[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 497
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 497
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 4 Feb 2003 02:33:44 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 497 del 4 febbraio 2003 Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: complicazioni nel risolvere il conflitto 2. Mao Valpiana, una risposta all'assessore 3. Alexander Langer, contro la guerra cambia la vita (un articolo del 1991) 4. Hannah Arendt, nel nostro rapporto con gli altri 5. Emmanuel Levinas, l'essenza del linguaggio 6. Aldo Capitini, la novita' del nostro tempo 7. Filippo La Porta ricorda Leslie Fiedler 8. Adriana Zarri ricorda Jania e Domenico Del Rio 9. Folcacchiero Scatamacchia, altre strade 10. Riviste. "La vita scolastica": Speciale Mario Lodi 11. Letture: Gerardo Leo, Rodari nella scuola e nella cultura italiana 12. Riletture: Edith Stein, La scelta di Dio 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: COMPLICAZIONI NEL RISOLVERE IL CONFLITTO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione questo testo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza] Problemi di visualizzazione corretta 1. Confondere gli interessi con le posizioni Spesso le due parti sono cosi' totalmente aderenti ad un singolo particolare (che dicono essere "cio' che noi vogliamo"), che non sanno muoversi da esso e non riescono a discernere se esso viene incontro o meno ai loro interessi. Una soluzione senza perdenti e' piu' facile da ottenere quando le parti riconoscono e dichiarano i loro interessi. 2. Schemi che non si incontrano Una parte definisce il conflitto in termini di "interessi negoziabili", mentre l'altra lo definisce in termini di diritti, valori o bisogni (che non sono negoziabili). Una soluzione e' piu' facile da ottenere quando le parti si accordano su un linguaggio comune per agire il conflitto. 3. Approccio altamente competitivo La maggior parte delle persone agisce il conflitto in base al modulo vincere/perdere; ovvero, pensano di ottenere qualcosa solo l'altra parte perde. Una soluzione e' piu' facile da ottenere se le parti comprendono che un accordo senza perdenti portera' loro vantaggi attuali e futuri. 4. L'approccio "quelli-devono-sparire" Avviene quanto una parte, o entrambe, desiderano che i loro oppositori svaniscano per sempre, si dileguino all'orizzonte. Le richieste poste da una parte all'altra sono spesso volutamente inaccettabili. Nei conflitti su vasta scala, questo approccio e' il motivatore del genocidio e dell'esilio. Quando il conflitto si disegna in tal modo, una soluzione sara' ottenuta piu' facilmente quanto piu' numerose e protratte saranno le occasioni di incontro e discussione. 5. Deumanizzazione degli oppositori E' la sorgente delle catastrofi piu' atroci. La parte che ha deumanizzato l'altra non riconosce alla stessa nessun diritto, nessuna legittimita', e giustifica ogni tipo di violenza commesso contro i propri oppositori. La soluzione di questo tipo di conflitto richiede una gran mole di lavoro su diversi aspetti (culturale, legislativo, ecc.) prima di riuscire a portare ad un tavolo comune gli attori del conflitto stesso. 6. E' solo un'emergenza I conflitti non vengono identificati come tali fino a che non "emergono" da uno stato latente ad uno manifesto. Una soluzione e' piu' facile da ottenere aiutando le parti a riconoscere le radici pregresse del conflitto. 7. Considerare il conflitto stesso come il problema Sovente le persone ritengono che il conflitto sia anormale e cattivo in se'. Una soluzione e' piu' facile da ottenere quando le parti in casua comprendono come esso sia una normale ed inevitabile parte di tutte le relazioni e le societa' umane. E' persino essenziale al funzionamento di una relazione o di un gruppo sociale, giacche' permette alle persone di inventare nuovi approcci ai problemi e di sperimentare nuove situazioni. Cio' che e' "cattivo" e' semmai il modo distruttivo e violento con cui comunemente si agiscono i conflitti. 8. Scopi non chiari Quanto una parte o entrambe non hanno chiaro il cuore del conflitto o che cosa ritengono importante in esso, le azioni risultanti saranno inefficaci, confuse, spesso atte a dare la stura alla rabbia degli oppositori. La stessa cosa puo' accadere quando una terza parte entra nel conflitto non richiesta, "per dare una mano". Una soluzione e' piu' facile da ottenere chiarificando gli scopi di ambo le parti. 9. Incapacita' di identificare opzioni alternative E' la situazione che si delinea quando le persone credono vi sia un solo modo efficace di maneggiare il conflitto. Se sono solite usare la violenza per farsi strada, riterranno che essa sia l'unica scelta a disposizione. E' uno dei casi in cui, per arrivare ad una soluzione, la presenza di facilitatori e' indispensabile. * Problemi relativi alla sfera d'azione 1. Incapacita' di identificare tutte le parti in causa, tutte le istanze presenti nel conflitto In conflitti complessi, che coinvolgono piu' persone e piu' gruppi, e' facile che qualcuno pur toccato dalla questione venga dimenticato o non visto, e che istanze significative per una parte vengano ignorate dall'altra. Se si raggiunge una soluzione che ignora gli interessi di queste persone "nascoste", o le danneggia in modo significativo, esse emergeranno a bloccare l'accordo. Una soluzione e' piu' facilmente raggiunta se si esplora in profondita' la questione (radici storiche, ambientali, ecc.) e si costruisce la "mappa" dei soggetti effettivamente o potenzialmente interessati. 