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La nonviolenza e' in cammino. 500
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 500
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 7 Feb 2003 00:59:37 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 500 del 7 febbraio 2003 Sommario di questo numero: 1. Lo spergiuro 2. Greenpeace in azione contro la guerra 3. Tavola della pace, "l'Europa ripudia la guerra" 4. Eugen Drewermann, la prima guerra del Golfo e le ragioni della pace 5. Carlos Fuentes, ipotesi sulla guerra 6. Anna Maria Merlo, giovani donne nelle periferie degradate 7. Anna Schgraffer presenta "Terra madre. Sopravvivere allo sviluppo" di Vandana Shiva 8. Luciana Percovich presenta "Quintessence" di Mary Daly 9. Riletture: Karl Barth, Antologia 10. Riletture: Benedetta Craveri, Madame du Deffand e il suo mondo 11. Riletture: Lettere di Mademoiselle Aisse' a Madame C... 12. Riletture: Lorenzo Milani, Alla mamma. Lettere 1943-1967 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. LO SPERGIURO Chi assume incarichi di governo del nostro paese giura, nelle mani del capo dello Stato, fedelta' alla Costituzione della Repubblica Italiana, che testualmente stabilisce e impone: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali". Dovrebbe bastare. E quel governante che non si attiene a questo obbligo di legge cui ha giurato fedelta', e' un fuorilegge e un golpista. E quel parlamento che non insorge in difesa della legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico. E quel capo dello Stato che abdica al suo ruolo di supremo difensore e garante della legalita' costituzionale. E questo e' tutto quanto abbiamo da dire su cio' che e' avvenuto ieri nel parlamento italiano. Poi ne abbiamo anche un'altra di cosa da dire, anzi due, e sono le seguenti. Che i golpisti che violano la Costituzione vanno perseguiti penalmente, processati e condannati ai sensi di legge. E che e' dovere di ogni cittadino italiano inverare quel ripudio della guerra che e' legge dello stato, presidio di democrazia, eredita' della lotta antifascista; e norma e voce della coscienza di ogni essere umano; e primo dovere di ogni persona che abbia a cuore le sorti dell'umanita' intera. Per amore e salvezza dell'umanita' intera e' dovere morale e civile di tutti opporsi alla guerra, impedire la guerra, che e' il crimine piu' scellerato di tutti i piu' scellerati crimini. 2. INIZIATIVE. GREENPEACE IN AZIONE CONTRO LA GUERRA [Dall'agenzia di stampa di Greenpeace, "Greenews" (per contatti: e-mail: greenews at greenpeace.it; sito: www.greenpeace.it) riprendiamo e diffondiamo] Roma, 4 febbraio 2003 - Greenpeace ha condotto oggi nuove azioni di protesta contro la guerra in Australia, Francia e Gran Bretagna. Alle 7,45, quattordici attivisti di Greenpeace sono entrati nel porto militare britannico di Southampton. Sette sono stati arrestati, ma cinque sono riusciti ad arrampicarsi sui carri armati che stavano per essere caricati sulle navi militari destinate al Golfo, una volta entrati sono riusciti a chiudersi all'interno. Altri due attivisti hanno dipinto la scritta "No alla guerra" sulle fiancate e si sono incatenati ai carri armati. Contemporaneamente, nel porto francese di Tolone, attivisti di Greenpeace hanno protestato per la partenza di un aereo militare per la Turchia. "Come mai il presidente Chirac, che si oppone pubblicamente alla guerra in Iraq, manda un caccia in Turchia?", si chiedono a Greenpeace Francia. In Australia, la notte scorsa, attivisti dell'associazione hanno innalzato una mongolfiera di fronte al parlamento di Camberra, chiedendo al governo di bloccare le truppe in partenza per l'Iraq, il messaggio era: "give peace a chance". Parlando dal "Rainbow Warrior", a Southhampton, Blake Lee Harwood, di Greenpeace, ha detto: "Greenpeace usera' ogni mezzo pacifico per bloccare l'attacco all'Iraq. Il governo ha gia' tentato di rimuovere la nostra nave dal porto militare, ma troveremo altri modi per opporci ad una guerra che avrebbe conseguenze disastrose". Quale giustificazione alla guerra e' il fatto che Saddam desideri procurarsi armi di distruzione di massa? Le 5 potenze atomiche sono Gran Bretagna, Usa, Cina, Francia e Russia. Altri stati che possiedono armi nucleari sono India, Pakistan e Israele. Secondo gli Usa sono almeno 13 i paesi che compiono ricerche sulle armi biologiche. Per Greenpeace la soluzione alla minaccia delle armi di distruzione di massa e' il controllo internazionale sugli armamenti ed il disarmo. "Gli strumenti ci sono gia': Trattato per la non proliferazione nucleare, Convenzione sulle armi chimiche e Convenzione sulle armi biologiche. Anziche' essere rafforzati questi strumenti vengono continuamente indeboliti, specialmente dagli Usa - ha detto Domitilla Senni, direttore generale di Greenpeace -. Il principale motivo di questa guerra e' il petrolio. Le stesse compagnie petrolifere americane, tra cui la Esso, che si oppongono al Protocollo di Kyoto sono anche dietro a questa guerra". 3. APPELLI. TAVOLA DELLA PACE: "L'EUROPA RIPUDIA LA GUERRA" [Dal sito della Tavola della pace (www.tavoladellapace.it) riprendiamo e diffondiamo] Fuori l'Europa dalla guerra. Fuori la guerra dalla storia. Campagna della Tavola della Pace per chiedere che nell'articolo 1 della Costituzione Europea sia scritto a chiare lettere: "L'Europa ripudia la guerra" Chiediamo che nell'articolo 1 della Costituzione europea sia scritto a chiare lettere che: "L'Europa ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali e riconosce nella pace un diritto fondamentale delle persone e dei popoli. L'Europa contribuisce alla costruzione di un ordine internazionale pacifico e democratico; a tale scopo promuove e favorisce il rafforzamento e la democratizzazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e lo sviluppo della cooperazione internazionale". La nuova Europa deve ripudiare la guerra. Per sempre. Firma anche tu. E invita i tuoi amici a firmare nel sito: www.tavoladellapace.it Perche' e' importante farlo ora? In questi giorni la Convenzione Europea sta discutendo i primi 15 articoli della Costituzione Europea. E' urgente far sentire la nostra voce ai membri della Convenzione. Aderiscono alla campagna per l'articolo 1: Tavola della Pace, Movimento Federalista Europeo, Rete Lilliput ed altri movimenti. 4. RIFLESSIONE. EUGEN DREWERMANN: LA PRIMA GUERRA DEL GOLFO E LE RAGIONI DELLA PACE [Da Elvira Zaccagnino della casa editrice La meridiana (per contatti: media at lameridiana.it), riceviamo questo testo tratto da La fede inversa di Eugen Drewermann, Edizioni La Meridiana, Molfetta 2033, pp. 104, euro 9, a giorni in libreria. Il comunicato de La meridiana lo presenta cosi' (con una certa enfasi che risente di slogan oggi di moda): "Quello che segue e' un passo tratto dal testo a giorni in libreria di Eugen Drewermann. Il volume e' l'intensa, appassionata autobiografia del teologo che ha introdotto impietosamente l'analisi del profondo fin nel cuore della struttura della chiesa. La sofferta, rigorosa testimonianza della ricerca di un'altra dimensione della fede al cui centro non sia il dogma ma un Gesu' vivo. Un altro Dio e' possibile. E' il Dio della nonviolenza infinita. Della compassione verso tutte le creature. Un Dio che ama. Non un Dio che giudica. Per saperne di piu': www.lameridiana.it, cercando tra le novita'. Per ordinarlo: info at lameridiana.it (20% di sconto per chi lo ordina entro il 15 febbraio 2003)". Eugen Drewermann e' un illustre teologo e psicoterapeuta; tra le sue opere segnaliamo almeno: Psicoanalisi e teologia morale; Il vangelo di Marco; Psicologia del profonde e esegesi (due volumi); Parola che salva, parola che guarisce; Il cammino pericoloso della redenzione; Il messaggio delle donne, L'essenziale e' invisibile; I tempi dell'amore; Cenerentola; Il tuo nome e' come il sapore della vita; Il cielo aperto, Parole per una terra da scoprire; tutte presso la Queriniana, Brescia; Guerra e cristianesimo, la spirale dell'angoscia, Raetia, Bolzano] Dal mio punto di vista, la discussione sulle questioni di guerra e pace raggiunse un primo culmine tra l'agosto 1990 e il marzo 1991. Il lettore ricordera'. Non appena l'Iraq, dopo una serie di minacce inequivocabili, ebbe occupato il Kuwait, George Bush dichiaro' che Saddam Hussein doveva ritirarsi immediatamente dallo sceiccato petrolifero; non ci sarebbero state trattative ne' alcuna possibilita' di salvare la faccia. "Arrenditi, topo di fogna, se no ti schiaccio!". Non ho mai provato simpatia per il cinismo della politica del Baath di Baghdad. Ma all'epoca non sapevo che nel 1982 era stata la Cia a progettare l'invasione dell'Iran di Khomeini, usando il dittatore iracheno, per cosi' dire, come un suo cane da guardia sciolto dalla catena. Ero, pero', sicurissimo che nessun arabo si sarebbe lasciato comandare con il tono usato dal presidente americano e che non ci si poteva permettere di rifiutare per mesi le offerte di trattative quando si voleva seriamente la pace. A maggior ragione ero esterrefatto nel dover constatare come anche giornali che fino a quel momento avevano mantenuto un atteggiamento critico, mostrassero la massima comprensione per lo schieramento americano nel Golfo. Ad un tratto lo shock del Vietnam e quindici anni di ricerca sulla pace sembravano cancellati dalla memoria. Mille ottimi consigli su come evitare la guerra: superamento dei pregiudizi sul nemico; rinuncia agli stereotipi negativi dell'avversario; attenzione a non assolutizzare mai il punto di vista dei propri diritti: non si tenne conto di nulla di tutto cio'. Saddam Hussein era un dittatore, un nuovo Hitler, un folle, il male in quanto tale. Attraverso la stampa vennero diffuse immagini falsificate di azioni orribili compiute dai soldati iracheni, cercando di riscaldare cosi' l'atmosfera bellica, e George Bush dichiaro': "Questa guerra non verra' combattuta tra ebrei, cristiani e musulmani: e' in gioco cio' che sta alla base di tutte le religioni: l'eterna lotta tra il bene e il male; e io dico che l'esito di queste guerra non puo' essere che la vittoria del bene". Nei sei mesi che seguivano, avevo sempre davanti agli occhi cio' che sarebbe accaduto. Partendo da determinate basi militari e sfruttando la superiorita' dalla propria aeronautica militare, i bombardieri americani avrebbero scaricato sull'Iraq tutta la gamma delle loro armi di distruzione totale: napalm, bombe a pressione, bombe dirompenti, missili da crociera. E non avrebbe avuto la minima importanza quante decine di migliaia di donne, bambini, uomini arabi sarebbero morti o avrebbero riportato ferite per tutta la vita. Dalla meta' del mese di dicembre 1990, mi convinsi di non poter piu' tollerare la disinvoltura con cui la guerra era nuovamente considerata un mezzo della politica. Come si fa a invocare la pace di Dio e tollerare allo stesso tempo che i propri alleati, gli Usa, il potere cui l'occidente attribuisce il compito di salvaguardare l'ordine, si riservi sempre la possibilita' di muovere guerra senza ammettere alternative, pur di mantenere la propria egemonia? E i vescovi tedeschi, che di solito parlano tanto volentieri, in questa situazione tacevano, ovvero esprimevano la propria preoccupazione. Nel gennaio 1991 assunsi la direzione dell'incontro pacifista in piazza del Municipio a Paderborn. Due volte alla settimana vi si radunavano piu' di mille persone cui cercavo di dire che le preoccupazioni per la propria sorte erano un argomento assai debole a favore della pace. Comunque bisognava smettere di interpretare la vittoria sul campo di battaglia come trionfo della giustizia invece di scorgervi la sconfitta dell'umanita'. Sapevo che non avremmo potuto fermare alcunche', ma volevo dire come stavano le cose. Penavo pure di sapere che dopo la guerra del Golfo il gioco delle vittorie belliche, il commercio d'armi, il marketing petrolifero e soprattutto l'ampliamento dell'egemonia americana, sarebbero stati portati avanti facendosi sempre meno scrupoli e che noi tedeschi, dopo la riunificazione della Germania, saremmo stati trascinati in questo vortice di interessi. Da allora, la lotta per la distribuzione dei beni combattuta tra il primo mondo e il terzo mondo ha assunto la forma di interventi militari, e si proseguira' su questa strada. Cominciai a considerare i successi del movimento pacifista come delle illusioni effimere. Eppure bisogna credere nella pace, perfino se ai nostri giorni appare impossibile vincere la guerra contro la guerra. Sul piano prettamente umano pare che abbia avuto ragione il re goto Teja: bisogna rimanere fedeli a se stessi ed e' questo che conta. Anche la certezza dell'imminente sconfitta non deve dissuaderci dal fare cio' che e' giusto. 5. RIFLESSIONE. CARLOS FUENTES: IPOTESI SULLA GUERRA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 febbraio 2003. Carlos Fuentes e' il grandissimo scrittore messicano autore di quel capolavoro che e' La morte di Artemio Cruz] E se il governo di Ronald Reagan non avesse armato Saddam Hussein per rafforzare l'Iraq contro gli ayatollah iraniani, visti in quel momento come i nemici mortali degli Stati Uniti nella regione? E se il governo di George Bush padre non avesse armato Osama bin Laden e i Taleban per lottare in Afghanistan contro la presenza del nemico sovietico? E se i successivi governi degli Stati Uniti avessero dato un ultimatum al governo di Israele perche' restituisse i territori occupati, cessasse la politica degli insediamenti nei territori palestinesi e obbedisse alle risoluzioni 194 e 242 del Consiglio di sicurezza dell'Onu? E se gli Stati Uniti avessero difeso dal primo momento il diritto del popolo palestinese ad avere un proprio Stato? E se uno Stato palestinese normale, con frontiere sicure e autorita' debitamente elette, si fosse convertito nella migliore garanzia per la pace e sicurezza per lo Stato di Israele? E se le agenzie di sicurezza nodramericane - Fbi e Cia - avessero dato peso alle informazioni e ai tempestivi avvertimenti dei loro stessi funzionari minori per evitare la tragedia dell'11 settembre? E se gli Stati Uniti non avessero sviato l'attenzione mondiale dalla lotta contro il terrorismo, sacrificando l'universale simpatia provocata dal brutale attacco dell'11 settembre, per centrarla nei preparativi di guerra contro l'Iraq? E se non esistesse alcuna prova della connessione fra al Qaeda e Baghdad? E se il vero rifugio di al Qaeda fosse in Pakistan, intoccabile grazie alla sua alleanza opportunistica con Washington? E se non si trovassero prove in Iraq di altre armi rispetto a quelle a suo tempo consegnate dai governi degli Stati Uniti a Saddam Hussein e di cui Donald Rumsfeld possiede la muniziosa contabilita'? E se gli Stati Uniti si spazientissero con i piani imposti dalle ispezioni di armamenti in Iraq e iniziassero la guerra contro Saddam, con o senza una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu? E se il Consiglio di sicurezza avallasse l'attacco contro l'Iraq e rinunciasse a ogni futura autorita' di fronte all'egemonia unipolare degli Stati Uniti? E se l'opinione pubblica occidentale contraria con maggioranze fino all'80% all'avventura irachena di Bush, si rivoltasse contro i suoi stessi governi che seguono docilmente la politica bellica di Washington? E se lo "scontro di civilta'" popolarizzato da Huntington si spostasse dall'opposizione Occidente-Islam all'opposizione Occidente europeo-Occidente nordamericano? E se le armi degli Stati Uniti scatenassero la guerra totale contro l'Iraq e sconfiggessero Saddam dal cielo? Ma, e se la resistenza irachena obbligasse i nordamericani a battersi nelle strade di Baghdad, casa per casa, con perdite crescenti fra i soldati degli Stati Uniti? E se l'opinione pubblica degli Stati Uniti, come accadde nel caso del Vietnam, togliesse la sua fiducia al presidente Bush nel caso che l'Iraq divenisse un nuovo marasma militare? E se nessuno potesse governare un Iraq diviso caoticamente fra sciiti, sunniti e kurdi? E se il popolo iracheno non tollerasse una occupazione sine die e un proconsolato del tipo di quello esercitato dal generale MacArthur nel Giappone vinto? Come risponderebbe la Turchia, paese alleato della Nato, all'improvvisa esplosione del problema kurdo alle sue frontiere con l'Iraq? Come risponderebbero i governi della periferia islamica, dall'Algeria fino all'Egitto e dalla Siria fino all'Arabia Saudita, all'insediamento di un'occupazione militare in Mesopotamia? E come risponderebbero le popolazioni islamiche della stessa regione alla visibile subordinazione di un paese di fede islamica agli Stati Uniti? E se le potenze nucleari minori, dall'India fino alla Corea del nord, approfittassero della distrazione nordamericana sull'Iraq per arricchire i loro arsenali? E se gli Stati Uniti non fossero capaci di condurre piu' di una guerra - quella contro l'Iraq - senza poter rispondere a quell'insigne membro dell'"asse del male" che e' il satrapo nordcoreano Kim Jong Il? E se l'Afghanistan, abbandonato e a mezza cottura, continuasse a deteriorarsi? E se la guerra nordamericana contro piu' nazioni - il famoso "asse" Baghdad-Tehran-Pyongyang - aprisse un fronte mondiale permeabile al terrorismo che agisce senza bandiere e senza frontiere? E se la Russia e la Cina si sentissero minacciate nei loro interessi nazionali dall'assedio nordamericano? E se il mondo intero finisse per vedere nell'azione di Bush una petro-guerra decisa per accaparrarsi fino al 75% delle riserve mondiali di oro nero? E se la stessa cittadinanza degli Stati Uniti finisse per identificare l'attuale amministrazione nordamericana come un semplice "petro-potere" piu' interessato a proteggere gli interessi economici delle compagnie rappresentate, de facto, da Bush e Cheney? E se il governo di Bush non riuscisse a equilibrare le spese crescenti per la difesa, le calanti entrate fiscali, la dilapidazione dei superavit fiscali e di bilancio lasciati da Clinton? E se entro due anni Bush perdesse le elezioni lasciandosi dietro "campi di solitudine e poggi avvizziti"? E se il partido democratico si armasse di coraggio politico e morale per sfidare la catastrofica arroganza del governo di Bush e proponesse una ridefinizione morale e strategica degli Stati Uniti fondata sull'esercizio prudente del potere, la capacita' di dialogo con alleati e avversari e l'assoggettamento alle norme del diritto pubblico internazionale? E se Saddam Hussein avesse armi di distruzione di massa e non le usasse a meno di essere attaccato, sapendo che se le usasse sarebbe, massicciamente, attaccato? E se fossimo sulla soglia della Terza - e ultima - Guerra mondiale? E se le ragioni psicologiche dell'Apocalisse fossero la vanita' di un bambino ricco che non ha mai combattuto in una guerra ed e' entrato all'universita' di Yale con voti infimi e raccomandazioni massime, che dice a suo padre: "Guarda, papino, io si' che sono stato capace di fare quello che tu non sei riuscito a fare"? E se anche il primo impero egemonico unipolare dai tempi di Roma non ascoltasse, come Roma non ascolto', la voce di saggezza dell'altro, il greco di sempre: "La tracotanza, l'orgoglio smisurato, l'insolenza lasciva perdono gli uomini e le nazioni"? E se, davvero, la situazione fosse "scritta in greco"? 6. FRANCIA. ANNA MARIA MERLO: GIOVANI DONNE NELLE PERIFERIE DEGRADATE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 febbraio 2003] Hanno scelto un luogo altamente simbolico per avviare il tour de France che si concludera' a Parigi l'8 marzo prossimo: un gruppo di ragazze e' partito sabato scorso da Vitry sur Seine, la cittadina della banlieue parigina dove il 4 ottobre scorso Sohane, una ragazzina di 17 anni, e' stata bruciata viva in mezzo alle pattumiere perche' aveva osato dire "no" al caid del quartiere. Le ragazze della Federation de la Maison des Potes (organizzazione vicina a Sos racisme) con la marcia che tocchera' 28 citta' francesi, dove verranno organizzati dibattiti ma anche non meglio precisate "azioni clamorose", intendono sensibilizzare i francesi sulle condizioni delle giovani donne nei quartieri di periferia. L'anno scorso queste ragazze avevano riunito piu' di 250 persone alla Sorbonne, per discutere della violenza di cui sono vittime le giovani donne nei quartieri della periferia degradata. Il loro manifesto dal titolo deciso - "Ne' puttane ne' sottomesse" - ha raccolto piu' di quindicimila firme. "Bisogna portare il dibattito sulla piazza pubblica", spiega Fadela Amara, la presidente della Federation. Le donne sono le prime vittime della violenza che pesa sulle banlieues, denuncia il movimento. La prova sono i casi di stupro di branco in netta crescita. "La regressione dello status della donna nei quartieri - dice Fadela Amara - si e' tradotta in una recrudescenza delle violenze verso le ragazze, in matrimoni forzati, in molestie da parte dei ragazzi". Fadela Amara aggiunge: "In famiglia e nei quartieri non si parla di sesso. Non e' piu' permesso fumare. Non e' piu' permesso mettersi una gonna. Non e' piu' possibile frequentare dei ragazzi, se no si passa per la puttanella del quartiere. Non e' piu' permesso partecipare a una conversazione. Ci viene detto: 'torna a casa', o `vattene'. Le ragazze vengono ritirate dalle scuole. Il mito della beurette (slang per ragazza di orgine araba) che studia si e' infranto". La marcia e' appoggiata da tutti i partiti e da numerose personalita'. Ha dato il suo sostegno anche Samira Bellil, che l'hanno scorso aveva fatto molto discutere con la pubblicazione del libro autobiografico, dieci anni e una lunga terapia psicanalitica dopo i fatti, Dans l'enfer des tournantes, dove ha raccontato i tre stupri di branco di cui e' stata vittima in una cantina di un palazzone di periferia. Basta passeggiare in una banlieue qualsiasi per notare l'aumento considerevole di ragazze che in Francia portano il velo islamico. Per il movimento che ha organizzato la marcia, e' una forma di difesa che le giovani donne scelgono per essere lasciate in pace, visto che gli spazi di liberta' ormai non esistono piu'. Le ragazze sono obbligate a diventare invisibili, a passare lungo i muri con la testa bassa: "se no la reputazione di puttana arriva. La diceria diventa violenza contro le donne, strumento del controllo sociale", afferma Horia Kebabza, una dottoranda che sta facendo una ricerca per la delegazione interministeriale per la citta'. Il movimento mette in causa direttamente gli imam di quartiere, che radicalizzano i giovani, peraltro sempre piu' esclusi dalla societa'. Ma la violenza non riguarda solo le ragazze di origine araba o africana. Anche le cosiddette "francesi d'origine" che ancora vivono nei quartieri difficili (malgrado il continuo esodo, che ne fa sempre piu' dei ghetti etnici) sono ridotte a vittime della violenza dell'ambiente. Secondo il sociologo Daniel Welzer-Lang, e' in corso un ben visibile fenomeno di "irrigidimento virilista" tra i giovani di periferia, disoccupati, che non riescono a uscire dal ghetto che a loro volta trasformano in inferno per chi e' piu' debole di loro. I ragazzi, spiega il sociologo, educati con valori tradizionali, si rivoltano contro l'assenza di prospettive prendendosela con le donne. "Non ce la faccio piu' a stare zitta", sostiene una partecipante alla marcia. "Da anni - denuncia - le mie sorelle, le mie cugine, le mie amiche subiscono questa violenza. Prima si percepiva una solidarieta', oggi noi giovani donne ci nascondiamo, cerchiamo di passare inosservate". Delle rappresentanti della Federation sono ormai nell'Osservatorio sulla parita', istituito dal governo. 7. LIBRI. ANNA SCHGRAFFER PRESENTA "TERRA MADRE. SOPRAVVIVERE ALLO SVILUPPO" DI VANDANA SHIVA [Dalla rivista "Una citta'" n. 108 del novembre 2002 (sito: www.unacitta.it). Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002] Quando il pensiero non e' dominato dalla paura e dalla diffidenza, ma ispirato dalla compassione e illuminato dalla saggezza, allora possono nascere libri come questo. L'edizione originale e' del 1988 e apparve in Italia nel 1990, con il titolo Sopravvivere allo sviluppo. A quell'epoca non ebbe molta fortuna, fu pubblicato da una casa editrice piuttosto marginale che doveva aveva qualche problema di distribuzione. Mi ricordo l'impressione di sorprendente contrasto fra la superba statura intellettuale dell'autrice, il brillante livello politico del contenuto, e la pochezza della veste, combinata con la scarsa reperibilita' dell'edizione. Ecco il mondo alla rovescia, pensai: era come se ci avessero regalato un prezioso gioiello avvolto in carta di giornale. Ora, a distanza di dodici anni, questo primo, importante saggio di Vandana Shiva viene ripubblicato con le dovute revisioni, che pero' sono poca cosa, quasi che il tempo sia rimasto fermo, se non tornato indietro. Viene pubblicato in veste piu' accurata da un editore tutt'altro che settoriale, Utet, e con un titolo che gli rende finalmente giustizia: Terra madre: sopravvivere allo sviluppo. A parte alcuni dati numerici, e' rimasto sostanzialmente immutato, poiche' nell'arco di questi ultimi anni, di fronte al confermarsi di quelle valutazioni, c'e' piu' che mai bisogno delle idee e della lucida visione di cui e' testimonianza. * All'inizio degli anni '80, il nome di Vandana Shiva comincio' a circolare anche in Europa associato a quello del movimento Chipko. Chipko era nato come movimento di difesa e autodifesa collettiva di gruppi di donne indiane abitanti delle regioni montuose himalayane e legate alle foreste da una sorta di simbiosi, in un tipo di economia completamente diverso da quello dominante, l'economia di sussistenza. Grazie alla quale le popolazioni delle zone rurali e di montagna si garantivano una sopravvivenza dignitosa senza essere opulenta, e soprattutto sostenibile per i secoli dei secoli. Quelle donne dunque diedero vita a un movimento perche' volevano evitare che gli alberi e le foreste, da cui traevano collettivamente sostentamento tutte le famiglie, venissero tagliati dalle imprese multinazionali pronte a disboscare per fare spazio a coltivazioni di eucalipti e altre essenze con la mira di profitti a breve termine. Due economie si scontravano; di queste, una chiedeva di essere lasciata sopravvivere in pace senza dar fastidio a nessuno e l'altra divorava sempre piu' territori e risorse, pretendendo di imporre se stessa come unica economia possibile. Che quest'ultima pretesa fosse, anzi sia una forma inaccettabile di violenza, e' uno dei temi principali che Vandana Shiva discute nella sua opera. Ma si tratta anche del confronto fra due visioni del mondo. Percio' quelle donne, portatrici di una visione ispirata al valore del principio femminile presente anche nell'antica tradizione cosmologica indiana, cominciarono a legarsi agli alberi, nell'intento di fermare le motoseghe, cioe' la distruzione delle proprie fonti di sostentamento sostenibile e anche la distruzione dei propri tesori di conoscenza e sapere, da noi definiti allora "alternativi". * Vandana Shiva e' nata in India nel 1952. Dotata di un eccezionale intelletto, si reco' a studiare fisica nucleare negli Stati Uniti; dopo la laurea si dedico' a un dottorato di ricerca sulle particelle subatomiche. A quel tempo pensava, come scrisse in seguito, che avrebbe trascorso ogni giorno della propria vita in compagnia delle particelle nucleari. Invece, dopo aver fatto un'esperienza molto istruttiva su quel che combina l'industria del nucleare nel mondo e soprattutto nei confronti della popolazione, a un certo punto volto' le spalle a una brillante carriera nel programma di energia nucleare del suo paese, poiche' si era resa conto "che la gente era tenuta all'oscuro delle ripercussioni dei sistemi nucleari sui sistemi viventi". Si dedico' quindi alla ricerca indipendente nell'ambito della scienza, della tecnologia e della politica ambientale. Nel 1982 fondo' un istituto indipendente, la Fondazione di Ricerca per la Scienza, la Tecnologia e l'Ecologia (Rsft), per una ricerca di qualita' volta ad affrontare le piu' importanti questioni sociali-ecologiche dei giorni nostri. In questo campo collaborava strettamente con le comunita' locali e i movimenti sociali, soprattutto dell'India, in cui le donne erano (e sono) protagoniste, e infatti quando anni dopo (1993) le fu conferito il cosiddetto premio Nobel alternativo, il Right Livelihood Award, che vuol dire "per il retto modo di vivere" (e viene consegnato nella stessa sede del premio Nobel, ma il giorno prima). Lei lo consegno' a sua volta alle donne delle montagne che avevano dato vita a Chipko. * Il libro Terra madre e' rilevante a piu' livelli. Sul piano politico immediato, e' un articolato intervento sulla politica economica della cooperazione allo sviluppo, una dura denuncia nei confronti della Rivoluzione Verde, che viene fatta passare come soluzione al problema della fame nel mondo. L'intervento e' particolarmente significativo poiche' e' una risposta che proviene da un'esponente dei/delle diretti/e interessati/e, una portavoce di gruppi rurali del Sud del mondo. La sua posizione e' argomentata in base a fatti molto concreti, per esempio l'impoverimento reale che la popolazione rurale (nella fattispecie quella indiana) ha subito in seguito alla Rivoluzione Verde che, al di la' delle dichiarazioni filantropiche dei suoi promotori, per gli agricoltori e coloro che praticano l'economia di sussistenza nelle zone forestali e' invece qualcosa da cui occorre difendersi. Per sopravvivere, appunto, allo "sviluppo". Per questo introduce una parola di nuovo conio, entrata a partire dagli anni Sessanta nel lessico comune: la parola "malsviluppo", in inglese maldevelopment (cosi' come anche in francese), un ibrido da lei usato nel senso di "sviluppo sbagliato", pur contenendo volutamente (come scrive Marinella Correggia, la traduttrice) un accenno alla sua natura di "sbagliato perche' maschile" (in inglese male). * Un altro motivo per il quale questo libro merita attenzione e' quello della visibilita' che esso rende al lavoro e al sapere delle donne indiane rurali e soprattutto al loro impegno e alla loro tenacia nel difendere e sostenere le condizioni per una sopravvivenza autonoma e dignitosa. Le persone che in quel movimento hanno agito e agiscono, lottano e fanno poesia per difendere le foreste e i propri stili di vita dall'assimilazione a un'economia e a una visione del mondo con pretese di validita' universale, vengono citate per nome e cognome, da vere protagoniste, vengono messe insomma individualmente sul dovuto piano di importanza, e considerate altrettanto degne di attenzione di chi, come l'autrice, ha assunto una posizione di leader. Anzi, piu' degne: con una modestia tipica degli spiriti illuminati, Vandana Shiva tira indietro se stessa per lasciare che lo sguardo si posi sulle singole donne (e, se del caso, uomini) del movimento. * E' altresi' un contributo interessante sul piano filosofico, poiche' mette in discussione le pretese di validita' e di superiorita' di una scienza che in definitiva e' solo un tipo particolare di scienza: la scienza meccanicistica e cartesiana. Una fra le tante possibili. Parallelamente, un'economia particolare, l'economia del capitalismo industriale, pretende di avere valore unico e universale e tenta, con le buone e con le cattive, di imporsi come l'economia tout court; la visione scientifica particolare e limitata del meccanicismo pretende di dominare anche screditando gli altri tipi e modi di sapere esistenti e relega cosi' un'infinita gamma e ricchezza di conoscenze disponibili in posizioni subordinate, marginali e reiette. E' di importanza fondamentale (e non finisce di stupirci) il fatto che al giorno d'oggi la scienza piu' astratta di tutte, la fisica quantistica, quella che ha raggiunto il piu' alto grado di distacco matematico e teorico dalla concretezza terra terra del vivere quotidiano, quella che piu' di ogni altra ha portato alle estreme conseguenze il volo di un pensiero distaccato dalla "vita", riduzionista (poiche' riduce la sostanza di cui siamo fatti a nient'altro che formule e numeri), abbia finora reso giustizia in misura massima, fra le scienze naturali, alla grandiosa complessita' della vita e della natura, nel rispetto del nostro sentire "l'universo come dimora" (per approfondire questo concetto si potrebbe leggere per esempio Il cosmo intelligente di P. C. Davies, un professore di fisica che si occupa di comprendere l'universo e anche di esporre cio' che ha compreso in modo da trasmetterlo a persone non addette ai lavori). Scrive Vandana Shiva nella prefazione a un altro dei suoi libri, Tomorrow's Biodiversity, del 2000 (ed. it. Campi di battaglia: biodiversita' e agricoltura industriale, Edizioni Ambiente, 2001): "Dal punto di vista filosofico, posso dire che la mia formazione da fisico quantistico mi ha aiutata molto a occuparmi di questioni cosi' complesse. Mentre la fisica classica di Cartesio e Newton descriveva un mondo formato da entita' atomizzate, isolate e immutabili, la teoria dei quanti ha riformulato il mondo definendolo un insieme di sistemi interagenti, inseparabili e in costante cambiamento, dotato di potenzialita' inestimabili piuttosto che di proprieta' e fenomeni fissi. Sono queste caratteristiche di "inseparabilita' e "indeterminatezza" che ispirano il mio approccio ai sistemi naturali e all'impatto umano sull'ambiente. (...) Attraverso la lente della biodiversita' il mondo si rivela molto differente e reclama un cambiamento nei modelli tecnologici e di mercato dominanti. Un passo necessario verso la sostenibilita'". Non e' un caso ne' una bizzarria percio' se la scienziata nucleare, nelle prime righe dell'Introduzione al suo primo libro, attacca parlando male dell'Illuminismo e della teoria del progresso, e nel terzo capitolo, Le donne nella natura, ci espone con attenzione e rispetto, cioe' senza tacciarli di superstizione, alcuni fondamenti dell'antica visione cosmologica indiana, le tradizioni popolari ed esoteriche: il sakti, il principio femminile e creativo dell'universo, e il prakrti, la natura. In uno dei suoi scritti successivi, senza alcun bisogno di abbandonare il rigore del metodo scientifico, ma anzi proprio in virtu' di esso, Vandana Shiva arrivera' a fare piazza pulita di un altro dei nostri polverosi pregiudizi sulla mentalita' indiana, da noi considerata retrograda a causa del rispetto per le vacche sacre. Neanche piu' la vacca sacra occidentale del pregiudizio contro le vacche sacre ci lascia adorare! Affrontando la questione centrale della democrazia alimentare, infatti, in un altro dei suoi libri intitolato appunto Vacche sacre e mucche pazze: il furto delle riserve alimentari globali (ed. DeriveApprodi), Vandana Shiva riesce a rendere al massimo l'idea: "La mucca pazza, frutto di incroci transpecifici, e' un 'cyborg' secondo la femminista Donna Haraway, che aggiunge: 'Preferirei essere un cyborg che una dea'. In India, la vacca e' Lakshmi, dea della prosperita', e il suo letame e' adorato come Lakshmi perche' rinnova la fertilita' della terra, nutrendola in modo naturale. La vacca e' sacra perche' e' al centro della sostenibilita' della civilta' agricola. La vacca come dea e cosmo simboleggia la cura, la compassione, la sostenibilita', l'equita'. Dal punto di vista sia delle persone che delle vacche, io invece preferirei essere una vacca sacra piu' che una mucca pazza". * Considerando le situazioni nell'ottica della relazione, come suggerisce la visione di un universo interconnesso, la domanda e' sempre: come si configurano i rapporti di potere? Partendo dalla considerazione dei rapporti di potere, la terza linea parallela individuata dall'autrice e' quella del patriarcato. L'instaurazione di un nesso concettuale fra scienza, economia politica e patriarcato, e cioe' il nesso rappresentato dal tema della volonta' di dominio unico, e' apprezzabile come uno dei risultati fondamentali di questo libro. In altre parole: contiene una riflessione sul rapporto sviluppo-tecnologia-donne e sul rapporto scienza-natura-genere che riprende e approfondisce quella di Carolyn Merchant (La morte della natura, Garzanti, 1988) e quella di Evelyn Fox Keller. Il seguito della riflessione si puo' leggere nella raccolta di testi intitolata, con termine assai significativo, Monocolture della mente: biodiversita', biotecnologia e agricoltura "scientifica" (Bollati Boringhieri, 1995). L'andamento del ragionare e' piuttosto circolare, alcuni lo trovano ripetitivo; io invece lo definirei meditativo, poiche' torna e ritorna sullo stesso punto pero' ogni volta da un'angolatura, secondo una sfaccettatura un po' diversa, girando in tondo come il falco che scruta dall'alto la preda planando in cerchi lenti sulla campagna per buttarsi infine in picchiata, come i pensieri di Shiva che catturano fulminei il punto della questione, illuminandolo. * Purtroppo, questo libro non e' stato riproposto per il suo valore storico ma per la insuperata attualita' dei suoi temi. Oggi lo "sviluppo" incombe con ancor piu' temibili minacce sulla gente dell'India che vive di agricoltura e di sussistenza: lo denuncia per esempio la scrittrice Arundhati Roy (autrice del romanzo Il dio delle piccole cose e del saggio La fine delle illusioni), ricordando in un recente intervento che dal 1947 ad oggi, in India, secondo stime ufficiali ci sono stati circa 56 milioni di sfollati senza risarcimento per cause ambientali. Altro che politica dello sviluppo. Vandana Shiva nel frattempo ha pubblicato una serie di altri saggi tutti interessantissimi ed e' stata insignita di una considerevole quantita' di premi e riconoscimenti in vari Paesi e a livello internazionale per l'approfondimento del paradigma ecologico e per avere unito la ricerca all'azione. E' stata fra coloro che hanno promosso il Social forum mondiale di Porto Alegre ed e' una delle voci di maggior prestigio sulle tematiche piu' controverse della globalizzazione. Credo che nessuno comunque si azzardi a definirla una contestatrice no-global. 8. RIFLESSIONE. LUCIANA PERCOVICH PRESENTA "QUINTESSENCE" DI MARY DALY [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo intervento su "il viaggio metapatriarcale di rabbia e speranza di Mary Daly"; intervento cosi' presentato dalla redazione della rivista e sito femminista: "Mary Daly, filosofa, teologa, femminista radicale, e' stata in Italia a dicembre per un breve ciclo di conferenze, su invito della Libera Universita' delle Donne di Milano. Pubblichiamo qui di seguito l'introduzione di Luciana Percovich alla giornata seminariale presso la Libera universita' delle donne, che era stata preceduta da gruppi di lettura di Al di la' di Dio padre, uno dei primi due libri di Mary Daly (The Church and the Second Sex, 1968; Beyond God the Father: toward a Philosophy of Womens Liberation, 1973), gli unici tradotti in Italia"] Questo incontro con Mary Daly ha sicuramente qualcosa della magia delle invocazioni/evocazioni - di cui lei parla in Quintessence, Realizing an Archaic Future, A Radical Feminist Elemental Manifesto - e quindi con la quinta dimensione, cioe' con quello spazio di creativita' libera che permette alle donne che osano usare i propri poteri elementali di trovarsi nel flusso del movimento creativo dell'essere, che inutilmente le leggi paralizzanti e necrotizzanti del patriarcato hanno cercato di nascondere e bloccare dentro di noi. Infatti questo incontro e' gia' cominciato mentre leggevo Quintessence: poiche' e' vero che i libri hanno una loro aura - che emanano una loro propria energia. Cosi' come le parole, che "possono generare la loro propria energia" se sono usate secondo la loro vera natura, cioe' per sprigionare senso e creare nuove connessioni e sinapsi in menti ricettive. Mentre leggevo mi sono sentita cosi' in sintonia con lei che ho sentito e seguito l'impulso di scriverle per dirle semplicemente grazie di averlo scritto. Presso l'editore, naturalmente, non avevo il suo indirizzo. Qualche mese dopo, alzando la cornetta del telefono, ho sentito una voce sconosciuta che diceva: "I am Mary Daly, I'm looking for Luciana...". Superata l'emozione, abbiamo cominciato a parlare e cosi', un po' alla volta, si e' materializzata la presenza di Mary, qui e ora, tra noi. E' un po' come succede all'inizio di Quintessenza, quando lei si trova trasportata nel futuro, nel 2048, da una giovane studiosa che sta per ripubblicare il libro a cinquant'anni dalla sua prima edizione: anche se, in questo caso, la distanza temporale che ci separava e' solo quella del fuso orario e questo e' solo il vecchio, vecchissimo continente Europa, e non il nuovo continente perduto e ritrovato di Quintessence. Per molte di voi, per le piu' vecchie tra noi, Mary Daly e' un nome che ci riconnette alle origini dei gruppi di donne, un nome che sembrava perso insieme al clima vulcanico dei primi anni '70. Per le piu' giovani e' un nome nuovo di zecca. Perche' di lei, che ha continuato a scrivere e pubblicare libri negli Stati Uniti, sono stati tradotti in Italia soltanto i primi due, che appartengono agli albori del femminismo. Poi piu' niente. Questo e' un chiaro segno del "tempo terribile", quei tremendi anni '80 e '90 di cui lei parla piu' volte in questo libro, segnati dal contrattacco di tutte le istituzioni al movimento delle donne, di cui la maggior parte e' stata dispersa e ricacciata fuoriscena, che ha visto richiudersi gli spazi editoriali e chiudere molte librerie di donne accanto alla contemporanea espansione dei women's studies accademici, di cui non ha una grande stima, dato che crea apposta il gioco di parole tra Accademia = Accadementia... Questa restrizione di spazi e' stata una realta' sperimentata in prima persona da Mary Daly, che e' stata licenziata ben due volte dall'universita' dove insegnava. Questo in Italia ha voluto dire che nessuna editrice ne' editore ha piu' avuto la curiosita' e il coraggio di tradurre almeno uno dei suoi nuovi libri, usciti con scansione regolare quasi ogni cinque anni. Sicche', nel gruppo di lettura che abbiamo fatto alla Libera Universita' delle Donne di Milano in preparazione di questo incontro, abbiamo dovuto arrangiarci con le fotocopie di Al di la' di Dio padre reperito in una biblioteca, neanche fosse un reperto archeologico sopravvissuto da un remoto passato. Questo testo - insieme a La Chiesa e il secondo sesso - nell'introduzione all'edizione del 1985 e' giudicato da Mary Daly come espressione del suo periodo "riformista". In quella stessa introduzione - in cui la qualita' della scrittura mostra con immediata evidenza il cambiamento avvenuto in lei - Daly parla di se', della vecchia Mary Daly, come di una "precorritrice"; e tuttavia dice anche che questi suoi primi due libri sono stati "opere profetiche", necessarie e che non rinnega, ma rispetto alle quali/a partire dalle quali ha preso il volo verso un'altra dimensione dello spirito e della parola: "Al di la' di Dio padre apre le porte alla percezione e traccia l'inizio di una nuova strada". E da lettrici possiamo confermare che si e' trattato di un libro che ha lasciato una traccia indelebile in chi lo ha letto. Per riempire questa interruzione di flusso di comunicazione che abbiamo subito in una presentazione che vuole essere breve per non portare via il tempo a Mary Daly e che tuttavia e' necessaria per riempire almeno in parte questo silenzio forzato provero' a dire qualcosa del titolo che ho dato a questo incontro, di Quintessence e della qualita' e degli effetti della sua scrittura/pensiero/azione. * Abbiamo scelto come titolo per questo seminario "Il viaggio metapatriarcale di rabbia e speranza di Mary Daly". Il viaggio e' infatti una delle metafore metamorfiche che lei usa ripetutamente. Con il termine "metafore metamorfiche" intende il potere posseduto dalle parole di portarci in un tempo/spazio che e' al di la' dell'essere statico e di trasformarlo generando uno shock cognitivo, ossia il brusco salto di intensita' che si ottiene abbandonando lo stato che le parole hanno ormai normalmente acquisito, quello cioe' di "metafore svanite" e fuorvianti. Invece: "le parole elementalmente metamorfiche (tornate in contatto con l'energia degli elementi del cosmo) ridisegnano linee di forza, irrompono al di la' dei confini e li cambiano". "Viaggio" sottolinea dunque l'essere in movimento, l'apertura, la ricerca, e spesso la scoperta di essere arrivate altrove. Pero' il viaggio puo' essere anche l'esito di una dispersione forzata a causa di una amnesia indotta sul proprio senso dell'orientamento, che ha prodotto una vera e propria diaspora delle donne e nelle donne, una frattura tra donne e dentro ad ogni donna. Per cui le donne, ferme nella dimensione del patriarcato, o sono prigioniere - quindi impedite forzatamente al movimento - o sono sparpagliate prive di memoria, in modo da non poter mai mettere insieme le loro potenti energie. Il suo viaggio e' cominciato dal centro del sistema androcratico, rappresentato dal suo simbolo piu' intimo, essenziale e metafisico, Dio, e da li' si e' espanso a velocita' e ampiezza sempre piu' vaste, in un vorticoso movimento a spirale. Un movimento che - come quello del dna e delle galassie - e' continuo, vitale, si puo' percorrere nei due sensi, contemporaneamente in avanti e indietro, in senso orario e antiorario, come le streghe un tempo ben sapevano. Un movimento che non e' piu' l'unico concesso dentro al sistema concettuale del patriarcato - che definisce e ammette il movimento solo come unidirezionale, omogeneo, continuo, dal passato al futuro, e genera la gabbia della relazione sintattica tra soggetto e oggetto, il principio unidirezionale della causa e dell'effetto, ecc. ecc. In questo librarsi alta sul mondo, il viaggio le fornisce una nuova visione, che si fa sempre piu' nitida e implacabile e fotografa - come prove da esibire oltre la resistenza che fa la memoria - gli incessanti assalti e le vittorie mortali del devastante sistema all'opera - chiamato appunto patriarcato. Questa sua "scrittura in viaggio", la sua lucidita' implacabile nella descrizione dei meccanismi da cui siamo governate, ha l'effetto, in chi legge, di provocare quello shock cognitivo proprio delle parole metamorfiche, di snidare e liberare l'angoscia e il dolore e la rabbia (rispetto ai quali ci siamo/ci hanno anestetizzate) e torniamo giustamente a sentire dolore e rabbia, permettendoci finalmente di vedere veramente cio' che accade intorno a noi e dentro di noi. Questa lucidita' - nella frazione di secondo successiva - si trasforma in determinazione, in movimento, in energia di speranza che mostra come sia possibile (e necessario) superare, andare oltre la pura negativita' dello stato presente paralizzante e necrotico, perche' guai a non aprire la gabbia che ci vorrebbe per sempre ridotte nel ruolo di "cadaveri riconoscenti". Il viaggio supera cosi' e si lascia alle spalle "Dio Padre" come un cartello fuori uso e si infila nel cuore dell'energia creativa bloccata, esorcizzata, vampirizzata in noi dalle regole del patriarcato. Il viaggio ora trova il suo carburante per andare oltre proprio nella rabbia finalmente liberata: la rabbia e' "una passione da drago, e noi siamo in grado di cavalcare i ritmi della rabbia che corre. Come uccelli usciti di gabbia, i suoni che emettiamo erompono e prendono il volo in cerca di vibrazioni affini". In questo modo la rabbia viene transustanziata: "la giusta rabbia, il sentimento piu' adatto alla realta' presente, puo' generare energia creativa", uscendo dal circolo vizioso delle recriminazioni e del dolore, trasformando il circolo vizioso in spirale che si apre alla speranza. Che e' l'improvviso sollievo di chi sente finalmente allentata la presa delle grinfie terrificanti (le prigioni mentali, il pensiero coatto e automatico, i sensi di colpa indotti, tutte le emozioni sciupate e stereotipate), via, assaporando la gioia di portare con se' le altre, gli altri, "tutto quello che si puo' salvare". Il viaggio metapatriarcale e' un'avventura che comporta il risveglio dei sensi. Si manifesta come "vivere ai margini delle istituzioni patriarcali. Una che vive ai margini puo' in apparenza continuare a svolgere lo stesso lavoro di prima ma l'intensificarsi e l'espandersi dei suoi poteri elementali di percezione pervadono tutte le sue attivita'. Mentre guarda e ascolta giudiziosamente con gli occhi e le orecchie ordinari vede e sente con il terzo occhio e il terzo orecchio interni. Il margine sul quale vive e lavora continua quindi a trasformarsi". Rileggere il testo scritto nel 1973 da Mary Daly nel gruppo di lettura e' servito a ricordarci le potenti intuizioni dei primi tempi in cui iniziammo a riunirci tra donne, ma ora e' come se le capissimo con un nuovo spessore. Gli esiti piu' recenti del patriarcato - il rapido susseguirsi di guerre, di stupri, di pulizie etniche, il riacutizzarsi dei fondamentalismi monoteisti, le biotecnologie massicce proterve e sempre piu' pervasive, ecc. - che sono accaduti giorno per giorno sotto ai nostri occhi in questi trenta anni di movimento delle donne, con una deriva accelerata e sempre piu' sfacciata, hanno reso al tempo stesso piu' visibile e invisibile quella che Mary Daly definisce "la politica dello stupro", ossia l'espansione sistemica del ginocidio in genocidio ("la violenza contro le donne e' la fonte e il paradigma di tutte le altre violenze"). * Quintessence svolge il paradosso temporale possibile per chi e' uscita dalla gabbia del pensiero logico e unidirezionale, dal sistema monoculturale imposto dal patriarcato. Lo spazio dove si svolge e' la spirale transtemporale e transpaziale accessibile a chi ha imparato a viaggiare nella quinta galassia, nel quinto elemento, la "Quinta Essenza". Quintessence e' quindi una narrazione che comincia con l'incipit di un romanzo fantastico e racconta come e' andata a finire con l'espansione epidemica del ginocidio da un lato, e con il continuo crescere ai margini della conoscenza delle "donne furenti" dall'altro - negli anni compresi tra la prima (1998) e la seconda edizione del libro (2048). Mentre sta per essere dato alle stampe, nel 1998, il suo nuovo testo che ha intitolato Quintessence, la scrittrice si trova improvvisamente richiamata in un altro punto del tempo, nel 2048, quando Annie, una giovane studiosa del femminismo del '900, la evoca per affetto e desiderio di maggiore conoscenza del periodo che sta studiando. Superata la sorpresa di entrambe, Annie le racconta come negli anni intercorsi la Terra abbia subito una radicale trasformazione, un'inversione dell'asse terrestre - come probabilmente gia' altre volte nel corso della storia del pianeta - che tra terremoti, eruzioni vulcaniche, inabissamento di terre sotto gli oceani ha radicalmente modificato, anzi cancellato, gli squilibri rovinosi cui il patriarcato aveva portato il mondo, a una velocita' sempre piu' folle. La Terra insomma si era finalmente svegliata, stanca di sopportare oltre le continue punzecchiature di parassiti e cimici impazzite, e aveva iniziato un processo di pulizia vomitando fuori i veleni che l'avevano fatta ammalare. Le donne dotate di coscienza e visione, e tutte le altre creature biofiliche, emarginate e sbeffeggiate fino a quel momento come inutili cassandre, all'inizio di questo cataclisma si erano messe in viaggio, senza ancora sapere dove sarebbero arrivate. Per ritrovarsi poi, da quelli che erano stati i cinque continenti, nel nuovo continente perduto e ritrovato, dove avevano iniziato a ricostruire il mondo, assecondando e assecondate dal vortice di pulizia ed energia degli elementi non piu' putridi e corrotti. Le donne selvagge, le furenti, le tessitrici inarrestabili di visioni in sintonia con le energie elementali, le viaggiatrici alimentate dalla rabbia trasformata in speranza ora, dopo il collasso della degenerazione necrotecnocratica planetaria, stavano finalmente incarnando e realizzando i sogni di una ininterrotta linea di antenate. Riconnettendo finalmente l'Essere al suo movimento fuori e dentro il tempo di danza a spirale. Ascoltato questo racconto, Mary Daly propone a Annie di commentare dal 2048 ogni capitolo scritto nel 1998. Cosi' i cinque capitoli del libro mostreranno all'opera il doppio taglio metamorfico del pensare rappresentato dal simbolo dell'antica ascia cretese. Come la labrys, l'antica doppia ascia cretese, ogni capitolo e' infatti a doppio taglio, in quanto nomina le crescenti atrocita' perpetuate contro le donne e la natura durante il ventesimo secolo, ma fa anche appello al coraggio e alla speranza per trascendere tali atrocita'. Ogni capitolo svela gli orrori del sistema ginocida e necrofilico all'opera nei decenni conclusivi del XX secolo (dagli stupri in Bosnia alle biotecnologie, alla pervasivita' del sistema di controllo massmediologico all'opera per sviare ogni sforzo biofilico) e mostra il futuro possibile se ogni gesto di coraggio e di amore per la vita, realizzato nel qui e ora del nostro presente quotidiano, non perdera' la speranza di andare in quella direzione, rendendo i sogni piu' forti degli incubi. L'introduzione dell'autrice, del 1998, comincia con queste parole: "scrivere questo libro e' stato un atto disperato compiuto in un momento di scontro finale tra principati e poteri... nella lotta per decodificare la disinformazione e non morire soffocata dalla cortina di distrazioni e bugie riversate a valanga quotidianamente dai media". Reca come sottotitolo "Un manifesto femminista radicale elementale": radicale perche' i bisogni dell'anima sono i bisogni piu' radicali - e di questo tratta Mary Daly in questo libro - e perche' e' necessario superare la paura e andare alla radice di tutte le implicazioni del potere patriarcale. Ed elementale, perche' solo riconnettendoci con l'energia creativa degli elementi che costituiscono il cosmo si puo' spezzare il circolo mortifero della "ragione necro-tecnica della modernita'". * A questo punto, dopo tante parole, mi sembra di essere riuscita a darvi dato solo lo scheletro nudo della visione di Mary Daly. Non ho detto nulla di molte sue invenzioni linguistiche e concettuali che, man mano che si procede nella lettura, diventano quasi indispensabili strumenti di lavoro forgiati dal necessario procedere a spirale per liberare la coscienza: come quella delle figure del Forestage/Backstage (l'avanscena su cui sembra compiersi la storia attraverso le "gloriose gesta" del patriarcato e su cui stanno puntati i fari ma che in realta' e' solo come un palcoscenico; il retroscena che quasi non si vede perche' volutamente lasciato in ombra, senza parole e senza rappresentazioni e che invece e' il luogo molto piu' vasto dove avviene veramente la vita, e le trasformazioni che contano) e delle continue, quasi intraducibili - con la stessa economia di parole - invenzioni linguistiche con cui procede il suo nominare nella dimensione quintessenziale, cioe' creativa - transtemporale e transpaziale, molto oltre Dio Padre. Della cospirazione (il respirare insieme delle donne e degli uomini biofilici), della ginergia (l'energia femminile), della sin-cronicity (il trovarsi/accadere insieme delle crones, le vecchie sagge), parole che aprono la percezione, andando a toccare il punto centrale di nodi di bisogno/desiderio profondamente incuneati e nascosti dentro di noi, e cosi' sbloccandoli, permettendo loro finalmente di venire alla coscienza, liberando energia femminile... Insomma, essere/partecipare alla quintessenza vuol dire inventare la capacita' di trasformare la diaspora dolorosa dell'amnesia di se' e del nostro passato perduto in realizzazione qui e ora del futuro possibile, dato che ogni gesto o pensiero del presente di ciascuna e ciascuno rende piu' possibile uno dei tanti - e alcuni potranno essere incubi peggiori del peggiori del presente - futuri possibili. 9. RILETTURE. KARL BARTH: ANTOLOGIA Karl Barth, Antologia, Bompiani, Milano 1964, 1983, pp. 336. Una bella raccolta di pagine del grande teologo. 10. RILETTURE. BENEDETTA CRAVERI: MADAME DU DEFFAND E IL SUO MONDO Benedetta Craveri, Madame du Deffand e il suo mondo, Adelphi, Milano 1982, 2001, pp. 702, euro 16,53. Questa stupenda biografia di Madame du Deffand (che e' anche il ritratto di un'epoca e il suggerimento di molteplici e complessi temi di riflessione) e' un libro la cui lettura vivamente raccomandiamo. 11. RILETTURE. LETTERE DI MADEMOISELLE AISSE' A MADAME C... Lettere di Mademoiselle Aisse' a Madame C..., Adelphi, Milano 1984, pp. 240. A cura di Benedetta Craveri, queste lettere - questa vita che si fa scrittura, questa scrittura che restituisce la vita - sono un documento ed insieme un enigma e un appello. 12. RILETTURE. LORENZO MILANI: ALLA MAMMA. LETTERE 1943-1967 Lorenzo Milani, Alla mamma. Lettere 1943-1967, Marietti, Genova 1990, pp. XVIII + 494, lire 50.000. In edizione integrale annotata, una testimonianza di straordinario valore. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 500 del 7 febbraio 2003
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