La nonviolenza e' in cammino. 487



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 487 del 25 gennaio 2003

Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: dibattito... o dialogo?
2. Benito D'Ippolito, della memoria del dolore e del dolore della memoria
3. Christa Wolf, le parole e la guerra
4. Ettore Masina ricorda Paul Gauthier
5. Alberto L'Abate, una lezione di Johan Galtung a Firenze
6. Un distico di Marina Cvetaeva
7. Un distico di Amelia Rosselli
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: DIBATTITO... O DIALOGO?
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
averci messo a disposizione questo assai utile strumento di lavoro per
seminari di formazione. Maria G. Di Renzo e' una delle principali
collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista,
saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, ha svolto rilevanti
ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia
Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento
delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in
difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Dibattito: Le comunicazioni pre-incontro sono ridotte al minimo, e
largamente irrilevanti rispetto a cio' che seguira'.
Dialogo: Le comunicazioni pre-incontro e la preparazione dei partecipanti
sono elementi essenziali all'intero processo.
*
Dibattito: Coloro che partecipano tendono ad essere "leader" conosciuti che
propongono la propria posizione (spesso strutturata rigidamente). Le persone
che prendono parola nel dibattito sono quasi sempre le stesse. Il
comportamento dei/delle partecipanti e' molto stereotipato.
Dialogo: Coloro che decidono di partecipare non sono necessariamente
"leader" riconosciuti. Chiunque esse/i siano parlano come individui, le cui
esperienze differiranno comunque da quelle altrui. Il comportamento varia,
ma la presenza di stereotipi e' minore.
*
Dibattito: L'atmosfera e' disagevole: gli attacchi e le interruzioni sono
frequenti (e i/le partecipanti si aspettano questo). Assenza di
facilitazione o di moderatori/moderatrici.
Dialogo: L'atmosfera e' confortevole. Chi facilita visualizza le proposte,
aiuta a registrare il consenso ed il dissenso attorno ad esse, fa rispettare
le regole di base perche' il processo sia sicuro per chiunque e promuova uno
scambio rispettoso.
*
Dibattito: I/le partecipanti parlano come rappresentanti dei loro gruppi,
facendo largo uso di astrazioni e di pretesa "oggettivita'". L'espressione
di emozioni e' cancellata.
Dialogo: I/le partecipanti parlano come persone, a partire dalla propria
specifica esperienza, anche quando rappresentano gruppi. Sanno di poter
esprimere anche le loro emozioni.
*
Dibattito: I/le partecipanti parlano ai propri "avversari" o ai propri
"amici" e, a volte, ai cosiddetti "in mezzo" nel tentativo di spostarli.
Dialogo: I/le partecipanti si parlano l'un l'altro/a.
*
Dibattito: Le differenze all'interno dello stesso gruppo sono negate o
minimizzate.
Dialogo: Le differenze vengono rilevate, si esplorano i valori degli
individui e dei gruppi.
*
Dibattito: I/le partecipanti esprimono un'adesione diretta ad un punto di
vista, un approccio, o un'idea.
Dialogo: I/le partecipanti esprimono le loro incertezze cosi' come i loro
valori profondi.
*
Dibattito: I/le partecipanti ascoltano con lo scopo di rifiutare le
affermazioni dei "nemici" e di trovare falle logiche nelle loro
argomentazioni. Le domande poste sono spesso sfide retoriche o affermazioni
mascherate.
Dialogo: I/le partecipanti ascoltano per capire e ottenere intuizioni dai
valori, dalle pratiche, dalle preoccupazioni che gli altri/le altre
esprimono. Le domande poste sono genuina curiosita'.
*
Dibattito: I documenti o le azioni che escono dal dibattito sono prevedibili
e non offrono nuove informazioni.
Dialogo: I documenti e le azioni esprimono creativita' e forniscono nuovi
approcci e nuove informazioni.
*
Dibattito: Si crede che per ottenere il "successo" sia necessaria
un'adesione acritica e monolitica dei/delle partecipanti a delle
affermazioni di principio.
Dialogo: Si crede che il "successo" derivi da un'esplorazione della
complessita' di ogni questione.
*
Dibattito: Questo tipo di interazione opera all'interno di questioni di
"dominio pubblico", di urgenze mediatiche o politiche, ecc. La questione
definisce a priori sia il problema, sia i modi della sua risoluzione: assume
che bisogni fondamentali e valori di base siano gia' chiaramente condivisi.
Dialogo: Questo tipo di interazione incoraggia le persone a interrogare la
questione di cui si occupano, esprimendo bisogni e valori, esplorando varie
opzioni per la risoluzione. I/le partecipanti scoprono spesso, tramite tale
processo, inadeguatezze e inefficacia dei linguaggi usuali.

2. EDITORIALE. BENITO D'IPPOLITO: DELLA MEMORIA DEL DOLORE E DEL DOLORE
DELLA MEMORIA
[Approssimandosi il 27 gennaio, giornata della memoria della Shoah,
anniversario di quel giorno del 1945 in cui vennero liberati i sopravvissuti
nel campo di di sterminio di Auschwitz, il nostro collaboratore Benito
D'Ippolito ha scritto i non levigati accenni prosodici che qui presentiamo]

I.
Quando ricordi il dolore
aggiungi un dolore ancora. E la memoria
del dolore infinito e' infinito
protrarsi del dolore. Tutto ne geme,
ne scricchiola il mondo, e l'anima.

Quando ricordi il dolore
un nuovo dolore sopporti
ma non dissemini nuovo dolore
il vecchio cerchi d'addomesticare
che meno ti graffi lo sguardo
t'incrini meno la voce, il cuore
nel raccontare un poco si disserri.

Ma quando ricordi quel dolore
frutto del male innominabile, quel male
ancora ti strazia e smarrisce.
Non puoi dartene ragione, non puoi
domesticarlo, no, non puoi.
Cosa ti accade allora?

II.
Si puo' raccontare l'inenarrabile?
e si puo' razionalizzare cio' che sfugge
alla ragione? e si puo'
fare memoria di cio' che dovrebbe
per sempre sprofondare nel pozzo dell'oblio?

Ma quel dolore resta e ancor piu' resta
quel male se non trovi chi ti ascolta
quel male se non trovi le parole
atte ad espellerlo dacche' giu' in fondo all'anima
forte a calcarlo ebbero i torturatori.

Dire l'indicibile.
Lottare ancora.
Convocare l'intera umanita'
al cospetto dell'unica, la duplice
Shoah.
Lottare ancora
dire l'indicibile
salvare le vittime future.

Pesante assai fardello di scorpioni
e di frustate che sul dosso grava
troppo perche' lo possa sostenere
persona.

E tuttavia recare testimonio
e dire l'indicibile e lottare
ancora, ancora salvare
le vittime, l'umanita' intera.

III.
Non accadde in una notte di tempesta
non accadde tra capanne e dentro grotte
non accadde in terre barbare e deserte.

Fu nel cuore colto e vivo dell'Europa
conficcato come stocco fino all'elsa.

Non accadde in tempi oscuri e remotissimi
ma nel secolo ricco e portentoso
della tecnica, la crescita, il progresso.

Nel cuore colto e vivo dell'Europa
nero chiodo che trapassa e infetta l'albero.

IV.
Mi chiedo quali ricordi io ricordi
e di quali ricordi io parlo in questi giorni
ai miei ragazzi, qui, seduti in cerchio.

E cosa coli e filtri tra parole
nelle anime loro che non voglio insozzare
ridicendo dell'inferno di Auschwitz.

Questo dovere di fedelta'
ai maestri piu' grandi che ho avuto
e questa paura di essere strumento
inconsapevole e nolente ancora
alla propagazione dell'orrore
col solo dirne.

E in lacrime ogni volta ancor rompendo.

V.
Mi chiedo questa voce che qui scrive
di cosa testimoni e donde trovi
la forza di levarsi voce ancora.

Mi dico non sei tu non sei non sei
tu in diritto di parlar di questo
solo potrebbero coloro che son morti
o pochi vecchi che i giorni del male
tutte le notti devono tornare
ad affrontare in buio e solitudine.

Cosa ne sai, non eri li', non puoi
dar la tua voce alle parole altrui
ed al silenzio altrui, e non vi sono
parole che possano dire la cosa
che con la parola Shoah tentiamo invano
di esorcizzare, di stornar dal mondo.

VI.
Mi dico: pure devo ricordare
che questo e' stato e ricordare ad altri
di ricordare che cio' che gia' e' stato
ancora puo' tornare se non veglia
quella ragione che contende ai mostri.

Mi dico, trattieni del ploro
l'impulso e dei singulti
e parla con voce chiara e piana
racconta di Primo Levi, racconta di Vittorio
Emanuele Giuntella, racconta
quel che da loro hai imparato e tramanda
la verita', l'appello e anche il fardello.

Mi perdonino i giovani cui parlo
alla cui innocenza m'inchino
mi perdonino se l'eco dell'orrore
reco alle loro orecchie, se traggo
penoso un carico e lo consegno loro
di angoscia inestinguibile.

VII.
Ma ricordate che questo e' stato
ma ricordate che all'inumano
occorre resistere, ma ricordate
che ogni persona e' fragile, e difendila
tu.
Ricordati che tu devi salvarlo
il mondo tutto, la vita di ciascuno.

3. MAESTRE. CHRISTA WOLF: LE PAROLE E LA GUERRA
[Da Christa Wolf, Premesse a Cassandra, Edizioni e/o, Roma 1984, p. 118.
Christa Wolf, nata nel 1929, e' considerata la maggiore scrittrice tedesca
contemporanea; impegnata nel movimento femminista e pacifista. Tra le opere
di Christa Wolf segnaliamo almeno Il cielo diviso, Edizioni e/o, poi
Mondadori; Riflessioni su Christa T., Mursia; Cassandra, Edizioni e/o;
Premesse a Cassandra, Edizioni e/o]
Parliamo delle parole che servono a preparare la guerra: non sono pericolose
solo quelle che uno riconosce subito per guerrafondaie, dice R. Potrebbero
diventare pericolose le parole piu' tutelate, "liberta'" da una parte,
"socialismo" dall'altra, se fossero usate come giustificazione per preparare
la guerra.

4. MEMORIA. ETTORE MASINA RICORDA PAUL GAUTHIER
[Ringraziamo Ettore Masina (per contatti: ettore.mas at libero.it) per questo
ricordo di Paul Gauthier, apparso su "Lettera" 86 del dicembre 2002
("Lettera" viene inviata a chiunque ne faccia richiesta; l'indirizzo e': via
Cinigiano 13, 00139 Roma, tel. 068102216; un contributo alle spese di
fotocopiatura  e postali e' assai gradito: i versamenti possono essere
effettuati sul ccp 49249006 intestato a Luca Lo Cascio, via Leone Magno 56,
00167 Roma).
Su Ettore Masina riportiamo la seguente breve scheda biobibliografica
scritta da lui stesso su nostra richiesta e gia' pubblicata sul n. 418 di
questo foglio: "Nato a Breno (Bs) il 4 settembre 1928, ho molto viaggiato al
seguito di mio padre ufficiale. Dal 1934 al 1937 abbiamo abitato in
Cirenaica e i ricordi di quel soggiorno (a Bengasi e a Derna) sono in me
ancora vivissimi. Vi rintraccio con evidenza i segni del colonialismo
italiano. Siamo poi finiti a Varese per diversi anni. In quella citta' sono
stato presidente della Fuci e ho pubbllicato i miei primi articoli e
racconti sul quotidiano locale "La Prealpina". Mi sono allontanato da Varese
per Milano perche' vi sono diventato libraio e poi giornalista: prima al
quotidiano cattolico "L'Italia", poi al  "Popolo di Milano" e infine a "Il
Giorno" di Baldacci e poi di Pietra. Vi ho fatto prima il vicecapocronista,
poi l'inviato. Quando papa Giovanni annunzio' che avrebbe indetto un
Concilio, Italo Pietra, benche' agnostico, ebbe chiara l'idea che sarebbe
stato un evento rivoluzionario e comincio' a mandarmi periodicamente a Roma,
per raccogliere informazioni e scrivere articoli comprensibili ai lettori.
Nel 1963 mi trasferi' stabilmente a Roma, dove da allora vivo con la mia
famiglia. Con mia moglie Clotilde (preziosa compagna di ideali e di
speranze: la grazia piu' grande che il Signore mi abbia donato) vivemmo il
Concilio quasi "dal di dentro". Nella nostra casa si radunavano ogni sera
vescovi, teologi, giornalisti, da Helder Camara a padre Rahner, da padre
Chenu a Raniero La Valle, da don Carlo Colombo a Giancarlo Zizola. Fu il
periodo piu' felice della nostra vita, ci diede una tale vitalita' che
desiderammo intensamente di avere un nuovo figlio: cosi' Pietro Paolo si
aggiunse a Emilio e Lucia.
Seguii i viaggi di Paolo VI in Palestina, in India, all'Onu, a Fatima. Ebbi
grande stima di questo pontefice pur vedendone alcuni limiti, anche gravi.
"Le Monde" scrisse una volta che io ero "le journaliste le plus proche a la
pensee si non a la personne de Paul VI". Durante il viaggio in Palestina fui
radicalmente scosso dalla visione della poverta' di grandi masse. Al mio
ritorno decisi con mia moglie di dare vita a un'associazione che si
proponesse, mediante un'autotassazione mensile degli aderenti, di aiutare
comunita' di poveri in cerca di liberazione. Nacque cosi' quella che poi si
chiamo' Rete Radie' Resch (dal nome di una bambina palestinese morta di
pomonite in una grotta). La rete si e' espansa al di la' di ogni previsione.
Per trent'anni l'ho coordinata io, finalmente nel 1994 sono riuscito a far
si' che essa assumesse una piena conduzione collettiva. E io me ne sono
andato verso altre avventure. A spingermi a fondare la rete e' stato
l'incontro fra la mia inquietudine (il non poter piu' vivere come se non
avessi visto certe cose) e l'evangelizzazione di Paul Gauthier. Paul rimane
il mio grande maestro spirituale, colui che, anche precorrendo la teologia
delle liberazione, mi ha aperto gli occhi sull'importanza del magistero dei
poveri. Ha dato dunque completezza e profondita' alla mia sequela di tanti
altri uomini e donne "di Dio" che avevo frequentato sino a quel momento o
dei quali avevo letto con amore gli scritti. Qualche nome? Simone Weil e
Suhard, Tolstoj e Dostoevskij, Dossetti, La Pira e Lazzati, Steinbeck,
Mounier, Merton, Voillaume eccetera eccetera. Nel 1969 l'insistenza di
alcuni dirigenti della Rai e il desiderio di sperimentare il "nuovo"
giornalismo mi fecero accettare di entrare in via Teulada. Dopo un breve
periodo di grande felicita' (sotto la direzione di Fabiani) cominciarono ben
presto i miei problemi. Nel 1974 per essere stato uno degli estensori del
manifesto "Ai cattolici democratici" perche' votassero no al referendum
abrogativo del divorzio, fui sospeso dal video per sette mesi. Appena ebbe
vita il TG2, vi passai e godetti nuovamente di liberta', ma l'estromissione
di Andrea Barbato, contro la quale mi ero battuto, mi fece cadere in
disgrazia presso il nuovo direttore, Sergio Zatterin, il quale mi privo' di
ogni ruolo. Ridotto, come si dice, ai minimi termini, nel 1983 finii per
accettare il reiterato invito del Pci di candidarmi come indipendente nelle
sue liste. Fui eletto nel collegio Brescia-Bergamo e in quello
Varese-Como-Sondrio. Optai per il primo e vi fui rieletto nel 1987. Durante
i dieci anni del mio mandato ho rappresentato il gruppo della Sinistra
Indipendente nella Commissione Esteri. Nella mia prima legislatura sono
stato vicepresidente del Comitato per la cooperazione internazionale; nella
seconda, su designazione unanime dei gruppi, presidente del Comitato
Internazionale per i diritti umani. Ho guidato delegazioni di parlamentari
in Tanzania, Zimbabwe, e nei campi profughi palestinesi. Sono stato
"osservatore estero" in Cile, in occasione delle elezioni del 1989. Ho
rappresentato la Camera dei deputati italiani alla cerimonia
dell'investitura della Commissione per la pace nel Salvador. Ho partecipato
a missioni, anche altamente drammatiche, in Somalia, Sudan e Sud-Sudan,
Cina, Croazia, Slovenia e Serbia. Sono  stato presidente dell'Associazione
Italia-Vietnam. Molte di queste cose sono state raccontate in due miei libri
autobiografici. Diario di un cattolico errante. Fra santi, burocrati e
guerriglieri (Gamberetti, 1997) e Il prevalente passato. Un'autobiografia in
cammino (Rubbettino, 2000). I miei altri libri: Il Vangelo secondo gli
anonimi (Cittadella, 1969, tradotto in Brasile), Un passo nella storia
(Cittadella, 1974), Il ferro e il miele (Rusconi, tradotto in serbo-croato),
El Nido de Oro. Viaggio all'interno del terzo Mondo: Brasile, Corno
d'Africa, Nicaragua (Marietti, 1989), Un inverno al Sud: Cile, Vietnam,
Sudafrica, Palestina (Marietti, 1992), L'arcivescovo deve morire. Monsignor
Oscar Romero e il suo popolo (Edizioni cultura della pace, 1993 col titolo
Oscar Romero, poi in nuova edizione nelle Edizioni Gruppo Abele, 1995),
Comprare un santo (Camunia, 1994); Il Volo del passero (San Paolo, tradotto
in greco), I gabbiani di Fringen (San Paolo, 1999), Il Vincere (San Paolo,
2002)".
Su Paul Gauthier non si potrebbe dir meglio di quanto scrive Ettore qui di
seguito]
Pomeriggio del 25 dicembre, Marsiglia. Nelle case si sparecchiano le tavole
del banchetto festivo. Si accendono nelle strade, contro un cielo umido di
pioggia, le lampadine degli abeti natalizi. Nel porto una flotta degli Stati
Uniti attende l'ordine di salpare per la guerra contro l'Iraq. In un piccolo
appartamento muore, a 88 anni, Paul Gauthier, profeta della Chiesa dei
poveri, evangelista della pace che nasce dalla giustizia resa agli oppressi,
sognatore di una Palestina libera e laica in cui due popoli sapessero vivere
da fratelli.
Pomeriggio di Natale, Betlemme. I carri armati israeliani sferragliano per
le strade della periferia. Vuota di pellegrini la chiesa della Nativita'. In
lontananza si accendono le lampadine nelle case di Beith Sahur, il villaggio
dei pastori del vangelo di Luca, e della piccola "Citta' della Stella": le
case popolari costruite anche da Paul, con le sue mani di carpentiere. Poco
dopo il tramonto, i soldati sparano contro un'ombra di "probabile
terrorista". Uccidono una bambina di nove anni. Continuo a pensare che  quel
vecchio e quella bambina siano entrati nell'Aldila' tenendosi per mano.
Forse mi capita di pensare cosi' perche' fu un gruppo di bambini palestinesi
che mi guido', quasi esattamente 39 anni fa, alla baracca di Nazareth in cui
abitava Paul, sacerdote che voleva vivere come il Cristo. E fu poi una
piccola amica di Paul che diede il nome, senza saperlo, all'associazione che
nacque dal mio incontro con lui. Le tante e i tanti che hanno letto i bei
libri di Carla Grandi e di Ercole Ongaro (1) o l'autobiografia di Paul (2)
conoscono questa storia, ma come posso, in queste ore, non ripeterla, almeno
a me stesso? La mia vita cambio' dopo quell'incontro, radicalmente.
*
Un incontro
Ero (adesso mi pare) poco piu' che un ragazzo e il quotidiano per cui
lavoravo, "Il Giorno", mi aveva incaricato di seguire il Concilio Vaticano
II, aperto da papa Giovanni: una sconvolgente primavera della Chiesa
universale, i vescovi che tornavano a meditare, insieme, il vangelo e i
segni dei tempi. Su una preziosa rivista cattolica, "Informations
catholiques internationales", lessi un'intervista a un sacerdote francese
che non avevo mai sentito nominare: Paul Gauthier. Viveva a Nazareth,
facendo il carpentiere, come Gesu'. Il suo vescovo lo aveva portato a Roma
perche' dicesse a tutti cio' che, instancabilmente, diceva a lui: che la
Chiesa doveva farsi povera, gli ecclesiastici rinunziare a ogni
"seigneurerie" , annunziare il vangelo innanzi tutto ai poveri, stando in
mezzo a loro, perche' cosi' aveva voluto Gesu'; e difendere i poveri da ogni
oppressione. Talvolta erano stati, ma non cosi' netti, pensieri e sentimenti
anche miei.
Andai a cercare Gauthier nella sala stampa del Concilio e scoprii un piccolo
uomo, vestito di fustagno, con due occhi che sembravano schegge di turchese.
Io parlavo una miserabile imitazione del francese e lui non sapeva
l'italiano, tuttavia riuscimmo a intessere un dialogo. Paolo VI aveva appena
annunziato che si sarebbe recato in Terra Santa nei primi giorni del '64.
"Forse - disse Gauthier - risponde a un invito che gli abbiamo rivolto, un
gruppo di lavoratori di Nazareth". E a Nazareth  ci ritrovammo, se ricordo
bene, il 31 di dicembre. Paul stava sulle impalcature di una casa in
costruzione. A mezzogiorno le campane delle chiese annunziarono l'ora della
preghiera mariana che si recitava allora in tutto il mondo e che nel
villaggio dell'Annunciazione assumeva i colori della tenerezza e dello
stupore. Pregammo insieme: "L'Angelo del Signore porto' un messaggio a
Maria...".
Erano giorni di straordinaria importanza per me, come lo sono stati
certamente per tutti quelli che, negli anni scorsi, pellegrini in Terra
Santa, hanno sentito il battere dei passi di Gesu', adesso soverchiati dal
frastuono orrendo di una feroce guerra che sembra inestinguibile. La mia
fede era come rinnovata da un vangelo che leggevo nel profilo dei monti,
sulle rive dei laghi, sulle pietre e nel corpo contorto degli ulivi. Ma
andavo anche cogliendo due lezioni - come dire? - politiche: la prima
metteva in crisi il mio filo-sionismo, la seconda, addirittura, la mia
visione planetaria. Io ero felice della decisione del Concilio di bollare
per sempre l'antisemitismo. Portavo con me, letti e riletti, i libri degli
scrittori ebrei (soprattutto "Ladri nella notte" di Koestler), una totale
simpatia per i kibbutz "comunisti", la convinzione che la creazione dello
Stato di Israele fosse stata l'ultima grande epopea della storia. In pochi
giorni mi accadde di scoprire il colonialismo israeliano, l'importanza
politica del fanatismo degli "ortodossi", la pratica apartheid che colpiva
gli arabi che avevano accettato di rimanere nei confini del nuovo stato. Ero
salito al Memoriale del monte Sion e avevo pianto disperatamente davanti ai
simboli della Shoah - e certo lo farei ancora. Avevo sentito (e ancora sento
in me) la vergogna di essere figlio di un'Europa che ha accettato, prima, le
leggi razziali e poi il genocidio. Detestavo l'oltranzismo dei corrotti
governi arabi, degli speakers indemoniati che ruggivano dalle radio del
Medio Oriente: "Gettiamo in mare tutti gli ebrei!", cosi' come oggi spasimo
di fronte al terrorismo palestinese, considerandolo una malattia mortale
che, grazie a Sharon, puo' dilagare come una atroce epidemia. Ma coglievo
gia' allora che non si potevano calpestare i diritti di un popolo,
improvvisamente invaso dai discendenti di un altro popolo, costretto a
lasciare il paese duemila anni prima.
*
La Terra ferita
E scoprivo la poverta' di massa: non quella che travagliava ancora ampie
aree italiane ma quella, ben piu' misera, in cui la stragrande maggioranza
di uomini donne e bambini viveva nella piu' assoluta precarieta', nel freddo
e talvolta (spesso!) nella denutrizione. Davvero la Terra era tanto ferita
dalla disuguaglianza? Tra la lettura delle statistiche e la visione di volti
e di corpi c'e' un'immensa differenza. Tornato a casa, guardando con amore i
miei bambini ben nutriti, riscaldati a termosifone, dissi a Clotilde che non
avrei potuto continuare a vivere come se non avessi visto quella miseria.
Clotilde ando' a prendere i nostri piccoli risparmi e mi disse di spedirli a
quel prete-operaio che mi aveva tanto colpito. Paul ci rispose con una
lettera, dura. Spiegava: se avete capito che gli umani sono fratelli e che
il Cristo si e' immedesimato con i poveri (Mt. XXV, 31-46), allora e'
necessario spartire con loro, stabilmente, il nostro pane e le nostre
speranze.
Ci suggeri' di dare vita a un'associazione cui si aderisse accettando di
autotassarsi ogni mese per finanziare non un generico pauperismo ma gruppi
di poveri che tentassero di uscire dalla loro oppressione. Cosi' avvenne:
cominciammo a sostenere la costruzione di case a riscatto, prima a Nazareth
(sotto il controllo dell'Histadrut, la centrale sindacale israeliana), poi a
Betlemme. Quando Paul ci scrisse che una bambina nazarena - Radie' Resch -
era morta di polmonite in un tugurio mentre attendeva di entrare finalmente
in una di quelle case, decidemmo di dare il suo nome alla nostra
associazione per ricordarci che se non si fa in fretta i poveri muoiono e,
per primi, muoiono i bambini, Da allora la Rete Radie' Resch si e' espansa
in tutta l'Italia ed e' tuttora al lavoro, senza sedi, senza uffici, senza
tessere: una cerchia di amici e di amiche che accettano un'avventura che li
porta a contemplare, un po' dovunque nel Sud del mondo, dolori e tragedie
senza fine, ma anche li arricchisce di speranze che il Nord opulento sembra
avere ormai perso, di poesie, di canzoni, di feste.
Nel 1964 Clotilde ed io venimmo ad abitare a Roma. Si apriva la terza
sessione del Concilio, Paul era riuscito a raccogliere un gruppo di 300
vescovi sensibili ai problemi che egli poneva. Si  erano dati il nome di
"Chiesa dei poveri". Il gruppo aveva come  "presidente" il grande cardinale
Lercaro, arcivescovo di Bologna, assistito da don Giuseppe Dossetti;
raccoglieva vescovi francesi, belgi, americo-latini; per gli italiani
c'erano monsignor Pellegrino e monsignor Bettazzi. Paul stava a Roma con
alcuni suoi "compagnons  de Jesus Charpentier" e con Marie Therese (Myriam)
Lacaze, una giovane francese che si era incontrata con lui e aveva fondato
le "compagnes de Jesus Charpentier". Scrisse piu' tardi Paul: "La casa di
Ettore e di Clotilde divenne un punto di riferimento per la 'Chiesa dei
poveri'".
*
Un maestro scomodo
Le grandi speranze del Concilio non si realizzarono o, meglio, non si
realizzarono tutte. Forse proprio quella di una riforma evangelica della
vita ecclesiastica fu la piu' vanificata. Quando Paolo VI scrisse che "al
periodo sovvertitore dell'aratro" doveva subentrare il tempo della semina,
le curie ripresero il loro potere, quella che fu chiamata "normalizzazione"
cerco' di imbrigliare  la profezia, tagliandole, quando possibile, le corde
vocali: come sempre "a fin di bene", naturalmente, cioe' per ripristinare
l'ordine pubblico nell'organizzazione ecclesiale.
Comincio' allora la lunga avventura di Paul e di Myriam alla ricerca delle
Terre promesse e - alla fine di una odissea dolorosa - approdati a una
speranza senza illusioni ne' sentimentalismi; durissima (secondo me troppo
dura) nel rifiuto di ogni pretesa di sacralita', ma illuminata, come scrisse
Paul, da "una serena, illimitata fiducia in Gesu' di Nazareth. Nel suo nome,
il mio compito e' quello di dare un volto alla speranza degli uomini, il
volto della pienezza umana, in tutte le sue dimensioni. E' vivere secondo la
legge fondamentale  dell'essere, l'amore. La Croce me ne ha insegnato le
rinunzie. La Resurrezione, i superamenti".
Quando Paul scriveva quelle parole, aveva gia' cercato con Myriam, i
compagnons e le compagnes una inserzione nelle favelas brasiliane, aveva
assistito agli orrori della guerra medio-orientale del 1967, vissuto in un
campo profughi della Giordania dove egli e Myriam erano stati testimoni
delle atrocita' del Settembre Nero. Avevano viaggiato nel Laos, nell'India
dei bambini rifiutati (Paul e Myriam ne avevano raccolti due e avevano dato
loro una famiglia, sposandosi), si erano fermati per qualche tempo nel
Libano devastato da una guerra fra fazioni religiose, poi (chiusa
l'esperienza della piccola congregazione) avevano cercato di inserirsi nelle
campagne francesi e in quelle umbre per radicarvi il loro sogno
ambientalista. Ma il dramma palestinese continuava a essere per loro la
croce piantata sul Golgotha del fondamentalismo sionista e dell'indifferenza
delle cosiddette Grandi Potenze.
Molto, molto meno audacemente, anch'io cercai di seguire la lezione
evangelica di Paul, sia tentando di diffonderla in una quasi interminabile
serie di conferenze in giro per l'Italia, in una lunghissima serie di
articoli e di libri, sia cercando, per trent'anni, di seminare  la Rete in
tutta l'Italia. Clotilde mi fu accanto in questo cammino, talvolta piu'
difficile per lei che per me, condividendo con me idee e scelte di vita e
aprendo generosamente la nostra casa ai testimoni del vangelo di giustizia
(molti dei quali, credendosi agnostici o addirittura atei, non si rendevano
conto di essere inseriti nella sequela del Cristo). Adesso che tanto tempo
e' passato e che siamo felicemente anziani, possiamo dirlo: l'essere amici
di Gauthier e piu' ancora l'avere cercato di vivere secondo i suoi
insegnamenti ci sono costati molto in termini di carriera, di danaro e di
prestigio: e anche, purtroppo, di affetti famigliari. E tuttavia, se ci
guardiamo indietro, scopriamo quale ricchezza di amicizie e di speranze c'e'
stata donata dall'incontro con Paul; e crediamo di poter leggere nella sua
letteralita' un brano  della Lettera agli Ebrei nel quale e' scritto: "Vi
sono alcuni che, praticando l'ospitalita', hanno ricevuto fra loro degli
angeli".
*
Un santo?
Benche' le idee mie e di Clotilde sulla Chiesa siano state spesso divergenti
dalle sue al punto da sfiorare, in alcuni casi, una rottura, dolorosissima
per noi e certamente per lui, io credo che Paul sia stato un personaggio
inimitabile, profondamente legato al mistero di Betlemme e di Nazareth.
Vederlo inginocchiato davanti a un povero paralitico di Trastevere, che non
comprendeva una sola sillaba del suo francese ma capiva il suo amore e  lo
chiamava "papa'", o celebrare la messa quasi intorno all'altare si
assiepasse una immensa folla di miseri, o ergersi, per cosi' dire, nel suo
esile corpo mentre leggeva il vangelo, come se una grande forza si
sprigionasse in lui, provocava in molti (certamente in me) la sensazione di
un incontro di decisiva importanza. Mi ricordo quando battezzo' il nostro
piccolo Pietro: il bambino  piangeva, smise di piangere appena lui lo prese
fra le sue braccia e lo guardo' negli occhi, sorridendo. Mi capito' allora
di pensare: "E' un santo". Sono passati da quel giorno 37 anni, la nostra
amicizia e' stata percossa da incomprensioni ed equivoci, da dissensi anche
radicali, ma quella convinzione non mi ha abbandonato.
*
Due idee-base
Paul diede alla Rete Radie' Resch un impulso straordinario durante le sue
permanenze in Italia. La sua evangelizzazione sapeva superare i muri dei
ghetti religiosi, i pregiudizi, le miserie delle superstizioni e dei codici
formalisti. Persone che non accettavano di dirsi cristiane lo ebbero
carissimo e riaprirono con lui le pagine delle Scritture. Tuttavia una delle
sue idee-base, quella dell'immedesimazione del Cristo nei poveri e dunque
della necessita' che la Chiesa si sentisse costantemente spronata dalle loro
sofferenze a predicare quello che egli chiamava "il vangelo di giustizia",
non risultava a molti meno scandalosa dell'altra, "politica", che avrebbe
fortemente permeato la vita della Rete.
Al primo convegno nazionale dell'associazione Paul Gauthier disse: "Cio' che
e' importante e' che mentre noi la' (a Nazareth) viviamo fra gli operai,
voi, qui, agiate sulle strutture sociali per impedire che si fabbrichino
ancora dei poveri. Perche', se riflettiamo sul mondo nel quale viviamo,
vediamo che c'e' un'autentica fabbricazione di poveri. Il sistema nel quale
viviamo e' un sistema che, per le stessi leggi che vi vigono, permette a
coloro che possiedono dei beni di possederne ogni giorno di piu', grazie al
fatto che il lavoro e' insufficientemente protetto e serve da materia prima
all'arricchimento degli altri(...). E' inutile che voi doniate parte della
vostra intelligenza, della vostra preghiera, del vostro denaro per aiutare i
poveri se nello stesso tempo non lottate con tutte le vostre forze per
sopprimere le strutture che fabbricano i poveri (...). Ciascuno di noi,
nell'ambiente che gli e' proprio. deve dare il suo contributo, non soltanto
cercando di aiutare i poveri a combattere la loro poverta' ma anche
individuando e combattendo le cause della poverta'".
Era l'autunno del 1965; Le idee di Gauthier, a me sembra, ponevano il seme
della teologia della liberazione e insieme avviavano il mondo cattolico a
una critica piu' lucida e radicale del capitalismo. Dio benedica il suo
riposo.
*
L'indirizzo di Myriam Lacaze-Gauthier, alla quale spero molti vogliano
inviare un messaggio di affetto, e': 19,  rue  Henri  Tasso, Marseille
13002, France, tel. 0033/491918767.
*
Note
1 Grandi C., Radie' Resch, Una storia di solidarieta', prefazione di E.
Balducci, Borla, 1992. Ongaro E., Nel vento della storia, 30 anni della Rete
Radie' Resch, pref. di A. Paoli Cittadella, 1994.
2 Gauthier P., E il velo si squarcio', Qualevita, 1988. (L'indirizzo delle
Edizioni Qualevita e': via Buonconsiglio 2, 67030 Torre dei Nolfi, AQ). Gli
altri libri scritti da Gauthier sono: I poveri, Gesu' e la Chiesa, Borla,
1963; Con queste mie mani. Diario di Nazareth, Borla, 1965; La Chiesa dei
poveri e il Concilio, Vallecchi, 1965; Vangelo di giustizia, Vallecchi,
1968; Gesu' di Nazareth, il Carpentiere, Morcelliana, 1970 (gli ultimi tre
tradotti da Clotilde).

5. CULTURA DELLA PACE. ALBERTO L'ABATE: UNA LEZIONE DI JOHAN GALTUNG A
FIRENZE
[Ringraziamo Alberto L'Abate (per contatti: labate at unifi.it) per questo
scritto che riferisce della lezione inaugurale dell'anno accademico
2002/2003 del Corso di laurea triennale in "Operatori per la pace"
dell'Universita' di Firenze, tenuta da Johan Galtung.
Alberto L'Abate e' nato a Brindisi nel 1931, docente universitario, amico di
Aldo Capitini, e' impegnato nel Movimento Nonviolento, nella Peace Research,
nell'attivita' di addestramento alla nonviolenza, nelle attivita' della
diplomazia non ufficiale per prevenire i conflitti; ha collaborato alle
iniziative di Danilo Dolci e preso parte a numerose iniziative nonviolente;
come ricercatore e programmatore socio-sanitario e' stato anche un esperto
dell'Onu, del Consiglio d'Europa e dell'Organizzazione Mondiale della
Sanita'; ha promosso e condotto l'esperienza dell'ambasciata di pace a
Pristina, ed e' impegnato nella "Campagna Kossovo per la nonviolenza e la
riconciliazione". E' portavoce dei "Berretti Bianchi". Tra le opere di
Alberto L'Abate: segnaliamo almeno Addestramento alla nonviolenza,
Satyagraha, Torino 1985; Consenso, conflitto e mutamento sociale, Angeli,
Milano 1990; Prevenire la guerra nel Kossovo, La Meridiana, Molfetta 1997;
Kossovo: una guerra annunciata, La Meridiana, Molfetta 1999; Giovani e pace,
Pangea, Torino 2001.
Johan Galtung e' nato in Norvegia nel 1930, fondatore e primo direttore
dell'Istituto di ricerca per la pace di Oslo, docente, consulente dell'Onu,
e' a livello mondiale il più noto studioso di peace research; tra le molte
opere di Johan Galtung segnaliamo almeno le seguenti: Ambiente, sviluppo e
attivita' militare; Ci sono alternative; Gandhi oggi; Buddhismo. Una via per
la pace; tutti presso le Edizioni Gruppo Abele, Torino; Sulla educazione
alla pace, Quaderni degli Insegnanti Nonviolenti, Torino; Palestina-Israele:
una soluzione nonviolenta?, Sonda, Torino; I diritti umani, Esperia, Milano]
Il 15 gennaio 2003, nel prestigioso Salone dei Duecento del Comune di
Firenze, il professor Johan Galtung ha tenuto la lezione inaugurale  del
secondo anno accademico del corso di laurea in "Operatori per la pace".
Galtung e' uno dei piu' noti "ricercatori per la pace" del mondo, autore del
primo manuale delle Nazioni Unite per la trasformazione nonviolenta dei
conflitti, e direttore di "Transcend", una organizzazione che riunisce i
piu' importanti ricercatori ed operatori per la pace internazionali.
Davanti ad una sala gremita ed attenta, su invito del Corso suddetto e della
Commissione Pace del Comune di Firenze, il professor Galtung ha sviluppato
il tema: "Ricerca per la pace e lotta al terrorismo".
*
In sintesi, ed utilizzando anche (in attesa della trascrizione della
registrazione della sua relazione) due saggi su questo tema pubblicati nei
numeri 1 e 2 dalla rivista "Satyagraha" del Centro Gandhi di Pisa, possiamo
dire che  le principali argomentazioni sviluppate da Galtung sono state le
seguenti.
Per gli studiosi ed i ricercatori per la pace l'11 settembre 2001 con
l'attacco, in particolare, alle torri di New York, non e' stato un fatto
inatteso. L'unico aspetto inatteso e' stato il metodo usato. Infatti il
terrorismo, cui Galtung assimila anche certi metodi di lotta utilizzati da
molti Stati, e' passato dall'uso delle "bombe ma senza aerei", agli "aerei
con bombe", infine all'uso, in quella circostanza, degli "aerei come bombe".
Ma sui fatti dell'11 settembre Galtung ha sostenuto che la meraviglia e'
stata semmai quella che non siano avvenuti prima. Egli infatti, facendo
riferimento agli studi di alcuni ricercatori statunitensi, fa notare come
gli Stati Uniti siano stati impegnati, dal 1945 ad oggi, in 67 conflitti
globali.
Scrive Galtung: 'Non si possono negare alcuni validi moventi. Ma ci
rifiutiamo di credere che la violenza fosse l'unica possibilita' cui
ricorrere" ("Satyagraha", n.1, p. 45). In alcuni di questi (35 casi) gli Usa
hanno fatto ricorso anche ad "assassinii, tentati o riusciti, di
personalita', inclusi capi di stato" (Ibid., p.46); in 11 paesi
"all'assistenza alla pratica della tortura" (ibid.); in 23 paesi "alla
falsificazione delle elezioni, interferendo nei processi democratici"
(ibid.).
Scrive Galtung, a proposito di questi interventi degli Usa: "Tornando ai
moventi dietro questa gigantesca violenza diretta: si puo' dire che
praticamente tutto e' compatibile con l'ipotesi che la violenza diretta
degli Usa, aperta o nascosta dietro la Cia, sia diretta contro qualsiasi
cosa possa essere percepita come ostile agli interessi statunitensi
all'estero" (ibid. p. 47). Calcoli di dissidenti della Cia danno a 6 milioni
i morti per operazioni segrete americane dopo la seconda guerra mondiale.
Altri 6 milioni di morti (soprattutto in Corea, Vietnam, ed Indonesia,
nell'Asia Orientale) sarebbero il risultato della  violenza diretta, aperta,
e molto maggiori (circa 100.000 al giorno) quelli dovuti alla violenza
strutturale (a causa della miseria e malnutrizione derivanti dalla
monetizzazione di tutta l'economia nel mondo, ed all'impoverimento dei ceti
marginali a questa collegata).
Secondo Galtung tutti questi morti hanno accumulato una dose elevatissima di
odio verso gli Usa che prima o poi avrebbe dovuto esplodere, come e'
avvenuto nei fatti dell'11 Settembre.
*
Passando ad analizzare la guerra che Bush sta preparando contro l'Iraq egli
ritiene che c'e' una grossa probabilita' (lui parla  di circa l'85%) che
questa venga portata avanti anche senza che gli ispettori Onu trovino una
dimostrazione concreta della presenza di armi chimiche, batteriologiche, o
nucleari in quel paese. Pensa infatti che sia possibile che, dopo
l'intervento, gli Usa trovino (portandole loro stessi) armi di quel genere
in qualche zona del territorio iracheno, a conferma, a posteriori, della
giustezza del loro intervento.
E da' un giudizio estremamente preciso della "illegalita'" di questa guerra.
E' infatti vero che Saddam non ha rispettato almeno per 11 volte le
risoluzioni dell'Onu, ma per avere un aspetto anche minimo di legalita',
secondo questo studioso, la stessa richiesta avrebbe dovuto essere stata
fatta anche ad Israele, che non ha rispettato le risoluzioni dell'Onu almeno
tre volte tanto rispetto all'Iraq, e che possiede sicuramente quel tipo di
armi che si contestano agli iracheni. Ma le risoluzioni Onu contro Israele
non sono mai state applicate per il veto degli Usa.
Parlando poi delle cause reali per la guerra contro l'Iraq, Galtung parla di
almeno due cause concomitanti:
a) il carattere manicheo (tutto il bene da una parte e tutto il male
dall'altra) dei due fondamentalismi che si confrontano, rispecchiandosi
l'uno con l'altro, in questa cosiddetta guerra al terrorismo, da una parte
quello cristiano-ebraico di Bush e Sharon, dall'altra quello islamico, in
particolare della setta wahhabita;
b) la ricerca del controllo, diretto o indiretto, delle fonti del petrolio
di tutto il Medio Oriente, e non solo dell'Iraq. Infatti, secondo Galtung,
questa guerra non vuole colpire solo l'Iraq, ma mira al controllo di tutta
l'area, e tende a far cadere  anche gli accordi per l'acquisto di petrolio
che, con questo paese, stanno facendo la Francia, la Russia e la Cina.
E Galtung conclude il suo intervento sulla guerra contro l'Iraq, che lui
ritiene molto probabile anche senza che si siano trovate prove reali di
quanto viene contestato a questo paese, proponendo, in tal caso, di
organizzare una resistenza nonviolenta con queste forme:
I) il boicottaggio dei prodotti statunitensi, in particolare delle compagnie
petrolifere da questi controllate;
II) aumentando il numero di scudi umani in quel paese. Attualmente ci sono
in Iraq, secondo le sue informazioni, circa 2.000 persone, soprattutto
statunitensi, che sono andate la' per cercare di evitare la guerra, un certo
numero dei quali sono dei familiari delle vittime dell'11 settembre che
sostengono che non si deve sfruttare la morte e la memoria dei loro cari per
fare una guerra per il petrolio. Secondo informazioni avute da Galtung la
presenza in Iraq di queste persone e' uno dei piu' grossi ostacoli, a detta
degli stessi militari statunitensi, al portare avanti il loro progetto di
guerra. Per questo ritiene che se questi aumentassero, anche con l'apporto
di altre persone dei paesi europei, arrivando a circa 100.000 persone, le
probabilita' di guerra diventerebbero molto minori;
III) Ma passando alle proposte in positivo, per eliminare la possibilita' di
guerra, egli propone che l'Europa faccia la richiesta di una Conferenza
dell'Onu, a cui gli Usa partecipino solo come osservatori, per trattare i
problemi di tutto il Medio Oriente che sono alla base di questo conflitto,
compreso il rapporto tra Israele e Palestina.
*
L'altro problema da lui affrontato e' appunto quella dell'attuale conflitto
armato tra Israele e Palestina.
Galtung ritiene che questa guerra non possa essere risolta solo tra questi
due paesi, perche' lo squilibrio tra di loro e' troppo grande: Israele con
uno dei piu' grandi apparati militari del mondo, la Palestina, povera e con
pochissime attrezzature militari. Egli paragona Israele ad un elefante e la
Palestina ad un topolino.
Per questo pensa che una possibile soluzione pacifica si potrebbe avere solo
da un riequilibrio dei rapporti, con un processo tipo quello che ha portato
alla nascita dell'Europa, mettendo insieme, con l'aiuto di questa come
mediatrice, Israele, la Siria, la Giordania, la Palestina, e forse anche
altri paesi, dando vita ad un processo di aggregazione che veda la nascita
di una comunita' politica in quella zona di cui facciano parte sia Israele
che alcuni dei paesi mussulmani in cui sono andati a vivere anche molti
palestinesi emigrati o espulsi.
La seconda possibile soluzione pacifica di questo conflitto e' quella
accennata prima, di una conferenza delle Nazioni Unite che prenda in analisi
tutti i problemi di quell'area, e porti avanti, se questa viene accettata
dalle parti, anche una soluzione politica tipo quella accennata prima.
*
Ma parlando della lotta al terrorismo Galtung ha concluso la sua relazione
ripetendo il discorso agli americani che egli immagina che il presidente
degli Stati Uniti abbia fatto ai suoi concittadini il giorno dopo l'11
settembre (presentato da Galtung alla Convenzione dell'American
Psychological Association - Chicago, 25 agosto 2002 - nel discorso di
accettazione del premio Morton Deutsch per la ricerca per la pace a lui
assegnato).
Eccolo: "Amici americani, l'attacco di ieri contro due edifici, che ha
ucciso migliaia di persone, e' stato atroce, totalmente inaccettabile. I
responsabili sono stati catturati e portati in Tribunale davanti ad una
apposita corte internazionale, dotata di un chiaro mandato delle Nazioni
Unite. Tuttavia il discorso di stasera va al di la' di questo. Sono giunto
alla conclusione che ci sono stati e ci sono gravi errori nella nostra
politica estera, per quanto questa fosse sostenuta da buone intenzioni. Noi
ci creiamo nemici a causa della nostra insensibilita' ai bisogni
fondamentali dei popoli in tutto il mondo, tra questi la sensibilita'
religiosa. Sono quindi giunto alla decisione che si intraprenderanno i passi
necessari per:
- ritirare le nostre basi militari dall'Arabia Saudita;
- riconoscere lo stato di Palestina, i dettagli saranno comunicati in
seguito;
- intraprendere un dialogo con l'Iraq per identificare i conflitti
risolvibili;
- accettare l'invito del Presidente Khatami di fare lo stesso con l'Iran;
- uscire militarmente ed economicamente dall'Afghanistan;
- arrestare i nostri interventi militari e riconciliarci con le vittime".
A commento di questo ipotetico discorso scrive Galtung: "La stessa sera un
miliardo e trecento milioni di mussulmani abbraccerebbero l'America; ed i
pochi terroristi rimasti sarebbero come pesci fuori dall'acqua. Il discorso
costerebbe una mezz'ora di lavoro per essere scritto e dieci minuti per
essere pronunciato; in confronto con, diciamo, sessanta miliardi di dollari
per l'operazione in Afghanistan (50 miliardi per quella in Jugoslavia nel
1999, piu' molti altri dopo) e cosi' via... Il problema e' che la violenza
su grande scala puo' produrre piu' minacce di quante ne elimini.
L'alternativa e' ...di abbandonare la dottrina militare offensiva, ed unirsi
al resto del mondo. I costi sono alti, i benefici anche maggiori"
("Satyagraha", n.2, pp. 41-42).
*
Gli argomenti trattati da Galtung sono stati anche altri, ma ci sembra che
questi siano stati i punti piu' importanti da lui affrontati.
Purtroppo l'impianto audio della sala non funzionava molto bene e molte
persone, specie ai lati della sala, non hanno potuto seguire bene tutto il
suo intervento.
Per questo gli organizzatori dell'incontro si sono impegnati a fare
trascrivere la registrazione della lezione, e pubblicarla, in modo da
permettere a tutti di poterla conoscere e comprendere.
Gli organizzatori dell'incontro, il Corso di laurea interfacolta' (Scienze
della Formazione e Scienze Politiche) dell'Universita' di Firenze in
"Operatori per la pace", e la Commissione "Pace e solidarieta'
internazionale" del Comune di Firenze, hanno inoltre previsto di continuare
la loro collaborazione organizzando un incontro mensile per
l'approfondimento di queste tematiche.
Il programma dettagliato e' in via di definizione e verra' comunicato appena
pronto.
Si prevedono, tra gli altri, incontri con Falco Accame, sull'irenizzazione
della guerra; con Lidia Menapace,  su donne e pace; e con Dario Fo, sul
contributo del teatro e dell'arte alla pace.

6. VOCI PENSANTI CUORI. UN DISTICO DI MARINA CVETAEVA
[Da Marina Cvetaeva, Poesie, Feltrinelli, Milano 1979, 1992, p. 63. Marina
Cvetaeva e' stata una delle maggiori poetesse russe del Novecento]

Chi non t'ha calpestato - e chi non t'ha bruciato,
cespuglio d'incombustibili rose!

7. VOCI PENSANTI CUORI. UN DISTICO DI AMELIA ROSSELLI
[Da Pier Vincenzo Mengaldo (a cura di), Poeti italiani del Novecento,
Mondadori, Milano 1978, 1981, p. 1002. Amelia Rosselli e' stata una delle
maggiori poetesse italiane del Novecento]

Il mondo e' sottile e piano:
pochi elefanti vi girano, ottusi.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 487 del 25 gennaio 2003