La nonviolenza e' in cammino. 494



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 494 del primo febbraio 2003

Sommario di questo numero:
1. Giobbe Santabarbara, piccolo discorso per un accostamento alla
nonviolenza
2. Maria G. Di Rienzo, il ruolo del linguaggio nella deumanizzazione delle
donne
3. Massimiliano Pilati, pace da tutti i balconi
4. Viviana Vivarelli, la bandiera della pace
5. Manlio Dinucci, le basi militari italiane decisive per la guerra all'Iraq
6. Un appello alle istituzioni da Alba
7. Edda Melon ricorda Elisabetta Benenati
8. Mohandas Gandhi, l'unico merito
9. Folcacchiero Scatamacchia: strade
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. GIOBBE SANTABARBARA: PICCOLO DISCORSO PER UN ACCOSTAMENTO
ALLA NONVIOLENZA
[Il piccolo discorso di cui qui di seguito presentiamo la traccia scritta,
il nostro buon Giobbe doveva tenere in occasione di una commemorazione di
Gandhi che poi non ebbe luogo poiche' la neve vi si frappose; dove si vede
che le intemperie la vincono sulle occasioni, ma le parole la vincono
comunque anche sulle intemperie]
1. Cosa e' la nonviolenza?
La nonviolenza e' un appello.
Un appello, una chiamata, una convocazione (con-vocazione, vocazione con).
Non e' un ricettario di cucina o di farmacia, non un menu' dei ristoranti
dell'avvenire, non un orario dei treni della storia.
Non e' un'ideologia ne' una religione, non e' un insieme di dogmi (e piu'
che una fede e' una scommessa - pascaliana, certo -, e piu' che un sistema
e' una proposta - metodologica ed epistemologica oltre che morale, certo).
Ma neppure un insieme di istruzioni per l'uso, di trucchi, di regole da
mandare a mente; non si prende in pillole e non ci si gioca a scacchi.
La nonviolenza e' un appello, un appello rivolto a te.
Poi decidi tu se ascoltarlo o no.
La nonviolenza ti chiama, e tu scegli.
*
2. Ma cosa ci chiede questo appello?
Innanzitutto rispetto per se stessi.
Invito al rigore intellettuale e morale. Prendere sul serio i nostri
pensieri. Vivere come pensiamo che si dovrebbe vivere, come pensiamo che ci
piacerebbe essere.
E poi rispetto per la vita (senza di cui e' la morte, il nulla).
Rispetto per la vita nostra, quella degli altri, il mondo.
E quindi e' un impegno preciso: non uccidere, salva la vita, degnificala.
E' quindi un invito alla responsabilita'; responsabilita' che e':
- l'attenzione, che e' il rispetto piu' intenso e profondo (Simone Weil);
- il rispondere, il rispondere al volto muto e sofferente dell'altro
(Emmanuel Levinas);
- e quindi l'aver cura, l'aver cura dell'altro, e del tutto, e di se' (Hans
Jonas).
*
3. Un appello alla lotta
Ma allora questo appello e' un appello all'azione, alla lotta.
La nonviolenza e' lotta contro la violenza (ergo contro l'inumano: contro
tutto cio' che gli esseri umani opprime ed umilia ed annienta).
E la nonviolenza e' quindi anche lotta contro quella specifica violenza che
e' la menzogna, che denegandoci nella nostra capacita' di capire, negandoci
la nostra qualita' di esseri che hanno la facolta' di capire, vulnera e
umilia e annichilisce la nostra dignita' umana in cio' che ci e' piu'
peculiare: l'intelligenza, la coscienza (l'esser presenti a se stessi, il
rendersi conto, il consentire, la consapevolezza).
In quanto lotta contro la violenza e lotta contro la menzogna, la
nonviolenza e' impegno di giustizia e impegno di verita': quindi impegno di
solidarieta' umana.
In quanto lotta contro l'inumano essa e' fondatrice di convivenza, e'
politica nel senso forte del concetto, e' "vita activa", e' umanita'
autocosciente e reciprocamente riconoscente (la politica, l'umanita' di
Hannah Arendt).
In quanto lotta la nonviolenza e' conflitto e nel conflitto: suscitamento e
gestione e risoluzione del conflitto; in quanto lotta contro l'ingiustizia e
la menzogna e' resistenza contro l'inumano: resistenza contro la
reificazione, contro il nulla, contro l'inerte, la morte.
La nonviolenza e' conflitto e nel conflitto, ed e' prassi di umanizzazione
del conflitto e nel conflitto, riconoscimento e  promozione di umanita' in e
per tutti gli esseri umani: la nonviolenza e' universalmente inclusiva.
La nonviolenza e' la lotta la piu' limpida ed intransigente contro la
violenza: questo e' il cuore del suo appello. E' appello, e' cuore, e'
lotta. Ti chiama a una scelta.
*
4. Se questo e' vero
Se tutto questo e' vero, la nonviolenza esiste solo nella pratica, nella
concreta opposizione alla violenza, nella concreta azione di riconoscimento
e promozione di umanita'.
Essa non e' quindi una teoria astratta, ma una teoria-prassi, e' "esperienza
e riflessione" unite in un sinolo inscindibile: la disgregazione di questa
unita' dialettica e dinamica semplicemente la annienta. Non si puo' dare una
nonviolenza solo teorica, o solo pragmatica: nell'esperienza senza
riflessione (e quindi senza scelta morale e giudizio intellettuale) non vi
e' piu' nonviolenza; nella riflessione senza esperienza (e quindi senza
verifica e azione) nonviolenza non vi e' mai.
Esperimento e verifica, ricerca e prova intellettuale e morale, scelta
operante: la nonviolenza e' un appello esigente, e una esatta coscienza (cum
scientia); un'ipotesi di lavoro sperimentale e aperta, ma un lavoro non
astratto, non alienato; un principio di ricomposizione, ma una
ricomposizione nel vivo dell'umanita' vivente (e una ricomposizione agita
nella chiarezza e attraverso il passaggio della distinzione e separazione,
laddove occorre non eludere la contraddizione e il conflitto valorizzare: e
una delle riflessioni decisive per l'accostamento alla nonviolenza a noi
sempre e' parso essere costituita dalle Tre ghinee di Virginia Woolf, un
libro il cui attraversamento e' ineludibile, un'autrice la cui riflessione
e' ineludibile).
*
5. Potremmo dunque dire
- Potremmo allora dire che per accostarsi a Gandhi occorre innanzitutto
bultmannianamente "demitizzare Gandhi", ovvero interpretarne la figura e la
lezione non come un paradigma ipostatizzato, bensi' nell'attrito storico,
nel contesto culturale e nella concretezza esistenziale. Demitizzare Gandhi
significa non imbalsamare Gandhi, non alienarlo e non alienarcelo, bensi'
farcene interrogare: una persona come noi, persona umana tra persone umane,
quel che lui ha saputo fare, anche noi possiamo farlo.
- E potremmo altresi' dire che per accostarsi alla nonviolenza occorre
marxianamente (ma anche: feuerbachianamente, luxemburghianamente,
bonhoefferianamente) "deideologizzare" la percezione, e la ricezione, della
nonviolenza. Deideologizzare la nonviolenza significa non farne una
"ideologia di ricambio" (Basaglia), un feticcio, falsa coscienza,
alienazione; ma valorizzarla per quello che e': appello alla lotta e lotta,
strumento ermeneutico ed interrogazione radicale, apertura di umanita',
apertura all'umanita'.
- Potremmo quindi dire che accostarsi alla nonviolenza significa fare la
scelta che ci indicano tante tradizioni e tante figure grandi e massime
della storia dell'umanita': che nessuno sia piu' allevato a scorpioni e
frustate (l'immagine, si sa, e' di Rosa Luxemburg); che nessuno venga
abbandonato alla solitudine (qui sovvengono parole indimenticabili di
Qohelet, di Franz Kafka, di Etty Hillesum, di Primo Levi); che tutti gli
esseri umani si sentano uniti in solidarieta' contro il male e la morte
(Leopardi, naturalmente).
*
6. Questo
Per concludere con una citazione: "Questo mi hanno insegnato i miei maestri
piu' grandi, superstiti dai campi di sterminio. Questo mi e' parso di capire
nell'appello di Gandhi. Mi posi allora all'ascolto e in cammino. Cammino
ancora, sempre ascoltando, talora dicendo parole, e quando ne ho la fortuna,
raddrizzando torti" (Alfonso Chisciano).
*
7. E noi
E noi che veniamo dopo Auschwitz e dopo Hiroshima, dopo la shoah e dopo i
gulag, noi che non possiamo permetterci illusioni poiche' sappiamo di quali
concrezioni di male e' capace l'umanita'; noi che abbiamo qui e adesso di
fronte a noi la prospettiva terribile di una nuova guerra che puo'
facilmente diventare atomica e mondiale, e quindi provocare sofferenze
inenarrabili e fin la distruzione della civilta' umana; noi che sappiamo che
la guerra e' il piu' grande nemico dell'umanita'; ebbene, noi, alla guerra
incombente ed ai suoi apparati, ed alle dittature, al terrorismo, alle
ingiustizie globali, possiamo e dobbiamo contrapporre un impegno di
resistenza, di pace, di riconciliazione.
Questo impegno, io credo, richiede la scelta della nonviolenza. Questo
impegno, io penso, nella sua forma piu' rigorosa e' la nonviolenza. Solo la
nonviolenza puo' salvare l'umanita'.
E' merito grande di Gandhi, come dei martiri della Resistenza, come del
movimento delle donne, avercelo insegnato.
Onorando oggi Gandhi noi rinnoviamo un impegno: contro la guerra e contro la
violenza. Ciascuno ricordi che ognuno e' responsabile di tutto, che la
guerra puo' essere impedita, e quindi deve essere impedita. Al lavoro,
dunque.

2. RIFLESSIONE. MARIA G. DI RIENZO: IL RUOLO DEL LINGUAGGIO NELLA
DEUMANIZZAZIONE DELLE DONNE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Renzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Oggi come nel passato il linguaggio peggiorativo gioca un ruolo importante
nella deumanizzazione dei gruppi e dei singoli che si vogliono dominare. Le
categorie degradanti che di seguito vedremo (essere umano deficitario,
subumano, animale, parassita, malattia, oggetto inanimato e prodotto di
scarto) intendono fornire la cornice attraverso la quale analizzare con
quali parole si giustifica il trattamento disumano delle donne.
*
1. Una lunga tradizione di oppressione
La ferocia e la persistenza dell'oppressione esercitata sulle donne e' una
triste testimonianza di cosa significhi essere considerate "non umane".
La parata degli orrori e delle atrocita' potrebbe essere infinita:
l'infanticidio delle bambine, i roghi delle streghe, la prostituzione
forzata, la violenza domestica, lo stupro e l'incesto padre/figlia... e di
fatto possiamo dire che finita non e', perche' le donne continuano ad essere
abusate e assalite in virtu' del loro essere tali.
E' probabile che molte di queste pratiche vi vengano presentate come una
"tradizione culturale": il bruciare vive le vedove e' per esempio sovente
descritto come un "costume" grazie al quale una donna, volontariamente, si
getta sulla pira che sta cremando il marito morto, ad indicare la sua
devozione per lui. Le candidate all'immolazione sono infatti cosi' ansiose
di seguire questa tradizione culturale da essere usualmente circondate da
uomini armati di picche o bastoni che le trascinano sul rogo, dall'avere
mani e piedi legati e dall'essere rese prive di sensi dall'ingestione di
droghe o alcool. Le vedove sospettate di "debole volonta'" vengono gettate
su pire profondamente incassate nel terreno, a prova di fuga.
*
2. Le ideologie ed il linguaggio deumanizzanti
Poiche' e' impossibile negare che le donne siano soggette ad abusi, bisogna
in qualche modo giustificare e razionalizzare la questione.
Le spiegazioni fornite per legittimare un incredibile ammontare di violenze
saranno le seguenti:
- Le donne sono inserite in una struttura difettosa: la mancanza di
opportunita' economiche, educative, sociali le pone in una posizione di
dipendenza che le rende vulnerabili a ogni tipo di violenza.
Sebbene sia vero che le societa' umane in genere offrono meno alle donne,
questa e' una violazione del diritto umano in se', e non la "spiegazione"
per altre violazioni. Il ragionamento lascia inspiegato come mai l'esigua
percentuale di donne al mondo che detiene potere economico o che puo'
usufruire di opportunita' sia comunque soggetta ad abusi.
- Le relazioni umane sono segnate dal sadomasochismo: questa teoria postula
che gli uomini derivino il loro piacere dall'infliggere dolore alle donne,
mentre esse goderebbero dell'essere umiliate, ferite, ingiuriate
psichicamente e fisicamente.
- Le donne sono naturalmente piu' deboli: poiche' generalmente sono di
taglia piu' piccola dei maschi umani, questi ultimi sarebbero legittimati ad
usare la forza per dominarle.
*
3. Il dogma della supremazia maschile
Ognuna delle teorie suddette, e altre non incluse, hanno come fulcro la
centralita' del maschio umano, su cui si fonda l'ideologia patriarcale.
Poiche' essa e' in sintesi la convinzione che i maschi siano "superiori"
puu' razionalizzare in vari modi il trattamento da essi riservato alle
donne.
Questa convinzione (che gli uomini siano migliori, piu' forti e piu'
intelligenti e che comunque siano il "giusto metro di misura") e' cosi'
profondamente diffusa e propagandata che non puo' fare a meno di avere un
impatto sul modo in cui qualunque uomo vede una donna ed ha relazioni con
lei.
Il linguaggio derogatorio nei confronti delle donne ha la funzione di
solidificare l'ideologia patriarcale e di fornire una scusa per
comportamenti che, se diretti ad un altro uomo, non ci sarebbe alcun dubbio
nel definire oppressivi.
*
4. Semantica anti-femminile
Il linguaggio dell'oppressione "razziale" e' quasi sempre manifesto e
relativamente facile da identificare; il linguaggio del sessismo e' piu'
sottile e pervasivo.
I nostri discorsi di ogni giorno riflettono ossessivamente la "superiorita'"
maschile e la relativa "inferiorita'" femminile: ogni volta in cui nominiamo
i "diritti dell'uomo" stiamo ad esempio implicando che le donne non esistono
o, se esistono, sono "comprese" nell'uomo. E' stato infatti necessario
nominare esplicitamente i diritti delle donne e delle bambine perche' essi
fossero quanto meno posti in agenda (Pechino 1995).
La debolezza e la non efficacia, per fare un altro esempio, sono
rappresentate come caratteri della femminilita': "svirilizzato" non
significa eunuco, ma "privo di potere"...
La gerarchia della deumanizzazione rivolta alle donne comincia con
"inferiore", ma viene seguita da tutta una serie di connotazioni indicanti
scarsita' o totale mancanza di valore. L'etichetta dell'inferiorita' e'
imposta su tutti gli aspetti dell'essere donna (fisico, mentale ed
emozionale) e viene descritta come uno stato inalterabile, fissato all'atto
della creazione da un dio o dalla natura.
Da Aristotele a Freud, gli uomini hanno definito le donne in base alle loro
"mancanze" (ovvero, le differenze di cui sono portatrici rispetto agli
uomini vengono definite tali).
Oggi leggere dell'invidia del pene non puo' che strapparci un sorriso, e in
alcune donne piu' giovani di me suscita veri e propri scoppi di ilarita', ma
non c'e' dubbio su a che cosa servisse propagandare una teoria del genere,
ne' su che effetti essa abbia avuto.
Il Marchese de Sade non uso' parole molto diverse da quelle dei nobili
pensatori succitati, allo scopo di giustificare il proprio insaziabile
appetito per la degradazione altrui: la donna sarebbe "sempre inferiore
all'uomo, infinitamente meno attraente di lui, meno ingegnosa, meno saggia,
costruita in un modo disgustoso che e' l'esatto opposto di cio' che e'
capace di dar piacere a un uomo".
Joseph Addison ci giudico' "incapaci di logica", "prive del senso della
giustizia", e defini' i caratteri di quella che, per lui, era una vera e
propria razza subumana: "di taglia inferiore, dalle spalle strette, dai
fianchi larghi e dalle gambe corte".
Lutero si espresse nei medesimi termini, correlando l'intelligenza ai
"fianchi stretti" del maschio.
Schopenhauer si premuro' di scriverci sopra un saggio (1851) in cui arrivo'
alla conclusione che questo "sesso antiestetico" aveva la naturale funzione
di obbedire all'altro.
Un'altra eminente analisi della questione la dobbiamo a Otto Weininger
(1906), che dopo averci definite prive di immaginazione, deboli di memoria,
incapaci di senso morale, ed aver specificato che una donna geniale e' una
contraddizione in termini, conclude: "Per quanto degradato un uomo possa
essere, egli e' incommensurabilmente al di sopra della migliore delle
donne".
Sostituite alle parole uomo e donna i termini "ariano" ed "ebreo" e
salterete sulla sedia.
La descrizione delle donne come "bambine perenni", immature ed infantili e'
un altro stratagemma semantico usato per sostenere la dottrina
dell'inferiorita' femminile. In questa prospettiva, ove le donne si
arrestano inevitabilmente ad uno stadio di sviluppo infantile, con tali
creature si puo' indulgere al gioco, disciplinarle, proteggerle, scherzarci
insieme... ma e' ovvio che non possono essere prese sul serio.
*
5. La scienza al servizio del pregiudizio
Durante il XIX e XX secolo, gli scienziati hanno pensato di spiegarci la
"questione femminile" adottando gli stereotipi dell'inferiorita' delle donne
e ammantandoli di un'aura di empirismo. Va tenuto presente che si tratta di
un periodo in cui il movimento delle donne e' molto visibile nel chiedere
pubblicamente (usando azioni dirette nonviolente) diritto di voto,
opportunita' economiche, possibilita' di accesso allo studio.
Sebbene la corruzione della scienza implicita nell'operazione di fornire un
sostrato "razionale" all'oppressione sia stata e sia tuttora nominata, ed i
suoi enunciati siano stati e siano confutati, non c'e' dubbio che molto di
essa faccia ancora parte del "senso comune". Ad esempio:
- "La donna e' costantemente un bambino in crescita, ed il suo cervello e'
conforme a quello tipo dei bambini" (Karl Vogt, docente di storia naturale
all'Universita' di Ginevra, 1864);
- "Il cervello delle donne e' mediamente piu' piccolo di quello degli
uomini, percio' dobbiamo aspettarci, dal punto di vista anatomico, una
marcata inferiorita' della capacita' intellettuale delle prime" (George J.
Romanes, fisiologo evoluzionista);
- "Vi e' una pronunciata limitazione (nelle donne) dei prodotti ultimi
dell'evoluzione umana: la capacita' di pensiero astratto e il sentimento di
giustizia" (Herbert Spencer, sociologo, 1896);
- "Parti straordinariamente importanti del cervello, necessarie per la vita
spirituale, sono meno sviluppate nelle donne e questa differenza e' innata."
(P. Moebius, psicologo, 1907).
*
6. Creature non umane
Deumanizzare chi si vuol degradare, espropriare, uccidere e' un passo
necessario per auto-assolversi dal crimine: la pornografia e' uno dei mezzi
per farlo. In essa le donne sono coinvolte in un'infinita ripetizione di
episodi di violenza e umiliazione, che nulla hanno a che fare con le gioie e
i piaceri del sesso.
La deumanizzazione pornografica funziona come razionalizzazione principale
per gli stupri e gli assalti sessuali. Nel 1971, il sergente Scott Camil
testimonio' in un incontro pubblico relativo ai crimini commessi ai danni
del popolo vietnamita. L'episodio concerneva una donna vietnamita che aveva
chiesto dell'acqua ai soldati, ed era stata stuprata, costretta a compiere
atti umilanti, torturata ed infine uccisa con un colpo di pistola alla
testa. "Non era come se fosse un essere umano, argomento' il sergente, Non
si pensava mai di star sparando ad un essere umano".
E se le donne non sono umane, cosa sono? Nulla, come ci spiega il filosofo
Otto Weininger: "Le donne non hanno esistenza ne' essenza; esse non sono,
esse sono niente. (...) Tutta l'esistenza metafisica e trascendentale e'
esistenza logica e morale; le donne sono non-logiche e non-morali. (...) La
femmina e' il simbolo del nulla".
Se confrontate il linguaggio del filosofo con quello delle scritte oscene
nei gabinetti pubblici troverete molte somiglianze: i graffiti in questione
sono infatti zeppi di riferimenti alle donne come "non persone", "zeri",
"buchi vuoti". Sovente gli stupratori e gli assassini invocano questa "non
esistenza" come giustificazione: lei non era una persona, era una fica, un
buco, e i suoi aggressori volevano semplicemente sesso e volevano solo
divertirsi un po'...
*
7. Animalita' femminile
Deridere le donne paragonandole ad animali e' uno stratagemma che si trova
da tempi immemorabili negli scritti e nei detti satirici, politici,
filosofici, legali e letterari.
In esso, le donne sono dipinte come fattrici prive di cervello che seguono
ciecamente istinti bestiali ed assolvono essenzialmente la funzione
"animale" del produrre e nutrire discendenza. Questa linea di pensiero
suggerisce anche che persino la donna piu' disinteressata a fare sesso con
voi (quella che vi ha detto e ripetuto "no grazie" per dodici volte)
nasconde in realta' una bestia infoiata e lussuriosa e non aspetta che il
vostro esercizio di una qualche violenza sadica per mostrarsi qual e'.
Un'altra variazione del tema e' che se le donne sono "animali selvaggi"
hanno bisogno di essere soggiogate, addomesticate, controllate strettamente
e battute per bene ogni tanto. Gia' nel 195 A.C. Catone ci ammoniva: "Le
donne sono animali violenti e privi di controllo", ma il poeta Baudelaire
non si espresse diversamente: "Considero le donne animali domestici da
tenere in cattivita'; bisogna dar loro da mangiare e averne cura e
picchiarle regolarmente".
*
8. Parassiti voraci
Un altro metodo comune di denigrazione e' l'etichettare le donne come
parassiti, esseri incapaci di provvedere da se' alla propria sussistenza.
Come una sanguisuga, la donna seguirebbe l'insaziabile impulso di attaccarsi
ad un "ospite" (l'uomo) per poter sopravvivere. Attraverso l'astuzia,
l'inganno e la seduzione sessuale, questa ripugnante creatura si sazia delle
energie, delle risorse e delle qualita' del maschio, talvolta sino a
consumarlo e divorarlo: vampira, affascinante ed esiziale; ragno mortifero
dalla tela vischiosa. August Strindberg, romanziere e drammaturgo svedese,
parlando di sua moglie, la paragono' al: "ragno femmina che divora il suo
compagno dopo l'abbraccio dell'unione matrimoniale". Le casalinghe, nel
linguaggio di tutti i giorni, sono sovente presentate come "mantenute" e
parassite dei loro mariti. Le donne producono, nel mondo, la maggior parte
del cibo necessario alla sopravvivenza della popolazione del pianeta: lo
sapevate? Chi le aiuta? I bambini e le bambine, non gli uomini. Sorpresa!
*
9. Malattie
Contagio, piaga, maledizione vivente. Tutta l'antichita' classica e' pervasa
da metafore di questo tipo: "la razza dannata delle donne, una piaga con cui
gli uomini sono costretti a vivere" (Esiodo); "la peggior pestilenza che
Zeus ha creato, le donne" (Simonide). Cio' che le donne toccano viene
contagiato, contaminato, inquinato. Il loro stato e' cronicamente disabile,
infermo.
Ogni parte dell'anatomia femminile e' stata descritta attraverso i secoli da
medici, scienziati, filosofi come una componente malata, ma e' ovviamente
alla vulva, la "ferita che non guarisce mai" (Henry Miller) che toccano le
maggiori invettive.
La mitologia freudiana (riduzionismo biologico) postula a partire da cio' il
senso d'inferiorita' "innato" nelle donne ed il cosiddetto "complesso di
castrazione": un terrore del tutto maschile proiettato sulle donne.
Il resto della scienza non e' da meno; durante tutto il XIX secolo i medici
parlano delle mestruazioni come del sangue di una ferita interna, che
rendono la donna "invalida per sei giorni al mese". Il sangue mestruale
viene considerato la causa di un diluvio di malattie e disagi,
dall'epilessia all'isteria. E per soprammercato si tratta di sangue infetto,
che puo' rovinare tutto cio' con cui viene a contatto. Ancora all'inizio del
XX secolo, nel nord della Francia, vi era una legge che proibiva alle donne
di entrare nelle raffinerie dello zucchero: la ragione era che se donne in
periodo mestruale avessero toccato lo zucchero, esso si sarebbe annerito.
Recentemente ho letto su un quotidiano "di sinistra" una notizia riportata
in modo molto asettico, la mera registrazione di un supposto "progresso"
della scienza medica: ricercatori statunitensi avrebbero messo a punto una
sostanza atta a sospendere le mestruazioni a tempo inderminato. Costoro, due
uomini, argomentavano che le donne moderne ne avevano abbastanza di questo
impiccio alle loro carriere e non ne potevano piu' di essere delle malate
croniche... Al giornalista, maschio, non e' venuto alcun dubbio, ci
credereste? Neanche un commento, ne' il minimo sospetto che i soldi di tali
ricerche siano soldi buttati, ne' l'ascolto di un parere da parte di una
donna. D'altronde chi, avendo un minimo di buon senso e sapendo tutto cio'
che si sa delle donne (e che avete letto nei precedenti otto paragrafi)
desidererebbe essere femmina e, dio ne guardi, avere le mestruazioni?
*
10. Oggetti di proprieta'
Cosa, proprieta', oggetto, bene di consumo: vi e' tutto un lessico teso a
presentare le donne come inanimate, prive di qualsiasi tratto di umanita',
di vita, di capacita' motoria.
Tale linguaggio serve come base a quelle leggi che governano in modo
discriminatorio le relazioni uomo/donna e come razionalizzazione della
violenza domestica e dello stupro. L'origine semantica della parola
matrimonio, in tutte le lingue indoeuropee, e' uno scambio di proprieta' fra
uomini, regolato via via dalle legislazioni. Per molti secoli, lo stupro e'
stato definito non come un attacco violento alla donna, ma come l'ingiuria
alla "proprieta'" di un altro uomo. Durante le guerre, i corpi delle donne
sono "bottino" e "ricompensa" per i vittoriosi, "legittima spoglia", ecc.
L'immagine oggettificata e' tuttora la principale "attenuante" menzionata
dagli stupratori: la violenza carnale ne risulta come diritto degli uomini.
Se la donna non vuole, l'uomo deve prendere, poiche' l'oggetto gli spetta.
Le donne non hanno il diritto di dire no (e comunque, se lo dicono,
intendevano il contrario). Le donne sono fatte per essere usate
sessualmente, e' tutto cio' a cui servono, sono oggetti di proprieta'.
La deumanizzazione di questo tipo e' la maggior causa simbolica della
violenza domestica; la nozione che una moglie sia di proprieta' del marito
autorizza qualunque uomo brutale a fare cio' che vuole del proprio
"possesso".
*
11. Vile materia
Aristotele sistematizzo' uno spostamento di prospettiva, nel pensiero umano,
che aveva preso secoli (e molto spargimento di sangue) per insediarsi: la
separazione mente/corpo, che attribui' alle donne il ruolo di "materiale
passivo" e agli uomini quello di "spirito attivo", di "anima". E' la famosa
"teoria del fornetto", in cui si ipotizza che nella generazione umana le
cose vadano pio' o meno in questo modo: un uomo sceglie un forno (una donna)
ed ivi pone a cuocere il suo seme. La scienza dei secoli successivi fece i
salti mortali per dimostrare questa "verita'"; ancora attorno al 1950 i
biologi negavano che vi fosse "eredita' materna" nel prodotto della
generazione umana. "La donna e' materia che passivamente assume ogni forma
che le venga impressa" (Aristotele). Oggi, l'ossessione di liberarsi delle
donne nel processo generativo ha preso la forma della clonazione. L'uomo
deve divenire il dio che fa il progetto dall'a alla zeta, senza necessita'
di collaborazione femminile. Purtroppo, lasciando perdere le recenti panzane
mediatiche della Clonaid, gli unici animali finora prodotti da clonazione
sono femmine, o risultato della combinazione di femmine (la pecora Dolly)...
*
12. Prodotti di scarto
Occasionalmente, le donne sono state anche ridotte a prodotti di scarto:
spazzatura, pus, rifiuto, fogna sono i termini usati.
Odo di Cluny (decimo secolo), padre della chiesa, si domando' a proposito
delle donne: "Come potremmo desiderare di abbracciare cio' che non e' piu'
di un sacco d'immondizia?".
Ed Henry Miller, ai nostri giorni, prosegue: "Durante l'atto sessuale (...)
era come se io stessi riempiendo di rifiuti una fogna".
"Cos'hanno in comune le cacche di cane e le donne?", chiede un padre alla
figlioletta durante una sit-com statunitense degli anni '90. E poiche' la
bimba non lo sa, ecco la risposta: "Piu' vecchie diventano, piu' facilmente
le si rimuove." E l'addestramento alla sottomissione comincia.
*
13. Aprire gli occhi, e le orecchie
Il linguaggio umano e' un attrezzo paradossale: forma i pensieri e le
attitudini nel mentre viene usato per dar loro espressione. Diventare
coscienti della relazione fra linguaggio e violenza e' indispensabile per
chiunque voglia eliminare quest'ultima.

3. INIZIATIVE. MASSIMILIANO PILATI: PACE DA TUTTI I BALCONI
[Ringraziamo Massimiliano Pilati (per contatti:
glt-nonviolenza at retelilliput.org) per questo intervento. Massimiliano Pilati
fa parte del comitato di coordinamento del Movimento Nonviolento, e'
impegnato nel nodo trentino della Rete di Lilliput, e' referente nazionale
del gruppo di lavoro tematico "nonviolenza e conflitti" della Rete di
Lilliput, ed e' nel coordinamento nazionale della campagna "pace da tutti i
balconi"]
La campagna "Pace da tutti i balconi" e' nata a meta' settembre del 2002
quando un ragazzo e una ragazza, Diego e Nicoletta, hanno deciso di lanciare
dal basso una iniziativa semplice ma visibile che permettesse alle cittadine
e ai cittadini italiani di dichiarare il proprio no alla guerra appendendo
una bandiera della pace alle finestre delle proprie abitazioni.
Subito la campagna trova un "testimonial" importante come l'amico padre Alex
Zanotelli e viene accolta con entusiasmo e promossa da Rete Lilliput e da
molte altre associazioni, ma cresce, soprattutto, grazie ad un intensissimo
tam tam trasversale e dal basso, che le permette di far breccia in
pochissimo tempo tra la gente.
Inizialmente, come coordinamento della campagna, pensavamo che lo scopo di
questa fosse "semplicemente" quello di colorare di pace le nostre citta', ma
col passare dei mesi ci rendiamo sempre piu' conto che quelle bandiere
appese sono uno splendido strumento che permette alle cittadine e ai
cittadini di attivare il proprio no alla guerra; uno strumento che permette
a persone, troppo spesso inerti spettatrici di fronte al grande male della
guerra, di rimpossessarsi di discorsi quasi sempre di "esclusiva pertinenza"
dei politici e dei nostri capi di governo.
In poche parole le bandiere della pace sono delle teste d'ariete che aprono
un varco che si chiama paertecipazione.
Mai come in questo momento le cittadine e i cittadini discutono di pace e di
guerra; argomenti prima di stretta pertinenza dei politici, dei nostri capi
di governo o dei pochi soliti attivisti nonviolenti, sono tornati nelle
piazze, nei bar, nei luoghi di lavoro, nelle parrocchie, nelle lontane e
piccole sedi periferiche di partito, nei consigli comunali.
Abbiamo, piacevolmente, scoperto che un cittadino che appende una bandiera
della pace al suo balcone apre una discussione tra condomini, che un sindaco
che vuole appendere la bandiera alle finestre del suo municipio porta a
discussioni in giunta, in consiglio comunale, tra gli abitanti del suo
comune. Ci siamo accorti che una classe che appende alla sua finestra una
bandiera arcobaleno permette spesso di indire un'assemblea di istituto dove
si parla di guerra.
Non so se riusciremo a fermare l'attacco militare in Iraq, ma sono sicuro
che stiamo riuscendo a far si' che se ne parli e che ci sia molta piu' gente
consapevole che per avere la pace bisogna attivarsi in prima persona senza
attendere le decisioni dei nostri governi.
Finalmente molte/i di noi sono riuscite/i a esternare la propria obiezione
di coscienza alle guerre.
Se da una parte scopriamo che c'e' molta gente che pensa ancora che con i
bombardamenti su popolazioni civili si possa portare la pace nel mondo, nei
mille dibattiti abbiamo piacevolmente capito che sono tantissime le persone
che credono o che cominciano a credere che per risolvere i conflitti tra
Stati sia giunto il momento di abbandonare questi sistemi per scoprirne
altri che Gandhi definiva "antichi come le montagne".
Certo si potra' obiettare che dietro a quei balconi ci sono moltissimi
distinguo in materia di opposizione alla guerra e che sicuramente non tutti
gli "espositori" sono contrari per principio a tutte le guerre; questo e'
vero, ma crediamo anche che la bandiera ai balconi sia solo un primo, timido
e piccolo passo verso una stagione di consapevolezza e di opposizione alla
guerra. Sta ora alla creativita' e tenacia di tutti i nonviolenti e
attivisti per la pace cercare di far compiere ulteriori passi a chi ha
cominciato solo ora a compiere la difficile via della pace e della
nonviolenza.
Qualcuno ci ha additati come sinistroidi e ladri di simboli non nostri, come
"partigiani della pace", addirittura come "terzomondismi filoislamici"...
poco importa, quando ogni quartiere delle nostre citta' sara' colorato dalle
pace forse questi capiranno che e' la pace nel mondo che noi intendiamo
costruire.
Solo la via del dialogo e della pace perseguite con i moltissimi mezzi a
disposizione nostra e, teoricamente, anche a disposizione dei nostri
governi, ci permetteranno di interrompere la spirale di violenza che si
autogenera con la guerra e che, anche nel caso del ventilato attacco
all'Iraq, riuscira' solamente ad alimentare nuove spinte verso un terrorismo
fondamentalista.
A chi ci crede integralisti noi rispondiamo che siamo pronti in ogni momento
al confronto e a chi ci canzona come ridicoli utopisti noi siamo pronti a
raccontare le nostre utopie concrete.

4. INIZIATIVE. VIVIANA VIVARELLI: LA BANDIERA DELLA PACE
[Ringraziamo Viviana Vivarelli (per contatti: tel. 051704728, e-mail:
viviana_v at libero.it) per questo intervento. Viviana Vivarelli, insegnante,
costruttrice di pace, amica della nonviolenza, e' particolarmente impegnata
nell'iniziativa delle "bandiere di pace" contro la guerra]
Perche' la bandiera della pace e' bella?
Perche' e' semplice e chiara e va diretta al cuore.
Perche' chiunque capisce il suo messaggio anche senza parole.
Perche' e' un messaggio positivo di speranza e di gioia, contro tutti i neri
simboli di guerra.
Perche' l'arcobaleno e' un grande simbolo universale di unione degli uomini
tra loro, dei popoli, delle culture, delle religioni, delle nazioni.
In tutte le religioni l'arcobaleno e' segno del legame tra Dio e gli uomini.
Buddha discende la scala dai sette colori per dare il suo aiuto agli uomini.
In Cina l'arco dei cinque colori rappresenta l'armonia dell'universo. In
India l'arco di Shiva unisce Cielo e Terra. Come la dea Nut egizia, segno di
protezione e benevolenza.
Ovunque l'arcobaleno annuncia tempi felici e scongiura il dolore che il male
sempre porta con se'.
Dice la Bibbia (Genesi, 9) che Dio mando' il diluvio universale per punire
l'uomo per la sua malvagita', ma, quando l'arca di Noe' approdo' all'Ararat,
Dio stabili' un nuovo patto di amore con gli uomini e, per suggellarlo,
mando' l'arcobaleno. "Questo e' il segno del mio patto che io pongo tra me e
voi e tra ogni essere vivente che e' con voi per le generazioni per sempre".
Oggi che il papa ripete, con le parole della Bibbia, che Dio ha distolto lo
sguardo dal mondo, oggi piu' che mai gli uomini di buona volonta'
ricostruiscano l'arco di amore che unisce tutte le creature della Terra e
queste al loro Creatore, cosi' che prevalgano i valori della tutela della
vita e del progresso spirituale.
Nella tradizione cristiana l'arcobaleno annuncia che l'ira di Dio si e'
placata ed e' stata stipulata una nuova alleanza. Noi dobbiamo meritarla.
Sodoma e Gomorra si sarebbero salvate se si fossero trovati dieci giusti. Si
dice che il loro peccato fosse lussuria, autogiustificazione, orgoglio e
comportamento poco sociale. Per padre Alex Zanotelli il peccato maggiore fu
la non accoglienza, aver dimenticato che il tuo prossimo e' un altro te
stesso.
La campagna delle bandiere procede gloriosamente, ma tanti sono ancora
coloro che hanno in casa la bandiera e non la mettono al balcone. Il mondo
aspetta anche loro.
In sociologia si dice che in un gruppo o in una specie puo' accadere che un
comportamento nuovo superi una soglia critica, dopodiche' esso si estende di
colpo all'intero insieme e diventa suo patrimonio fondamentale. Che il
desiderio di pace superi questa soglia critica.

5. DOCUMENTAZIONE. MANLIO DINUCCI: LE BASI MILITARI ITALIANE DECISIVE PER LA
GUERRA ALL'IRAQ
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 30 gennaio 2003. Manlio Dinucci e'
giornalista e saggista, direttore esecutivo della sezione italiana della
IPPNW. Tra le opere di Manlio Dinucci: Tempesta del deserto (con Daniel
Bovet), Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi), 1991;
Hyperwar, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi), 1991; La
strategia dell'impero (con U. Allegretti e D. Gallo), Edizioni cultura della
pace, S. Domenico di Fiesole (Fi), 1992]
Il governo italiano, tramite una lettera del ministro Martino alla
commissione difesa del parlamento, ha autorizzato ieri le forze armate
statunitensi, in trasferimento verso l'Iraq, a compiere "scali tecnici"
nelle basi in Italia per "motivi legati al rifornimento". Non c'e' dunque da
allarmarsi se i caccia e bombardieri degli Stati Uniti si fermano a fare
benzina ai nostri distributori, o se le loro navi da guerra fanno scalo nei
nostri porti per rifornirsi di acqua e verdura fresca. Si tratta solo di un
"uso civile" delle basi, assicura il presidente della commissione difesa,
Ramponi (An).
Ben diversa e' la realta': anche se il nostro paese e' geograficamente
distante dal Golfo Persico, le basi in Italia gia' svolgono e sempre piu'
svolgeranno un ruolo di primaria importanza nella guerra contro l'Iraq.
*
Nella base aerea di Aviano (Pordenone) sono permanentemente schierate, dal
1994, la 31st Fighter Wing e la 16th Air Force dell'aeronautica
statunitense.
Nella guerra contro la Jugoslavia nel 1999, la 31st Fighter Wing, dotata di
due squadriglie di F-16, effettuo' in 78 giorni 9.000 missioni di
combattimento: un vero e proprio record, che fa capire quale sara' il suo
ruolo una volta ri-schierata contro l'Iraq.
Partecipera' alla guerra anche la 16th Air Force dotata di caccia F-16 e
F-15, che ha il compito, sotto lo U. S. European Command, di pianificare e
condurre operazioni di combattimento aereo non solo nell'Europa meridionale,
ma anche in Medio Oriente e Nordafrica. Essa opera, con un personale di
11.500 militari e civili, da due basi principali: Aviano, dove si trova il
suo quartier generale, e la base turca di Incirlik. Sara' appunto
quest'ultima la principale base per l'offensiva aerea contro l'Iraq del
nord, ma l'impiego degli aerei della 16th Air Force sara' pianificato e
diretto dal quartier generale di Aviano.
*
Un altro importante ruolo di Aviano e' quello di essere una delle due basi -
l'altra e' Ghedi in provincia di Brescia -, dove sono stoccate armi nucleari
per i cacciabombardieri statunitensi. Quasi sicuramente, come gia' avvenne
nel 1991, esse saranno schierate contro l'Iraq.
Pronta a partire per l'Iraq e' sicuramente anche la Setaf, la forza di
reazione rapida il cui quartier generale e' a Vicenza.
*
Importante sara' anche il compito di Camp Darby, la base logistica
dell'esercito statunitense (tra Pisa e Livorno) dove si trova il 31st
Munitions Squadron.
Qui, in 125 bunker sotterranei, e' stoccata una riserva strategica per
l'esercito e l'aeronautica statunitensi, stimata in oltre un milione e mezzo
di munizioni.
Come gia' avvenne nella prima guerra contro l'Iraq, le munizioni verranno (o
forse gia' vengono) trasportate al porto di Livorno attraverso il Canale dei
Navicelli per essere imbarcate su navi statunitensi dirette verso il Golfo o
la Turchia.
La pericolosita' di tali operazioni e' confermata dall'emergenza (rivelata
da Global Security) che si verifico' nell'agosto 2000 quando, a causa di
gravi problemi strutturali in 8 bunker, fu necessario rimuovere, servendosi
anche di robot, circa 100.000 proiettili e testate missilistiche ad alto
potenziale. Nessuno avverti' la popolazione dell'area, ancora piu' affollata
essendo una localita' balneare, del pericolo che correva, ne' furono prese
misure precauzionali.
Pericoli analoghi corrono le popolazioni di tutte le zone, tra cui quella
del porto di Taranto, da cui transitano navi e aerei militari, carichi di
munizioni.
*
Un ruolo importante nella guerra contro l'Iraq sara' svolto anche dalla base
di appoggio dei sottomarini nucleari statunitensi, situata a La Maddalena
(Sassari): come gia' avvenne nel 1991, questi sottomarini, che operano sotto
il comando della Sesta flotta a Napoli, colpiranno l'Iraq lanciando dal
Mediterraneo i loro missili da crociera Tomahawk con gittata di oltre 1.100
km.
Avranno sicuramente importanti compiti anche la base aerea di Gioia del
Colle (Bari) e quella aeronavale di Sigonella (presso Catania).
Ma sara' l'intera rete di installazioni militari in Italia ad essere
attivata, e, oltre a queste, anche porti e aeroporti civili che verranno
utilizzati per rifornire le forze nel teatro bellico...

6. APPELLI. UN APPELLO ALLE ISTITUZIONI DA ALBA
[Da Alvise Alba (per contatti: a.alba at areacom.it) riceviamo e diffondiamo il
seguente appello. Alvise Alba e' impegnato nei movimenti nonviolenti e nella
promozione di una cultura della pace; insieme a Maria Chiara Tropea assicura
un prezioso lavoro di collegamento in particolare nel Movimento
Internazionale della Riconciliazione (MIR)]
Sabato 24 gennaio si e' svolta ad Alba una manifestazione in forma di catena
umana, che ha coinvolto circa 1.500 persone (numero eccezionale per le
dimensioni e le "tradizioni" della citta'). L'obiettivo era consegnare al
sindaco una lettera aperta, sulla quale sono state raccolte finora 1.900
firme e chiedergli un consiglio comunale aperto su questo tema. Qui di
seguito il testo della lettera, che e' stata inviata anche a tutti i
consiglieri comunali e ai due parlamentari della zona.
*
Signor sindaco di Alba, signori consiglieri comunali, senatore, onorevole,
vogliamo condividere con voi, che siete i piu' vicini rappresentanti
istituzionali, la nostra viva preoccupazione per la gravita' eccezionale
della situazione che stiamo vivendo.
Dopo la seconda guerra mondiale non siamo mai stati cosi' vicini ad un
conflitto che puo' estendersi ad una vasta area del mondo, con la minaccia
esplicita dell'uso di armi nucleari, la piu' che probabile recrudescenza del
terrorismo internazionale e la possibile esplosione del Medio Oriente, con
conseguenze disastrose per la popolazione israeliana e per quella
palestinese.
Di fronte a tali scenari facciamo appello alle vostre coscienze, perche',
indipendentemente dalle posizioni espresse dai vostri partiti di
riferimento, vi attiviate in tutte le sedi istituzionali che potete
raggiungere (Parlamento, Governo, Ministero della Difesa, vertici
dell'Esercito, Nato, Unione Europea, Onu...):
- affinche' l'Italia non partecipi a questa guerra e non vi collabori in
alcun modo, nemmeno fornendo basi o spazio aereo, nemmeno finanziariamente,
nemmeno nel caso che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu la legittimasse;
- affinche' l'Italia dichiari preventivamente e inequivocabilmente la
propria indisponibilita' a partecipare, e si adoperi per una posizione
europea comune, nel rispetto dell'articolo 11 della Costituzione, che
prevede limitazioni di sovranita' solo per assicurare "pace e giustizia fra
le nazioni" e non per fare guerre - tantomeno "guerre preventive".
Siamo ben consapevoli della necessita' di combattere il terrorismo, ma siamo
anche convinti che la guerra non sia la soluzione di questo problema, come
gia' dimostrato dal fallimento dell'intervento in Afghanistan, che non ha
per niente debellato il terrorismo stesso.
Inoltre le guerre di oggi sono tutt'altro che "chirurgiche" o "intelligenti"
e colpiscono in massima parte le popolazioni civili, provocando vittime,
distruzioni, odio ed enormi ondate di profughi (per l'Iraq se ne prevedono
900.000).
Riteniamo piuttosto che altre siano le strade da percorrere e siamo
disponibili ad impegnarci con voi per mettere in atto comportamenti e
strutture veramente adatti, quali ad esempio:
- il blocco del traffico d'armi, cominciando dalla difesa della legge 185
sulla regolamentazione del commercio delle armi,
- l'apertura di luoghi e momenti di dialogo e scambio culturale ed economico
con il mondo arabo e il mondo islamico,
- il sostegno dei gruppi che si adoperano per la risoluzione nonviolenta dei
conflitti, in particolare in Israele e Palestina,
- il potenziamento e la piena operativita' della Corte Penale
Internazionale,
- e, per le armi di distruzione di massa, il rafforzamento di controlli ed
ispezioni dell'Onu (che nel caso dell'Iraq, ad esempio, si sono rivelate -
nel tempo -  piu' efficaci delle bombe).
Chiediamo inoltre in particolare al Sindaco di  esporre all'esterno del
Palazzo Comunale la bandiera della pace, dichiarando pubblicamente il suo
significato, a difesa dell'articolo 11 della Costituzione.

7. LUTTI. EDDA MELON RICORDA ELISABETTA BENENATI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 30 gennaio 2003]
Le amiche e gli amici ricordano Elisabetta Benenati, studiosa torinese del
movimento operaio, animatrice di un progetto di collaborazione universitaria
con paesi africani, impegnata nel promuovere studi di genere. Betty si e'
spenta il 28 gennaio dopo una lunga malattia, lasciandoci un ricordo di
coraggio, allegria e generosita'.
Elisabetta Benenati era una storica di grande levatura. Il suo libro sul
paternalismo a Torino, dal fascismo agli anni '50 e' bellissimo. Descrive
l'evoluzione di una fabbrica di abbigliamento e davanti a noi si apre
un'altra citta'. Anche i saggi sul movimento operaio americano e italiano
aiuteranno per molto tempo altri studiosi: quelli che si occupano anche di
sconfitti, di movimenti coraggiosi e traditi.
Sono studi importanti, accuratissimi; e ogni volta Betti li scriveva
continuando a occuparsi di altro, delle altre cose che era giusto fare,
dell'archivio che andava perduto, insieme alla memoria, del cinema da
rianimare, del movimento del '68 da rilanciare, della sua amatissima Africa.
Ma soprattutto erano gli altri, le persone che le chiedevano un po' di aiuto
e molto, moltissimo tempo, quelle cui Betti ha dedicato la vita.

8. MAESTRI. MOHANDAS GANDHI: L'UNICO MERITO
[Da Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino
1973, 1996, p. 93. Mohandas Gandhi e' il fondatore della nonviolenza. Nato a
Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in
Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione
degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915
torno' in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si
batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte
politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e
sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in
direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948.
Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di
piu' occorre ricordare che non va  mitizzato, e che quindi non vanno
occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure
vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di
Gandhi:  essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un
avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i
suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli;
Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua
autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti
con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della
nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I,
Sonda, Torino-Milano 1991; Villaggio e autonomia, Lef; l'autobiografia
tradotta col titolo La mia vita per la liberta', Newton Compton; La
resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civilta' occidentale e rinascita
dell'India, Movimento Nonviolento; La cura della natura, Lef. Altri volumi
sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di
frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da
Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio
pensiero, e La voce della verita'. Altri volumi ancora sono stati pubblicati
dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra
Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo
complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del
1991. Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma,
Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino;
il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi
cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti,
Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri:
Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi
in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton,
Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig, Genova 1998. Una
importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro,
Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma
Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna.
Altri libri utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto,
William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa,
Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di
Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante
sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem, Roma]
L'unico merito che mi attribuisco e' quello di tentare incessantemente di
vincere tutte le mie debolezze.

9. BANALITA'. FOLCACCHIERO SCATAMACCHIA: STRADE
Per fare un pezzo di strada insieme non basta incontrarsi sulla stessa
strada, bisogna anche andare nella stessa direzione.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 494 del primo febbraio 2003