La nonviolenza e' in cammino. 497



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 497 del 4 febbraio 2003

Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: complicazioni nel risolvere il conflitto
2. Mao Valpiana, una risposta all'assessore
3. Alexander Langer, contro la guerra cambia la vita (un articolo del 1991)
4. Hannah Arendt, nel nostro rapporto con gli altri
5. Emmanuel Levinas, l'essenza del linguaggio
6. Aldo Capitini, la novita' del nostro tempo
7. Filippo La Porta ricorda Leslie Fiedler
8. Adriana Zarri ricorda Jania e Domenico Del Rio
9. Folcacchiero Scatamacchia, altre strade
10. Riviste. "La vita scolastica": Speciale Mario Lodi
11. Letture: Gerardo Leo, Rodari nella scuola e nella cultura italiana
12. Riletture: Edith Stein, La scelta di Dio
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

1. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: COMPLICAZIONI NEL RISOLVERE IL CONFLITTO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione questo testo. Maria G. Di Rienzo e' una delle
principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale
femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, ha
svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del
Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e'
impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze
di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Problemi di visualizzazione corretta
1. Confondere gli interessi con le posizioni
Spesso le due parti sono cosi' totalmente aderenti ad un singolo particolare
(che dicono essere "cio' che noi vogliamo"), che non sanno muoversi da esso
e non riescono a discernere se esso viene incontro o meno ai loro interessi.
Una soluzione senza perdenti e' piu' facile da ottenere quando le parti
riconoscono e dichiarano i loro interessi.
2. Schemi che non si incontrano
Una parte definisce il conflitto in termini di "interessi negoziabili",
mentre l'altra lo definisce in termini di diritti, valori o bisogni (che non
sono negoziabili). Una soluzione e' piu' facile da ottenere quando le parti
si accordano su un linguaggio comune per agire il conflitto.
3. Approccio altamente competitivo
La maggior parte delle persone agisce il conflitto in base al modulo
vincere/perdere; ovvero, pensano di ottenere qualcosa solo l'altra parte
perde. Una soluzione e' piu' facile da ottenere se le parti comprendono che
un accordo senza perdenti portera' loro vantaggi attuali e futuri.
4. L'approccio "quelli-devono-sparire"
Avviene quanto una parte, o entrambe, desiderano che i loro oppositori
svaniscano per sempre, si dileguino all'orizzonte. Le richieste poste da una
parte all'altra sono spesso volutamente inaccettabili. Nei conflitti su
vasta scala, questo approccio e' il motivatore del genocidio e dell'esilio.
Quando il conflitto si disegna in tal modo, una soluzione sara' ottenuta
piu' facilmente quanto piu' numerose e protratte saranno le occasioni di
incontro e discussione.
5. Deumanizzazione degli oppositori
E' la sorgente delle catastrofi piu' atroci. La parte che ha deumanizzato
l'altra non riconosce alla stessa nessun diritto, nessuna legittimita', e
giustifica ogni tipo di violenza commesso contro i propri oppositori. La
soluzione di questo tipo di conflitto richiede una gran mole di lavoro su
diversi aspetti (culturale, legislativo, ecc.) prima di riuscire a portare
ad un tavolo comune gli attori del conflitto stesso.
6. E' solo un'emergenza
I conflitti non vengono identificati come tali fino a che non "emergono" da
uno stato latente ad uno manifesto. Una soluzione e' piu' facile da ottenere
aiutando le parti a riconoscere le radici pregresse del conflitto.
7. Considerare il conflitto stesso come il problema
Sovente le persone ritengono che il conflitto sia anormale e cattivo in se'.
Una soluzione e' piu' facile da ottenere quando le parti in casua
comprendono come esso sia una normale ed inevitabile parte di tutte le
relazioni e le societa' umane. E' persino essenziale al funzionamento di una
relazione o di un gruppo sociale, giacche' permette alle persone di
inventare nuovi approcci ai problemi e di sperimentare nuove situazioni.
Cio' che e' "cattivo" e' semmai il modo distruttivo e violento con cui
comunemente si agiscono i conflitti.
8. Scopi non chiari
Quanto una parte o entrambe non hanno chiaro il cuore del conflitto o che
cosa ritengono importante in esso, le azioni risultanti saranno inefficaci,
confuse, spesso atte a dare la stura alla rabbia degli oppositori. La stessa
cosa puo' accadere quando una terza parte entra nel conflitto non richiesta,
"per dare una mano". Una soluzione e' piu' facile da ottenere chiarificando
gli scopi di ambo le parti.
9. Incapacita' di identificare opzioni alternative
E' la situazione che si delinea quando le persone credono vi sia un solo
modo efficace di maneggiare il conflitto. Se sono solite usare la violenza
per farsi strada, riterranno che essa sia l'unica scelta a disposizione. E'
uno dei casi in cui, per arrivare ad una soluzione, la presenza di
facilitatori e' indispensabile.
*
Problemi relativi alla sfera d'azione
1. Incapacita' di identificare tutte le parti in causa, tutte le istanze
presenti nel conflitto
In conflitti complessi, che coinvolgono piu' persone e piu' gruppi, e'
facile che qualcuno pur toccato dalla questione venga dimenticato o non
visto, e che istanze significative per una parte vengano ignorate
dall'altra. Se si raggiunge una soluzione che ignora gli interessi di queste
persone "nascoste", o le danneggia in modo significativo, esse emergeranno a
bloccare l'accordo. Una soluzione e' piu' facilmente raggiunta se si esplora
in profondita' la questione (radici storiche, ambientali, ecc.) e si
costruisce la "mappa" dei soggetti effettivamente o potenzialmente
interessati.
2. Inadeguata raccolta di informazioni
Prima di pianificare qualunque approccio e' necessario che tutte le parti in
causa raccolgano il maggior numero di informazioni possibile relativo
all'istanza che rappresentano o che intendono raggiungere. La mancanza di
informazioni ha spesso un effetto inibitore sull'azione di risoluzione del
conflitto. Per arrivare ad un accordo soddisfacente, e' necessario che vi
siano il tempo e l'agio per avere e condividere informazioni.
*
Problemi di comunicazione
1. Fraintendimento delle comunicazioni e delle motivazioni
Persino nelle situazioni piu' banali ed ordinarie le persone dicono cose che
vengono interpretate differentemente da come esse intendevano. Quando si e'
arrabbiati con qualcuno, la possibilita' di essere fraintesi e di
fraintedere aumenta. Vi sono poi da considerare la differenti prospettive
nell'identificare il conflitto che si generano dai differenti contesti
culturali, economici, religiosi, ecc. da cui le parti provengono. Per
giungere ad una soluzione, e' necessario che gli attori del conflitto
comprendano le prospettive degli oppositori (questo non significa che
debbano essere d'accordo con esse).
2. Scarsa capacita' di ascolto
Una comunicazione efficace richiede che le parti pratichino un ascolto
attivo ed accurato: ponendo domande e confermando o correggendo le
interpretazioni che gli altri danno delle loro affermazioni. Raramente le
persone si impegnano in un ascolto attivo e sovente, nelle situazioni di
conflitto, non si ascoltano affatto. Al contrario, nel mentre il loro
oppositore sta parlando, sono assai occupate a rimuginare ed organizzare la
propria prossima affermazione. Anche qui, la presenza di facilitatori e'
indispensabile.
3. Comunicazione impoverita
Informazioni che sarebbero cruciali per una maggior comprensione del
conflitto non sono disponibili a tutte le parti (nei conflitti concerenti il
mondo degli affari, ad esempio, le compagnie commerciali sono restie a
fornire dettagli su prodotti e procedure, cosi' come nei conflitti internazi
onali i governi tengono segrete alcune informazioni adducendo come ragione
la sicurezza). Accade anche che una delle parti in causa, per rafforzare la
propria posizione, non solo taccia informazioni, ma provveda agli altri
informazioni volutamente false o inaccurate. Una soluzione e' piu'
facilmente raggiunta se al tavolo delle trattative la poverta' di tali
processi viene nominata e se si giunge a comprendere che maggiore e' la
chiarezza comunicativa, maggiore e' la possibilita' di un accordo
soddisfacente per tutti.
4. Messaggi "infuocati"
A volte comunicare puo' peggiorare la situazione anziche' migliorarla.
Questo accade quando una parte coinvolta nel conflitto fa giungere all'altra
comunicazioni minacciose od ostili. La controversia in questo caso si
intensifica, rendendo piu' difficile lavorare ad una negoziazione. Persino
dopo che una soluzione e' stata raggiunta, simili messaggi possono
ostacolare od impedire del tutto la sua implementazione. Una soluzione e'
piu' facile da ottenere stabilendo a priori alcune semplici regole
procedurali (cosa le parti devono dirsi e come) e pretendendo che esse siano
rispettate.
5. Nuovi partecipanti privi di informazioni
Nei conflitti che si protraggono lungamente, le persone coinvolte tendono a
cambiare. Spesso quelli che erano gli attori principali (portavoce,
rappresentanti) lasciano le loro posizioni e vengono sostituiti da altri che
hanno una comprensione limitata della storia del conflitto e della
situazione attuale. Le azioni che ne risultano sono piu' spesso dannose che
produttive. Quando il dialogo o la negoziazione si danno fra un limitato
numero di persone, magari adeguatamente facilitate, esse sviluppano un
livello di comprensione interpersonale non condiviso dagli altri membri del
loro gruppo. E' percio' importantissimo trasferire il processo di
apprendimento e le informazioni dal tavolo delle trattative
all'organizzazione che si rappresenta.
*
Problemi relativi all'intensificazione del conflitto
1. Dinamiche di fuga e di dilazionamento, silenzio, rifiuto di discutere
Da evitare assolutamente, nominandole come pratiche dannose: sono tutte
modalita' che conducono all'escalation del conflitto. Procrastinare gli
incontri, la risposta a richieste di chiarificazione, ecc., ha il solo
effetto di allargare il divario fra le parti e spesso arriva a rendere il
conflitto non piu' gestibile in termini equi per tutti.
2. Polarizzazione
Nel tentativo di rafforzare la propria base di potere, le parti cercano
alleanze con altri gruppi portatori di interessi diversi e si accordano con
essi per aiutarsi reciprocamente nel mentre perseguono i propri separati
scopi. Per essere "competitivi" in questo sforzo, per avere il maggior
numero di sostenitori possibile, gli attori del conflitto formano tali
alleanze sorvolando sui propri principi etici, sulla missione del loro
gruppo, ecc. Protratto nel tempo, il processo tende a dividere la comunita'
in due opposti blocchi che hanno perso di vista il vero cuore del conflitto.
3. Attacchi personali
Il conflitto si intensifica quando le parti usano l'attacco all'integrita'
morale o al carattere dei loro oppositori anziche' discutere delle questioni
in gioco. Il carattere del conflitto muta in uno scambio di vendette e la
comunicazione e' centrata sull'odio personale, anziche' sulla ricerca di una
soluzione equa. Nell'effettuare comunicazioni pubbliche, le parti cercano il
modo migliore per insultare gli oppositori e dichiarare nel contempo le
proprie virtu': cio' puo' soddisfare i loro sostenitori, ma il solo
risultato e' un aggravamento dell'ostilita' altrui.
4. Uso della violenza
E' sempre da condannare. E' sempre eccessivo, sempre illegittimo, sempre non
necessario. La violenza non produce che altra violenza, paura e odio.
5. La trappola del sacrificio
Spesso gruppi (o persone) coinvolte in gravi conflitti sono chiamati a
compiere enormi sacrifici: incluso, nei conflitti armati, il sacrificio
della propria vita come soldati, terroristi, martiri per la causa, ecc.
Quando questo e' accaduto, diviene molto difficile per i leader che hanno
chiamato al sacrificio ammettere che esso non era necessario, e che si
sarebbe potuto tentare di risolvere il conflitto in altri modi. La
riluttanza ad ammettere di aver commesso un errore fa si' che le parti in
causa perseguano modalita' sempre piu' distruttive e futili.
6. Alzare il livello dello scontro
Man mano che l'interesse pubblico attorno ad un'istanza di conflitto cresce,
c'e' sempre chi ha la tentazione di alzare il livello dello scontro,
giudicando "lenta", "inadeguata", "debole", la risoluzione nonviolenta del
conflitto stesso. I gruppi che usano questa modalita' ottengono, per le loro
azioni, un sostegno direttamente proporzionale a quello che ottengono i loro
oppositori: il conflitto si intensifica, le difese contro il dialogo si
cristallizzano, non c'e' alcun cambiamento nello scenario del dominio.
7. Noi/Loro: Loro non sono come Noi
E' la dinamica per cui un gruppo attore del conflitto basa la propria
identita' sul "non essere come" e sull'"essere contro". Chi e' fuori dal
gruppo puo' solo sostenere acriticamente l'attivita' del gruppo stesso:
altrimenti, e' un nemico. Il senso di appartenenza diventa molto stretto,
"tribale", obnubilante della libera coscienza di ciascun membro ed e'
sovente incoraggiato dai leader, che lo usano come narcotico per
l'opposizione interna.
8. Estremisti
Molti gruppi, anche portatori di interesse diretto, hanno una visione
estrema del conflitto e tendono a favorire azioni eclatanti per quanto
inefficaci, come pure azioni che prevedano esplicitamente l'uso della
violenza. Non sono inclini ad accettare tavoli di confronto o soluzioni
mediate. Non sopportano processi quali il consenso o la facilitazione. Le
aggressioni non sono compiute esclusivamente contro coloro che identificano
come oppositori nel conflitto, ma anche contro coloro che, identificati come
potenziali alleati, scelgono differenti modi d'azione. Le provocazioni di
tali gruppi spesso interrompono o compromettono processi di risoluzione del
conflitto e di esse gli oppositori chiamano (strumentalmente) a rispondere i
gia' beffeggiati e maltrattati "alleati" potenziali.
10. Il gioco dei media
Per essi le quote di lettori, ascoltatori, telespettatori sono il metro di
misura della bonta' del lavoro di informazione: e l'audience puo'
espandersi, molti di essi credono, solo in presenza di notizie estreme,
efferate, terribili. Per questa ragione, tali media tendono a riportare le
dichiarazioni piu' "scandalose", gli atti piu' violenti e oltraggiosi,
anziche' i pazienti sforzi per la risoluzione del conflitto. Questo accade
che siano i governi o meno a controllare i media suddetti, giacche'
qualunque sia il gruppo di pressione che li possiede il suo intento e'
direzionare ed influenzare l'opinione pubblica a proprio vantaggio.
Attualmente, la maggior parte dei media contribuisce gravemente ad aggravare
i conflitti.

2. OGGI. MAO VALPIANA: UNA RISPOSTA ALL'ASSESSORE
[Da Mao Valpiana, direttore di "Azione nonviolenta" (per contatti:
azionenonviolenta at sis.it), riceviamo e diffondiamo questo comunicato del
Movimento Nonviolento in risposta alla dichiarazione di un assessore
regionale veneto che vorrebbe vietare alle scuole della regione di esporre
la bandiera della pace]
A come Assessore, B come Bandiera, C come Costituzione: ovvero, l'a-bi-ci'
delle istituzioni democratiche.
Un assessore regionale (evidentemente infastidito dalle tante bandiere della
pace che sventolano dai balconi di tutto il Veneto) ha lanciato una nuova
campagna fondamentalista: "via le bandiere della pace dalle scuole venete!".
Anziche' avventurarsi in questa impresa proibizionista, l'assessore farebbe
bene a dare una ripassatina alla Costituzione Italiana che all'articolo 11
"ripudia la guerra" ed invoca un ordinamento che "assicuri la pace", e
all'articolo 21 riconosce ad ogni cittadino la liberta' di manifestare il
proprio pensiero con la parola, lo scritto "ed ogni altro mezzo" (comprese,
quindi, le bandiere).
Forse non e' inutile ricordare all'assessore che persino l'articolo 1 dello
Statuto della Regione Veneto richiama esplicitamente, come legge superiore
alla quale uniformarsi, la Costituzione della Repubblica Italiana.
Dunque, esporre la bandiera della pace nelle scuole non e' affatto in
contrasto con il tricolore e con il leone alato (che non a caso porta
l'iscrizione "pax tibi..."), anzi ne e' il naturale completamento.
Forse l'assessore ignora che la bandiera della pace ha una tradizione
autorevolissima. Fu il pacifista e filosofo Bertand Russel ad adottare i
colori dell'arcobaleno come simbolo della fratellanza fra i popoli; ed e'
stato poi Aldo Capitini, fondatore del Movimento Nonviolento, ad importare
in Italia nel 1961 questa bandiera, in occasione della prima marcia della
pace da Perugia ad Assisi.
Il Comune di Padova esponendo in Municipio la bandiera iridata ha creato un
bel precedente. Davanti a moltissime scuole del vicino Trentino sventola
gia' la bandiera della pace.
La strumentalizzazione politica in questa bandiera la vede solo l'assessore.
Tutti i cittadini, gli insegnanti, gli studenti che l'hanno esposta (e da
oggi, grazie proprio alla sparata dell'assessore, ne siamo certi, ne
verranno esposte ancora di piu'), lo fanno solo come atto d'amore per
scongiurare un nuovo conflitto armato.
Proprio come vuole la Costituzione Repubblicana (senza bisogno di scomodare
San Marco...).

3. MAESTRI. ALEXANDER LANGER: CONTRO LA GUERRA CAMBIA LA VITA (UN ARTICOLO
DEL 1991)
[Riproduciamo questo articolo di Alexander Langer del gennaio 1991 apparso
su "Terra nuova forum"; ringraziamo Mao Valpiana per avercelo inviato.
Alexander Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bolzano) nel 1946, e si e'
tolto la vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di infinite
iniziative per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per una
sommaria descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi' generose
di Langer rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e' stata
pubblicata col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel 1986
(poi ripresa in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer: Vie
di pace. Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992; dopo la sua
scomparsa sono state pubblicate due belle raccolte di interventi: La scelta
della convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore leggero. Scritti
1961-1995, Sellerio, Palermo 1996. Segnaliamo inoltre: Scritti sul
Sudtirolo, Alpha&Beta, Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten,
Wagenbach, Berlin 1996; Piu' lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a
"Notizie Verdi", Roma 1998. Opere su Alexander Langer: Roberto Dall'Olio,
Entro il limite. La resistenza mite di Alex Langer, La meridiana, Molfetta
2000. Si sta ancora procedendo alla raccolta di tutti gli scritti e gli
interventi (Langer non fu scrittore da tavolino, ma generoso suscitatore di
iniziative e quindi la grandissima parte dei suoi interventi e' assai
variamente dispersa). Si veda comunque almeno il fascicolo monografico di
"Azione nonviolenta" di luglio-agosto 1996; l'opuscolo di presentazione de
La Fondazione Alexander Langer - Stiftung, suppl. a "Una citta'", Forli'
(per richieste: tel. 054321422; fax 054330421), ed il nuovo fascicolo edito
dalla Fondazione nel maggio 2000 (per richieste: tel. e fax 00390471977691).
La Casa per la nonviolenza di Verona ha pubblicato un CD-Rom su Alex Langer
(per informazioni: tel. 0458009803; fax 0458009212; e-mail:
azionenonviolenta at sis.it). Indirizzi utili: Fondazione Alexander Langer
Stiftung, via Portici 49 Lauben, 39100 Bolzano-Bozen, tel. e fax
00390471977691; e-mail: foundation at alexanderlanger.it; sito:
www.alexanderlanger.it]
Quanti oggi si disperano per non essere riusciti a prevenire prima ed a
fermare poi la guerra nel Golfo, si trovano in buona ed illustre compagnia:
il papa ed il segretario delle Nazioni Unite aprono il lungo corteo di
coloro che non si rassegnano facilmente al fatto che la parola sia passata
alle armi, che la guerra, "avventura senza ritorno", sia poi effettivamente
scoppiata.
E piu' si sperimenta l'impotenza di milioni di persone comuni e di migliaia
di esponenti rappresentativi delle piu' diverse istituzioni, chiese,
associazioni, sindacati, partiti e persino parlamenti che invocano la fine
della guerra, ma non riescono a farsi ascoltare, piu' ci si domanda cosa di
efficace oggi si possa fare di fronte a gravi ingiustizie internazionali,
senza affidarsi alla prova di forza militare.
E se l'Occidente sviluppato e progredito non riesce a trovare risposte a
questa domanda, come si puo' sperare che altri nel mondo, di fronte ad
occupazioni ingiuste, gravi violazioni del diritto internazionale e dei
diritti umani, minacce, atti di forza, soprusi, ecc. non cerchino in tutti i
modi di ristabilire anche loro con piccole o grandi guerre (e col
terrorismo, per chi  non dispone del timbro di alcuno stato per legittimare
la propria violenza armata) i loro diritti violati? Come pretendere dai
palestinesi, dai kurdi, dagli abitanti del Kashmir, dai ciprioti, dagli
armeni, dai tibetani, dai popoli baltici e da tanti altri di respingere la
tentazione della violenza come mezzo per affermare i loro diritti violati?
Tanti pesi, tante misure, ed alla fine ogni volta, quando parlano le armi,
finisce per affermarsi semplicemente la legge del piu' forte, che sia nel
giusto o nel torto.
*
Il "pacifismo gridato" (cosi' lo ha chiamato il cardinal Martini di Milano)
esprime la rabbia e la frustrazione di chi sente questa impotenza, ma
davvero non sfugge facilmente all'accusa di usare anch'esso pesi e misure
diverse, a seconda di chi si tratta di condannare o approvare.
Chi pero' non rinuncia a considerare la guerra comunque, ed oggi ancor piu'
di ieri e dell'altro ieri, una sconfitta dell'umanita' che finisce per
provocare mali maggiori di quelli che pretende di curare, non puo'
rassegnarsi ad accettare che ci siano situazioni che solo con la forza
bellica si possono risolvere.
Sono due le linee di azioni che a questo punto sembrano degne di
esplorazione approfondita. La prima aiuta a superare il "pacifismo (solo)
gridato" e potrebbe essere sintetizzata con un motto formulato dalla
"Campagna nord-sud": contro la guerra, cambia la vita. La seconda riguarda
il ricorso alla "forza", senza che cio' debba essere sinonimo di guerra, un
problema che i nonviolenti da sempre pongono e che non puo' ridursi
all'alternativa tra subire o fare la guerra.
*
Contro la guerra, cambia la vita: le guerre scoppiano "a valle", quando
tutta una infausta concatenazione di soprusi, violenze e fallimenti si e'
gia' prodotta e sembra diventata irrimediabile; i popoli, la gente comune,
sono poi chiamati a pagare il conto finale senza aver potuto intervenire
sulle singole voci che lo hanno via via allungato. Ma dinnanzi al fallimento
della politica e della negoziazione, che sfocia nella guerra, bisognera' pur
rafforzare gli "anticorpi" a disposizione di ogni singola persona per
prevenire le guerre e per non lasciarsene, comunque, catturare, una volta
che sono scoppiate.
Se tutto uno stile di vita (consumi, produzioni, trasporti, energia,
banche...) nel quale siamo largamente coinvolti, per potersi perpetuare ha
bisogno di condizioni assai ingiuste che regolano le relazioni tra i popoli
e con la natura, bisognera' dunque intervenire "a monte" e mettere in
questione la nostra partecipazione (anche individuale) ad un "ordine"
economico, politico, sociale, ecologico e culturale che rende necessarie le
guerre che lo sostengono.
Se il consenso alla guerra (sotto forma di nazionalismi, razzismi,
pregiudizi, stereotipi, ecc.) puo' con tanta facilita' diventare
maggioritario - non certo soltanto tra "fondamentalisti islamici"... - si
dovra' intervenire anche qui "a monte" ed allargare una solida base ideale e
culturale di disposizione alla pace ed alla convivenza, disintossicando
cuori e cervelli.
Se e' considerato scontato che, una volta scoppiata la guerra, non resta che
allinearsi ed arruolarsi (materialmente e culturalmente), bisognera' pure
che qualcuno lavori per suscitare e consolidare scelte di "obiezione alla
guerra".
Sono dunque tante le forme di azione che si possono scegliere per "cambiare
la vita di fronte alla guerra", nel senso di negarle ogni consenso e
sostegno e nel senso di farle mancare - ognuno - almeno un pezzettino di
apparente giustificazione.
*
Piu' difficile appare oggi la seconda delle linee proposte: sviluppare
strumenti "di forza", ma il meno possibile violenti e comunque non bellici.
Di fronte all'occupazione violenta del Kuwait da parte dell'Irak, ed alla
sistematica azione degli Usa e di alcuni fra i loro alleati per arrivare
comunque alla guerra con l'Irak e realizzare una globale "resa dei conti"
per impedirgli di nuocere in futuro, la scelta nonviolenta a molti sembra
andata improvvisamente in  crisi. La "guerra giusta" e' riapparsa
solennemente all'orizzonte - questa volta con tanto di voto a schiacciante
maggioranza nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu e quindi con la legalita'
internazionale assicurata. Non poteva mancare qualche vescovo, qualche
moralista e qualche elzevirista a benedire il tutto. "Pacifista" e' tornato
ad essere un sinonimo di fifone, piagnone o alto traditore e cospiratore col
nemico, "nonviolento" un aggettivo buono per i sognatori. Lo stesso papa
viene indicato come capofila del "disfattismo", visto che non cessa di
denunciare e chiamare a fermare questa guerra.
L'argomento piu' forte dei sostenitori della "guerra giusta" (magari
ribattezzata "azione di polizia internazionale") e' di ordine
storico-morale: "se Hitler fosse stato fermato gia' nel 1934, al momento
dell'occupazione della Renania, si poteva forse risparmiare al mondo intero
la tragedia del nazismo e della seconda guerra mondiale". Dove per "fermare
Hitler" si da' per scontato che si debba leggere "fare la guerra a Hitler".
E dove si dimentica che la coalizione anti-Hitler avra', si', battuto
l'incubo del totalitarismo nazifascista, ma rifondato anche - su 40 milioni
di morti - un ordine internazionale che ha tranquillamente consegnato mezza
Europa ad un altro totalitarismo e l'intero sud del pianeta allo
sfruttamento e, in molti casi, a vecchi o nuovi colonialismi e
totalitarismi.
Se quindi e' giusto fare tutto il possibile per fermare aggressioni,
ingiustizie e soprusi, a partire dal chiamarli per il loro nome ed
identificarli come tali, non mi sembra invece ne' giusta, ne' risolutiva
l'idea di farne derivare con una sorta di funesto automatismo la sanzione
bellica.
*
Piuttosto la guerra nel Golfo (che fin d'ora appare - a dispetto di tutte le
censure nell'informazione - ben piu' "sporca" di quanto non sia stata
presentata, camuffata in geometrica potenza dell'azione chirurgica
elettronica) dimostra che si devono inventare nuovi strumenti alternativi e
nonviolenti, persuasivi ed efficaci, per ridurre il tasso di violenza nel
mondo e per risparmiare bagni di sangue (che si chiamino guerra o
repressione, che siano internazionali o interni).
Ne provo ad indicare quattro, di cui mi sembra ci sia bisogno (potendoli qui
appena accennare, naturalmente):
1) sviluppare l'arma dell'informazione e della disarticolazione della
compattezza derivante da repressione, disinformazione, censura; perche' non
"bombardare" con trasmissioni radio e tv, con volantini, con documentazione,
piuttosto che con armi? ("Radio Free Europe" o "Radio Vaticana" hanno fatto
probabilmente di piu' per la destabilizzazione dei regimi dell'est che non
le divisioni della Nato) Perche' non fornire supporti ed aiuti ai gruppi
impegnati nei diversi regimi totalitari per i diritti umani, piuttosto che
fornire armi agli Stati che un giorno si spera facciano loro la guerra?
2) costituire e moltiplicare gruppi/alleanze/patti/tavoli interetnici,
interculturali, interreligiosi di dialogo e di azione comune, piuttosto che
dialogare solo da campo a campo o da blocco a blocco; e' l'abbattimento dei
muri, o perlomeno lo sforzo di renderli penetrabili (vedi l'esperienza
interetnica dell'"altro Sudtirolo") Oggi uno dei "buchi neri" in questa
crisi e' l'assenza di forti legami interculturali ed interetnici tra arabi
ed israeliani, tra Europa e mondo arabo, tra Cristianesimo ed Islam; non
sono quindi da disprezzare anche modesti strumenti quali i "gemellaggi" tra
Comuni, Regioni, associazioni, ecc., che avvicinano concretamente i popoli e
rendono piu' difficile il consenso a "bombardare l'altro" (che si accetta di
bombardare tanto piu' quanto meno lo si conosce);
3) lavorare seriamente per un nuovo diritto internazionale e per un nuovo
assetto dell'Onu, basato oggi non solo sugli esiti della seconda guerra
mondiale (con le sue "Grandi Potenze", i loro diritti di veto, ecc.), ma
anche su un concetto ed una pratica di "sovranita' degli Stati" poco consono
al destino comune dell'umanita'. La tradizionale distinzione tra "affari
interni" che esigono la non-ingerenza degli altri (per cui torture e
massacri non riguardano la comunita' internazionale, finche' non scoppia un
contenzioso tra almeno due Stati) ed "internazionali" non regge alla prova
delle emergenze ecologiche, ne' dei diritti umani;
4) chiedere all'Onu di promuovere una sorta di "Fondazione S. Elena" (nome
dell'isola in cui alla fine fu esiliato Napoleone, tra gli agi e gli onori,
ma reso innocuo), per facilitare ai dittatori ed alle loro sanguinarie corti
la possibilita' di servirsi di un'uscita di sicurezza prima che ricorrano al
bagno di sangue pur di tentare di salvarsi la pelle (Siad Barre, Ceausescu,
Marcos, Fidel Castro, il re del Marocco, Saddam Hussein... potrebbero o
potevano utilmente beneficiarne piuttosto che giocare il tutto per il
tutto); la questione di amnistie e indulti per chi e' abbastanza lontano ed
abbastanza vigilato da non poter piu' fare danni, non dovrebbe essere
insolubile.
*
Ho scelto appena alcuni esempi, tra i molti che si potrebbero fare (pensiamo
solo alle diverse possibili articolazioni dell'embargo commerciale,
sportivo, scientifico, ecc.), perche' sono convinto che oggi il "settore
R&S" (ricerca e sviluppo) della nonviolenza debba fare grandi passi avanti e
non fermarsi solo alle ormai tradizionali risorse della disobbedienza
civile. E la spaventosa guerra in corso non deve farci fare tutti quanti un
salto indietro, riammettendo la guerra tra i protagonisti della storia e tra
gli strumenti - seppur estremi - della convivenza tra i popoli. Con il
livello odierno di armamenti, di affollamento demografico del mondo e di
precarieta' ecologica del pianeta comunque non ci puo' essere piu' "guerra
giusta", se mai ne poteva esistere in passato.

4. MAESTRE. HANNAH ARENDT: NEL NOSTRO RAPPORTO CON GLI ALTRI
[Da Hannah Arendt, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano 1991, p. 199.
Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva
di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe
all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le
massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l
'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Tra passato e
futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a
Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963),
Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente
(1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento
politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i
carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica,
Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza
di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una
recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948,
Feltrinelli, Milano 2001. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la
biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri,
Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt,
Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah
Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah
Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della
polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt,
Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su
Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah
Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli
monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono:
Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999;
Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]
Acquistiamo per la prima volta coscienza della liberta' o del suo contrario
nel nostro rapporto con gli altri, non nel rapporto con noi stessi.

5. MAESTRI. EMMANUEL LEVINAS: L'ESSENZA DEL LINGUAGGIO
[Da Emmanuel Levinas, Totalita' e infinito, Jaca Book, Milano 1980, 1995, p.
314. Emmanuel Levinas e' nato a Kaunas in Lituania il 30 dicembre 1905
ovvero il 12 gennaio 1906 (per la nota discrasia tra i calendari giuliano e
gregoriano). "La Bibbia ebraica fin dalla piu' giovane eta' in Lituania,
Puskin e Tolstoj, la rivoluzione russa del '17 vissuta a undici anni in
Ucraina. Dal 1923, l'Universita' di Strasburgo, in cui insegnavano allora
Charles Blondel, Halbwachs, Pradines, Carteron e, più tardi, Gueroult.
L'amicizia di Maurice Blanchot e, attraverso i maestri che erano stati
adolescenti al tempo dell'affaire Dreyfus, la visione, abbagliante per un
nuovo venuto, di un popolo che eguaglia l'umanita' e d'una nazione cui ci si
può legare nello spirito e nel cuore tanto fortemente che per le radici.
Soggiorno nel 1928-1929 a Friburgo e iniziazione alla fenomenologia gia'
cominciata un anno prima con Jean Hering. Alla Sorbona, Leon Brunschvicg.
L'avanguardia filosofica alle serate del sabato da Gabriel Marcel.
L'affinamento intellettuale - e anti-intellettualistico - di Jean Wahl e la
sua generosa amicizia ritrovata dopo una lunga prigionia in Germania; dal
1947 conferenze regolari al Collegio filosofico che Wahl aveva fondato e di
cui era animatore. Direzione della centenaria Scuola Normale Israelita
Orientale, luogo di formazione dei maestri di francese per le scuole dell'
Alleanza Israelita Universale del Bacino Mediterraneo. Comunita' di vita
quotidiana con il dottor Henri Nerson, frequentazione di M. Chouchani,
maestro prestigioso - e impietoso - di esegesi e di Talmud. Conferenze
annuali, dal 1957, sui testi talmudici, ai Colloqui degli intellettuali
ebrei di Francia. Tesi di dottorato in lettere nel 1961. Docenza
all'Universita' di Poitiers, poi dal 1967 all'Universita' di
Parigi-Nanterre, e dal 1973 alla Sorbona. Questa disparato inventario e' una
biografia. Essa e' dominata dal presentimento e dal ricordo dell'orrore
nazista (...)" (Levinas, Signature, in Difficile liberte'). E' scomparso a
Parigi il 25 dicembre 1995. Tra i massimi filosofi contemporanei, la sua
riflessione etica particolarmente sul tema dell'altro e' di decisiva
importanza. Opere di Emmanuel Levinas: segnaliamo in particolare En
decouvrant l'existence avec Husserl et Heidegger (tr. it. Cortina);
Totalite' et infini (tr. it. Jaca Book); Difficile liberte' (tr. it.
parziale, La Scuola); Quatre lectures talmudiques (tr. it. Il Melangolo);
Humanisme de l'autre homme; Autrement qu'etre ou au-dela' de l'essence (tr.
it. Jaca Book); Noms propres (tr. it. Marietti); De Dieu qui vient a' l'idee
(tr. it. Jaca Book); Ethique et infini (tr. it. Citta' Nuova); Transcendance
et intelligibilite' (tr. it. Marietti); Entre-nous (tr. it. Jaca Book). Per
una rapida introduzione e' adatta la conversazione con Philippe Nemo
stampata col titolo Ethique et infini. Opere su Emmanuel Levinas: Per la
bibliografia: Roger Burggraeve, Emmanuel Levinas. Une bibliographie premiere
et secondaire (1929-1985), Peeters, Leuven 1986. Monografie: S. Petrosino,
La verita' nomade, Jaca Book, Milano 1980; G. Mura, Emmanuel Levinas,
ermeneutica e separazione, Città Nuova, Roma 1982; E. Baccarini, Levinas.
Soggettivita' e infinito, Studium, Roma 1985; S. Malka, Leggere Levinas,
Queriniana, Brescia 1986; Battista Borsato, L'alterita' come etica, EDB,
Bologna 1995; Giovanni Ferretti, La filosofia di Levinas, Rosenberg &
Sellier, Torino 1996; Gianluca De Gennaro, Emmanuel Levinas profeta della
modernita', Edizioni Lavoro, Roma 2001. Tra i saggi, ovviamente non si puo'
non fare riferimento ai vari di Maurice Blanchot e di Jacques Derrida (di
quest'ultimo cfr. il grande saggio su Levinas, Violence et metaphysique, in
L'ecriture et la difference, Editions du Seuil, Parigi 1967). In francese
cfr. anche Marie-Anne Lescourret, Emmanuel Levinas, Flammarion; François
Poirie', Emmanuel Levinas, Babel]
... l'essenza del linguaggio e' amicizia ed ospitalita'.

6. MAESTRI. ALDO CAPITINI: LA NOVITA' DEL NOSTRO TEMPO
[Da Aldo Capitini, La nonviolenza vive, in "Azione nonviolenta"
aprile-maggio 1968, ora in Idem, Scritti sulla nonviolenza, Protagon,
Perugia 1992, p. 444. Aldo Capitini e' nato a Perugia il 23 dicembre 1899,
antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore
di iniziative per la nonviolenza e la pace; e' morto a Perugia il 19 ottobre
1968; e' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in
Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a
cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo
Capitini, Lacaita, Manduria 1977; recentemente e' stato ripubblicato il
saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una
raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea
d'ombra, Milano 1991; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o,
Roma 1996. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" sono disponibili e
possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu'
reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza
religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la
pubblicazione di una edizione di opere scelte; sono fin qui apparsi un
volume di Scritti sulla nonviolenza, e un volume di Scritti filosofici e
religiosi. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole
sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni
recenti si veda: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Fabrizio
Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole
1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione
ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione
nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Bfs, Pisa
1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in
Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo
Capitini, Stylos, Aosta 2001; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in
Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001. E
ancora: Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza
religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; utile anche
Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale
Umbra, Perugia 1988]
Nella lotta nonviolenta la forza fondamentale non e' corporea o dell'arma,
ma nella capacita' individuale del coraggio e nel sapere stabilire
solidarieta'. Perche' la novita' del nostro tempo non e' la nonviolenza
(gia' giainica, buddhista ed evangelica), ma la nonviolenza piu' la
solidarieta' con le moltitudini, dal basso. Questo hanno operato Gandhi e
King, ed e' da fare dappertutto.

7. LUTTI. FILIPPO LA PORTA RICORDA LESLIE FIEDLER
[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo febbraio 2003. Filippo La Porta e'
acuto critico letterario. Leslie Fiedler e' stato autore di romanzi,
racconti, poesia, ma soprattutto geniale critico letterario; tra i libri
tradotti in italiano ricordiamo particolarmente Freaks (Garzanti) e la
trilogia saggistica costituita da Amore e morte nel romanzo americano
(Longanesi), Aspettando la fine, e Il ritorno del pellerossa (entrambi per
Rizzoli). Per Donzelli sono uscite, infine, le sue ultime pubblicazioni: La
tirannia del normale (1998) e Dodici passi sul tetto (1999)]
Uno studioso geniale e controcorrente come Leslie Fiedler - scomparso ieri,
nella sua casa di Buffalo, all'eta' di ottantacinque anni - e'
inimmaginabile nel nostro paese.
Non che da noi non ci siano stati docenti universitari scanzonati o
innovativi, incuranti delle gerarchie tradizionali, spregiudicatamente
aperti a valori e gusti pop. Ormai abbiamo imparato tutti a riconsiderare il
trash in letteratura e a rivedere le convenzionali distinzioni tra alto e
basso: anche la piu' appassionata, irriverente apologia di Via col vento
(come quella proposta recentemente dal critico americano) non potrebbe
adesso piu' scandalizzarci.
Il fatto e' che Fiedler, per profonde ragioni biografiche e culturali
(ebreo - ipersensibile alla questione della Diversita' - e americano -
educato a un cristianesimo puritano, delle origini) ci si configura come un
Mistico della Democrazia, un difensore ad oltranza di ogni differenza - e
devianza - individuale.
Perfino l'handicap estremo viene da lui assunto tranquillamente "non come
distacco dalle forme, varie e pressoche' infinite, della 'normalita'' umana
bensi' come una possibile manifestazione di essa", come scrive nella
Tirannia del normale (Donzelli), commentando attraverso le opere letterarie
e l'osservazione della vita quotidiana le nostre reazioni (di noi Tab,
ovvero Temporary able-boiled, temporaneamente abili nel fisico) nei
confronti dei disabili.
Probabilmente per negare l'esistenza stessa dei Mostri, di quell'Altro
irriducibile che e' la persona affetta da malformazione congenita grave
(l'Elephant Man), occorre una fede smisurata (certo laica, e insieme
implicante una qualche religiosita') nella sostanza creaturale della nostra
condizione e nella illimitata ampiezza dello "spettro umano".
Come lui stesso ha dichiarato, in tutta la sua lunga carriera di critico
letterario Fiedler e' stato sempre ossessionato dalla figura del Diverso,
incarnato via via nei tipici miti americani (e non solo) dell'Indiano, del
Nero, del Freak, dell'Ebreo e infine del Disabile... La letteratura del
resto ha sempre costituito per lui soltanto una delle tante forme
dell'immaginario collettivo, e anzi dopo aver scritto quel capolavoro della
critica che e' Amore e morte nel romanzo americano (pubblicato nel 1960 e
poi tradotto in Italia da Longanesi), su cui si sono formate generazioni di
studenti, negli ultimi anni la sua attenzione si e' spostata direttamente su
temi di bioetica, teologia e di antropologia.
Al nostro paese, vorrei ricordarlo, Fiedler era legato intensamente, a
partire da un viaggio compiuto a quarant'anni, "nel mezzo del cammin di
nostra vita" (come lui stesso, amante di Dante, aveva scritto) con una borsa
Fulbright, fino alla partecipazione ad un convegno fiorentino sull'identita'
ebraica (anni '80), in cui tra l'altro si era soffermato sull'antisemitismo
italiano, da un imbarazzante quadro di Paolo Uccello a un certo antisionismo
un po' acritico della sinistra. In ogni caso riteneva l'Italia un paese
particolarmente "amabile".
Il critico Rene' Walleck nella sua monumentale storia della critica cita un
po' scandalizzato proprio Fiedler in quanto autorevole esponente di una
critica che avrebbe rinunciato a ogni criterio di valore, impegnandosi a
celebrare provocatoriamente la vasta fenomenologia del Kitsch e il "ciarpame
gioioso" della cultura di massa. Ora, il punto e' che da tutta l'opera di
Fiedler emerge un'idea "alta" di letteratura (si tratti di letteratura colta
o di intrattenimento), capace di offrirci verita' inquietanti su di noi,
sulle nostre paure primordiali, su tutto quanto continuamente reprimiamo e
rimuoviamo. E anzi, citando un illustre connazionale, Fiedler, che era nato
a Newark (nello stesso quartiere ebraico del Lamento di Portnoy di Roth...)
dira' che leggere romanzi o racconti e' come essere "svegli nei sogni"
(Thoreau).
Ecco, se riusciremo a restare svegli nei sogni (piu' orrendi o piu' utopici)
probabilmente non ci salveremo ma, secondo quanto auspicava Fiedler,
diventeremo piu' consapevoli di noi stessi e delle molteplici alterita' che
ciascuno ospita dentro di se'.

8. LUTTI. ADRIANA ZARRI RICORDA JANIA E DOMENICO DEL RIO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 febbraio 2003. Adriana Zarri, nata a S.
Lazzaro di Savena nel 1919, e' teologa e saggista. Tra le sue opere
segnaliamo almeno: Nostro Signore del deserto, Cittadella; Erba della mia
erba, Cittadella; Dodici lune, Camunia; Il figlio perduto, La Piccola]
Domenico del Rio (per gli amici Mimmo) che fu vaticanista e scrittore,
mancato all'affetto dei tanti amici la settimana scorsa.
La sua e' una bella storia, anzi sono due belle storie intrecciate. E
siccome la morte e' un varco che attende tutti vale la pena di narrarle.
Sono due storie di credenti, che anche ai non credenti possono offrire un
filo di pace e di speranza.
Quando lo conobbi era frate francescano. Poi si ritiro' dal sacro ministero
e si sposo' con una donna straniera, credo slava, di nome Jania che, dopo
una lunga e felice convivenza, lo precedette in quel "di la'" che, pur
diversamente concepito (o non concepito affatto perche' negato) e' un
approdo comune.
Durante la malattia che l'avrebbe portata alla tomba Jania diceva a Mimmo:
"ti precedo e ti aspetto" poi perse conoscenza per vari giorni. Alla fine
parve come riaversi ed esclamo': "Gesu' e' risorto". Il che, per un
cristiano, significa appellarsi a quell'evento misterioso che garantisce la
resurrezione di ciascuno di noi. E dopo quell'invocazione, Jania spiro'. A
lei Mimmo dedico' un libro: "nella tenera attesa di rivedere Jania,
approdata in Dio".
Ora la tenera attesa e' terminata ed anche Mimmo e' approdato in Dio. Prima
di quel supremo approdo, con grande lucidita' e serenita', diceva: "Vado a
rivedere Jania che mi sta aspettando".
E' una storia, anzi sono due storie, che ho voluto narrare a conforto di
tutti perche' a tutti - credenti o no - sia concesso un approdo sereno e
dolce come quelli di Jania e Mimmo.

9. BANALITA'. FOLCACCHIERO SCATAMACCHIA: ALTRE STRADE
[E insiste, costui...]
E' vero che tutte le strade portano a Roma (come tutte le vite portano alla
morte), ma diverso e' andarci in lettiga, da pellegrini, a cavallo, o in
catene.

10. RIVISTE. "LA VITA SCOLASTICA": SPECIALE MARIO LODI
"La vita scolastica", anno 56, n. 19, 20 luglio 2002, Speciale Mario Lodi.
Un prezioso, utilissimo fascicolo monografico dedicato all'illustre maestro,
scrittore, amico dei bambini. Per informazioni e richieste: tel. 0555062328,
e-mail: vitascol at giunti.it, sito: www.lavitascolastica.it

11. LETTURE. GERARDO LEO: RODARI NELLA SCUOLA E NELLA CULTURA ITALIANA
Gerardo Leo, Rodari nella scuola e nella cultura italiana, s. i. t. ma
Centro studi Fantasilandia, Siano 2000, pp. 16. Agile, utile opuscolo
realizzato in occasione di un'iniziativa di omaggio a Gianni Rodari
comprensiva di incontri culturali e mostre didattiche per le scuole a Siano
nell'ottobre-novembre 2000.

12. RILETTURE. EDITH STEIN: LA SCELTA DI DIO
Edith Stein, La scelta di Dio, Citta' Nuova, Roma 1974, Mondadori, Milano
1997, pp. 144, lire 12.000. Una silloge dell'epistolario della grande
pensatrice assassinata dai nazisti. Edith Stein, filosofa tedesca, e' nata a
Breslavia nel 1891 ed e' deceduta nel lager di Auschwitz nel 1942. Di
famiglia ebraica, assistente di Husserl, pensatrice tra le menti piu'
brillanti della scuola fenomenologica, abbraccio' il cattolicesimo e nel
1933 entro' nella vita religiosa. I nazisti la deportarono ed assassinarono.
Opere di Edith Stein: le opere fondamentali sono Il problema dell'empatia,
Franco Angeli (col titolo L'empatia) e Studium; Psicologia e scienze dello
spirito, Citta' Nuova; Una ricerca sullo Stato, Citta' Nuova; La
fenomenologia di Husserl e la filosofia di san Tommaso d'Aquino;
Introduzione alla filosofia, Citta' Nuova; Essere finito e Essere eterno,
Citta' Nuova; Scientia crucis, Postulazione generale dei carmelitani scalzi.
Cfr. anche la serie di conferenze raccolte in La donna, Citta' Nuova. Opere
su Edith Stein: per un sintetico profilo cfr. l'"invito alla lettura" di
Angela Ales Bello, Edith Stein, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo 1999
(il volumetto contiene un breve profilo, un'antologia di testi, una utile
bibliografia di riferimento). Lavori sul pensiero della Stein: Carla
Bettinelli, Il pensiero di Edith Stein, Vita e Pensiero; Luciana Vigone,
Introduzione al pensiero filosofico di Edith Stein, Citta' Nuova; Angela
Ales Bello, Edith Stein. La passione per la verita', Edizioni Messaggero di
Padova. Per la biografia: Edith Stein, Storia di una famiglia ebrea, Citta'
Nuova; Elio Costantini, Edith Stein. Profilo di una vita vissuta nella
ricerca della verita', Libreria Editrice Vaticana; Laura Boella, Annarosa
Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein, Cortina,
Milano 2000.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 497 del 4 febbraio 2003