2. Inadeguata raccolta di informazioni Prima di pianificare qualunque approccio e' necessario che tutte le parti in causa raccolgano il maggior numero di informazioni possibile relativo all'istanza che rappresentano o che intendono raggiungere. La mancanza di informazioni ha spesso un effetto inibitore sull'azione di risoluzione del conflitto. Per arrivare ad un accordo soddisfacente, e' necessario che vi siano il tempo e l'agio per avere e condividere informazioni. * Problemi di comunicazione 1. Fraintendimento delle comunicazioni e delle motivazioni Persino nelle situazioni piu' banali ed ordinarie le persone dicono cose che vengono interpretate differentemente da come esse intendevano. Quando si e' arrabbiati con qualcuno, la possibilita' di essere fraintesi e di fraintedere aumenta. Vi sono poi da considerare la differenti prospettive nell'identificare il conflitto che si generano dai differenti contesti culturali, economici, religiosi, ecc. da cui le parti provengono. Per giungere ad una soluzione, e' necessario che gli attori del conflitto comprendano le prospettive degli oppositori (questo non significa che debbano essere d'accordo con esse). 2. Scarsa capacita' di ascolto Una comunicazione efficace richiede che le parti pratichino un ascolto attivo ed accurato: ponendo domande e confermando o correggendo le interpretazioni che gli altri danno delle loro affermazioni. Raramente le persone si impegnano in un ascolto attivo e sovente, nelle situazioni di conflitto, non si ascoltano affatto. Al contrario, nel mentre il loro oppositore sta parlando, sono assai occupate a rimuginare ed organizzare la propria prossima affermazione. Anche qui, la presenza di facilitatori e' indispensabile. 3. Comunicazione impoverita Informazioni che sarebbero cruciali per una maggior comprensione del conflitto non sono disponibili a tutte le parti (nei conflitti concerenti il mondo degli affari, ad esempio, le compagnie commerciali sono restie a fornire dettagli su prodotti e procedure, cosi' come nei conflitti internazi onali i governi tengono segrete alcune informazioni adducendo come ragione la sicurezza). Accade anche che una delle parti in causa, per rafforzare la propria posizione, non solo taccia informazioni, ma provveda agli altri informazioni volutamente false o inaccurate. Una soluzione e' piu' facilmente raggiunta se al tavolo delle trattative la poverta' di tali processi viene nominata e se si giunge a comprendere che maggiore e' la chiarezza comunicativa, maggiore e' la possibilita' di un accordo soddisfacente per tutti. 4. Messaggi "infuocati" A volte comunicare puo' peggiorare la situazione anziche' migliorarla. Questo accade quando una parte coinvolta nel conflitto fa giungere all'altra comunicazioni minacciose od ostili. La controversia in questo caso si intensifica, rendendo piu' difficile lavorare ad una negoziazione. Persino dopo che una soluzione e' stata raggiunta, simili messaggi possono ostacolare od impedire del tutto la sua implementazione. Una soluzione e' piu' facile da ottenere stabilendo a priori alcune semplici regole procedurali (cosa le parti devono dirsi e come) e pretendendo che esse siano rispettate. 5. Nuovi partecipanti privi di informazioni Nei conflitti che si protraggono lungamente, le persone coinvolte tendono a cambiare. Spesso quelli che erano gli attori principali (portavoce, rappresentanti) lasciano le loro posizioni e vengono sostituiti da altri che hanno una comprensione limitata della storia del conflitto e della situazione attuale. Le azioni che ne risultano sono piu' spesso dannose che produttive. Quando il dialogo o la negoziazione si danno fra un limitato numero di persone, magari adeguatamente facilitate, esse sviluppano un livello di comprensione interpersonale non condiviso dagli altri membri del loro gruppo. E' percio' importantissimo trasferire il processo di apprendimento e le informazioni dal tavolo delle trattative all'organizzazione che si rappresenta. * Problemi relativi all'intensificazione del conflitto 1. Dinamiche di fuga e di dilazionamento, silenzio, rifiuto di discutere Da evitare assolutamente, nominandole come pratiche dannose: sono tutte modalita' che conducono all'escalation del conflitto. Procrastinare gli incontri, la risposta a richieste di chiarificazione, ecc., ha il solo effetto di allargare il divario fra le parti e spesso arriva a rendere il conflitto non piu' gestibile in termini equi per tutti. 2. Polarizzazione Nel tentativo di rafforzare la propria base di potere, le parti cercano alleanze con altri gruppi portatori di interessi diversi e si accordano con essi per aiutarsi reciprocamente nel mentre perseguono i propri separati scopi. Per essere "competitivi" in questo sforzo, per avere il maggior numero di sostenitori possibile, gli attori del conflitto formano tali alleanze sorvolando sui propri principi etici, sulla missione del loro gruppo, ecc. Protratto nel tempo, il processo tende a dividere la comunita' in due opposti blocchi che hanno perso di vista il vero cuore del conflitto. 3. Attacchi personali Il conflitto si intensifica quando le parti usano l'attacco all'integrita' morale o al carattere dei loro oppositori anziche' discutere delle questioni in gioco. Il carattere del conflitto muta in uno scambio di vendette e la comunicazione e' centrata sull'odio personale, anziche' sulla ricerca di una soluzione equa. Nell'effettuare comunicazioni pubbliche, le parti cercano il modo migliore per insultare gli oppositori e dichiarare nel contempo le proprie virtu': cio' puo' soddisfare i loro sostenitori, ma il solo risultato e' un aggravamento dell'ostilita' altrui. 