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La nonviolenza e' in cammino. 509
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 509
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 16 Feb 2003 01:53:36 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 509 del 16 febbraio 2003 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini, in nome della legge 2. Le cinque cose da fare adesso: l'azione diretta nonviolenta per bloccare la macchina bellica 3. Le cinque cose da fare adesso: una campagna di disobbedienza civile di massa per mettere in condizione di non nuocere i poteri golpisti e le organizzazioni assassine 4. Le cinque cose da fare adesso: preparare lo sciopero generale ad oltranza contro la guerra 5. Le cinque cose da fare adesso: denunciare all'autorita' giudiziaria i potenti golpisti e stragisti che violano la Costituzione 6. Le cinque cose da fare adesso: l'ora della nonviolenza 7. Benito D'Ippolito, nelle nostre mani 8. Colleeen Kelly, noi familiari delle vittime dell'11 settembre contro la guerra 9. Alessandro Marescotti, una lettera al Ministro della Difesa 10. Patricia Lombroso intervista Phyllys Bennis 11. Mao Valpiana, una lettera aperta al dittatore iracheno 12. Hevi Dilara, che vinca l'umanita' 13. Farid Adly, una lettera al Touring Club 14. Maria Lugia Casieri: una sintesi di Emilia Ferreiro, "Desarrollo operatorio y adquisicion del lenguaje", 1973 15. La "Carta" del Movimento Nonviolento 16. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: IN NOME DELLA LEGGE In nome della legge scritta nella carta delle Nazioni Unite: siamo noi, noi popoli, "noi popoli delle Nazioni Unite" a dover fermare la guerra. In nome della legge. In nome della legge scritta nella Costituzione italiana: siamo noi, noi popolo italiano, a dover realizzare l'appello e il comando "ripudia la guerra". In nome della legge. In nome della legge non scritta ma incisa nella coscienza di ogni essere umano, la legge di Antigone la pietosa, Antigone la resistente: non sottomet terti all'ingiustizia, non accettare l'empieta'; alla violenza opponi l'umanita'. In nome della legge. In nome della legge recata da tutte le grandi tradizioni culturali dell'umanita': "tu non uccidere". Tu non uccidere e non permettere che altri uccida. In nome della legge. 2. LE CINQUE COSE DA FARE ADESSO: L'AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA PER BLOCCARE LA MACCHINA BELLICA La macchina bellica non e' invincibile. Puo' essere bloccata, con l'azione diretta nonviolenta. Gia' nel '99 sperimentammo la possibilita' di impedire i decolli dei bombardieri ostruendo lo spazio aereo circostante e sovrastante le basi militari con delle mongolfiere di carta. Se scoppiera' la guerra vogliamo riprodurre sulla scala piu' ampia possibile e ad oltranza quella iniziativa: vogliamo, con la forza della nonviolenza, impedire tutti i decolli degli aerei stragisti. 3. LE CINQUE COSE DA FARE ADESSO: UNA CAMPAGNA DI DISOBBEDIENZA CIVILE DI MASSA PER METTERE IN CONDIZIONE DI NON NUOCERE I POTERI GOLPISTI E LE ORGANIZZAZIONI ASSASSINE Se il governo italiano violando la Costituzione della Repubblica Italiana (e commettendo quindi un vero e proprio colpo di stato che lo collocherebbe fuorilegge), desse la disponibilita' del nostro paese a favorire la guerra (anche solo mettendo a disposizione dei bombardieri stragisti lo spazio aereo italiano), rendendosi ipso facto complice di crimini di guerra e crimini contro l'umanita' aderendo a una guerra illegale e criminale sia per la nostra Costituzione sia per la Carta dell'Onu, sia per la nostra legalita' interna che per il diritto internazionale; allora e' dovere di ogni cittadino, e massime di ogni pubblico ufficiale, opporsi a un governo fuorilegge in difesa della legalita' costituzionale, e rendere inefficace la catena di comando di un governo golpista. Occorre quindi preparare una campagna di disobbedienza civile di massa che metta il governo golpista e stragista in condizioni di non nuocere, una campagna che prefiguri quella "difesa popolare nonviolenta" prevista nel corpus legislativo italiano che inveri quanto dalla Costituzione richiesto. Una forma di questa campagna potrebbe consistere nel paralizzare le strutture sia logistiche che militari che il governo mettesse a disposizione dell'attivita' bellica nel momento in cui la guerra iniziasse. 4. LE CINQUE COSE DA FARE ADESSO: PREPARARE LO SCIOPERO GENERALE AD OLTRANZA CONTRO LA GUERRA Se la guerra verra' scatenata occorrera' che l'opposizione alla guerra si manifesti con efficacia cogente. Occorre preparare fin d'ora lo sciopero generale contro la guerra, da condurre ad oltranza fino alla caduta del governo golpista e alla cessazione della partecipazione italiana alla guerra (in qualunque forma tale partecipazione si desse). 5. LE CINQUE COSE DA FARE ADESSO: DENUNCIARE ALL'AUTORITA' GIUDIZIARIA I POTENTI GOLPISTI E STRAGISTI CHE VIOLANO LA COSTITUZIONE Quel governo, quel parlamento, quel capo dello Stato che non obbedissero al dettato costituzionale che "ripudia la guerra" e si rendessero complici della guerra e violatori della legalita' costituzionale, cioe' golpisti e stragisti, devono essere denunciati all'autorita' giudiziaria: occorre che siano perseguiti ai sensi di legge, processati e puniti per il loro crimine. A tal fine e' bene che ovunque si promuovano azioni penali affinche' la magistratura li persegua, affinche' le forze dell'ordine mettano i golpisti e stragisti in condizione di non nuocere, affinche' le istituzioni dello stato preposte all'amministrazione della giustizia, alla tutela dell'ordine pubblico e alla difesa della legalita' intervengano come e' nelle loro competenze. Occorre mettere i golpisti e stragisti in condizioni di non nuocere e assicurarli alla giustizia, affinche' rispondano dei loro reato cosi' come la legge prevede. 6. LE CINQUE COSE DA FARE ADESSO: L'ORA DELLA NONVIOLENZA Opporsi alla guerra e' possibile e necessario. Ma perche' l'azione contro la guerra sia credibile ed efficace, persuasiva poiche' persuasa, essa deve essere limpida ed intransigente: occorre fare la scelta della nonviolenza. Veniamo da amare esperienze, ed una convinzione dovremmo aver tutti maturato: che il movimento per la pace ha una sola risorsa, ma grande, ma immensa, da contrapporre alla violenza dei potenti, da contrapporre alla furia della guerra: la scelta della nonviolenza, della lotta nonviolenta, dell'azione diretta nonviolenta. Che e' la scelta che invera i principi stabiliti dalle grandi fonti di diritto, dalla nostra Costituzione, dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. Ma la scelta della nonviolenza richiede un impegno autentico e rigoroso. E la capacita' di promuovere o prender parte a una lotta nonviolenta richiede una formazione e un addestramento specifici ed impegnativi. Ed organizzare e condurre un'azione diretta nonviolenta richiede una preparazione prolungata e profonda. Per questo la prima cosa che il movimento per la pace deve fare e' rompere ogni ambiguita', uscire dalla subalternita' come dall'apatia, assumere direttamente la responsabilita' di salvare le vite umane minacciate dalla guerra e l'umanita' intera, e con esse ed essa salvare il diritto e i diritti di tutti. Per far questo occorre fare la scelta della nonviolenza. E questo e' il passo che devi fare, senza del quale non vi e' azione per la pace ma pressoche' solo ipocrisia, subalternita', stoltezza, e quindi effettuale complicita' con la guerra. 7. EDITORIALE. BENITO D'IPPOLITO: NELLE NOSTRE MANI Fermare la guerra e' ormai solo nelle nostre mani. Sei tu che devi fermarla, non altri. Non chiedere ad altri, agisci. Non attendere, il momento e' adesso. La vita o la morte di molti sono nelle nostre mani. Sei tu che devi salvarli. 8. TESTIMONIANZE. COLLEEN KELLY: NOI FAMILIARI DELLE VITTIME DELL'11 SETTEMBRE CONTRO LA GUERRA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 febbraio 2003. Colleen Kelly e' fondatrice dell'Associazione dei familiari delle vittime dell'11 settembre "Peaceful Tomorrow"] In questi giorni, mi sento classificata secondo la seguente gerarchia: sorella di Bill Kelly Jr., ucciso l'11 settembre 2001; madre di tre bambini piccoli; cittadina americana; ragazza di una piccola citta' che vive nella grande New York. Leggo quello che legge un americano medio, senza avere accesso a documentazione specializzata. La mia sola esperienza consiste nell'essere la sorella di Billy, e nell'aver perso qualcuno che ho amato profondamente per colpa di diciannove uomini con "armi di distruzione di massa": dei taglierini. L'idea che l'ottusa ostinazione del mio paese possa essere causa di nuovi dolori per il pianeta intero e' davvero preoccupante. Quando la mia organizzazione ha visitato, lo scorso settembre, piu' di 70 uffici del Congresso, nessuno di questi ha potuto dire di aver ricevuto una maggioranza di chiamate a favore della guerra. L'opinione pubblica americana ha il diritto di venire a conoscenza di fatti che possono essere causa di un pericolo imminente. Noi, in quanto familiari delle vittime dell'11 settembre, abbiamo il diritto di essere informati di qualunque fatto che possa collegare l'Iraq con Al Qaeda. Mio fratello non e' morto ne' a causa di armi nucleari, ne' a causa di armi chimiche o batteriologiche. E' morto a causa dell'ottusita' mentale di un gruppo di uomini. E' arrivato il momento per il mondo di usare tutta la sua intelligenza, creativita' e compassione per cercare delle alternative alla guerra... 9. INIZIATIVE. ALESSANDRO MARESCOTTI: UNA LETTERA AL MINISTRO DELLA DIFESA [Ringraziamo Alessandro Marescotti (per contatti: a.marescotti at peacelink.it) per questo intervento. Alessandro Marescotti e' uno degli animatori di Peacelink, la principale esperienza telematica pacifista italiana (sito: www.peacelink.it)] Ciao a tutti, ho intenzione di inviare questa lettera al ministro Martino: che ne pensate? Sarebbe utile creare un movimento di militari in congedo che manifestino "indisponibilita' alla guerra". Cordiali saluti. * Al Ministro della Difesa Antonio Martino Oggetto: comunicazione ai sensi dell'articolo 25 del Regolamento di Disciplina Militare. Io sottoscritto Alessandro Marescotti, nato a Taranto il 20/2/1958, gia' in servizio presso il Plotone di Sussistenza Acqui (L'Aquila) dell'Esercito Italiano in qualita' di sottotenente di complemento, ora in congedo per ultimato servizio di prima nomina e tale nella forza in congedo del Distretto Militare dichiaro quanto segue: - sono entrato nelle Forze Armate italiane prestando in data 21/7/1981 il seguente giuramento: "Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana, di osservarne la Costituzione e le leggi e di adempiere con disciplina ed onore tutti i doveri del mio stato per la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istituzioni"; - mi ritengo pertanto obbligato (dal vincolo di fedelta' al giuramento) a prestare obbedienza primariamente - nello spirito e nella lettera - all'articolo 11 della Costituzione che recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali...". Pertanto l'eventuale impiego delle Forze Armate Italiane nel conflitto in Irak mi pone problemi morali e civili tali da considerare illegittima ogni mia collaborazione con le Forze Armate "deviate" dai loro compiti istituzionali che la legge 382/'78 cosi' delimita all'articolo 1: "Le Forze armate sono al servizio della Repubblica; il loro ordinamento e la loro attivita' si informano ai principi costituzionali. Compito dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica e' assicurare, in conformita' al giuramento prestato e in obbedienza agli ordini ricevuti, la difesa della Patria e concorrere alla salvaguardia delle libere istituzioni e al bene della collettivita' nazionale nei casi di pubbliche calamita'". Mi rivolgo a Lei con la consapevolezza di esprimermi non "contro" ma "per" l'adempimento dei compiti istituzionali per cui prestai il giuramento militare. Non intendo compiere con questa mia comunicazione alcun atto contrario all'obbedienza che nel regolamento di disciplina militare (approvato con Dpr 18/7/86 n. 545) e' cosi' definita all'art. 5: "1. L'obbedienza consiste nella esecuzione pronta, rispettosa e leale degli ordini attinenti al servizio e alla disciplina, in conformita' al giuramento prestato. 2. Il dovere dell'obbedienza e' assoluto, salvo i limiti posti dalla legge e dal successivo art. 25". Questa mia comunicazione rientra nel comma 2 dell'art. 25 del regolamento che specifica: "Il militare al quale venga impartito un ordine che non ritenga conforme alle norme in vigore deve, con spirito di leale e fattiva partecipazione, farlo presente a chi lo ha impartito dichiarandone le ragioni, ed e' tenuto ad eseguirlo se l'ordine e' confermato". Tuttavia sempre l'articolo 25 del Regolamento (citato nell'art. 5 dello stesso) e' esplicito nel limitare l'obbedienza assoluta e nell'indicare quale mio dovere quello di non eseguire in alcun caso, neppure se mi venisse confermato, "un ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni di Stato o la cui esecuzione costituisce comunque manifestamente reato". Pertanto la mia obbedienza, non potendo trasgredire la legge fondamentale dello stato (la Costituzione al suo art.11) e della Comunita' Internazionale (la Carta dell'Onu) non potra' essere assoluta. Ritengo palesemente illegittime azioni di guerra la cui partecipazione costituisse reato ai sensi della Convenzione di Ginevra o violazione della Costituzione Italiana a cui ho giurato di essere fedele. In ogni caso faccio appello al rispetto della mia coscienza, delle mie convinzioni etiche, umanitarie e religiose, riconosciuto dalle norme internazionali e nazionali che tutelano la persona di fronte a obblighi non accettabili per la coscienza, sulla base della "liberta di coscienza", valore primario dell'ordinamento democratico, come riconosciuto dalla Corte Costituzionale (sentenza 476/91). Le scrivo pertanto per comunicarLe ufficialmente che - nel caso l'Italia partecipasse o collaborasse alla "guerra preventiva" - mi rendero' indisponibile ad eseguire ordini, avvalendomi esplicitamente dell'articolo 25 del Regolamento di Disciplina Militare. Ne consegue che - nel caso Lei collaborasse alla realizzazione della "guerra preventiva", ossia ad una palese violazione della Costituzione - non riconoscero' legittima alcuna autorita' o forza coercitiva su di me da parte del Ministero della Difesa che Lei dirige. Le invio fotocopia dello stato di servizio dell'Esercito Italiano su cui ho stampigliato - pensando alle vittime innocenti della guerra che si preannuncia - la frase di don Lorenzo Milani: l'obbedienza non e' piu' una virtu'. In caso di guerra non conti su di me perche' mi riterro' sciolto da ogni vincolo di dipendenza da un potere illegittimo e incostituzionale che attacca, bombarda, dilania e uccide; in nome del valore della pace e del rispetto della vita umana sentiro' mio dovere in tal caso invitare i militari a disobbedire agli ordini che violassero l'articolo 11 della Costituzione Italiana. Non so se Lei ha gia' fatto il servizio militare, ma comunque - se proprio oggi lo ritiene un dovere da benedire - allora ci vada Lei in guerra e la rischi Lei la Sua vita. E comunque "non nel mio nome", signor Ministro. Con osservanza, Alessandro Marescotti 10. TESTIMONIANZE. PATRICIA LOMBROSO INTERVISTA PHYLLYS BENNIS [Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 settembre. Patricia Lombroso e' corrispondente da New York del quotidiano; Phyllys Bennis e' una prestigiosa intellettuale e militante pacifista, direttrice dell'Institute for policy studies di Washington] "Questa volta la dimostrazione per la pace che si tiene in 528 citta' del mondo vedra' una piena partecipazione di pacifisti nelle strade di New York. Non si lasceranno intimidire dai divieti della polizia, dell'amministrazione Bloomberg, del ministro di giustizia John Ashcroft. Sono 75 le citta' americane dalla California, al Maine, alle Hawai che hanno approvato risoluzioni contro la guerra. C'e' una mobilitazione a livello sindacale, le universita' sono in stato di fibrillazione. Non era mai successo questo fenomeno prima di una guerra. Neppure per il Vietnam". Questo il commento di Phyllys Bennis, direttrice dell'Institute for policy studies di Washington, promotore dell'iniziativa di "Cities against the War". - Patricia Lombroso: Come interpreta la decisione del magistrato di New York di vietare il permesso di sfilare? - Phyllys Bennis: La coincidenza tra il nuovo livello di allerta, il fantasma di un attacco terroristico a New York o Washington e il fatto che si vuole bloccare una imponente dimostrazione di pacifisti, va interpretata come una mossa propagandistica dell'amministrazione Bush: per fomentare lo stato di agitazione e di paura in cui vivono gli americani sin dall'11 settembre. Mira a protrarre questa sensazione di vulnerabilita' e di impotenza. Aumenta il disagio per il fatto che manca un'adeguata informazione. Gli americani desiderano poter aver fiducia in qualcuno che fornisca loro protezione e sicurezza. Questo e' il contesto che Bush utilizza per avere il consenso alla guerra. Ma dopo il divieto anche coloro che erano reticenti a partecipare scenderanno per le strade di New York, perche' e' stata lanciata una sfida dal governo e le persone si sono sentite private del diritto alla liberta' di espressione. - P. L.: I sondaggi danno ancora il 58 per cento a favore del presidente. - Ph. B.: Ma i media non dicono che se si prospetta la possibilita' che in questa guerra decine di migliaia di innocenti civili iracheni vengano sterminati la percentuale scende di 20 punti. Gli statunitensi sono portati a credere che la guerra contro l'Iraq servira' a proteggerli da altri attacchi terroristici, ma cominciano ad avere consapevolezza che la guerra avra' un costo umano, economico e politico molto oneroso. - P. L.: Quale il timore piu' generalizzato? - Ph. B.: Una controreazione terroristica con armi chimiche o batteriologiche dalla quale le stesse autorita' governative non garantiscono un'adeguata protezione della popolazione. - P. L.: La minaccia di Bin Laden di un prossimo attacco terroristico convince l'opinione pubblica? - Ph. B.: Bush fa leva su questa sensazione di paura per ottenere il consenso della popolazione a un'invasione dell'Iraq. Ma questa strategia non sta funzionando, perche' non tutti vengono influenzati dal clima di terrore. L'opposizione alla guerra nel paese sta crescendo e ha assunto varie posizioni di partecipazione attiva in tutti i livelli e categorie della struttura sociale del paese. E' un fenomeno nuovo che non si e' verificato neppure con il Vietnam. Anche i piu' sprovveduti e spoliticizzati esprimono sospetti che la minaccia di un possibile attacco terroristico nei confronti della popolazione civile americana sopraggiunge, pochi giorni dopo il discorso di Colin Powell alle Nazioni Unite, in un momento in cui la Casa Bianca si rende conto che una mobilitazione a livello mondiale il 15 febbraio per la pace sta producendo l'effetto contrario a quanto desiderato. Bush resta isolato con Berlusconi, Aznar e Blair. La popolazione italiana e spagnola sono in netta opposizione con la posizione allineata alla guerra di Bush assunta dai loro governi. 11. RIFLESSIONE. MAO VALPIANA: UNA LETTERA APERTA AL DITTATORE IRACHENO [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: azionenonviolenta at sis.it) per questo intervento. Mao Valpiana e' il direttore di "Azione nonviolenta", e una delle voci piu' nitide e prestigiose della nonviolenza] Caro Saddam, non dar retta al premier italiano Berlusconi: noi pacifisti non siamo tuoi amici e tanto meno facciamo il tuo (tragico) gioco. Anzi, abbiamo sempre lottato contro la tua feroce dittatura, anche quando i paesi occidentali guardavano con benevolenza al regime irakeno, perche' contrapposto all'Iran di Komeini, e ti vendevano armi e assistenza militare. Abbiamo sempre condiviso le rivendicazioni di autonomia del popolo kurdo, che tu hai sterminato. Sosteniamo i partiti democratici irakeni in esilio e condanniamo i metodi sanguinari con i quali tieni nel terrore il tuo popolo, continuamente umiliato e costretto a fingere di benvolerti. La tua politica e' quanto di piu' lontano c'e' dai nostri ideali di pace e giustizia. Se ci opponiamo alla guerra che Bush vuole muoverti non lo facciamo certo per difendere il tuo regime, ma solo per evitare al popolo che opprimi altra violenza che si aggiungerebbe a quella che gia' subisce; ed inoltre sappiamo che una nuova guerra ti renderebbe ancora piu' forte, come e' gia' accaduto nel 1991. Chi vuole la guerra lo fa solo per interessi economici; ai signori del petrolio importa ben poco il destino del popolo irakeno. Il tuo regime doveva essere abbattuto anni fa con la forza della democrazia; bisognava fare un vero embargo delle armi e lasciar passare solo cibo e medicinali; invece per dieci anni e' stato fatto il contrario. Chi e' armato fino ai denti non puo' imporre ad altri di disarmare. Per questo L'America, insieme alla Russia e alla Cina, non hanno alcuna autorevolezza ai nostri occhi. La Russia, per essere credibile quando si oppone alla guerra in Iraq, dovrebbe avviare da subito un vero processo di pace in Cecenia e riconoscere di aver commesso un genocidio. La Cina, per dare credibilita' al suo veto alla guerra di Bush, dovrebbe iniziare a ritirarsi dal Tibet e chiedere scusa al mondo intero per l'infamia di quell'invasione. Gli Stati Uniti, quando chiedono che l'Iraq abbandoni le armi di sterminio di massa, dovrebbero contemporaneamente rinunciare al proprio armamento atomico, chimico e batteriologico. Sappiamo ben vedere la differenza fra una democrazia e un totalitarismo. E non abbiamo dubbi da quale parte schierarci. Per quanto imperfetta e calpestata, la democrazia in cui viviamo e' un dono prezioso, mentre il tuo regime dittatoriale e' una tragedia storica. Ma la guerra non ha aggettivi, non e' ne' democratica, ne' giusta, ne' preventiva, ne' fascista, ne' comunista. E' guerra e basta. Le tue bombe non sono diverse da quelle di Bush. Noi sappiamo che la violenza non si spazza via con altra violenza. Sappiamo che non si puo' sconfiggere il terrorismo con altro terrorismo. Noi siamo contro la guerra, fatta da chiunque, per qualsiasi motivo, con qualsiasi arma. La guerra e' il piu' grande crimine contro l'umanita'. La guerra e' il peggiore dei mali che vuole combattere. La nonviolenza e' la vera alternativa alla guerra. Non l'utopia di un mondo senza conflitti, ma il realismo di una proposta per risolverli. La strategia della nonviolenza e' quella del disarmo unilaterale. La storia, anche recente, ha dimostrato che gesti concreti di disarmo unilaterale ottengono risultati decisivi. Di fronte all'installazione nei paesi della Nato dei missili nucleari Cruise, la risposta di Gorbaciov fu il ritiro dei missili nucleari SS 20 dai paesi del Patto di Varsavia. Fu un gesto clamoroso, che diede l'avvio al processo di distensione e contribui' al declino (senza spargimento di sangue) di tanti regimi dittatoriali e al crollo del Muro di Berlino. Noi pacifisti occidentali da anni chiediamo e lavoriamo per il disarmo dei nostri paesi, la riduzione delle spese militari, la riconversione dell'industria bellica, l'abolizione degli eserciti e la creazione di Corpi Civili di Pace. Nel tuo paese non e' nemmeno pensabile l'esistenza di un movimento pacifista indipendente. Il tuo regime impedisce qualsiasi manifestazione di idee che contrastano con il potere militare. Per questo riteniamo che il tuo allontanamento sia assolutamente necessario e doveroso, ma senza usare i tuoi stessi mezzi omicidi. Gia' dieci anni fa Alexander Langer, leader storico dei pacifisti europei, formulo' una seria proposta che andava in questa direzione: "chiedere all'Onu di promuovere una sorta di 'Fondazione S. Elena' (nome dell'isola in cui alla fine fu esiliato Napoleone, tra gli agi e gli onori, ma reso innocuo), per facilitare ai dittatori ed alle loro sanguinarie corti la possibilita' di servirsi di un'uscita di sicurezza prima che ricorrano al bagno di sangue pur di tentare di salvarsi la pelle (... potrebbero o potevano utilmente beneficiarne piuttosto che giocare il tutto per tutto); la questione di amnistie e indulti per chi e' abbastanza lontano ed abbastanza vigilato da non poter piu' fare danni, non dovrebbe essere insolubile". Quante sofferenze sarebbero state risparmiate al popolo irakeno se l'Europa avesse fatto propria questa soluzione. Ma le democrazie europee erano sorde. Ora, che la catastrofe sembra imminente, qualche voce si fa sentire anche dai governi europei, ma il rischio e' che sia ormai troppo tardi. La mostruosa e potente macchina bellica, ben oliata, finanziata, addestrata, e' pronta alla carneficina. Noi faremo l'impossibile per fermarla, insieme con tante forze popolari, sociali, spirituali e religiose. Sabato 15 febbraio questa volonta' di pace si e' fatta sentire in tutte le capitali del mondo. Anche a Bagdad, ne siamo certi. Sara' un'unica voce: no alla guerra, no al terrorismo, no alla dittatura. Non illuderti, Saddam Hussein, il potere della violenza e' fragile, la forza della nonviolenza e' invincibile. 12. TESTIMONIANZE. HEVI DILARA: CHE VINCA L'UMANITA' [Dall'Ufficio d'Informazione del Kurdistan in Italia (per contatti: uiki.onlus at tin.it) riceviamo e diffondiamo il testo dell'intervento tenuto da Hevi Dilara alla manifestazione per la pace di Roma del 15 febbraio. Hevi Dilara e' una delle piu' autorevoli rappresentanti del popolo kurdo in Italia; fu lei che in occasione della marcia Perugia-Assisi per la nonviolenza svoltasi nel settembre del 2000 pronuncio' lo storico discorso di ripudio della violenza e di scelta della lotta nonviolenta da parte della piu' nota organizzazione della resistenza kurda] Io sono nata in Turchia, nella regione kurda del sud-est dove sorgono le piu' grandi basi aeree turche e americane. Conosco bene il fragore dei bombardieri e delle loro bombe. Pochi giorni fa duemila donne hanno manifestato a Diyarbakir, dove sorge una di quelle basi, per dire che non vogliono altri aerei, missili e soldati. Ne ho visti troppi, da quando ero bambina. Dall'Europa, dall'America, dalla Nato non vogliamo altre armi. Non ci hanno mai difesi, hanno contribuito a massacrarci. Io sono nata in Kurdistan, nel paese che non c'e' ma esiste. Esiste in questa piazza e in tutte le piazze del mondo. Il suo cuore batte in una cella isolata nell'isola di Imrali, ma poco piu' di quattro anni fa pulsava qui a Roma, con i cuori di migliaia di uomini e donne. Oggi per noi e' un giorno di lutto e di memoria. Quattro anni fa, il 15 febbraio del '99, il nostro presidente Ocalan fu sequestrato e consegnato ai suoi carcerieri. Fu un atto di guerra. Da tre mesi non lo vedono neppure i suoi avvocati, nessuno sa se e' vivo o morto. Anche questo e' un atto di guerra. Io sono nata a Urfa, l'antica Ur dei Caldei, la citta' cara a tutte le religioni rivelate. Sulla Tomba di Abramo, nella mia citta', il papa chiese invano di venire a dire parole di pace per i kurdi, i turchi, gli armeni e tutti i popoli dell'Anatolia. La mia citta', come Gerusalemme, dovrebbe essere simbolo di pace e convivenza. Ma qualche giorno fa mio padre e' stato arrestato per impedirgli di manifestare contro la guerra, e molti altri con lui. Forse l'hanno torturato. Non sarebbe la prima volta. E non sara' l'ultima, se un'altra Europa non portera' liberta' e pace nella mia terra invece di armi, se non spalanchera' le porte delle prigioni e delle celle d'isolamento e di tortura. Invece la guerra imminente sta gia' sprangando le porte della cella di Imrali e di tutte le celle. La guerra e' la logica amico-nemico. Se la Turchia e' alleata in guerra, non le si chiedera' piu' conto dei diritti violati, anzi si bolleranno come terroristi coloro che lottano per affermarli, si neghera' asilo agli esuli, si riscrivera' la nostra storia di liberazione criminalizzandola. In questo momento a Istanbul e in tutte le citta' della Turchia decine di migliaia di giovani e di donne, soprattutto le donne, manifestano contro la guerra, per la liberta' di Ocalan e di tutti i prigionieri, per la dignita' e la convivenza. Noi la chiamiamo "Serhildan". E' una parola che nel mio paese comporta anni di prigione, perche' nella mia lingua negata significa "Alzare la testa". Generazioni di kurdi hanno vissuto a testa bassa. Ma quando l'hai alzata una volta, nessuno ti puo' costringere a riabbassarla. In questa piazza solo i piu' anziani hanno vissuto una guerra. Io non ho mai vissuto la pace. Il ronzio di un elicottero per me significa morte e distruzione. Come posso pensare che liberta' e democrazia viaggino sulle ali dei bombardieri? Come posso accettare che il nostro dramma sia preso a pretesto per un nuovo dramma? La morte chimica che venne dal cielo sui nostri bambini ad Halabja era portata da aerei irakeni, ma era stata preparata nelle fabbriche americane, tedesche e italiane. Saddam Hussein e' un nome sinistro per il mio popolo non meno di quelli dei generali turchi. La pulizia etnica dell'uno e degli altri ha distrutto ottomila villaggi dalle due parti del confine ed ha creato milioni di profughi. Cio' che vogliono entrambi, cio' che vogliono inglesi e americani, e' il nostro petrolio, l'acqua del Tigri e dell'Eufrate, le ricchezze della Mesopotamia. Oggi la Turchia vuole profittare di questa guerra per controllare e occupare il Kurdistan Sud e per risolvere con le armi la questione kurda che non ha voluto risolvere con il dialogo. Non e' cambiando padroni che saremo liberi. Fra cinque settimane, il 21 marzo, comincia la primavera. Sulle mie montagne si risveglia la vita. Noi lo chiamiamo Newroz, Nuovo Giorno. Da molti millenni e' il nostro Capodanno e la nostra festa di liberta'. Quest'anno potrebbe essere insanguinato dalla guerra. Io ho un sogno. Che milioni e milioni di persone, scendendo in piazza in Occidente e in Medio Oriente, facciano tacere i signori della guerra e restituiscano la parola ai popoli. Che si riapra una speranza di democrazia e di pace, perche' l'una non puo' esistere senza l'altra: la democrazia non si afferma con la guerra, ma la pace dell'ingiustizia non e' pace. Io sogno che dall'Italia, quattro anni dopo, parta un appello corale che strappi dal loro isolamento e dalle loro prigioni Abdullah Ocalan e tutti i prigionieri. Sogno che il 21 marzo non l'Europa delle armi, ma l'Europa della pace venga nelle citta' e nei campi profughi del Kurdistan turco e irakeno. Che voi veniate a migliaia per festeggiare con noi la fine di un incubo mortale e l'alba di un Nuovo Giorno, di un nuovo mondo possibile e necessario. Che vinca l'umanita'. 13. PER LA VERITA'. FARID ADLY: UNA LETTERA AL TOURING CLUB [Ringraziamo Farid Adly (per contatti: anbamed at katamail.com) per averci messo a disposizione questa lettera inviata all'Ufficio Stampa del Touring Club Italia "per confermare le contestazioni all'ultima edizione dell'Atlante Geografico Mondiale che cancella la Palestina ed assegna tutto ad Israele, dal mar Mediterraneo al fiume Giordano oltre naturalmente al Golan siriano". Farid Adly, prestigioso intellettuale e giornalista, e' presidente dell'"Associazione culturale Mediterraneo" e direttore dell'agenzia stampa "Anbamed, notizie dal Mediterraneo"] All'Ufficio Stampa del Touring Club Italia: Vi ringrazio per la copia dell'Atlante. Non ho risposto prima, perche' ho voluto studiare bene sia la parte grafica sia quella di testo. Purtroppo rimango fermo nella mia tesi della precedente lettera del 17 gennaio 2003. L'errore e' grave perche', come scrive Lidia Menapace: "il Touring considera la guerra come evento giuridicamente fondativo del diritto e attribuisce ad Israele anche i territori che le Nazioni Unite destinano all'Autorita' e al popolo palestinese, e non indica come occupati militarmente, ma non giuridicamente assegnati, i territori che Israele occupa avendo violato numerose risoluzioni delle Nazioni Unite". Non solo, ma anche il Golan siriano viene annesso ai confini di Israele. La Siria e' uno Stato indipendente e sovrano, riconosciuto dall'Italia e membro delle Nazioni Unite; nessuna istituzione scientifica, neanche il Touring Club Italia, ha il diritto di cambiare le sue frontiere. Ho provveduto a segnalare il caso alla rappresentanza diplomatica siriana a Roma. Credo che la cosa sia grave anche per il fatto che l'iniziativa e' presa con l'ISPI, istituto di ricerca vicino al Ministero degli Esteri italiano. * Perche' non mi convince il comunicato stampa del Touring Club Italia? Uno: a pagina 2, nella legenda esiste il segno a trattini rosa con linea nera a puntini per indicare "Confine di Stato indefinito o in contestazione" e c'e' anche una linea sottile a trattini rosa per indicare "Confine di unita' federata o di regione indefinito o in contestazione". Nessuna di queste forme e' stata utilizzata per indicare i territori palestinesi occupati nel 1967 dall'esercito israeliano e che finora non c'e' stato nessun accordo definitivo su di esse ed il popolo palestinese non ha mai cessato di rivendicarle. Due: a pagina 186, dal titolo: "Africa. Elementi politico amministrativi" dell'Atlante e' segnata chiaramente con colori diversi la parte di territorio rivendicata dal Polisario per la RASD (Repubblica Democratica del Sahara Occidentale). Questa scelta giusta non e' stata applicata nel caso palestinese. Perche'? Tre: a pagina 142, "Europa Sud-Orientale e Levante. Carta fisico-politica", Cipro e' segnata, giustamente, come un'unica unita' statale, malgrado l'occupazione, nel 1974, della zona nordorientale dell'isola da parte dell'esercito turco e la conseguente divisione in due zone completamente separate rette da due governi distinti. Se fosse vera la tesa del comunicato stampa del Touring Club Italia ("Il nostro Atlante rispetta la situazione di fatto esistente nell'area"), Cipro sarebbe stata come due entita', come lo e' nei fatti dopo questa occupazione illegale da parte dell'esercito turco e la conseguente costituzione della Repubblica turco-cipriota. * Tutte queste ragioni mi convincono che quella del Touring Club Italia e' stata una scelta politica di sostegno alle tesi avanzate dal governo israeliano. Siete liberissimi di farlo; ma non potete far passare questa scelta come una operazione scientifica. Io e con me molti nostri soci ed altre associazioni della solidarieta' ed amanti della pace in Medio Oriente non ci stiamo e denunceremo pubblicamente questa azione illegale ed anti-scientifica che avete operato. Metteremo in atto un'azione di boicottaggio di questo prodotto tra i molti insegnanti con i quali siamo in contatto per impedire la sua assunzione come testo di riferimento per le scuole. In questo campo abbiamo gia' avuto molte adesioni. Non compreremo piu' pubblicazioni del Touring Club Italia. Siamo decisi a rivendicare il cambiamento di questo gravissimo errore che lede i diritti nazionali del popolo palestinese e del popolo siriano e non fa un buon servizio alle ragioni della pace in Medio Oriente. La soluzione che chiediamo e' molto semplice e neanche costosa: stampare la pagina 172 in forma veritiera, corretta e rispettosa della legalita' internazionale, segnando i territori occupati da Israele come territori occupati e non confini di Stato, per poi distribuirla insieme all'Atlante. Una correzione doverosa che darebbe lustro allo storico ente italiano, noto in passato per i suoi approfonditi ed aggiornati manuali e per la scrupolosa ricerca scientifica. Spero che ci siano, in seno al vostro gruppo scientifico e nella direzione editoriale, gli augurati ripensamenti. In attesa di un riscontro, cordiali saluti. Farid Adly, presidente dell'associazione culturale Mediterraneo e direttore di "Anbamed, notizie dal Mediterraneo". 14. MATERIALI. MARIA LUIGIA CASIERI: UNA SINTESI DI EMILIA FERREIRO, "DESARROLLO OPERATORIO Y ADQUISICION DEL LENGUAJE", 1973 [Iniziamo oggi la pubblicazione di una serie di schede bibliografiche curate da Maria Luigia Casieri relative all'opera di Emilia Ferreiro. Maria Luigia Casieri insegna nella scuola dell'infanzia ed e' una delle principali collaboratrici di questo foglio. Emilia Ferreiro, argentina, docente in Messico, pedagogista illustre, e' una delle piu' grandi studiose viventi del processi di alfabetizzazione, e' di fondamentale importanza il suo contributo sul tema dell'apprendimento della lettura e della scrittura da parte dei bambini. Tra le opere di Emilia Ferreiro si veda in primo luogo l'ormai classico volume scritto insieme ad Ana Teberosky, La costruzione della lingua scritta nel bambino, Giunti, Firenze 1985] Data di edizione:1973. Tipo di documento: Atti di convegno: dattiloscritto. Titolo: Desarrollo operatorio y adquisicion del lenguaje. Luogo di edizione: Sao Paulo, Brazil. Pagine: 15 (non numerate). Fonte: Lavoro presentato al "XIV Congreso Interamericano de Psicologia", Sao Paulo, Brazil, aprile 1973. Lingua: Spagnolo. Altre versioni: Pubblicato in Acta Psiquiatrica y Psicoligica de America Latina, 1974. * Abstract "In questo lavoro si fa una presentazione critica di alcuni elementi di base che caratterizzano la psicolinguistica contemporanea, assumendo in particolare il problema dell'acquisizione del linguaggio. La critica e' realizzata dalla prospettiva della psicologia ed epistemologia di Jean Piaget. Si comincia indicando i punti di convergenza tra le impostazioni teoriche di N. Chomsky e di J. Piaget, enfatizzando che e' a causa della ambizione - comune a entrambi gli autori - di ottenere una teoria che dia conto degli universali della ragione umana, che deriva la divergenza fondamentale: ipotesi innatista e possibilita' di giungere agli universali della ragione attraverso gli universali del linguaggio, in Chomsky; ipotesi costruttivista genetica e caratterizzazione degli universali della ragione con assoluta indipendenza dagli universali del linguaggio, in Piaget. Si analizza successivamente l'ipotesi innatista, le differenti opzioni sul contenuto del "corredo iniziale" (Lad) che rende possibile l'acquisizione del linguaggio, e, infine, si discute il problema della relazione tra i livelli di organizzazione cognitiva e i livelli di organizzazione linguistica" (sintesi dell'autrice, pp. 14-15; traduzione della curatrice). * Sintesi "In questo lavoro si fa una presentazione critica di alcuni elementi di base che caratterizzano la psicolinguistica contemporanea, assumendo in particolare il problema dell'acquisizione del linguaggio. La critica e' realizzata dalla prospettiva della psicologia ed epistemologia di Jean Piaget" (pag. 14). Il primo elemento che viene evidenziato e' dato dalla radicale evoluzione che ha caratterizzato la psicolinguistica degli ultimi decenni. Infatti se fino agli anni '60 il linguaggio infantile veniva considerato e quindi studiato come "un linguaggio adulto impoverito" partendo da una concezione dell'apprendimento di tipo sommativo e associazionistico (basato sull'imitazione, il rinforzo selettivo, la frequenza di apparizione dello stimolo), a partire dagli studi di linguistica di N. Chomsky e' stato possibile riconsiderare la complessita' dell'apprendimento del linguaggio. Per la prima volta si pone in risalto "la sistematicita' nell'apparizione di certe costruzioni morfologiche o sintattiche originali" (pag. 2), mentre il "parlare di grammatica infantile e' riconoscere al soggetto che acquisisce la lingua della sua comunita', una creativita', una originalita' e una attivita' sconosciuta nell'ottica anteriore" (pag. 2). Coerentemente "il centro di interesse si trasferisce dalla parola isolata alla frase e alle sue regole di costruzione, cioe' al problema della generazione della sintassi" (pp. 2-3). Il saggio prosegue con l'individuazione dei punti di contatto tra la teoria di Piaget e quella di Chomsky: - entrambi condividono un'impostazione strutturalista in cui le strutture sono intese come "sistemi di trasformazione"; - malgrado líuso di una diversa terminologia, in entrambe le impostazioni teoriche e' presente una distinzione tra "competence" e "performance". Infatti anche "l'interesse di Piaget si fonda nel porre in evidenza che cosa sia cio' che un soggetto e' capace di fare e non con quanta frequenza lo fa; qual e' il limite della sua capacita' operatoria e non quali siano le condizioni che permettono di porle in pratica" (pag.3); - entrambi si riferiscono "alle strutture soggiacenti al comportamento effettivo" (pag. 3); - entrambi criticano "l'empirismo associazionista - che privilegia l'oggetto a scapito del soggetto" (pag. 4); - entrambi mirano a definire una "teoria degli universali della ragione umana". Ed e' a partire da quest'ultimo punto di contatto che emergono le differenze: - "Chomsky postula la possibilita' di ottenere gli universali della ragione attraverso gli universali del linguaggio, mentre Piaget pretende di render conto degli universali della ragione del tutto indipendentemente dagli universali del linguaggio" (pag. 5) in quanto fonda le origini del ragionamento infantile nelle azioni sugli oggetti che precedono il linguaggio, il quale non costituisce "la via di accesso privilegiata" ne' per lo studio ne' per la costruzione dei processi logici; - "l'identificazione di tali universali coincide, per Chomsky, con l'identificazione di una struttura innata [...], mentre per Piaget [...] sono il prodotto di una storia nella quale il soggetto ha creato se stesso in funzione della sua attivita' con gli oggetti" (pag. 5). A sostegno dell'ipotesi innatista relativamente all'apprendimento del linguaggio, viene spesso portata l'argomentazione della "rapidita' con cui si acquisiscono le regole sintattiche". In realta', altri domini sono ugualmente, se non maggiormente complessi (come l'organizzazione e la rappresentazione dello spazio), senza che rendano necessario invocare l'azione di dispositivi innati. Un secondo rilevante argomento riguarda "la disparita' tra l'informazione linguistica disponibile e la teoria (o grammatica) che rappresenta la competenza finale del soggetto" (pag. 7), ma questo effettivamente si realizza in tutti gli ambiti indagati da Piaget, in cui le competenze cognitive costruite a partire dall'esplorazione degli oggetti non si esauriscono nelle caratteristiche dell'oggetto singolo ma partecipano di un potere generativo. Al riguardo viene citato il percorso di indagine di H. Sinclaire la cui "ipotesi centrale e' che l'organizzazione degli schemi di azione propria della fine del periodo senso-motorio provvede il bambino dei prerequisiti necessari per cominciare l'apprendimento del linguaggio" (pag. 7) (1). Ma entrando piu' specificamente nell'analisi del dispositivo di acquisizione del linguaggio che Chomsky postula innato (Lad), si pone come assunto di base che esso debba "porre una struttura tale che, a partire dai dati linguistici primari, generi la (o le) grammatica (/che) che dia (diano) conto delle regolarita' soggiacenti a questi dati" (pag. 8). Tuttavia lo schema che vede il Lad come elemento intermedio di elaborazione di una grammatica a partire dai dati linguistici, non tiene conto del fatto che, in realta', il Lad e la grammatica non fanno che costituire due successivi momenti dello sviluppo. "Risulta chiaro che il Lad rappresenta quelle condizioni che rendono possibile l'acquisizione di qualunque linguaggio naturale (la competenza iniziale), mentre la 'Grammatica' rappresenta la conoscenza di un linguaggio particolare (la competenza finale)" (pag. 8). Ora, se il Lad fosse una struttura evolutiva, essa dovrebbe richiedere dei prerequisiti per essere costruita e poter operare, e si trasformerebbe progressivamente finendo col coincidere con la costruzione di una grammatica definita. Se fosse una struttura innata essa sarebbe immediatamente e costantemente disponibile per la costruzione di possibili grammatiche, rimanendo inalterata nel tempo. Cosa che sembra smentita dal suo tardivo iniziare ad operare e dal fatto che, in questo caso, "potremmo apprendere una seconda lingua con la stessa facilita' con cui apprendiamo la prima" (pag. 9). Seguendo questa linea di ragionamento e' possibile un'ipotesi alternativa a quella innatista, secondo la quale "la grammatica (di una lingua particolare) si costruisce a partire dal Lad, [...] e risulta da un processo di modificazione del Lad stesso. E' interessante segnalare che questa ipotesi alternativa e' chiaramente indicata dallo stesso Chomsky, benche' non abbia ricevuto la sufficiente attenzione [...], in una nota alla terza delle conferenze su Linguaggio e mente [...]. In questa maniera, anche ammettendo un Lad originale, un'ipotesi costruttivista risulta maggiormente plausibile di una innatista" (pag. 10). Il problema si sposta quindi sull'esigenza di definire le caratteristiche del primo Lad che "se inizialmente si considerava costituito da categorie e relazioni puramente linguistiche, attualmente si tende a ritenere che includa una serie di proprieta' cognitive di carattere generale [...] (2). Qualunque sia la soluzione che si adotti rispetto alla relazione tra organizzazione cognitiva e linguaggio nel momento iniziale dello sviluppo, rimane aperto il problema di sapere se, nel trascorrere del processo, assisteremo a livelli di organizzazione concordanti, o a due linee di sviluppo senza punti di contatto" (pag. 11). Sulla base del lavoro di ricerca della stessa autrice, pubblicato in Les relations temporelles dans le langage de l'enfant, (1971) "e' stato possibile porre in evidenza una corrispondenza stretta tra il livello di organizzazione operatorio, e la comprensione e utilizzazione delle strutture sintattiche che permettono di esprimere le relazioni temporali tra gli eventi" (pag. 12). Infatti i tre livelli di sviluppo emersi non sono correlabili all'eta' dei soggetti ma al loro livello operatorio. "Il terzo livello (tra i 6 e i 7 anni) corrisponde a quello della reversibilita' operatoria. Ma il primo e il secondo livello sono entrambi pre-operatori. Cio' che li distingue e' l'assenza o presenza della nozione di "invertibilita'" (in francese renversabilite'), definita da Piaget come la possibilita' empirica di ritorno al punto di partenza grazie all'elaborazione (intorno ai 5 anni) di funzioni costituenti che garantiscono una dipendenza (tra proprieta' variabili o costanti degli oggetti, o tra proprieta' delle azioni del soggetto), ma in senso unico, senza la possibilita' di conservare l'invarianza della "invertibilita'". La corrispondenza trovata tra l'organizzazione cognitiva e quella linguistica permise di estrapolare una serie di conclusioni delle quali desidererei sottolinearne una sola: la nozione di "invertibilita'" sembrerebbe indicare l'accesso al livello pre-operatorio delle funzioni costituenti, la cui logica propria sembrerebbe sufficiente per l'acquisizione delle strutture sintattiche essenziali della lingua [...]. In funzione del lavoro che ho appena finito di citare, Piaget ha modificato la sua concezione sulla relazione tra le operazioni intellettuali e il linguaggio: il suo quasi-riduzionismo iniziale (il linguaggio diretto dalle operazioni) ha ceduto il posto a una concezione secondo la quale i progressi che si osservano nel linguaggio sarebbero il risultato di meccanismi di regolazione solidali e contemporanei con quelli che si realizzano in altri domini, senza che sia legittimo sostenere che il linguaggio si organizza una volta che l'operazione sia costituita. 'In cio' che concerne il problema delle relazioni tra le operazioni o pre-operazioni cognitive e il linguaggio, questo equivarrebbe quindi a dire che quelle non dirigono questa dal di fuori, secondo un'azione a senso unico, ma che i progressi del linguaggio sono dovuti a un meccanismo regolatore o organizzatore, allo stesso tempo interno e solidale con le altre forme dello stesso processo che si realizzano nello stesso livello in altri domini; l'operazione o la pre-operazione logico-matematica costituirebbe allora simultaneamente il risultato di cio' che e' in comune a queste diverse equilibrazioni e la cristallizzazione strutturale di questo funzionamento nei domini in cui si converte in un fine in se stesso...' (3). Questa interpretazione di Piaget ci sembra della massima importanza perche' e', a sua volta coerente con le interpretazioni che lo stesso Piaget ha proposto in altri terreni recentemente esplorati: lo sviluppo delle operazioni logico-matematiche non e' se non la critstallizzazione strutturale di un processo di equilibrazione generale nel quale si iscrivono tutte le attivita' cognitive. Compreso in questo modo, il dilemma classico della riduzione del linguaggio al pensiero o del pensiero al linguaggio permette di essere sorpassato in funzione di una prospettiva differente. Cio' di cui si tratta e' vincolare entrambi - linguaggio e pensiero - alla teoria generale dell'organizzazione delle azione e ai processi di equilibrazione che le sono propri" (pp. 13-14). * Note 1. Sinclaire, H., "The transition from sensory-motor behaviour to symbolic activity", Interchange, vol. 1, n. 3, 1970. 2. Vengono citati ad esempio i due testi di McNeill: - McNeill, D., "Developmental Psycholinguistics" in Smith F., Miller, G. (eds), The genesis of language, Cambridge, Mass., MIT Press, 1966; - McNeill, D., The acquisition of language, New York, Harper & Row, 1970, cap. 5. 3. La fonte di questa citazione non e' indicata nel testo ma e' probabilmente da riferire a: Piaget, J., L'equilibration des structures cognitives, probleme central du developpement, PUF, 1976. Si ritiene opportuno riprendere eventualmente la citazione dall'edizione italiana: Piaget, J., L'equilibrazione di strutture cognitive: problema generale dello sviluppo, Boringhieri, Torino 1981. 15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 16. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 509 del 16 febbraio 2003
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