SUDAN: gli incontri della delegazione italiana



Nei giorni scorsi una delegazione della Campagna SUDAN, UN POPOLO SENZA DIRITTI, ha visitato il Nord Sudan e ha avuto l’opportunità di incontrare molti rappresentanti della società civile, della chiesa locale, della diplomazia internazionale e del governo in carica. La delegazione era composta da 6 persone rappresentanti di diverse realtà: Tonio Dell’Olio – portavoce della Campagna Sudan e coordinatore nazionale di Pax Christi; Matteo Bina – segretario esecutivo della Campagna; Gino Barsella – Sdebitarsi; Cristina Brecciaroli – Amani; Diego Marani – Nigrizia; Michele Stragapede – Istituto Padri Comboniani.

L’Agenzia Misna sta provvedendo a diffondere comunicati e considerazioni risultanti dalla visita.

Pensando di fare cosa gradita ve li giriamo man mano che vengono lanciati.


Da MISNA

SUDAN  12/2/2003 10:55
GUERRA E VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI, COSÌ SI CONTINUA AD ASPETTARE UNA PACE ‘VICINA’ /PARTE 1

La svolta di pace in Sudan potrebbe diventare realtà nei prossimi mesi. Ma il Paese, oggi, è ancora piagato dalla guerra – che continua nel Sud – e dalla sistematica violazione dei diritti umani. Mentre a Machakos, in Kenya, proseguono le trattative tra i delegati del governo di Khartoum e i rappresentati dell’Esercito di liberazione popolare del Sudan (Spla), per iniziare a costruire il futuro del Paese rimangono da affrontare alcuni nodi problematici. “Il problema più grosso, dal punto di vista dei diritti umani, è quello degli sfollati dalle zone di guerra, ancora deprivati di tutti i diritti fondamentali”, sostiene l’avvocato Abel Alier, autore della pace di Addis Abeba (nel 1972, mentre era vice presidente del Sudan) che mise fine alla prima guerra civile e, oggi, politico dell’opposizione e personalità di riferimento per il negoziato di pace dietro le quinte. L’accordo di pace in Sudan, quest’anno, si farà, secondo Alier, perché conviene a tutti e tutti sono stanchi. Forse, dopo vent’anni di guerra, finalmente le armi taceranno. “Per cui bisogna guardare avanti – conclude l’anziano avvocato -. Bisogna evitare di ripetere gli errori del ’72. Ora abbiamo almeno quattro milioni di sfollati entusiasti di tornare al Sud. Ma vanno aiutati per almeno sei mesi, finché non potranno essere autosufficienti; vanno compensati con i profitti di quel petrolio che li ha costretti ad abbandonare le loro terre. E bisogna avviare un processo di riconciliazione che ci permetta di ricreare la fiducia per vivere insieme”. Sulla necessità e l’urgenza di porre fine – una volte per tutte – al conflitto esploso nel 1983 concorda anche Ali Mohamed Osman Yassin, ministro della giustizia sudanese. “La pace è cruciale, non può esserci vittoria militare – ha osservato nel suo incontro con la Campagna italiana per la pace e i diritti umani in Sudan a Khartoum nei giorni scorsi -. Ogni famiglia ha perso qualcuno, i fondi sono finiti, tutto ciò che guadagniamo finisce nella guerra e ci rimettono i settori di base come l’educazione, la sanità, i servizi sociali e lo sviluppo. Perché?”. Ma c’è di più nelle ammissioni del capo della magistratura sudanese: “I servizi segreti hanno la loro legge, e anche noi non li possiamo controllare. Non si preoccupano dell’evidenza; se solo sospettano qualcuno di minacciare il Paese, reagiscono. Non è il meglio, e spesso vanno oltre i loro limiti. Noi li critichiamo, però vediamo qualche miglioramento”. Così i diritti umani continuano a essere violati in Sudan. Per migliorare la situazione ci vuole la pace e un vero processo democratico. “Lo stato di emergenza condiziona la libertà, specialmente nelle attività politiche. Ci spiace, ma la situazione politica qui ci costringe a questo - ha chiarito Ahmed Ibrahim el-Tahir, presidente del parlamento -. Il Sudan, però, sarà presto normalizzato con la pace. Dai negoziati di Machakos (Kenya) verrà fuori un Paese unito ed un’unica costituzione, che prevederà costituzioni locali per esigenze locali, come per il Sud Sudan. Ma per il processo costituzionale non accetteremo interferenze o monitoraggi. È una questione solo sudanese, e sarà gestita secondo i termini che verranno fuori dall’accordo finale di Machakos da questo parlamento, arricchito dei nuovi membri che verranno dall’Splm” (braccio politico dell’Spla). Però il monitoraggio internazionale la vera novità nel processo di pace sudanese funziona bene per il cessate il fuoco sui monti Nuba. Così è stato accettato, nell’ultimo accordo firmato a Machakos, anche per tutto il resto del Sudan. “Ma dato che la condivisione del potere e delle risorse, in particolare quelle petrolifere, è cruciale nell’attuale fase negoziale - è intervenuto il ministro di stato agli affari esteri Nagib el-Kheir andando al cuore del problema - stiamo facendo progressi significativi. Un accordo che prevederà la condivisione sulla base del grado sottosviluppo nella regione è dietro l’angolo. E anche riguardo questo siamo aperti a un trasparente monitoraggio internazionale”. (Continua)