4. Uso della violenza E' sempre da condannare. E' sempre eccessivo, sempre illegittimo, sempre non necessario. La violenza non produce che altra violenza, paura e odio. 5. La trappola del sacrificio Spesso gruppi (o persone) coinvolte in gravi conflitti sono chiamati a compiere enormi sacrifici: incluso, nei conflitti armati, il sacrificio della propria vita come soldati, terroristi, martiri per la causa, ecc. Quando questo e' accaduto, diviene molto difficile per i leader che hanno chiamato al sacrificio ammettere che esso non era necessario, e che si sarebbe potuto tentare di risolvere il conflitto in altri modi. La riluttanza ad ammettere di aver commesso un errore fa si' che le parti in causa perseguano modalita' sempre piu' distruttive e futili. 6. Alzare il livello dello scontro Man mano che l'interesse pubblico attorno ad un'istanza di conflitto cresce, c'e' sempre chi ha la tentazione di alzare il livello dello scontro, giudicando "lenta", "inadeguata", "debole", la risoluzione nonviolenta del conflitto stesso. I gruppi che usano questa modalita' ottengono, per le loro azioni, un sostegno direttamente proporzionale a quello che ottengono i loro oppositori: il conflitto si intensifica, le difese contro il dialogo si cristallizzano, non c'e' alcun cambiamento nello scenario del dominio. 7. Noi/Loro: Loro non sono come Noi E' la dinamica per cui un gruppo attore del conflitto basa la propria identita' sul "non essere come" e sull'"essere contro". Chi e' fuori dal gruppo puo' solo sostenere acriticamente l'attivita' del gruppo stesso: altrimenti, e' un nemico. Il senso di appartenenza diventa molto stretto, "tribale", obnubilante della libera coscienza di ciascun membro ed e' sovente incoraggiato dai leader, che lo usano come narcotico per l'opposizione interna. 8. Estremisti Molti gruppi, anche portatori di interesse diretto, hanno una visione estrema del conflitto e tendono a favorire azioni eclatanti per quanto inefficaci, come pure azioni che prevedano esplicitamente l'uso della violenza. Non sono inclini ad accettare tavoli di confronto o soluzioni mediate. Non sopportano processi quali il consenso o la facilitazione. Le aggressioni non sono compiute esclusivamente contro coloro che identificano come oppositori nel conflitto, ma anche contro coloro che, identificati come potenziali alleati, scelgono differenti modi d'azione. Le provocazioni di tali gruppi spesso interrompono o compromettono processi di risoluzione del conflitto e di esse gli oppositori chiamano (strumentalmente) a rispondere i gia' beffeggiati e maltrattati "alleati" potenziali. 10. Il gioco dei media Per essi le quote di lettori, ascoltatori, telespettatori sono il metro di misura della bonta' del lavoro di informazione: e l'audience puo' espandersi, molti di essi credono, solo in presenza di notizie estreme, efferate, terribili. Per questa ragione, tali media tendono a riportare le dichiarazioni piu' "scandalose", gli atti piu' violenti e oltraggiosi, anziche' i pazienti sforzi per la risoluzione del conflitto. Questo accade che siano i governi o meno a controllare i media suddetti, giacche' qualunque sia il gruppo di pressione che li possiede il suo intento e' direzionare ed influenzare l'opinione pubblica a proprio vantaggio. Attualmente, la maggior parte dei media contribuisce gravemente ad aggravare i conflitti. 2. OGGI. MAO VALPIANA: UNA RISPOSTA ALL'ASSESSORE [Da Mao Valpiana, direttore di "Azione nonviolenta" (per contatti: azionenonviolenta at sis.it), riceviamo e diffondiamo questo comunicato del Movimento Nonviolento in risposta alla dichiarazione di un assessore regionale veneto che vorrebbe vietare alle scuole della regione di esporre la bandiera della pace] A come Assessore, B come Bandiera, C come Costituzione: ovvero, l'a-bi-ci' delle istituzioni democratiche. Un assessore regionale (evidentemente infastidito dalle tante bandiere della pace che sventolano dai balconi di tutto il Veneto) ha lanciato una nuova campagna fondamentalista: "via le bandiere della pace dalle scuole venete!". Anziche' avventurarsi in questa impresa proibizionista, l'assessore farebbe bene a dare una ripassatina alla Costituzione Italiana che all'articolo 11 "ripudia la guerra" ed invoca un ordinamento che "assicuri la pace", e all'articolo 21 riconosce ad ogni cittadino la liberta' di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto "ed ogni altro mezzo" (comprese, quindi, le bandiere). Forse non e' inutile ricordare all'assessore che persino l'articolo 1 dello Statuto della Regione Veneto richiama esplicitamente, come legge superiore alla quale uniformarsi, la Costituzione della Repubblica Italiana. Dunque, esporre la bandiera della pace nelle scuole non e' affatto in contrasto con il tricolore e con il leone alato (che non a caso porta l'iscrizione "pax tibi..."), anzi ne e' il naturale completamento. Forse l'assessore ignora che la bandiera della pace ha una tradizione autorevolissima. Fu il pacifista e filosofo Bertand Russel ad adottare i colori dell'arcobaleno come simbolo della fratellanza fra i popoli; ed e' stato poi Aldo Capitini, fondatore del Movimento Nonviolento, ad importare in Italia nel 1961 questa bandiera, in occasione della prima marcia della pace da Perugia ad Assisi. Il Comune di Padova esponendo in Municipio la bandiera iridata ha creato un bel precedente. Davanti a moltissime scuole del vicino Trentino sventola gia' la bandiera della pace. La strumentalizzazione politica in questa bandiera la vede solo l'assessore. Tutti i cittadini, gli insegnanti, gli studenti che l'hanno esposta (e da oggi, grazie proprio alla sparata dell'assessore, ne siamo certi, ne verranno esposte ancora di piu'), lo fanno solo come atto d'amore per scongiurare un nuovo conflitto armato. Proprio come vuole la Costituzione Repubblicana (senza bisogno di scomodare San Marco...). 3. MAESTRI. ALEXANDER LANGER: CONTRO LA GUERRA CAMBIA LA VITA (UN ARTICOLO DEL 1991) [Riproduciamo questo articolo di Alexander Langer del gennaio 1991 apparso su "Terra nuova forum"; ringraziamo Mao Valpiana per avercelo inviato. Alexander Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bolzano) nel 1946, e si e' tolto la vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di infinite iniziative per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per una sommaria descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi' generose di Langer rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e' stata pubblicata col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel 1986 (poi ripresa in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer: Vie di pace. Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992; dopo la sua scomparsa sono state pubblicate due belle raccolte di interventi: La scelta della convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore leggero. Scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo 1996. Segnaliamo inoltre: Scritti sul Sudtirolo, Alpha&Beta, Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten, Wagenbach, Berlin 1996; Piu' lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a "Notizie Verdi", Roma 1998. Opere su Alexander Langer: Roberto Dall'Olio, Entro il limite. La resistenza mite di Alex Langer, La meridiana, Molfetta 2000. Si sta ancora procedendo alla raccolta di tutti gli scritti e gli interventi (Langer non fu scrittore da tavolino, ma generoso suscitatore di iniziative e quindi la grandissima parte dei suoi interventi e' assai variamente dispersa). Si veda comunque almeno il fascicolo monografico di "Azione nonviolenta" di luglio-agosto 1996; l'opuscolo di presentazione de La Fondazione Alexander Langer - Stiftung, suppl. a "Una citta'", Forli' (per richieste: tel. 054321422; fax 054330421), ed il nuovo fascicolo edito dalla Fondazione nel maggio 2000 (per richieste: tel. e fax 00390471977691). La Casa per la nonviolenza di Verona ha pubblicato un CD-Rom su Alex Langer (per informazioni: tel. 0458009803; fax 0458009212; e-mail: azionenonviolenta at sis.it). Indirizzi utili: Fondazione Alexander Langer Stiftung, via Portici 49 Lauben, 39100 Bolzano-Bozen, tel. e fax 00390471977691; e-mail: foundation at alexanderlanger.it; sito: www.alexanderlanger.it] Quanti oggi si disperano per non essere riusciti a prevenire prima ed a fermare poi la guerra nel Golfo, si trovano in buona ed illustre compagnia: il papa ed il segretario delle Nazioni Unite aprono il lungo corteo di coloro che non si rassegnano facilmente al fatto che la parola sia passata alle armi, che la guerra, "avventura senza ritorno", sia poi effettivamente scoppiata. E piu' si sperimenta l'impotenza di milioni di persone comuni e di migliaia di esponenti rappresentativi delle piu' diverse istituzioni, chiese, associazioni, sindacati, partiti e persino parlamenti che invocano la fine della guerra, ma non riescono a farsi ascoltare, piu' ci si domanda cosa di efficace oggi si possa fare di fronte a gravi ingiustizie internazionali, senza affidarsi alla prova di forza militare. E se l'Occidente sviluppato e progredito non riesce a trovare risposte a questa domanda, come si puo' sperare che altri nel mondo, di fronte ad occupazioni ingiuste, gravi violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani, minacce, atti di forza, soprusi, ecc. non cerchino in tutti i modi di ristabilire anche loro con piccole o grandi guerre (e col terrorismo, per chi non dispone del timbro di alcuno stato per legittimare la propria violenza armata) i loro diritti violati? Come pretendere dai palestinesi, dai kurdi, dagli abitanti del Kashmir, dai ciprioti, dagli armeni, dai tibetani, dai popoli baltici e da tanti altri di respingere la tentazione della violenza come mezzo per affermare i loro diritti violati? Tanti pesi, tante misure, ed alla fine ogni volta, quando parlano le armi, finisce per affermarsi semplicemente la legge del piu' forte, che sia nel giusto o nel torto. * Il "pacifismo gridato" (cosi' lo ha chiamato il cardinal Martini di Milano) esprime la rabbia e la frustrazione di chi sente questa impotenza, ma davvero non sfugge facilmente all'accusa di usare anch'esso pesi e misure diverse, a seconda di chi si tratta di condannare o approvare. Chi pero' non rinuncia a considerare la guerra comunque, ed oggi ancor piu' di ieri e dell'altro ieri, una sconfitta dell'umanita' che finisce per provocare mali maggiori di quelli che pretende di curare, non puo' rassegnarsi ad accettare che ci siano situazioni che solo con la forza bellica si possono risolvere. Sono due le linee di azioni che a questo punto sembrano degne di esplorazione approfondita. La prima aiuta a superare il "pacifismo (solo) gridato" e potrebbe essere sintetizzata con un motto formulato dalla "Campagna nord-sud": contro la guerra, cambia la vita. La seconda riguarda il ricorso alla "forza", senza che cio' debba essere sinonimo di guerra, un problema che i nonviolenti da sempre pongono e che non puo' ridursi all'alternativa tra subire o fare la guerra. * Contro la guerra, cambia la vita: le guerre scoppiano "a valle", quando tutta una infausta concatenazione di soprusi, violenze e fallimenti si e' gia' prodotta e sembra diventata irrimediabile; i popoli, la gente comune, sono poi chiamati a pagare il conto finale senza aver potuto intervenire sulle singole voci che lo hanno via via allungato. Ma dinnanzi al fallimento della politica e della negoziazione, che sfocia nella guerra, bisognera' pur rafforzare gli "anticorpi" a disposizione di ogni singola persona per prevenire le guerre e per non lasciarsene, comunque, catturare, una volta che sono scoppiate. Se tutto uno stile di vita (consumi, produzioni, trasporti, energia, banche...) nel quale siamo largamente coinvolti, per potersi perpetuare ha bisogno di condizioni assai ingiuste che regolano le relazioni tra i popoli e con la natura, bisognera' dunque intervenire "a monte" e mettere in questione la nostra partecipazione (anche individuale) ad un "ordine" economico, politico, sociale, ecologico e culturale che rende necessarie le guerre che lo sostengono. Se il consenso alla guerra (sotto forma di nazionalismi, razzismi, pregiudizi, stereotipi, ecc.) puo' con tanta facilita' diventare maggioritario - non certo soltanto tra "fondamentalisti islamici"... - si dovra' intervenire anche qui "a monte" ed allargare una solida base ideale e culturale di disposizione alla pace ed alla convivenza, disintossicando cuori e cervelli. Se e' considerato scontato che, una volta scoppiata la guerra, non resta che allinearsi ed arruolarsi (materialmente e culturalmente), bisognera' pure che qualcuno lavori per suscitare e consolidare scelte di "obiezione alla guerra". Sono dunque tante le forme di azione che si possono scegliere per "cambiare la vita di fronte alla guerra", nel senso di negarle ogni consenso e sostegno e nel senso di farle mancare - ognuno - almeno un pezzettino di apparente giustificazione. * Piu' difficile appare oggi la seconda delle linee proposte: sviluppare strumenti "di forza", ma il meno possibile violenti e comunque non bellici. Di fronte all'occupazione violenta del Kuwait da parte dell'Irak, ed alla sistematica azione degli Usa e di alcuni fra i loro alleati per arrivare comunque alla guerra con l'Irak e realizzare una globale "resa dei conti" per impedirgli di nuocere in futuro, la scelta nonviolenta a molti sembra andata improvvisamente in crisi. La "guerra giusta" e' riapparsa solennemente all'orizzonte - questa volta con tanto di voto a schiacciante maggioranza nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu e quindi con la legalita' internazionale assicurata. Non poteva mancare qualche vescovo, qualche moralista e qualche elzevirista a benedire il tutto. "Pacifista" e' tornato ad essere un sinonimo di fifone, piagnone o alto traditore e cospiratore col nemico, "nonviolento" un aggettivo buono per i sognatori. Lo stesso papa viene indicato come capofila del "disfattismo", visto che non cessa di denunciare e chiamare a fermare questa guerra. L'argomento piu' forte dei sostenitori della "guerra giusta" (magari ribattezzata "azione di polizia internazionale") e' di ordine storico-morale: "se Hitler fosse stato fermato gia' nel 1934, al momento dell'occupazione della Renania, si poteva forse risparmiare al mondo intero la tragedia del nazismo e della seconda guerra mondiale". Dove per "fermare Hitler" si da' per scontato che si debba leggere "fare la guerra a Hitler". E dove si dimentica che la coalizione anti-Hitler avra', si', battuto l'incubo del totalitarismo nazifascista, ma rifondato anche - su 40 milioni di morti - un ordine internazionale che ha tranquillamente consegnato mezza Europa ad un altro totalitarismo e l'intero sud del pianeta allo sfruttamento e, in molti casi, a vecchi o nuovi colonialismi e totalitarismi. Se quindi e' giusto fare tutto il possibile per fermare aggressioni, ingiustizie e soprusi, a partire dal chiamarli per il loro nome ed identificarli come tali, non mi sembra invece ne' giusta, ne' risolutiva l'idea di farne derivare con una sorta di funesto automatismo la sanzione bellica. * Piuttosto la guerra nel Golfo (che fin d'ora appare - a dispetto di tutte le censure nell'informazione - ben piu' "sporca" di quanto non sia stata presentata, camuffata in geometrica potenza dell'azione chirurgica elettronica) dimostra che si devono inventare nuovi strumenti alternativi e nonviolenti, persuasivi ed efficaci, per ridurre il tasso di violenza nel mondo e per risparmiare bagni di sangue (che si chiamino guerra o repressione, che siano internazionali o interni). Ne provo ad indicare quattro, di cui mi sembra ci sia bisogno (potendoli qui appena accennare, naturalmente): 1) sviluppare l'arma dell'informazione e della disarticolazione della compattezza derivante da repressione, disinformazione, censura; perche' non "bombardare" con trasmissioni radio e tv, con volantini, con documentazione, piuttosto che con armi? ("Radio Free Europe" o "Radio Vaticana" hanno fatto probabilmente di piu' per la destabilizzazione dei regimi dell'est che non le divisioni della Nato) Perche' non fornire supporti ed aiuti ai gruppi impegnati nei diversi regimi totalitari per i diritti umani, piuttosto che fornire armi agli Stati che un giorno si spera facciano loro la guerra? 2) costituire e moltiplicare gruppi/alleanze/patti/tavoli interetnici, interculturali, interreligiosi di dialogo e di azione comune, piuttosto che dialogare solo da campo a campo o da blocco a blocco; e' l'abbattimento dei muri, o perlomeno lo sforzo di renderli penetrabili (vedi l'esperienza interetnica dell'"altro Sudtirolo") Oggi uno dei "buchi neri" in questa crisi e' l'assenza di forti legami interculturali ed interetnici tra arabi ed israeliani, tra Europa e mondo arabo, tra Cristianesimo ed Islam; non sono quindi da disprezzare anche modesti strumenti quali i "gemellaggi" tra Comuni, Regioni, associazioni, ecc., che avvicinano concretamente i popoli e rendono piu' difficile il consenso a "bombardare l'altro" (che si accetta di bombardare tanto piu' quanto meno lo si conosce); 3) lavorare seriamente per un nuovo diritto internazionale e per un nuovo assetto dell'Onu, basato oggi non solo sugli esiti della seconda guerra mondiale (con le sue "Grandi Potenze", i loro diritti di veto, ecc.), ma anche su un concetto ed una pratica di "sovranita' degli Stati" poco consono al destino comune dell'umanita'. La tradizionale distinzione tra "affari interni" che esigono la non-ingerenza degli altri (per cui torture e massacri non riguardano la comunita' internazionale, finche' non scoppia un contenzioso tra almeno due Stati) ed "internazionali" non regge alla prova delle emergenze ecologiche, ne' dei diritti umani; 4) chiedere all'Onu di promuovere una sorta di "Fondazione S. Elena" (nome dell'isola in cui alla fine fu esiliato Napoleone, tra gli agi e gli onori, ma reso innocuo), per facilitare ai dittatori ed alle loro sanguinarie corti la possibilita' di servirsi di un'uscita di sicurezza prima che ricorrano al bagno di sangue pur di tentare di salvarsi la pelle (Siad Barre, Ceausescu, Marcos, Fidel Castro, il re del Marocco, Saddam Hussein... potrebbero o potevano utilmente beneficiarne piuttosto che giocare il tutto per il tutto); la questione di amnistie e indulti per chi e' abbastanza lontano ed abbastanza vigilato da non poter piu' fare danni, non dovrebbe essere insolubile. * Ho scelto appena alcuni esempi, tra i molti che si potrebbero fare (pensiamo solo alle diverse possibili articolazioni dell'embargo commerciale, sportivo, scientifico, ecc.), perche' sono convinto che oggi il "settore R&S" (ricerca e sviluppo) della nonviolenza debba fare grandi passi avanti e non fermarsi solo alle ormai tradizionali risorse della disobbedienza civile. E la spaventosa guerra in corso non deve farci fare tutti quanti un salto indietro, riammettendo la guerra tra i protagonisti della storia e tra gli strumenti - seppur estremi - della convivenza tra i popoli. Con il livello odierno di armamenti, di affollamento demografico del mondo e di precarieta' ecologica del pianeta comunque non ci puo' essere piu' "guerra giusta", se mai ne poteva esistere in passato. 4. MAESTRE. HANNAH ARENDT: NEL NOSTRO RAPPORTO CON GLI ALTRI [Da Hannah Arendt, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano 1991, p. 199. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l 'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] Acquistiamo per la prima volta coscienza della liberta' o del suo contrario nel nostro rapporto con gli altri, non nel rapporto con noi stessi. 5. MAESTRI. EMMANUEL LEVINAS: L'ESSENZA DEL LINGUAGGIO [Da Emmanuel Levinas, Totalita' e infinito, Jaca Book, Milano 1980, 1995, p. 314. Emmanuel Levinas e' nato a Kaunas in Lituania il 30 dicembre 1905 ovvero il 12 gennaio 1906 (per la nota discrasia tra i calendari giuliano e gregoriano). "La Bibbia ebraica fin dalla piu' giovane eta' in Lituania, Puskin e Tolstoj, la rivoluzione russa del '17 vissuta a undici anni in Ucraina. Dal 1923, l'Universita' di Strasburgo, in cui insegnavano allora Charles Blondel, Halbwachs, Pradines, Carteron e, più tardi, Gueroult. L'amicizia di Maurice Blanchot e, attraverso i maestri che erano stati adolescenti al tempo dell'affaire Dreyfus, la visione, abbagliante per un nuovo venuto, di un popolo che eguaglia l'umanita' e d'una nazione cui ci si può legare nello spirito e nel cuore tanto fortemente che per le radici. Soggiorno nel 1928-1929 a Friburgo e iniziazione alla fenomenologia gia' cominciata un anno prima con Jean Hering. Alla Sorbona, Leon Brunschvicg. L'avanguardia filosofica alle serate del sabato da Gabriel Marcel. L'affinamento intellettuale - e anti-intellettualistico - di Jean Wahl e la sua generosa amicizia ritrovata dopo una lunga prigionia in Germania; dal 1947 conferenze regolari al Collegio filosofico che Wahl aveva fondato e di cui era animatore. Direzione della centenaria Scuola Normale Israelita Orientale, luogo di formazione dei maestri di francese per le scuole dell' Alleanza Israelita Universale del Bacino Mediterraneo. Comunita' di vita quotidiana con il dottor Henri Nerson, frequentazione di M. Chouchani, maestro prestigioso - e impietoso - di esegesi e di Talmud. Conferenze annuali, dal 1957, sui testi talmudici, ai Colloqui degli intellettuali ebrei di Francia. Tesi di dottorato in lettere nel 1961. Docenza all'Universita' di Poitiers, poi dal 1967 all'Universita' di Parigi-Nanterre, e dal 1973 alla Sorbona. Questa disparato inventario e' una biografia. Essa e' dominata dal presentimento e dal ricordo dell'orrore nazista (...)" (Levinas, Signature, in Difficile liberte'). E' scomparso a Parigi il 25 dicembre 1995. Tra i massimi filosofi contemporanei, la sua riflessione etica particolarmente sul tema dell'altro e' di decisiva importanza. Opere di Emmanuel Levinas: segnaliamo in particolare En decouvrant l'existence avec Husserl et Heidegger (tr. it. Cortina); Totalite' et infini (tr. it. Jaca Book); Difficile liberte' (tr. it. parziale, La Scuola); Quatre lectures talmudiques (tr. it. Il Melangolo); Humanisme de l'autre homme; Autrement qu'etre ou au-dela' de l'essence (tr. it. Jaca Book); Noms propres (tr. it. Marietti); De Dieu qui vient a' l'idee (tr. it. Jaca Book); Ethique et infini (tr. it. Citta' Nuova); Transcendance et intelligibilite' (tr. it. Marietti); Entre-nous (tr. it. Jaca Book). Per una rapida introduzione e' adatta la conversazione con Philippe Nemo stampata col titolo Ethique et infini. Opere su Emmanuel Levinas: Per la bibliografia: Roger Burggraeve, Emmanuel Levinas. Une bibliographie premiere et secondaire (1929-1985), Peeters, Leuven 1986. Monografie: S. Petrosino, La verita' nomade, Jaca Book, Milano 1980; G. Mura, Emmanuel Levinas, ermeneutica e separazione, Città Nuova, Roma 1982; E. Baccarini, Levinas. Soggettivita' e infinito, Studium, Roma 1985; S. Malka, Leggere Levinas, Queriniana, Brescia 1986; Battista Borsato, L'alterita' come etica, EDB, Bologna 1995; Giovanni Ferretti, La filosofia di Levinas, Rosenberg & Sellier, Torino 1996; Gianluca De Gennaro, Emmanuel Levinas profeta della modernita', Edizioni Lavoro, Roma 2001. Tra i saggi, ovviamente non si puo' non fare riferimento ai vari di Maurice Blanchot e di Jacques Derrida (di quest'ultimo cfr. il grande saggio su Levinas, Violence et metaphysique, in L'ecriture et la difference, Editions du Seuil, Parigi 1967). In francese cfr. anche Marie-Anne Lescourret, Emmanuel Levinas, Flammarion; François Poirie', Emmanuel Levinas, Babel] ... l'essenza del linguaggio e' amicizia ed ospitalita'. 6. MAESTRI. ALDO CAPITINI: LA NOVITA' DEL NOSTRO TEMPO [Da Aldo Capitini, La nonviolenza vive, in "Azione nonviolenta" aprile-maggio 1968, ora in Idem, Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, p. 444. Aldo Capitini e' nato a Perugia il 23 dicembre 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace; e' morto a Perugia il 19 ottobre 1968; e' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977; recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte; sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, e un volume di Scritti filosofici e religiosi. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Bfs, Pisa 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001. E ancora: Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; utile anche Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988] Nella lotta nonviolenta la forza fondamentale non e' corporea o dell'arma, ma nella capacita' individuale del coraggio e nel sapere stabilire solidarieta'. Perche' la novita' del nostro tempo non e' la nonviolenza (gia' giainica, buddhista ed evangelica), ma la nonviolenza piu' la solidarieta' con le moltitudini, dal basso. Questo hanno operato Gandhi e King, ed e' da fare dappertutto. 7. LUTTI. FILIPPO LA PORTA RICORDA LESLIE FIEDLER [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo febbraio 2003. Filippo La Porta e' acuto critico letterario. Leslie Fiedler e' stato autore di romanzi, racconti, poesia, ma soprattutto geniale critico letterario; tra i libri tradotti in italiano ricordiamo particolarmente Freaks (Garzanti) e la trilogia saggistica costituita da Amore e morte nel romanzo americano (Longanesi), Aspettando la fine, e Il ritorno del pellerossa (entrambi per Rizzoli). Per Donzelli sono uscite, infine, le sue ultime pubblicazioni: La tirannia del normale (1998) e Dodici passi sul tetto (1999)] Uno studioso geniale e controcorrente come Leslie Fiedler - scomparso ieri, nella sua casa di Buffalo, all'eta' di ottantacinque anni - e' inimmaginabile nel nostro paese. Non che da noi non ci siano stati docenti universitari scanzonati o innovativi, incuranti delle gerarchie tradizionali, spregiudicatamente aperti a valori e gusti pop. Ormai abbiamo imparato tutti a riconsiderare il trash in letteratura e a rivedere le convenzionali distinzioni tra alto e basso: anche la piu' appassionata, irriverente apologia di Via col vento (come quella proposta recentemente dal critico americano) non potrebbe adesso piu' scandalizzarci. Il fatto e' che Fiedler, per profonde ragioni biografiche e culturali (ebreo - ipersensibile alla questione della Diversita' - e americano - educato a un cristianesimo puritano, delle origini) ci si configura come un Mistico della Democrazia, un difensore ad oltranza di ogni differenza - e devianza - individuale. Perfino l'handicap estremo viene da lui assunto tranquillamente "non come distacco dalle forme, varie e pressoche' infinite, della 'normalita'' umana bensi' come una possibile manifestazione di essa", come scrive nella Tirannia del normale (Donzelli), commentando attraverso le opere letterarie e l'osservazione della vita quotidiana le nostre reazioni (di noi Tab, ovvero Temporary able-boiled, temporaneamente abili nel fisico) nei confronti dei disabili. Probabilmente per negare l'esistenza stessa dei Mostri, di quell'Altro irriducibile che e' la persona affetta da malformazione congenita grave (l'Elephant Man), occorre una fede smisurata (certo laica, e insieme implicante una qualche religiosita') nella sostanza creaturale della nostra condizione e nella illimitata ampiezza dello "spettro umano". Come lui stesso ha dichiarato, in tutta la sua lunga carriera di critico letterario Fiedler e' stato sempre ossessionato dalla figura del Diverso, incarnato via via nei tipici miti americani (e non solo) dell'Indiano, del Nero, del Freak, dell'Ebreo e infine del Disabile... La letteratura del resto ha sempre costituito per lui soltanto una delle tante forme dell'immaginario collettivo, e anzi dopo aver scritto quel capolavoro della critica che e' Amore e morte nel romanzo americano (pubblicato nel 1960 e poi tradotto in Italia da Longanesi), su cui si sono formate generazioni di studenti, negli ultimi anni la sua attenzione si e' spostata direttamente su temi di bioetica, teologia e di antropologia. Al nostro paese, vorrei ricordarlo, Fiedler era legato intensamente, a partire da un viaggio compiuto a quarant'anni, "nel mezzo del cammin di nostra vita" (come lui stesso, amante di Dante, aveva scritto) con una borsa Fulbright, fino alla partecipazione ad un convegno fiorentino sull'identita' ebraica (anni '80), in cui tra l'altro si era soffermato sull'antisemitismo italiano, da un imbarazzante quadro di Paolo Uccello a un certo antisionismo un po' acritico della sinistra. In ogni caso riteneva l'Italia un paese particolarmente "amabile". Il critico Rene' Walleck nella sua monumentale storia della critica cita un po' scandalizzato proprio Fiedler in quanto autorevole esponente di una critica che avrebbe rinunciato a ogni criterio di valore, impegnandosi a celebrare provocatoriamente la vasta fenomenologia del Kitsch e il "ciarpame gioioso" della cultura di massa. Ora, il punto e' che da tutta l'opera di Fiedler emerge un'idea "alta" di letteratura (si tratti di letteratura colta o di intrattenimento), capace di offrirci verita' inquietanti su di noi, sulle nostre paure primordiali, su tutto quanto continuamente reprimiamo e rimuoviamo. E anzi, citando un illustre connazionale, Fiedler, che era nato a Newark (nello stesso quartiere ebraico del Lamento di Portnoy di Roth...) dira' che leggere romanzi o racconti e' come essere "svegli nei sogni" (Thoreau). Ecco, se riusciremo a restare svegli nei sogni (piu' orrendi o piu' utopici) probabilmente non ci salveremo ma, secondo quanto auspicava Fiedler, diventeremo piu' consapevoli di noi stessi e delle molteplici alterita' che ciascuno ospita dentro di se'. 8. LUTTI. ADRIANA ZARRI RICORDA JANIA E DOMENICO DEL RIO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 febbraio 2003. Adriana Zarri, nata a S. Lazzaro di Savena nel 1919, e' teologa e saggista. Tra le sue opere segnaliamo almeno: Nostro Signore del deserto, Cittadella; Erba della mia erba, Cittadella; Dodici lune, Camunia; Il figlio perduto, La Piccola] Domenico del Rio (per gli amici Mimmo) che fu vaticanista e scrittore, mancato all'affetto dei tanti amici la settimana scorsa. La sua e' una bella storia, anzi sono due belle storie intrecciate. E siccome la morte e' un varco che attende tutti vale la pena di narrarle. Sono due storie di credenti, che anche ai non credenti possono offrire un filo di pace e di speranza. Quando lo conobbi era frate francescano. Poi si ritiro' dal sacro ministero e si sposo' con una donna straniera, credo slava, di nome Jania che, dopo una lunga e felice convivenza, lo precedette in quel "di la'" che, pur diversamente concepito (o non concepito affatto perche' negato) e' un approdo comune. Durante la malattia che l'avrebbe portata alla tomba Jania diceva a Mimmo: "ti precedo e ti aspetto" poi perse conoscenza per vari giorni. Alla fine parve come riaversi ed esclamo': "Gesu' e' risorto". Il che, per un cristiano, significa appellarsi a quell'evento misterioso che garantisce la resurrezione di ciascuno di noi. E dopo quell'invocazione, Jania spiro'. A lei Mimmo dedico' un libro: "nella tenera attesa di rivedere Jania, approdata in Dio". Ora la tenera attesa e' terminata ed anche Mimmo e' approdato in Dio. Prima di quel supremo approdo, con grande lucidita' e serenita', diceva: "Vado a rivedere Jania che mi sta aspettando". E' una storia, anzi sono due storie, che ho voluto narrare a conforto di tutti perche' a tutti - credenti o no - sia concesso un approdo sereno e dolce come quelli di Jania e Mimmo. 9. BANALITA'. FOLCACCHIERO SCATAMACCHIA: ALTRE STRADE [E insiste, costui...] E' vero che tutte le strade portano a Roma (come tutte le vite portano alla morte), ma diverso e' andarci in lettiga, da pellegrini, a cavallo, o in catene. 10. RIVISTE. "LA VITA SCOLASTICA": SPECIALE MARIO LODI "La vita scolastica", anno 56, n. 19, 20 luglio 2002, Speciale Mario Lodi. Un prezioso, utilissimo fascicolo monografico dedicato all'illustre maestro, scrittore, amico dei bambini. Per informazioni e richieste: tel. 0555062328, e-mail: vitascol at giunti.it, sito: www.lavitascolastica.it 11. LETTURE. GERARDO LEO: RODARI NELLA SCUOLA E NELLA CULTURA ITALIANA Gerardo Leo, Rodari nella scuola e nella cultura italiana, s. i. t. ma Centro studi Fantasilandia, Siano 2000, pp. 16. Agile, utile opuscolo realizzato in occasione di un'iniziativa di omaggio a Gianni Rodari comprensiva di incontri culturali e mostre didattiche per le scuole a Siano nell'ottobre-novembre 2000. 12. RILETTURE. EDITH STEIN: LA SCELTA DI DIO Edith Stein, La scelta di Dio, Citta' Nuova, Roma 1974, Mondadori, Milano 1997, pp. 144, lire 12.000. Una silloge dell'epistolario della grande pensatrice assassinata dai nazisti. Edith Stein, filosofa tedesca, e' nata a Breslavia nel 1891 ed e' deceduta nel lager di Auschwitz nel 1942. Di famiglia ebraica, assistente di Husserl, pensatrice tra le menti piu' brillanti della scuola fenomenologica, abbraccio' il cattolicesimo e nel 1933 entro' nella vita religiosa. I nazisti la deportarono ed assassinarono. Opere di Edith Stein: le opere fondamentali sono Il problema dell'empatia, Franco Angeli (col titolo L'empatia) e Studium; Psicologia e scienze dello spirito, Citta' Nuova; Una ricerca sullo Stato, Citta' Nuova; La fenomenologia di Husserl e la filosofia di san Tommaso d'Aquino; Introduzione alla filosofia, Citta' Nuova; Essere finito e Essere eterno, Citta' Nuova; Scientia crucis, Postulazione generale dei carmelitani scalzi. Cfr. anche la serie di conferenze raccolte in La donna, Citta' Nuova. Opere su Edith Stein: per un sintetico profilo cfr. l'"invito alla lettura" di Angela Ales Bello, Edith Stein, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo 1999 (il volumetto contiene un breve profilo, un'antologia di testi, una utile bibliografia di riferimento). Lavori sul pensiero della Stein: Carla Bettinelli, Il pensiero di Edith Stein, Vita e Pensiero; Luciana Vigone, Introduzione al pensiero filosofico di Edith Stein, Citta' Nuova; Angela Ales Bello, Edith Stein. La passione per la verita', Edizioni Messaggero di Padova. Per la biografia: Edith Stein, Storia di una famiglia ebrea, Citta' Nuova; Elio Costantini, Edith Stein. Profilo di una vita vissuta nella ricerca della verita', Libreria Editrice Vaticana; Laura Boella, Annarosa Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein, Cortina, Milano 2000. 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 497 del 4 febbraio 2003
- Prev by Date: Una pedalata contro la guerra
- Next by Date: Il discorso integrale di Bill Gates in senato
- Previous by thread: Una pedalata contro la guerra
- Next by thread: Il discorso integrale di Bill Gates in senato
- Indice: