[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 510
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 510
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 17 Feb 2003 19:45:25 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 510 del 17 febbraio 2003 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini, "Los mineros salieron de la mina" 2. L'intervento unitario conclusivo della manifestazione del 15 febbraio a Roma 3. Amelia Alberti, fuori la guerra dalla storia 4. Per la pace da Palermo 5. Simon Levis Sullam, l'archivio antiebraico 6. Maria Luigia Casieri: una sintesi di Emilia Ferreiro, "Conocimiento linguistico y proceso de adquisicion de la lengua escrita", 1975 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: "LOS MINEROS SALIERON DE LA MINA" "E' fatto giorno, siamo entrati in giuoco anche noi con i panni e le scarpe e le facce che avevamo" (Rocco Scotellaro) La bella giornata di sabato (le centinaia e piu' probabilmente migliaia di iniziative in tante citta' del mondo, da New York a Vetralla) non deve essere immiserita ne' nelle polemiche di piccolo cabotaggio, ne' in un trionfalismo fuori luogo, ne' in un malinconico ritorno a casa, ne' in occasione di sognante nostalgia. Molti lo hanno detto, e lo hanno detto perche' lo hanno sentito col cuore: uno spicchio grande di umanita' presente ha detto no alla guerra, e lo ha detto chiaro a quei potenti che una nuova guerra preparando mettono in pericolo, nel piu' grave pericolo, l'umanita' intera. E questo no alla guerra uno spicchio grande di umanita' presente lo ha detto a nome dell'umanita' intera, di quella presente la cui enorme maggioranza non ha voce poiche' strozzata dal doppio raffio della fame e delle armi, di quella futura che dipendera' da noi se potra' esistere o no e se vivra' in un mondo vivibile o avra' una vita infera di sofferenze tra macerie e cancrena, e in nome di quella passata il senso del cui travaglio sarebbe cancellato dalla cancellazione della civilta' umana, e la cui esistenza sarebbe per la seconda volta e per sempre uccisa, annichilita infine. Questo ci pare sia il messaggio chiaro delle manifestazioni di sabato: no alla guerra, si' all'umanita'. * Sabato era il giorno dei cortei. Una parola e' stata detta, andava detta, deve essere ascoltata. E' importante, non basta. Oggi e' lunedi': e la lotta continua. Poiche' fermare la guerra, costruire la pace, difendere l'umanita', richiede un impegno di lotta, e questo impegno di lotta solo puo' alimentarsi di una scelta intellettuale e morale limpida e intransigente: la scelta della nonviolenza. Occorre dar seguito, risposta, inveramento a quella domanda, a quell'invocazione, a quell'appello che sabato milioni di esseri umani hanno lanciato al mondo: fermare la guerra. E per farlo occorre agire. Con la forza del diritto, con la forza della verita', con la forza della nonviolenza. Ed occorre quindi predisporci: - a contrastare la macchina bellica con l'azione diretta nonviolenta: si tratta di paralizzare gli apparati militari che verranno impiegati e coinvolti nella guerra. E' possibile farlo: ad esempio con l'azione diretta nonviolenta delle mongolfiere della pace possiamo impedire i decolli dei bombardieri dalle basi militari. - a inceppare la catena di comando e le strutture logistiche ed amministrative dei poteri golpisti e stragisti che la guerra promuovessero o avallassero in violazione della Carta delle Nazioni Unite e della Costituzione della Repubblica Italiana. Possiamo con una campagna nonviolenta di disobbedienza civile di massa bloccare nodi strategici e mettere in condizione di non nuocere quei poteri che la guerra scatenassero ed avallassero (e con cio' stesso si rendessero ipso facto fuorilegge, criminali promotori, esecutori e complici di crimini di guerra e crimini contro l'umanita', e per quanto specificamente concerne il nostro paese colpevoli altresi' del reato di violazione della Costituzione cui pure hanno giurato fedelta'). - a preparare lo sciopero generale ad oltranza contro la guerra, fino alla completa cessazione di ogni coinvolgimento in essa, e fino alle dimissioni del governo, del parlamento e del capo dello stato che la guerra illegale e criminale avallassero (con cio' infrangendo la legalita' ed attentando alla Costituzione, alla democrazia, alla Repubblica: a questa azione golpista deve opporsi la piu' nitida ed energica azione delle istituzioni, dei pubblici ufficiali e dei cittadini fedeli alla legalita' costituzionale, alla democrazia, al nostro paese in quanto stato di diritto, ordinamento giuridico, spazio di liberta' e di civile convivenza). - a denunciare i golpisti e stragisti all'autorita' giudiziaria: chiedendo alle forze dell'ordine di metterli in condizione di non nuocere, chiedendo al potere giudiziario di procedere contro i violatori della legalita' costituzionale, chiamando tutte le autorita' a tal fine preposte alla difesa della repubblica dall'eversione golpista e stragista. * Ma per far tutto cio' occorre la scelta della nonviolenza; occorre uscire dalle ambiguita' e dalla subalternita', farla finita con le ipocrisie. Ipocrisie, subalternita' e ambiguita' ancora fortemente presenti in ampi settori del cosiddetto movimento per la pace, settori dai quali dobbiamo separarci nel modo piu' netto nel momento delle scelte e dell'azione: e il momento e' adesso. Cosicche' ai tanti ciarlataneschi appelli all'unita' noi opponiamo l'appello alla nonviolenza. E quindi a rompere ogni complicita' con la violenza, chi la utilizza e chi la adora. Agli osceni equilibrismi di chi e' contro una guerra e a favore di un'altra, noi opponiamo la scelta della nonviolenza, che e' opposizione a tutte le guerre, tutti gli eserciti, tutti gli armamenti (e va da se': tutte le dittature, tutti i terrorismi, tutti i poteri criminali; e tutte le offese all'incolumita' ed alla dignita' di ogni persona). Alle ignobili furberie di chi chiede ad altri il rispetto delle regole e poi vuol lasciare mano libera a se stesso e ai suoi amici, noi opponiamo la discriminante della nonviolenza, che e' l'impegno alla nonmenzogna, ed alla noncollaborazione con chiunque voglia opprimere o umiliare altri esseri umani. Allo strabismo di chi dice di provare dolore per alcune vittime e se ne infischia di altre, noi opponiamo la nonviolenza come sentimento di fraternita' e sororita' con l'umanita' intera. Alle retoriche e alle ideologie totalitarie, autoritarie, militariste, razziste e sessiste degli scocchi e dei mascalzoni che pensano di potersi opporre alla guerra e all'ingiustizia ed insieme nel loro meditare e parlare ed agire ed atteggiarsi riproducono la stessa logica e cultura della violenza, noi opponiamo la nonviolenza come lotta esplicita e senza equivoci anche a quelle ideologie e retoriche, e condotte e prassi. Al fascismo maschilista e classista, ed al privilegio, al trasformismo ed all'irresponsabilita' di tanta parte della sedicente leadership del movimento per la pace, noi opponiamo il ripudio di ogni leaderismo, di ogni carrierismo, di ogni privilegio e oppressione di classe e di genere; noi opponiamo la scelta della nonviolenza come progetto e pratica di solidarieta' e di liberazione di un'umanita' sessuata di donne e uomini uguali in dignita' e diritti nel rispetto della originalita' irriducibile di ogni persona. Alle amnesie di chi dimentica il suo stesso passato di ancor pochi anni fa noi opponiamo la memoria, in dolore e speranza: affinche' non si dimentichi di dove veniamo, quali siano le responsabilita' di ciascuno, cio' a cui occorre porre rimedio in noi e tra noi, quali i lutti da elaborare, quali i segreti e bugie da portare alla luce e affrontare e superare. Non per algidamente condannare, non per ergersi e calcare, non per offendere ancora, ma perche' si possa procedere ad una riconciliazione fondata su una comune lotta alla violenza e alla menzogna, sul riconoscimento di responsabilita', sulla verita' come presupposto della giustizia, su un cambiamento che deve cominciare da noi stessi nel nostro riconoscimento reciproco, nel nostro agire quotidiano, nella personale e quindi comune assunzione di responsabilita'. La nonviolenza e' un cammino faticoso, ed e' anche un lavoro analitico, un reciproco dirsi e ascoltarsi, un viaggio che si fa insieme facendosi carico l'una e l'uno dell'altro e dell'altra, la percezione della relazione, il tu e i tutti. Ma certo queste cose occorrerebbe dire in modo assai meno raccorciato, e con ben diversa scansione, e con piu' visibile tenerezza. Lo so. E mi spiace di scriver cosi'. * "Los mineros salieron de la mina" e' un verso di Cesar Vallejo. E' cosi' bello che non l'ho tradotto. 2. DOCUMENTAZIONE. L'INTERVENTO UNITARIO CONCLUSIVO DELLA MANIFESTAZIONE DEL 15 FEBBRAIO A ROMA [Riportiamo il testo dell'intervento unitario conclusivo della manifestazione contro la guerra svoltasi a Roma il 15 febbraio 2003] C'e' chi pensa che solo ai potenti sia dato di scrivere la storia. Oggi in tutto il mondo stiamo dimostrando il contrario. In tutto il mondo, oggi, stiamo dimostrando che gli uomini e le donne, i popoli, i cittadini e le cittadine possono riprendere in mano il proprio destino e decidere insieme il proprio comune futuro. Fermiamo la guerra. Milioni di persone, movimenti sociali, organizzazioni grandi e piccole in tutto il pianeta hanno risposto all'appello promosso dal Forum Sociale Europeo e rilanciato nel Forum Sociale Mondiale. Dal Giappone agli Stati Uniti, dalla Russia all'Islanda, da Manila al Cairo abbiamo marciato insieme. Insieme, palestinesi a Ramallah e israeliani a Tel Aviv. Gli osservatori di pace di tutto il mondo a Baghdad. Oggi, siamo parte della piu' grande manifestazione mondiale della storia dell'umanita'. Per dire no alla guerra all'Iraq. No, senza se e senza ma. Non siamo qui a fare testimonianza. Siamo qui perche' questa guerra vogliamo fermarla. E possiamo fermarla. Sappiamo bene che il governo degli Stati Uniti vuole questa guerra. Sappiamo che Bush e i suoi alleati sono disposti a fare la guerra anche contro la volonta' della maggioranza dei popoli del pianeta. Ma sappiamo anche che l'opinione pubblica ha un peso. Che i presidenti devono essere eletti. Che i governi hanno bisogno di voti. Lo sanno anche loro. Abbiamo un potere immenso, nelle nostre mani, se siamo capaci di presentarci uniti. Se siamo capaci di convincere gli indecisi. Se non ci rassegniamo. Se non torniamo a casa. Se non ci diamo per vinti. Se nei prossimi giorni continueremo ad estendere la resistenza popolare e permanente alla guerra. Fermiamo la guerra. * Siamo tanti e diversi. Veniamo da storie, culture, pratiche e percorsi diversi e differenti. Oggi hanno marciato insieme i movimenti che si battono contro la globalizzazione neoliberista, i movimenti per la pace, i movimenti per la democrazia, partiti politici, l'associazionismo sociale, sindacati confederali e di base, associazionismo religioso, i social forum, le strutture dell'autorganizzazione, le aree antagoniste e della disobbedienza, le ong, intellettuali, operatori della comunicazione, le organizzazioni degli studenti, delle donne, dei migranti, e migliaia di cittadini e di cittadine. Siamo orgogliosi di tanta diversita'. E' la nostra forza, perche' la nostra convergenza e' costruita sulla chiarezza. Senza ambiguita', senza opportunismi, siamo tutti schierati contro questa guerra, in ogni caso, qualsiasi istituzione la promuova o la autorizzi. Siamo qui, a dispetto delle scelte della dirigenza della Rai, il servizio pubblico pagato da tutti i cittadini, che ha deciso di oscurare questa grande manifestazione rifiutandosi di dare la diretta televisiva. * Siamo qui per difendere l'articolo 11 della nostra Costituzione "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Non erano sognatori, quelli che scrissero la Costituzione. Avevano visto gli orrori del nazifascismo, erano stati protagonisti della Resistenza, avevano visto le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Non si illudevano di poter vivere in un mondo senza conflitti. Di fronte ai conflitti, hanno fatto una scelta: non usare la guerra, usare la politica. A questa scelta di civilta', noi ci sentiamo vincolati. Siamo qui per difendere il diritto internazionale. E il diritto internazionale dice che nessuno puo' farsi giustizia da se'. La giusta risposta al terrorismo non puo' essere la vendetta, ne' tantomeno la guerra preventiva. Non puo' essere la risposta di Bush dopo le Twin Towers, e neppure quella di Sharon. La guerra preventiva e' la morte del diritto internazionale. La guerra preventiva e' l'affermazione del dominio del piu' forte. Il governo degli Stati Uniti ha esplicitato fino in fondo il suo progetto di egemonia mondiale, senza regole e senza vincoli, nel documento sulla sicurezza nazionale nel quale si arroga il potere di muovere guerra "a chiunque costituisca una minaccia per i propri interessi nazionali". A vivere in un futuro di barbarie, noi ci rifiutiamo. Siamo qui perche' siamo convinti che la guerra non sconfigge il terrorismo. Il terrorismo non ha mai ragione, neanche quando si nasconde dietro le ragioni dell'ingiustizia sociale. Il terrorismo uccide la partecipazione, che e' la forza dei movimenti sociali. A delegare la lotta per il cambiamento, non ci rassegneremo mai. Siamo qui per difendere la giustizia. Uno degli obiettivi della guerra e' il controllo del petrolio che alimenta le economie occidentali. Non e' benessere quello che si crea a costo della vita di milioni di persone in tutto il mondo. Il mondo e' pieno di armi nucleari, batteriologiche, chimiche, di distruzione di massa. Le spese militari aumentano in tutti i paesi del mondo, e alimentano il commercio illegale e criminale. Lo stato piu' armato del pianeta vuole fare la guerra all'Iraq in nome del disarmo. Gli Usa hanno speso quest'anno 500 miliardi di dollari per le armi. Ne basterebbero 13 per salvare dalla morte per fame milioni di persone. A un mondo cosi' tremendamente ingiusto, noi ci opponiamo. * Siamo qui anche contro la guerra economica, sociale e culturale che affligge il pianeta, contro la globalizzazione neoliberista che produce ogni giorno piu' disoccupazione, precarieta', miseria e ingiustizia sociale. Siamo qui per difendere la pace. La guerra sara' vista, nei tanti sud del mondo, come un'altra prova dell'arroganza e della politica di potenza dell'occidente. Aumentera' la spirale dell'insicurezza e della repressione, dell'odio etnico e religioso. Produrra' altra violenza, altra guerra. A questo circolo vizioso, noi ci impegniamo a resistere. Siamo qui per difendere la democrazia e i diritti umani. Ci battiamo perche' democrazia e diritti umani siano affermati in tutto il mondo contro ogni dittatura e tirannia. Anche in Iraq. Ma la democrazia non si puo' affermare con l'arbitrio. Il popolo iracheno ha sofferto abbastanza. Il regime di Saddam e' stato sostenuto e armato per anni dagli Stati Uniti. Dodici anni di embargo hanno fatto il resto. All'orrore di tremila bombe lanciate su un popolo stremato, noi ci rivoltiamo. Cosi' come ci rivoltiamo all'uso delle bombe atomiche gia' minacciato nei piani del Pentagono, e siamo particolarmente allarmati per la presenza di ordigni nucleari tattici ad alta penetrazione nelle basi militari in Italia. Siamo qui perche' la Carta dell'Onu esclude e condanna la guerra come flagello dell'umanita'. Nessun Consiglio di Sicurezza puo' legittimare questa guerra. La Carta delle Nazioni Unite non lo permette. Autorizzare la guerra vuol dire uccidere definitivamente l'Onu, gia' da anni debole, succube dei poteri forti, tollerante di troppe ingiustizie in tutto il mondo. Basta con le complicita', basta con le doppie misure, basta con la sudditanza agli Stati Uniti. All'ipocrisia della comunita' internazionale, noi ci ribelliamo. * Siamo qui, infine e soprattutto, per difendere il diritto alla vita dei nostri fratelli e sorelle irachene minacciate di morte dopo dodici anni di stenti. Vogliamo ricordarci sempre, e vogliamo ricordare a tutti, che saranno loro a pagare il prezzo piu' alto. La guerra la decidono i potenti, ma sono i deboli che la fanno e la subiscono. Noi la guerra la vediamo dall'alto, con le immagini dei traccianti e la scia dei missili. Loro la vedono dal basso, ed e' tutta un'altra cosa. Un razzismo strisciante, per il quale le vite non sono tutte uguali, impedisce di vedere la guerra con i loro occhi, di pensare ai loro volti e ai loro sorrisi quando parliamo di guerra. A loro, e alle vittime mai viste di tutte le guerre dichiarate e non dichiarate, vi chiediamo di dedicare ora un minuto di silenzio. * Siamo cittadini e cittadine d'Europa. Una Europa che ancora puo' fermare questa guerra. Facciamo appello, insieme a tutti i movimenti europei, ai paesi che fanno parte del Consiglio di Sicurezza dell'Onu affinche' si esprimano contro la guerra e a quelli che hanno potere di veto facciamo appello affinche' esercitino questo potere, bloccando qualsiasi risoluzione che autorizzi l'attacco all'Iraq. Facciamo appello, come stanno facendo i movimenti europei in tutti i loro paesi, alle forze politiche e ai parlamentari perche' in tutti i parlamenti nazionali si arrivi al voto prima possibile, prima che la guerra cominci. Facciamo appello, insieme ai movimenti europei, perche' partiti e parlamentari si impegnino a votare contro la guerra, anche in caso di autorizzazione delle Nazioni Unite, e contro l'utilizzo delle basi militari, contro il sorvolo degli spazi aerei nazionali e contro qualsiasi supporto logistico diretto o indiretto alla guerra. Facciamo appello perche' le porte del negoziato siano tenute caparbiamente aperte, per arrivare a una soluzione politica e non militare della crisi. In molti paesi europei, come in Italia, la grandissima maggioranza della popolazione e' contro la guerra. Chiediamo che i Parlamenti rispettino questo orientamento e lo traducano in scelte coerenti. Facciamo un appello alle forze politiche e ai singoli parlamentari: a quelli che sono qui oggi e a quelli della maggioranza che per diversi motivi - politici, religiosi, di coscienza - sono contro questa guerra. Ci sentiamo di chiedervi un atto di coraggio e di coerenza. Chiediamo un vincolo di coerenza in particolare alle forze politiche che hanno aderito a questa manifestazione. Ognuno si assuma le proprie responsabilita', nella liberta' che a ciascuno compete. Ciascuno rispondera' delle proprie azioni di fronte ai cittadini e alle cittadine di questo paese. Il tempo del politicismo e' finito. E' tempo di chiarezza. Votate contro questa guerra. Fate vincere in Parlamento le ragioni della pace e della democrazia che nel paese hanno gia' vinto. Assumete la responsabilita' di rappresentare la volonta' della maggioranza dei cittadini italiani. Restituite al nostro paese un ruolo positivo e una dignita'. * A noi, movimenti sociali, associazioni, partiti politici, organizzazioni sindacali, esperienze religiose, strutture autorganizzate, societa' civile organizzata e diffusa, cittadini e cittadine che abbiamo condiviso la piattaforma di questa manifestazione, da qui rilanciamo un appello e un impegno comune. Mettiamo in campo tutte le nostre energie, le nostre forze, le nostre intelligenze e i nostri corpi, le nostre relazioni, la nostra fantasia e la nostra determinazione per fermare la guerra. Costruiamo la piu' grande esperienza di resistenza permanente alla guerra e alla macchina della guerra che sia mai stata messa in campo, nel caso sciagurato che la guerra inizi. Facciamo appello perche' andiamo avanti insieme, nel rispetto delle differenze, trovando il massimo possibile di unita' e di convergenza, coordinando laddove possibile le nostre iniziative, comunicando, riconoscendo le pratiche diverse in un patto di solidarieta'. Ciascuno con i propri strumenti, ciascuno con le proprie forme, ciascuno con le proprie pratiche, costruiamo una rete gigantesca di iniziative e di azioni che provino a fermare, a intralciare, a boicottare, a mettere ostacoli alla guerra. Facciamo appello perche' prosegua la mobilitazione di massa in ogni citta', in ogni quartiere, in ogni piazza del paese. Prepariamoci a rispondere all'appello dei pacifisti americani perche' in caso di attacco tutti scendano in strada. Prepariamoci a rispondere all'appello europeo per manifestazioni di massa in ogni paese il primo sabato dopo l'attacco. Facciamo appello agli studenti perche' le scuole e le universita' siano ancora una volta al centro della mobilitazione contro la guerra. Facciamo appello alle associazioni dei consumatori e dei cittadini consapevoli perche' promuovano campagne, coinvolgendo il maggior numero di persone in azioni quotidiane contro la guerra. Facciamo appello alle organizzazioni sindacali, molte delle quali sono oggi in piazza qui e in tutto il mondo, affinche' rafforzino ed estendano la mobilitazione dei lavoratori utilizzando tutti gli strumenti possibili, inclusi gli scioperi. Facciamo appello agli operatori dell'informazione affinche' rifiutino di essere arruolati in una guerra fatta innanzitutto di menzogne. Disobbedite anche voi agli ordini ingiusti, impedite che le redazioni si trasformino in caserme. Facciamo appello perche' aumenti la mobilitazione capillare per coinvolgere tutti e tutte. Riempiamo le finestre delle nostre citta' di bandiere della pace. In ogni casa, in ogni scuola, nei luoghi di lavoro, nelle sedi istituzionali, tappezziamo l'Italia di bandiere pacifiste. Facciamo appello affinche' ciascuno trovi il suo modo per non obbedire all'ordine ingiusto di sostenere la guerra. Le pratiche della nonviolenza attiva, della testimonianza, del digiuno, della preghiera, della disobbedienza civile e sociale, della resistenza e dell'antagonismo sociale hanno grandi radici e tradizioni nel nostro paese. Costruiamo una fitta rete di resistenza popolare che sappia essere efficace, allargare il consenso e la partecipazione attiva per fermare la guerra in tutti i suoi aspetti. * Facciamo appello perche' aumenti la solidarieta' concreta a fianco delle vittime della guerra. A fianco della popolazione civile irachena, che si prepara alla guerra in mezzo a mille sofferenze. A fianco del popolo palestinese, del popolo kurdo, del popolo afgano, dei popoli che soffrono le guerre dimenticate. Noi non siamo quelli che vendono le armi ai dittatori. Noi siamo quelli che da anni, nel silenzio colpevole dei governi, siamo a fianco giorno dopo giorno ai popoli del mondo che patiscono la guerra, la poverta', l'oppressione. Rilanciamo tutte le iniziative di solidarieta' concreta e di cooperazione internazionale che la societa' civile mette in campo. E avvisiamo sin d'oggi il governo che non parteciperemo ad iniziative umanitarie promosse da chi butta le bombe. I nostri soldi, li spenderemo bene. Salutiamo da qui i cooperanti e i volontari impegnati all'estero che oggi hanno fatto lo sciopero bianco contro la guerra in tutto il mondo. Facciamo appello perche' si rilanci l'iniziativa politica in Medio Oriente, per la fine dell'occupazione in Palestina, per due popoli e due stati, per Gerusalemme capitale condivisa, per la pace e la democrazia in tutto il Kurdistan, per la vita e la liberta' del presidente Ocalan e di tutti i leader politici, sociali, sindacali, di minoranze etniche detenuti e perseguitati. Noi non usiamo due pesi e due misure. Facciamo appello perche' il sostegno alle forze democratiche dei popoliche vivono oppressi da regimi e dittature in tutta la regione diventi priorita' politica per tutti, istituzioni e movimenti. Dall'Iraq all'Arabia Saudita, i diritti umani, civili e politici sono negati per milioni di persone. C'e' bisogno di solidarieta' e di impegno politico quotidiano. Facciamo appello perche' si rafforzino i movimenti europei e mondiali che con noi sono impegnati contro la guerra, perche' si realizzi la massima solidarieta' e sostegno al movimento pacifista negli Stati Uniti che rappresenta una grande speranza di cambiamento per il proprio paese e per tutto il mondo. Facciamo appello per una politica di disarmo globale sul piano militare, economico e sociale, per politiche di riduzione delle spese militari, per una riconversione dell'economia di guerra verso usi civili. Facciamo appello perche' l'impegno assunto da tanti movimenti sociali nel Forum Sociale Europeo di Firenze affinche' l'articolo 1 della Costituzione Europea contenga il ripudio della guerra come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali divenga una grande campagna nazionale ed europea. Possiamo dare alla storia un altro segno. Un segno di civilta'. Un mondo senza guerra e' possibile. Un mondo di pace, di giustizia, di diritti e' possibile. Un altro mondo e' possibile. E oggi qui lo stiamo costruendo. Fermiamo la guerra. 3. RIFLESSIONE. AMELIA ALBERTI: FUORI LA GUERRA DALLA STORIA [Ringraziamo Amelia Alberti (per contatti: lambient at tiscalinet.it) per questo intervento. Amelia Alberti e' presidente del circolo verbano di Legambiente e collaboratrice di questo foglio] Per la prima volta nella storia delle nazioni il popolo ha preso in mano il suo destino, e la gente, cosi' come si trovava, e' scesa in piazza a milioni, in tante citta' del globo, a dire che non vuole ne' questa guerra, ne' altre guerre: a dire che la guerra e' uscita fuori dalla storia. Fantastico, forse non ci rendiamo neppure conto di cio'. Alla mia nipotina, che in quinta elementare e' costretta ad arrancare tra guerre napoleoniche, risorgimentali, coloniali e mondiali, posso finalmente dire che la storia puo', anzi deve essere un'altra cosa: racconto delle vicende dei popoli, della loro difficolta' a liberarsi da analfabetismo, fame, superstizione, per raggiungere tutti quanti un livello di dignitosa parita', che lasci spazio a tutti gli esseri viventi di oggi e di domani. Questa e' la globalizzazione che ci piace, per questa siamo disposti a impegnare tutto il nostro tempo e le nostre energie. 4. INIZIATIVE. PER LA PACE DA PALERMO [Dagli amici della "Tenda della pace" di Palermo, promossa dal "Seminario nonviolenza" e dal "Gruppo di pratica nonviolenta" dell'Universita' di Palermo (per contatti: acozzo at unipa.it), riceviamo e diffondiamo] La "tenda della pace", piantata da martedi' 11 febbraio in viale delle Scienze (tra la facolta' di economia e commercio e quella di lettere), ha raccolto e spedito al Prefetto di Palermo ogni giorno un numero sempre crescente di lettere di protesta contro la partecipazione dell'Italia alla guerra in Iraq e per il rispetto dell'art. 11 della Costituzione, con invito ad informare il governo della volonta' popolare. In totale, questa prima settimana, sono state inviate 305 lettere. Altre 600 sono state raccolte al sit-in contro la guerra tenutosi a Palermo in Piazza Politeama sabato 15. Naturalmente, non abbiamo ancora finito: aumenteremo ogni giorno il numero di lettere e la settimana prossima chiederemo al Prefetto un incontro per conoscere la sua volonta' e concordare, possibilmente, un piano comune di lotta per la pace. Inoltre, in risposta all'appello fatto da un gruppo di nonviolenti (da J. B. Libouban, ad A. Drago, a M. Gonzales ad A. Reid ed altri) che ha deciso di osservare un digiuno a sola acqua dal 15 al 22 febbraio a New York davanti al Palazzo dell'Onu, digiuneremo anche noi solo ad acqua da lunedi' 16 febbraio fino a venerdi' 21: alcuni tutti e cinque i giorni, altri meno, per arrivare al punto piu' profondo di noi stessi, per offrire la testimonianza estrema della nostra umanita', per richiamare ognuno al senso di responsabilita' e alla ricerca di cio' che possa contribuire a rendere gli esseri umani reciprocamente piu' vicini. 5. RIFLESSIONE. SIMON LEVIS SULLAM: L'ARCHIVIO ANTIEBRAICO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 febbraio 2003. Simon Levis Sullam, docente all'Universita' di Venezia, e' un prestigioso storico ed acuto saggista] "Tutto sarebbe apparso impossibile, oppure terribilmente difficile senza l'avvento dell'antisemitismo. Grazie a esso, tutto si arrangia, si appiana, si semplifica". Questa riflessione di Charles Maurras, uno dei padri del fascismo francese, vale senz'altro per gli antisemiti del secolo scorso e naturalmente anche di questo. Per lo stesso Maurras - capofila tra questi - era, del resto, una sorta di constatazione-confessione. Paradossalmente, pero', essa potrebbe valere, da un punto di vista diverso, anche per il mondo ebraico, che pure dell'antisemitismo ha sofferto e talvolta ancora soffre. Sia per l'antisemita che per l'ebreo comunque - volendo ragionare in modo un po' schematico - l'antisemitismo costituisce una differente ma in ogni caso utile semplificazione: per l'uno, come facile spiegazione del mondo, approccio stereotipo, falso ragionamento; per l'altro, come eterno lamento, alibi, persino falsa coscienza. E' vero: esiste una ideologia ebraica dell'antisemitismo e ne sta forse nascendo oggi una del cosiddetto "nuovo antisemitismo". Esiste anche da parte ebraica un uso politico o ideologico dell'accusa di antisemitismo, soprattutto di fronte alle critiche verso lo stato di Israele. Si registrano d'altra parte nel mondo - questo e' altrettanto vero - rinnovati fenomeni di antisemitismo: soprattutto in Francia, ma anche in Germania, e occasionalmente in Italia. Non solo, e non piu' soltanto, scritte sui muri, striscioni, slogan, ma anche bombe incendiarie nelle sinangoghe, insulti e aggressioni personali come e' avvenuto di recente in Francia. * Soprattutto - e qui il fenomeno non e' nuovo ma, appunto, rinnovato - luoghi comuni antisemiti: vecchie accuse; vieti stereotipi, che attraversano il discorso pubblico. Per quest'ultimo caso l'Italia sembra anzi distinguersi particolarmente negli ultimi tempi: abbiamo avuto, infatti, di recente notevoli "casi", diversi ma per certi aspetti assimilabili, come quelli di Sergio Romano colla sua Lettera a un amico ebreo e di Alberto Asor Rosa colle sue pagine su ebrei ed Israele ne La guerra. Ormai da vent'anni a questa parte, con alterne vicende, per una serie di passaggi e trasformazioni dei quadri politici e culturali e di quelli della memoria collettiva, l'antisemitismo non e' piu' un tabu'. Se ne pubblica in Italia in importanti giornali nazionali e presso autorevoli case editrici. Una situazione analoga (sebbene i fenomeni siano a mio avviso diversi) riguarda del resto, piu' in generale, il razzismo: com'e' evidente per un altro caso recente: quello di Oriana Fallaci. La rabbia e l'orgoglio, per di piu', non ha suscitato in Italia la stessa giusta indignazione sollevata in Francia, ma ha anzi venduto e continuato a vendere centinaia di migliaia di copie, distribuite oggi dal suo prestigioso editore assieme ad un saggio razzista - anti-arabo - della stessa Fallaci, proprio sul tema dell'antisemitismo. * Vale dunque la pena riflettere, ancora una volta, sull'antisemitismo, magari in una prospettiva diversa da quella consueta: in particolare dal punto di vista specifico delle retoriche, delle regole del discorso, dei meccanismi verbali e linguistici (ma anche, allo stesso tempo, dei meccanismi concettuali, poiche' ad ogni discorso corrisponde un ragionamento). Di questo, in fondo, si e' alla fin fine soprattutto parlato in questi giorni - e anche in queste pagine - a proposito di Asor Rosa. Di questo si parla, in queste settimane, per fare un altro esempio, nello sconcertante dibattitto su Medio Oriente, ebrei, antisemitismo, di una lista di discussione in internet di storici italiani professionisti, in cui i toni, il vocabolario e la superficialita' degli approcci e' quella tipica del peggior discorso pubblico di questo periodo, nonostante l'ambito accademico e l'abito professionale dei partecipanti. E' possibile chiedersi percio' non tanto, come di solito avviene, perche' esiste l'antisemitismo, ma che cosa esso sia in sostanza, e soprattutto come esso generalmente si manifesti: studiare quindi le sue forme e i suoi funzionamenti. Anche per superare l'immagine consueta - davvero ideologica - dell'antisemitismo eterno, sempre identico a se stesso dall'antichita' ai giorni nostri (immagine che si trova ad esempio, per certi versi, anche in uno storico autorevole e influente come Poliakov); o dell'antisemitismo bestia nera invincibile che si risveglia periodicamente in Europa; oppure malattia morale, mai davvero sconfitta, dell'individuo e della societa'. Sulle tracce di Foucault e della sua analisi della storia della cultura nell'Archeologia del sapere, e pur consapevole che questa prospettiva non esaurisce l'interpretazione storica del fenomeno ma puo' forse utilmente integrarla, propongo di considerare l'antisemitismo come una pratica discorsiva e ideologica che si avvale di un archivio antiebraico, costituitosi attraverso determinate tappe e passaggi della storia politica e culturale eruropea, in via di costruzione e trasformazione nel tempo, ma comunque disponibile ad essere ri-mobilitato, in contesti e talora con scopi diversi. Propongo quindi di considerare l'antisemitismo - anche quello storico (e da questo punto di vista preferisco il termine generale e meno abusato di antiebraismo) - non come una vera e propria ideologia o un coerente sistema concettuale o di pensiero, e nemmeno come un semplice discorso; ma appunto come una "pratica", in cui si puo' entrare, scivolare, permanere (e da cui si puo' anche uscire) in momenti diversi. Questa pratica e' stata fatta propria nel corso della storia - e ancora oggi puo' venire e viene fatta propria - per motivi e con scopi e conseguenze molto diversi, da parte di individui, di gruppi, di movimenti culturali e politici, di stati. Essa e' divenuta nei movimenti e regimi fascisti (ma in generale nei totalitarismi) ideologia di partito e di stato, e programma e azione politica concreta, fino allo sterminio di massa e al genocidio. * L'"archivio antiebraico" che questa pratica ideologica e discorsiva mobilita (e che anche come azione politica ha mobilitato, contribuendo allo stesso tempo alla sua continua formazione) e' un repertorio di immagini, discorsi, concetti, ragionamenti che si sono costituiti e depositati, a partire dall'antigiudaismo cristiano, attraverso l'antiebraismo di origine laica e illuminista, attraverso il razzismo, fino al moderno antisemitismo politico propriamente detto. Questo archivio o questa biblioteca si sono formati grazie ad un insieme di autori, di opere e di testi, anonimi, collettivi, individuali: tra cui parti dei Vangeli; la leggenda dell'"ebreo errante"; gli scritti di Lutero, Voltaire, Wilhelm Marr, Drumont; i "Protocolli dei Savi Anziani di Sion"; il Mein Kampf di Hitler; alcuni scritti di Mussolini, di Preziosi, di padre Gemelli ecc.; e attraverso una serie di eventi, legati talora solo indirettamente alla storia degli ebrei: come la nascita del cristianesimo, la rivoluzione francese, ma anche - piu' specificamente - il sorgere dell'antisemitismo politico, l'affare Dreyfus, il sionismo; oppure la prima guerra mondiale, la rivoluzione bolscevica, e piu' in particolare: la shoa', la nascita dello stato d'Israele ecc. Passaggi ed eventi che, anche quando riguardano piu' in generale la storia del mondo, hanno segnato l'archivio antiebraico e le pratiche ideologiche e discorsive che lo mobilitano. Se non altro perche' gli "ebrei" e l'"antisemitismo" hanno fatto spesso e continueranno a fare per molti versi da cartina di tornasole della coscienza occidentale, fungendo da - potremmo dire - parte per il tutto: sineddoche, metafora, simbolo, che l'Europa utilizza (certo anche assieme ad altri simboli o ad altre metafore, che si rendono o sono divenute disponibili nel tempo) per pensare se stessa nei suoi principali vizi e nelle sue maggiori virtu'. Un modo per semplificare le cose, come riconosceva Maurras. * Che centra tutto questo con Asor Rosa (o, ad esempio, con Sergio Romano)? Personalmente non mi interessa stabilire se un importante intellettuale della sinistra italiana e' o meno un antisemita: non mi interessano e non mi appartengono scomuniche, etichette, marchi infamanti e nemmeno condanne moralistiche (magari, com'e' avvenuto di recente a Milano, con evidenti scopi di strumentalizzazione politica, che nulla hanno a che vedere con i temi specifici in questione e, piu' in generale, con un serio dibattito intellettuale e politico). Mi interessa invece capire, mostrare e discutere se e in che modo Asor Rosa, o Sergio Romano, o altri come loro (spesso con intenzioni, responsabilita' e risultati certamente ben piu' gravi), abbiano mobilitato con i loro scritti e discorsi - con procedure, scopi e motivi diversi - un "archivio antiebraico", e siano quindi entrati in questa "pratica ideologica e discorsiva" che va sotto il nome comune di antisemitismo. Nel caso specifico di Asor Rosa - che Rossanda ed altri hanno difeso su queste pagine e altrove - cio' a mio avviso e' avvenuto in particolare con l'utilizzo ripetuto e inequivocabile del termine "razza" e "razziale" (magari, nel caso di Asor, di lontana origine letteraria, e non biologista e razzista, ma inevitabilmente scivolando in questa prospettiva), includendovi l'"ebreo" e l'"ariano", o semplicemente la "razza 'decisamente diversa'" - mobilitando quindi l'archivio dell'antisemitismo razzista; con il riferimento al "deicidio", cioe' alla famigerata e secolare supposta colpa "ebraica" di aver ucciso Gesu' - utilizzando quindi l'archivio dell'antigiudaismo cristiano; con l'orientalizzazione dell'ebraismo, descritto da Asor come "puro Oriente", in pagine che rientrano appieno nell'analisi di Edward Said sull'Orientalismo (e lo stesso Said ha sottolineato gia' venticinque anni fa, con una certa vena ironica, i rapporti tra "orientalismo" e "antisemitismo": due archivi e due pratiche affini); con il richiamo - tipico, di nuovo, dell'archivio antigiudaico - all'"occhio per occhio, dente per dente"; col riferimento, infine - antisemita e razzista (anche se, di nuovo, possiamo pure concedere all'autore il credito dell'evocazione letteraria) - alla "piaga ebraico palestinese, che continuera' ad infettare il mondo". A questo va aggiunto, sempre sul piano di un'analisi retorica e linguistica (nonostante che in un'intervista a "Repubblica" Asor Rosa invochi, in modo - nella migliore delle ipotesi - un po' oscuro, il "metalinguaggio"...), il passaggio in un punto del suo ragionamento alla lingua tedesca ("Israele [...] ha ripreso e praticato fino in fondo la caparbia ostinazione a mettere il proprio principio (Ordnungsprinzip), purificato da ogni contaminazione esterna, al centro del mondo"), che potrebbe contenere a mio avviso, per questo termine Ordnungsprinzip (che si incontra anche nel pensiero politico tedesco conservatore) e per la formula che lo segue: "purificato da ogni contaminazione esterna", un parallelo ambiguamente allusivo, tra stato di Israele e nazismo. Su questo, poi, e' in errore anche Rossanda: l'esecrabile ed atroce politica israeliana nei confronti dei palestinesi non puo' essere paragonata all'Olocausto, come in sostanza si fa accostando la terribile deportazione dei palestinesi o anche le inaccettabili violenze contro di loro, e la deportazione e la violenza nazista contro gli ebrei: magari dimenticandosi che questi venivano non solo "trasferiti" o "deportati", ma avviati alle camere a gas, sulla base di un progetto genocida che non esiste oggi e non e' mai esistito in Israele-Palestina. Analogamente va ricordato il pretenzioso passaggio di Asor Rosa alla lingua latina: un latino che a mio avviso e' - da un punto di vista ideologico - ecclesiastico e pre-Concilio Vaticano II, e quindi precedente tra l'altro alla condanna da parte della Chiesa dell'antigiudaismo cattolico e alla cancellazione dell'accusa agli ebrei di deicidio. Dico il latino della molto infelice frase conclusiva di Asor Rosa: "Olocaustus produxit exodum et exodus produxit olocaustum. Il cerchio infernale della storia umana ha compiuto un altro giro". Dove evidentemente il "giro" e' piu' che altro quello linguistico, pseudo-concettuale e idoeologico dell'autore, che collega qui, piu' o meno esplicitamente, nazismo, sionismo, e politica israeliana in modo piuttosto capzioso. * Questa riflessione sulle pratiche e tradizioni retoriche, sulla mobilitazione e ri-mobilitazione di "archivi", "biblioteche", e - come nel nostro caso - "parole", vale per un Sergio Romano e una Oriana Fallaci, ma vale anche e forse a maggior ragione (nonostante le differenze tra questi autori) per uno studioso della letteratura, del linguaggio e, appunto, delle retoriche, come Asor Rosa, che per di piu' scrive in apertura ai suoi saggi su La guerra: "I 'modi della guerra' impongono certi 'modi del discorso'", e sottolinea quindi il proprio sforzo di "delineare una retorica del 'discorso pubblico' in questa fase e di proporne una nuova etica, o meglio, un nuovo principio di responsabilita'". Se l'antisemitismo e' oggi in Italia soprattutto una pratica discorsiva, un repertorio di tradizioni retoriche - com'e' effettivamente nel caso di Asor, che si ricollega e mobilita nuovamente il peggio di queste tradizioni: tradizioni che pero', e' bene ricordarlo, non sono rimaste soltanto discorsi ma sono divenuti nella storia, e possono con una certa facilita' divenire, tragici ed incancellabili fatti (dalle persecuzioni allo sterminio) - dove sono finite, di questi ultimi tempi, a destra come a sinistra, sui giornali e nelle casi editrici, l'etica e la responsabilita' del discorso, appunto, e con esse gli ideali e i principi della tolleranza, del rispetto della diversita', ma anche della riflessione e della conoscenza e coscienza storica che vi sono o dovrebbero esservi necessariamente collegati? 6. MATERIALI. MARIA LUIGIA CASIERI: UNA SINTESI DI EMILIA FERREIRO, "CONOCIMIENTO LINGUISTICO Y PROCESO DE ADQUISICION DE LA LENGUA ESCRITA", 1975 [Proseguiamo la pubblicazione di una serie di schede bibliografiche curate da Maria Luigia Casieri relative all'opera di Emilia Ferreiro. Maria Luigia Casieri insegna nella scuola dell'infanzia ed e' una delle principali collaboratrici di questo foglio. Emilia Ferreiro, argentina, docente in Messico, pedagogista illustre, e' una delle piu' grandi studiose viventi del processi di alfabetizzazione, e' di fondamentale importanza il suo contributo sul tema dell'apprendimento della lettura e della scrittura da parte dei bambini. Tra le opere di Emilia Ferreiro si veda in primo luogo l'ormai classico volume scritto insieme ad Ana Teberosky, La costruzione della lingua scritta nel bambino, Giunti, Firenze 1985] Data di edizione: 1975. Tipo di documento: Atti di convegno, dattiloscritto. Titolo: Conocimiento linguistico y proceso de adquisicion de la lengua escrita. Luogo di edizione: Montevideo, Uruguay. Pagine 22. Fonte: Conferenza pronunciata a Montevideo, nella X Giornadas Uruguayanas de Psicologia, novembre 1975. Lingua: Spagnolo. * Abstract Il testo si colloca all'interno della prospettiva aperta dalla prima ricerca sull'apprendimento della letto-scrittura e precede la pubblicazione del testo del 1979 con Ana Teberosky. Vi si ritrovano le coordinate teoriche di riferimento, con specifico riferimento alla psicolinguistica contemporanea e alla psicologia genetica. Caratteristica che accompagnera' il successivo lavoro dell'autrice e' il muovere da un duplice problema di natura teorica e pratica. Da una parte la ridefinizione dei processi di apprendimento della letto-scrittura e dall'altra l'insuccesso scolastico e l'espulsione dal sistema educativo, subita soprattutto dai figli delle classi povere. La disponibilita' di conoscenze di tipo linguistico e' invece patrimonio comune ai bambini di entrambe le classi sociali, per quanto possano parlare diverse varianti dialettali della stessa lingua. Tali conoscenze sono anche comprese nell'atto di lettura e nel relativo processo di apprendimento: conoscenza delle regole sintattiche e morfo-sintattiche; processi di inferenza e di prova di ipotesi; conoscenza delle regole di combinazione dei fonemi; ricerca sistematica del significato di una emissione. In questo complesso sfondo di analisi, viene colta la contraddizione in cui finiscono col trovarsi molti insegnanti che, mentre nell'insegnamento matematico si muovono in una prospettiva piagettiana, in cui il bambino e' considerato attivo costruttore della sua conoscenza, sono ancorati ad una teoria dell'apprendimento di tipo associazionistico per quanto riguarda l'ambito della scrittura. Infine l'autrice analizza le pratiche didattiche che causano difficolta' di apprendimento: presentare una lettera per volta; supporre una corrispondenza biunivoca tra grafema e fonema; la memorizzazione di regole di combinazione senza senso; non lasciar commettere errori; la mancanza di significato. Il saggio si chiude con la rivendicazione polemica del ruolo protagonista del bambino nel processo di apprendimento, asserendo che "prendere in considerazione il suo sapere linguistico e' uno dei molteplici modi di apprendere a rispettarlo intellettualmente" (pag. 22). * Sintesi Il testo si colloca all'interno della prospettiva aperta dalla prima ricerca sullíapprendimento della letto-scrittura e precede la pubblicazione del testo del 1979 con Ana Teberosky. Vi si ritrovano le coordinate teoriche di riferimento, con specifico riferimento alla psicolinguistica contemporanea e alla psicologia genetica. Caratteristica che accompagnera' il successivo lavoro dell'autrice e' il muovere da un duplice problema di natura teorica e pratica. Da una parte la ridefinizione dei processi di apprendimento della letto-scrittura e dall'altra l'insuccesso scolastico e l'espulsione dal sistema educativo, subita soprattutto dai figli delle classi povere. I bambini di classe media e di classe bassa fanno il loro ingresso a scuola con un bagaglio di esperienze e di conoscenze molto diverso, mentre la scuola propone un percorso formativo indifferenziato che ignora completamente il sapere pregresso, compreso il sapere linguistico, che tanta parte ha nella costruzione delle competenze del lettore. La disponibilita' di conoscenze di tipo linguistico e' invece patrimonio comune ai bambini di entrambe le classi sociali, per quanto possano parlare diverse varianti dialettali della stessa lingua. Tali conoscenze sono anche comprese nell'atto di lettura e nel relativo processo di apprendimento: a) "conoscenza delle regole sintattiche e morfo-sintattiche" (pag. 5). Qui si realizza un riferimento implicito al contributo di Chomsky e di Bruner, quando si evidenzia che "ne' l'imitazione ne' il rinforzo selettivo permettono di dar ragione dell'acquisizione delle regole sintattiche (e senza regole sintattiche non c'e' linguaggio" (pag. 6). Questa competenza, che consente ad "un bambino di 3 anni [... di costruire] forme verbali che non ha ascoltato dagli adulti" (pag. 6), fa si' che l'atto di lettura sia sottoposto a giudizio di grammaticalita', comportando la non plausibilita' delle frasi che non si presentino grammaticalmente accettabili. b) "processi di inferenza e di prova di ipotesi" (pag. 7). A questo riguardo viene sottolineato che i bambini attuano processi di inferenza molto prima di imparare a leggere, nella comprensione delle cose e degli eventi, cosi' come nella comprensione della comunicazione linguistica. Malgrado cio' non e' stata facile la ricerca di autori di psicolinguistica che ne riconoscessero il ruolo nel dominio della lettura, come fa Frank Smith sostenendo che "la lettura e' impossibile senza predizione [...]. L'opportunita' di sviluppare e impiegare la predizione deve essere una parte essenziale dell'apprendimento della lettura" (pag. 8). Senza i processi di previsione possono darsi atti di decifrazione in cui non e' presente l'integrazione e la comprensione del testo talvolta faticosamente sillabato. "Le inferenze in funzione del significato sembrano essere state escluse dal rituale della lettura meccanica. Ciononostante, e malgrado la maestra, i bambini fanno inferenze. Nel caso delle trasformazioni di parole queste inferenze sembrano essere funzione del livello operatorio del bambino o, per essere piu' precisi, di una non-evoluzione nel livello operatorio" (pag. 9). I bambini che permangono per l'intero anno al livello pre-operatorio, danno questo tipo di possibili risposte alternative: - utilizzano le lettere iniziali "in qualita' di indice che conferisce significato al resto degli elementi costitutivi" (pag. 9); - la presenza di due lettere-chiave determina il significato, prescindendo totalmente dall'ordine; - conta la quantita' di lettere di ciascun tipo, prescindendo completamente dall'ordine; - la simmetria puo' costituire l'attributo-criterio "('sos' e "oso" sono equivalenti)" (pag. 10). I bambini che realizzano un avanzamento anche parziale nel livello operatorio, danno risposte differenti: - un cambiamento grafico minimo comporta un cambiamento semantico minimo; - un cambiamento grafico minimo comporta un cambiamento sonoro minimo, senza alterare il significato; - un cambiamento grafico minimo comporta un cambiamento sonoro minimo non "integrato nella parola anteriore, ma che si mantiene da parte, come per non assumere la perturbazione" (pag. 10); - "oscillazione tra il cambiamento minimo interpretato come modificazione sonora o come modificazione significativa: il conflitto tra trascurare il cambiamento minimo per conservare identico il significato, o integrarlo, ma alterando totalmente il significato" (pag.10). "In sintesi, per potere comprendere la realta' mutevole della combinazione dei grafismi il bambino costruira' ipotesi, e queste ipotesi dipenderanno dalla sua possibilita' operatoria di ragionare e non dagli sforzi del docente in un senso o in un altro. Sappiamo che un bambino pre-operatorio non puo' lavorare al tempo stesso con dissociazioni e riassociazioni di elementi. Cosa c'e' di strano, allora, nel fatto che smetta di tenere in conto cognitivamente la forma d'insieme quando gli elementi sono stati dissociati (passaggio da mama' a m-a-m-a), che si occupi della ricomposizione con la perdita dell'ordine della forma dell'insieme? Per la maestra da m-a-m-a deriva che vuol dire "mama'", nello stesso ordine e non in qualunque altro, ma per il bambino si tratta di dissociare e riunire, di classificare gli elementi e di conservare l'ordine. Fara' alcune cose, pero' sara' incapace di farle tutte in una volta" (pag.11). c) "conoscenza delle regole di combinazione dei fonemi" (pag. 11). Quando i bambini inventano neologismi per analogia con parole esistenti, "queste parole inventate sono perfettamente 'possibili' e rivelano la conoscenza di certe regole di costruzione di sostantivi proprie della nostra lingua" (pag. 13). Ebbene, la pratica semplificata che propone l'apprendimento iniziale di "consonante piu' vocale", basato sulla decifrazione di "sezioni arbitrarie di suoni fuori dalle combinazioni naturali della lingua" (pag. 12) rende impronunciabili sequenze di suoni piu' complesse (quali i gruppi consonantici) che vengono normalmente pronunciate all'interno di un contesto significativo. d) "ricerca sistematica del significato di una emissione" (pag. 13). La conoscenza della struttura della lingua consente di organizzare i significati. "Il significato di una frase non risulta dalla somma lineare dei significati delle parole che lo compongono. [...] In termini linguistici, e' la struttura profonda quella che mi permette di accedere alla significazione, e non la struttura superficiale. Io utilizzo regolarmente la struttura superficiale per fare inferenze sul significato, ma non estraggo il significato direttamente ne' unicamente dalla struttura superficiale" (pag. 13-14). La distinzione tra soggetto e predicato, ad esempio, consente di differenziare il soggetto dal complemento oggetto in una frase transitiva, in modo non dipendente dalla semplice giustapposizione dei significati che si susseguono quanto dalla conoscenza della struttura profonda della lingua (cfr pag. 13). "Inoltre, in un contesto comunicativo interpersonale utilizziamo indici situazionali per inferire significati differenti di emissioni superficialmente identiche. Esattamente lo stesso fa un lettore esperto: non decifra lettera per lettera ma utilizza indici del testo scritto per fare inferenze e corroborare ipotesi sul significato. Utilizza ugualmente indici contestuali" (pag. 14) relativi alla conoscenza delle funzioni dei diversi tipi di testo. Citando Frank Smith: "Malgrado la credenza molto diffusa in senso contrario, e' possibile sostenere che il linguaggio scritto non rappresenta primariamente i suoni della lingua, ma che provvede indici sul significato. [...] La trascrizione dello scritto in lingua e' possibile solamente mediante l'intermediazione del significato" (pag. 14). Appare evidente l'assurdita' della tradizionale sequenza didattica che mette in progressione la lettura meccanica, la lettura comprensiva e la lettura espressiva, come se l'espressivita', nell'intenzione comunicativa, non fosse padroneggiata ancor prima della completa struttura linguistica; come se una lettura non comprensiva fosse possibile. In questo complesso sfondo di analisi, viene colta la contraddizione in cui finiscono col trovarsi molti insegnanti che, mentre nell'insegnamento matematico si muovono in una prospettiva piagettiana, in cui il bambino e' considerato attivo costruttore della sua conoscenza, sono ancorati ad una teoria dell'apprendimento di tipo associazionistico per quanto riguarda l'ambito della scrittura. Infine l'autrice analizza le pratiche didattiche che causano difficolta' di apprendimento: 1) "presentare una lettera per volta, giacche' questo impedisce di sapere quali siano gli attributi criteriali per permetteranno di differenziare una lettera dall'altra" (pag. 15). "Una lettera, cosi' come un fonema, non e' una forma sempre identica a se stessa, quanto piuttosto una categoria di variazioni possibili all'interno di certi limiti. I tratti distintivi da tenere in considerazione sono quelli che differenziano una lettera dalle altre lettere. 'Un fonema e' quello che gli altri non sono', segnalava F. de Saussure. I tratti fisici di un fonema emesso varieranno secondo l'eta', il sesso, la regione di origine, etc., del parlante, cosi' come secondo il contesto dato dagli altri fonemi [...]. Allo stesso modo, [in riferimento ai grafemi ...], senza contrasto sono obbligato a ritenere troppa informazione non necessaria, giacche' non so a priori qual e' il tratto distintivo. [...] L'idea di introdurre una lettera per volta, e 'fissarla' bene prima di introdurne un'altra, cosi' come l'idea che le lettere simili che possano dar luogo a confusione debbano essere introdotte il piu' 'separatamente' possibile nel tempo l'una dall'altra, sono due idee basate su una concezione associazionista dell'apprendimento" (pp. 15-16). Quindi, conclude la Ferreiro, "Cio' che non posso fare a meno di constatare e' che un bambino piccolo sta ricevendo simultaneamente tutti i fonemi della sua lingua, in un disordine perfetto, e che questo non gli impedisce in alcun modo di discriminarli, imitarli selettivamente, scoprire le combinazioni possibili all'interno del sistema, e arrivare a dominarlo molto prima di entrare nella scuola primaria" (pag. 16). 2) supporre "una corrispondenza biunivoca tra grafema e fonema" (pag. 16). "Questa supposizione e' falsa: la scrittura non costituisce una trascrizione fonetica della lingua orale. La scrittura omette elementi essenziali come l'intonazione [...]; omette differenze regolari e sistematiche nell'emissione [...]; introduce differenze che non esistono a livello di parola [...]; introduce segni che non rappresentano suoni [...]; duplica segni per un unico suono [...]; presenta uno stesso segno per suoni distinti [...]" (pp. 16-17). Tuttavia, "l'omogeneita' della scrittura, nel caso dello spagnolo, a fronte delle marcate differenze nella lingua parlata, compie una funzione sociale molto importante: permette la comunicazione per iscritto tra parlanti di differenti varianti dialettali di uno stesso linguaggio" (pag. 17). Viene qui puntualizzata la funzione ideologica della scuola che decide ed impone un'unica pronuncia "corretta", come condizione per poter imparare a scrivere. 3) "la memorizzazione di regole di combinazione senza senso" (pag. 18). 4) non lasciar commettere errori, cosi' come correggere immediatamente qualunque errore, senza dar tempo per l'autocorrezione" (pag. 20). Innanzi tutto e' importante "identificare quali sono gli 'errori' che permettono di far avanzare l'apprendimento e quali sono quelli che indicano interruzione dell'apprendimento. Sappiamo in altri ambiti che ci sono 'errori necessari'" (pag. 19), come accade ad esempio prima che sia stata acquisito il concetto di invarianza numerica, o quando si regolarizzano i verbi irregolari. Infatti, spesso si tratta di successive approssimazioni nella costruzione di una teoria interpretativa, all'interno di un processo di apprendimento "che procede per scoperta di nuove relazioni e interconnessioni" in cui e' possibile comprenderne la logica e la necessita'. Viene infine sottolineato come i dati consentano di sostenere che alcuni errori non soggetti ad autocorrezione compaiano ripetutamente nel campione osservato a fronte di una metodologia tendente a prevenire l'errore. Personalmente riteniamo che, nella linea di ragionamento che si sta seguendo si possa soltanto affermare che molti presunti errori in realta' siano diverse fasi di sviluppo rispetto alle quali i docenti mostrano di non avere la padronanza di adeguate categorie interpretative al punto che la strategia di prevenzione degli errori risulta essere assolutamente fuori contesto e incapace di dialogare con gli effettivi problemi cognitivi posti dai bambini. La sua efficacia o inefficacia rispetto a questi "mal chiamati errori" risulta incongrua e priva di senso. 5) "la mancanza di significato" (pag. 20). Questo deriva dall'uso della decifrazione come strategia di lettura, in quanto "e' impossibile ritenere nella memoria immediata una larga sequenza arbitraria di sillabe senza senso" (pag. 20), dalla lettura di parole isolate, dalla proposta di frasi irrealistiche con numero limitato di grafemi, di combinazioni consonanti-vocali, di verbi. Con tutto questo si finisce col proporre frasi, spesso al limite dell'assurdo, che "stanno fuori da ogni contesto comunicativo e da ogni intenzione di comunicazione" (pag. 20) e, cio' che e' peggio, si ignorano sistematicamente le conoscenze linguistiche dei bambini. Il saggio si chiude con la rivendicazione polemica del ruolo protagonista del bambino nel processo di apprendimento, asserendo che "prendere in considerazione il suo sapere linguistico e' uno dei molteplici modi di apprendere a rispettarlo intellettualmente" (pag. 22). 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 510 del 17 febbraio 2003
- Prev by Date: processo a PeaceLink: rettifica ai giornali
- Next by Date: La nonviolenza e' in cammino. 511
- Previous by thread: processo a PeaceLink: rettifica ai giornali
- Next by thread: La nonviolenza e' in cammino. 511
- Indice: