uniti - rifiutando il
tradizionale argomento della riconoscenza all'America che ha liberato il
paese dal nazismo ("la nostra amicizia e' ormai adulta, ci obbliga a
reciproco rispetto e ci consente diversita' di vedute", ha dettto
Schroeder), aver ribadito la propria sovranita' e il diritto ad una alleanza
non unilaterale pesa qui assai piu' che altrove.
E paradossalmente, oggi che al di qua e al di la' del Reno i due paesi che
hanno osato sfidare Bush si fan forza l'uno con l'altro, riaffermando la
centralita' della speciale alleanza Berlino-Parigi, la manifestazione si e'
conclusa all'obelisco che ricorda la schiacciante vittoria della Germania
sulla Francia, nel 1871.
C'e' una Germania diversa, oramai. Ancora ultrasensibile ai timori di una
crisi economica, e percio' sempre tentata di rifugiarsi sotto le ali che
crede protettrici della Cdu (come si e' visto nelle ultime elezioni dei
Laender) ma certo senza piu' voglia di fare la guerra. Si calcola che i
tedeschi che sostengono Schroeder su questo punto siano 60 milioni e anche
la mozione che l'opposizione ha voluto far votare in parlamento non e'
riuscita a raccogliere i voti di tutti i suoi deputati: fra liberali e
democristiani gli astenuti sono stati 37. L'impatto delle Chiese si avverte
anche qui. E quello della memoria: fra i ragazzi che sfilavano ce n'erano
non pochi anziani, alcuni con una patetica e stinta colomba della pace, il
simbolo degli anni '50.
Certo, i Patriot alla Turchia sono stati dati; l'uso delle basi agli
americani, pure (a differenza di quanto ha fatto l'Austria che ha rifiutato
con decisione il transito alle forze armate americane, costringendole, per
andare verso il Medio Oriente, a prendere la via del mare). E
l'interrogativo sulla saldezza del governo tedesco nel rifiutare di avallare
l'intervento militare in Iraq resta, ma vista dalla Berlino di questi giorni
sembra forte.
Il dramma e' nei paesi al di la' del confine orientale, le cui capitali,
contrariamente a quanto ci si sarebbe potuti aspettare, non guardano a
Berlino ma direttamente a Washington: in Polonia, nonostante solo il 4% sia
a favore della guerra, un movimento della pace non c'e' e il governo ha
detto si' a Bush comunque sia; nella Cechia, miglior partner della Casa
Bianca, qualche manifestazione pacifista in piu', ma separate, una dei soli
comunisti, una degli anarchici, una degli stranieri, in particolare degli
americani che sono i piu' attivi nel distinguersi dal proprio governo. In
Ungheria il ministero degli interni ha addirittura vietato le
manifestazioni.

6. INFORMAZIONE. MAO VALPIANA: "AZIONE NONVIOLENTA" DI GENNAIO-FEBBRAIO
[Da Mao Valpiana, direttore di "Azione nonviolenta" (per contatti:
azionenonviolenta at sis.it), riceviamo e diffondiamo]
Cari amici,
e' uscito il numero di gennaio-febbraio 2003 di "Azione nonviolenta", la
rivista mensile del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel
1964, di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della
nonviolenza in Italia e nel mondo.
L'abbonamento annuo costa euro 25, da versare sul ccp n. 10250363 intestato
ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia-saggio inviando una e-mail a:
azionenonviolenta at sis.it
*
In questo numero:
- Abbiamo combattuto in Vietnam e nel Golfo. Ora siamo obiettori di
coscienza per la pace (Appello dei Veterani);
- Le 10 parole della nonviolenza: "Festa" (di Giuliana Martirani);
- Le 10 parole della nonviolenza: "Sobrieta'" (di Lidia Menapace);
- Le 10 parole della nonviolenza: in cammino verso il Lupo di Gubbio (di Mao
Valpiana);
- Quando l'ulivo e' davvero il simbolo della pace (di Franco Perna);
- Omaggio a Ivan Illich, modernissimo antimodernista (di Giannozzo Pucci);
- In memoria di Danilo Dolci, poeta, educatore, maieuta (di Germano Bonora).
E poi le consiete rubriche: L'azione (Luca Giusti), Lilliput (Massimiliano
Pilati), Aternative (Gianni Scotto), Cinema (Flavia Rizzi), Musica (Paolo
Predieri), Educazione (Angela Marasso), Economia (Paolo Macina), Storia
(Sergio Albesano), Libri, Lettere.
*
In copertina: La bandiera della nonviolenza e' la nostra "aggiunta" alla
campagna "Pace da tutti i balconi".
La bandiera con il fucile spezzato costa 6 euro e si puo' richiedere alla
nostra redazione (tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org)

7. MATERIALI. MARIA LUIGIA CASIERI: UNA SINTESI DI EMILIA FERREIRO E ANA
TEBEROSKY, "LA ADQUISICION DE LA LECTO-ESCRITURA COMO PROCESO COGNITIVO",
1978
[Proseguiamo la pubblicazione di una serie di schede bibliografiche curate
da Maria Luigia Casieri relative all'opera di Emilia Ferreiro. Maria Luigia
Casieri insegna nella scuola dell'infanzia ed e' una delle principali
collaboratrici di questo foglio. Emilia Ferreiro, argentina, docente in
Messico, pedagogista illustre, e' una delle piu' grandi studiose viventi del
processi di alfabetizzazione, e' di fondamentale importanza il suo
contributo sul tema dell'apprendimento della lettura e della scrittura da
parte dei bambini. Tra le opere di Emilia Ferreiro si veda in primo luogo
l'ormai classico volume scritto insieme ad Ana Teberosky, La costruzione
della lingua scritta nel bambino, Giunti, Firenze 1985. Ana Teberosky,
docente in varie universita', ha collaborato con Emilia Ferreiro al volume
sopra citato, ed ha condotto numerose altre ricerche; un suo lavoro condotto
nell'ambito dell'Imipae di Barcellona e' in Emilia Ferreiro, Margarita Gomez
Palacio (a cura di), Nuevas perspectivas sobre los procesos de lectura y
escritura, Siglo veintiuno editores, Mexico 1982, 2000]
Data di edizione: 1978. Tipo di documento: Articolo di rivista. Titolo: La
adquisicion de la lecto-escritura como proceso cognitivo. Altri autori: Ana
Teberosky. Luogo di edizione: Barcelona. Pagine: 4-6. Fonte: "Cuadernos de
Pedagogia", n. 70, Abril 1978. Lingua: Spagnolo.
*
Abstract
L'articolo definisce lo sfondo teorico nel cui ambito si e' originata la
ricerca avviatasi nel 1975 a Buenos Aires, finalizzata a comprendere la
natura dell'insuccesso scolastico legato alle difficolta' di apprendimento
del codice della lingua scritta e che prelude ad un destino di futuro
analfabetismo.
Vengono soprattutto messe in discussione tre nozioni-chiave che stanno
tradizionalmente alla base dell'insegnamento della lingua scritta: "a) che
l'apprendimento della letto-scrittura debba essere affrontato come
apprendimento di una tecnica; b) che essenziale e' comprendere le
corrispondenze tra grafemi (lettere) e fonemi (suoni); c) che la scrittura
alfabetica e' la scrittura per eccellenza" (pag. 4).
Viene ridefinita la questione del metodo e il ruolo attivo che il bambino
realizza in quanto costruttore di conoscenza nell'ambito dei saperi
matematici, nell'apprendimento della lingua parlata dalla sua comunita' e
nella lingua scritta.
Non si entra ancora nel merito della descrizione dei processi di
apprendimento della lingua scritta da parte dei bambini e delle bambine e
delle tappe di sviluppo individuabili.
*
Sintesi
Dopo aver messo in primo piano l'importanza del ruolo attivo del bambino che
realizza un percorso di ricostruzione del linguaggio, delle sue regole e
funzionamento, si rileva come "la psicolinguistica contemporanea ci offra
una visione dell'apprendimento che e' molto piu' concorde con le concezioni
piagetiane che con le concezioni comportamentiste" (pag. 4).
A fronte di questo, le abituali pratiche di apprendimento "sono tributarie
di una concezione comportamentista sull'acquisizione del linguaggio. La
progressione classica che consiste nel cominciare dalle vocali, seguite
dalla combinazione di consonanti labiali con vocali, e in seguito dalle
parole, per ripetizione delle stesse sillabe [...] e' una progressione che
riproduce [...] la serie di condotte osservabili, e non necessariamente una
replica del processo che genera queste condotte osservabili. [...]
Implicitamente, si giudicava che fosse necessario passare per le stesse
tappe per affrontare la lingua scritta, come se per apprendere a leggere
fosse necessario ri-apprendere a parlare" (pag. 4).
Vengono quindi messe in discussione tre nozioni-chiave che stanno
tradizionalmente alla base dell'insegnamento della lingua scritta:
"a) che l'apprendimento della letto-scrittura debba essere affrontato come
apprendimento di una tecnica;
b) che essenziale e' comprendere le corrispondenze tra grafemi (lettere) e
fonemi (suoni);
c) che la scrittura alfabetica e' la scrittura per eccellenza" (pag. 4).
Passiamo ad esaminarle.
a) la letto-scrittura come tecnica
Da questa concezione consegue didatticamente la progressione dalla lettura
meccanica alla lettura comprensiva fino alla lettura espressiva, secondo una
successione del tutto inversa a quella che caratterizza l'apprendimento
della lingua parlata in cui l'intonazione e il significato, portato
dall'intenzione comunicativa, sono in assoluto prioritarie rispetto alla
padronanza della meccanica della lingua. Qualcosa di simile e' gia' accaduto
in ambito matematico, dove "il calcolo elementare si insegnava come
questione di tecnica, di procedimenti appresi a memoria, per essere dopo
applicati a situazioni ragionate. Oggi [...] sappiamo che, apprendendo le
nozioni matematiche elementari, il bambino costruisce il suo pensiero
logico" (pag. 5).
b) relazioni tra lettere e suoni
La centralita' di questa corrispondenza si basa sul falso presupposto "che
la scrittura sia una trascrizione fonetica della lingua" (pag. 5). In tutte
le lingue esiste ad esempio "la poligrafia dello stesso fonema e la
polifonia dello stesso grafema" (pag. 5). Inoltre quando i bambini basano la
propria lettura esclusivamente sul processo di decifrazione sono spesso
obbligati a perdere il significato e sono privati della possibilita' di
attuare forme di autocorrezione.
c) sulla scrittura alfabetica
"Supporre che scrivere sia trascrivere i suoni elementari della lingua e'
identificare la scrittura con la scrittura alfabetica" (pag. 5). Segno di
"etnocentrismo culturale" che rinuncia a chiedersi "fino a che punto le
ipotesi [infantili] sul funzionamento della scrittura non siano buone
ipotesi per altri sistemi di scrittura" (pp.5-6).
Per quanto riguarda il metodo di insegnamento si fa chiarezza sulla
frequente ambiguita' che porta a confondere il processo di apprendimento con
il metodo di insegnamento, che puo' solo favorire o ostacolare il processo
di apprendimento, di cui il soggetto che apprende e' unico depositario.
Percio', posto l'assunto che "non esiste nessun processo di acquisizione di
conoscenza che cominci realmente da zero" (pag. 6), cio' che la ricerca
iniziata dalle autrici intende perseguire e' l'individuazione degli
"antecedenti di una condotta, i suoi meccanismi formativi" (pag. 6).
Concludendo: "Piaget ha mostrato che il bambino, nel suo impegno nel
comprendere il reale reinvesta le categorie fondamentali del pensiero
logico-matematico. La psicolinguistica contemporanea ha mostrato che, nel
suo sforzo per appropriarsi della lingua della sua comunita', il bambino
ricostruisce la sua grammatica. L'analisi dei dati che possediamo ci porta a
postulare che, per comprendere la natura della scrittura, il bambino debba
reinventarla, cioe' ricostruirla attivamente" (pag. 6).

8. MATERIALI. ARCHIVI DELLA DISOBBEDIENZA CIVILE: "CHE COSA FAI LI' DENTRO,
HENRY?"
[L'antefatto e' noto: Henry David Thoreau come protesta contro la guerra
rifiuto' di pagare le tasse, e fu incarcerato. La descrizione del fulminante
dialogo tra i due grandi americani ("Una storia apocrifa, mi e' stato detto,
ma se non e' vero e' ben trovato - se non e' realmente accaduto, sarebbe
dovuto accadere") la riprendiamo dal breve, pungente saggio del 1967 di
Dwight Macdonald, "La necessita' della disobbedienza civile", in Idem,
Controamerica, Rizzoli, Milano 1969, p. 339. Henry David Thoreau (1817-1862)
e' l'autore di Walden e de La disobbedienza civile (disponibili in italiano
in varie edizioni); Ralph Waldo Emerson (1803-1882) e' il grande pensatore e
saggista trascendentalista]
"Che cosa fai li' dentro, Henry?" gli chiese il suo vicino ed amico,
Emerson, attraverso le sbarre della prigione di Concord. "Che cosa fai tu
li' fuori, Waldo?" egli replico'.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 511 del 18 febbraio 2003