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La nonviolenza e' in cammino. 482
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 482
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 20 Jan 2003 03:59:29 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 482 del 20 gennaio 2003 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini, per la chiarezza 2. Lidia Menapace, eutopia (a proposito della proposta di costruire l'Europa come continente neutrale) 3. Antonino Drago, per dissipare alcuni equivoci sulla nonviolenza 4. Anna Picciolini, nel segno del disarmo 5. Lidia Cirillo, la guerra e la marginalita' europea 6. Ileana Montini, sul contributo della psicoanalisi 7. Filippo Ciardi, lettere contro la guerra 8. Enrico Peyretti, scrivere ogni giorno al prefetto 9. Letture: Gisella Modica, Falce, martello e cuore di Gesu' 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: PER LA CHIAREZZA Vorremmo che fossero chiare alcune cose. La prima: non basta esprimere il proprio dissociarsi dalla guerra, occorre impedire la guerra. * La seconda: al governo, al parlamento ed al capo dello Stato italiano va chiesto - e se necessario imposto (lo ripeto: imposto) - il rispetto della legge, che nella fattispecie significa il rispetto dell'articolo 11 della Costituzione che ripudia la guerra, punto e basta. * La terza: al Consiglio di sicurezza dell'Onu va chiesto - e se necessario imposto (lo ripeto: imposto) - il rispetto della Carta dell'Onu, che anch'essa ripudia in modo assoluto la guerra. * La quarta: ai soggetti istituzionali citati non va chiesto di esprimere una mera dissociazione, ma di esercitare un'azione contro la guerra; non va chiesto di lavarsene le mani, ma di opporsi alla guerra. Se "L'Italia ripudia la guerra" vuol dire che la legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico la obbliga a lottare contro la guerra. Se l'Onu esiste per preservare i popoli del mondo dal flagello della guerra, vuol dire che ha l'obbligo giuridico cogente e ineludibile di impedire le guerre. * La quinta: nessuno si illuda di poter delegare ad altri la propria responsabilita': nel mondo unificato dagli orrori di Auschwitz e di Hiroshima ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. E quindi non basta chiedere ad altri di fare qualcosa, sei tu che devi fare qualcosa. E la prima cosa da fare hic et nunc e' impedire la guerra. Ma per poter avere una speranza di riuscire a impedire la guerra occorrre assumerla con rigore morale e intellettuale, con intellettuale e morale limpidezza, la propria responsabilita': e questo implica una scelta preliminare e necessaria: la scelta della nonviolenza come unica forma interamente coerente e intransigentemente combattiva (combattiva, si': la nonviolenza e' lotta) di opposizione alla guerra e alla violenza, a tutte le guerre e tutte le violenze. Se non si sceglie la nonviolenza si resta complici dei presupposti culturali e politici ed economici e psicologici della guerra e della violenza; se non si sceglie la nonviolenza non si puo' credibilmente essere costruttori e costruttrici di pace. * La sesta: noi cittadini italiani possiamo impedire la guerra? Si'. Imponendo al nostro paese e quindi al suo governo cio' che il "principio fondamentale" espresso nell'articolo 11 della legge fondamentale del nostro Stato richiede e dunque impone: un'azione internazionale netta ed energica contro la guerra. E per ottener questo dobbiamo dir chiaro al governo, al parlamento ed al capo dello Stato che se loro intendono tradire la Costituzione cui hanno giurato fedelta', saremo noi, il popolo italiano, a difendere la legalita' costituzionale e saremo noi, il popolo italiano, a cacciarli dal potere e a trarli in tribunale, in quanto essi si sarebbero resi fuorilegge, golpisti, stragisti e complici degli stragisti, poiche' la guerra sempre e solo e' esecuzione di omicidi di massa, annientamento di esseri umani. Dobbiamo dirlo chiaro, subito; e dobbiamo farci ascoltare, subito. E qualora non venissimo ascoltati dobbiamo fin d'ora prepararci ad agire, e per agire cinque cose occorre fare, al di la' delle iniziative simboliche, al di la' dei cortesi inviti e delle squisite maniere, al di la' delle parate e delle prosopopee, dei comizi e delle sfilate, dello spettacolo e delle chiacchiere. E le cinque cose che occorre fare a nostro modesto avviso sono (e mi scuso se ripeto testualmente quanto gia' apparso su questo notiziario due giorni fa, che a sua volta ripeteva idee che e' dai tempi della guerra del Golfo che andiamo gridando dai tetti): a) la scelta della nonviolenza, senza di cui non si da' azione per la pace che possa dirsi onesta e persuasa; la scelta della nonviolenza, che implica il prender sul serio le nostre idee e il rigorizzare le nostre condotte; la scelta della nonviolenza, che impone la necessita' della formazione e dell'addestramento alla nonviolenza, un processo di chiarificazione e di coscientizzazione non breve ne' facile, studio e discussione, lavoro e fatica; b) l'azione diretta nonviolenta, che sola puo' contrastare la guerra concretamente, operativamente, in modo limpido e rigoroso; e che puo' esser realizzata solo da persone alla nonviolenza accostatesi per tempo e intimamente persuase di essa, ed all'azione nonviolenta stessa lungamente preparatesi; c) la disobbedienza civile di massa, che paralizzi i poteri che allo scatenamento della guerra presiedono; e che deve essere studiata e preparata con una lunga e profonda discussione pubblica, che coinvolga tutti i soggetti coinvolti (ed e' incompatibile con le solite ignobili modalita' autoritarie e spettacolari con cui vengono lanciati tanti appelli e tante campagne che sarebbero comiche se non avessero esiti nefasti e sovente fin tragici); d) lo sciopero generale ad oltranza contro la guerra scatenata, fino alle dimissioni del governo che la guerra promuove ed avalla; e) la denuncia alla magistratura ordinaria e la richiesta di intervento delle forze dell'ordine per arrestare quelle persone che investite di pubblici poteri a cio' efficienti avessere deciso ed avallato l'ingresso del nostro paese in una guerra illegale e criminale ai sensi dell'articolo 11 della legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico. 2. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: EUTOPIA (A PROPOSITO DELLA PROPOSTA DI COSTRUIRE L'EUROPA COME CONTINENTE NEUTRALE) [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.wonenews.net) riprendiamo questo intervento di Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it): Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, ha preso parte alla Resistenza, e' tra le voci più significative e autorevoli della cultura e del movimento delle donne, dei movimenti di pace, solidarieta' e liberazione, della vita civile italiana degli ultimi decenni. Opere di Lidia Menapace: la maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001] Nel 1991, in occasione della prima guerra del Golfo, la manifestazione indetta dal movimento femminista romano e rivolta a tutta la popolazione civile, gia' individuata come principale vittima delle guerre, s'intitolo', su mia proposta, "Fuori la guerra dalla storia": motto formulato dall'elaborazione femminista sulla guerra a meta' degli anni Ottanta, cui avevo contribuito, e che continuavo a sentire intrinsecamente legato al mio modo di discutere di guerra come istituzione politica e giuridica precisamente definita, come evento storico, non "calamita' naturale", non legata a immutabili istinti. In quell'occasione non avevo percio' solo l'intenzione di proporre uno slogan accettato da tutte con entusiasmo, ma di avviare un processo che facesse della guerra un qualcosa da evitare e da respingere per sempre, come per una specie di tabu' positivo (l'espressione era di Moravia, sempre per dare a ciascuno il suo). Cosi' segui' "Fuori l'Italia dalla guerra": ma la Nato era gia' allora un veicolo di guerra che violava e sorpassava la nostra Costituzione. Per cui rimasi con l'intenzione di trovare una via d'uscita, dato che le vecchie gloriose scritte e grida "Fuori la Nato dall'Italia, fuori l'Italia dalla Nato" non erano piu' agibili, e venivano bypassate dall'Europa. La Nato del resto fu poi rilegittimata motu proprio dal governo D'Alema quando era giuridicamente giusto chiederne la definitiva cancellazione, essendo ricorso il caso, previsto nel Trattato, della caduta del Patto di Varsavia. Mi convinsi che la guerra rilegittimata distruggeva il diritto internazionale e tendeva a porsi non gia' come un tabu', bensi' come nuova forma e base del "diritto". Da allora non ho smesso di interrogarmi sulla guerra appunto come istituzione giuridico-politica e come evento storico. * Nasce da quella lontana premessa il cammino che mi ha condotto a proporre alla Convenzione e a chi si sia convinta/o che e' giusto farlo, che l'Europa si costituisca come continente neutrale (e se ci stesse anche la Turchia sarebbe davvero un bel colpo, e se non ci stesse sarebbe una ragione fondativa per non ammetterla in Europa): il che, nel diritto internazionale, significa territorio che rifiuta di usare comunque la guerra, non fa politiche che inducano o avviino pericoli di guerre, non firma nessun trattato militare, non accetta sul suo territorio installazioni militari o passaggi di truppe. La neutralita' e' questo, cio' che nel diritto internazionale viene definita l'unica forma politica antagonista alla guerra. So bene che nessun governante attuale accetta una ipotesi di questo tipo, nemmeno forse gli stati gia' neutrali in Europa (Svizzera, Austria, Svezia, Finlandia), ma penso che un movimento non debba partire da mediazioni previe e che quindi sia giusto ed efficace che la Convenzione permanente di donne contro le guerre (che ha fatto una scelta nonviolenta gia' da tempo, e che condanna la guerra e il terrorismo - ogni guerra e ogni terrorismo - parimenti come crimini contro l'umanita' e ad essi non trovi scusanti e meno che mai giustificazioni) questa proposta la faccia. Una volta affermato e avviato il processo di costruzione e diffusione di una cultura politica della neutralita' attiva (disarmo, divieto di progettazione, costruzione e vendita di armi; trasformazione dell'economia di guerra in produzioni di pace ecc.; costruzione di una storiografia non incentrata sulle guerre come asse storico ecc.; addestramento alla difesa popolare nonviolenta, servizio civile e protezione civile dotati di risorse adeguate 'ecc.) si avvia in contemporanea una campagna verso le e i parlamentari nazionali ed europei perche' evitino che la nuova Costituzione europea bypassi il divieto del nostro art. 11 ed inseriscano il diritto alla pace per i cittadini e le cittadine europee e come asse della politica estera europea verso l'intera popolazione del mondo, oppure e anche un articolo del tenore del nostro art. 11, che ha un analogo anche gia' nella Costituzione germanica. * Questo e' quanto ci sembra utile, efficace, necessario per dare inizio a una nuova storia europea, nella quale le istituzioni politiche non si ispirino piu' al passato cruento e bellicista del nostro continente, ma invece ai due grandi movimenti storici che hanno cambiato positivamente la faccia del continente e del pianeta usando solo tutte le forme dell'azione politica nonviolenta, cioe' il movimento operaio e sindacale e il movimento delle donne. Questo e' il contributo da portare dall'Europa anche alle Nazioni Unite perche' venga cancellato ogni residuo di potere esercitato in nome di una vittoria militare, cioe' il diritto di veto e di seggio eterno nel Consiglio di sicurezza, la fine dei tribunali speciali di origine bellica, l'inizio di un nuovo diritto internazionale dotato di magistratura ad hoc, e di una polizia internazionale addestrata ai metodi nonviolenti, in attuazione della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione universale dei diritti umani. Si chiama -secondo una bella proposta di vocabolario del movimento femminista mondiale - non gia' utopia, bensi' eutopia, un bel luogo, un altro mondo possibile. 3. EDITORIALE. ANTONINO DRAGO: PER DISSIPARE ALCUNI EQUIVOCI SULLA NONVIOLENZA [Ringraziamo Antonino Drago (per contatti: drago at unina.it) per averci messo a disposizione queste sue riflessioni svolte in occasione del seminario della Rete Lilliput sulla nonviolenza oggi in Italia. Tonino Drago, nato a Rimini nel 1938, docente di storia della fisica all'Universita' di Napoli, da sempre impegnato nei movimenti nonviolenti, e' uno dei piu' prestigiosi peace-researcher italiani e uno dei piu' autorevoli amici della nonviolenza. Tra le molte opere di Antonino Drago: Scuola e sistema di potere: Napoli, Feltrinelli, Milano 1968; Scienza e guerra (con Giovani Salio), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; L'obiezione fiscale alle spese militari (con G. Mattai), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986; Le due opzioni, La Meridiana, Molfetta; La difesa e la costruzione della pace con mezzi civili, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 1997; Atti di vita interiore, Qualevita Torre dei Nolfi (Aq) 1997] In questo periodo molti si accostano alla nonviolenza senza avere alle spalle un approfondimento personale, ma per la pressione a cercare nuove vie per la politica collettiva, nazionale e internazionale. In effetti il 1989 e' stato essenzialmente nonviolento; e' naturale che la gente, anche se i politici lo oscurano e lo negano, cercano nella novita' del 1989 una nuova direzione. Ma secondo me, oggi l'appellarsi alla nonviolenza ha degli equivoci di fondo anche se si superano quelli piu' evidenti... Gli equivoci ci sono sia a livello personale che a livello collettivo. * A livello personale: 1) in Italia la nonviolenza e' nata con Capitini, il quale basava la nonviolenza su una "riforma di religione", che oggi non si vede in giro; e' quello un programma sorpassato, o hanno deviato i nonviolenti? Piu' in generale e in maggior riferimento alla vita di oggi, il separare la nonviolenza dalla vita interiore, e' un avanzamento verso una nonviolenza aperta a tutti, o e' una regressione nell'attivismo cieco? 2) sembra che per molti essere nonviolenti sia una questione di appartenenza ad un'area di opinione; la nonviolenza e' solo questo? Oppure sia una questione di dichiararsi soprattutto contro tutte le guerre; il che corrisponde ad uno spirito piu' antimilitarista che nonviolento (anche Capitini non valutava bene il solo antimilitarismo). Oppure sia una questione di coinvolgersi in trainings, gestiti da altri in vista o di una azione specifica o di obiettivi politici general-generici. 3) una nonviolenza che (come oggi in Italia) non prende posizione sulla attuale grande trasformazione dell'etica (basti pensare alla sessualita' o alla clonazione), alla gente dice qualcosa (di piu' di una prospettiva solo culturale)? 4) il rapporto nonviolenza ed etica non e' chiaro specialmente in politica: occorre essere machiavellici per essere efficaci in politica? Occorre essere realisti, come i Verdi tedeschi, per portare avanti efficacemente i propri progetti? Piu' precisamente, quando si e' eletti, occorre entrare nella macchina politica per farsi una posizione dalla quale agire con efficacia, oppure occorre stare al servizio del movimento dei nonviolenti, a rischio di scomparire dalla scena politica? * A livello collettivo: 1) la nonviolenza politica puo' mettere da parte la democrazia, oppure la democrazia e' la base della politica e in piu' si propone la nonviolenza? In particolare, le assemblee servono a raccogliere consensi ad una politica "nonviolenta" gestita da pochi... oppure servono a dare l'indirizzo ad alcuni che offrono un servizio per realizzare le volonta' assembleari in una direzione nonviolenta? Finora tra i nonviolenti italiani solo piccole associazioni sono riuscite a fare nel secondo modo. Nei trainings, la presenza del facilitatore a che ruolo corrisponde nella vita democratica? 2) si sceglie una nonviolenza politica di destra (che cerca l'autoaffermazione personale, cura soprattutto la gestione burocratica della organizzazione interna, cerca di egemonizzare altri gruppi e movimenti di base considerandoli pre-politici, tende al rapporto privilegiato con le istituzioni ed un partito), o una nonviolenza politica di sinistra (secondo un'etica comunitaria, con obiettivi politici stabiliti assieme e realizzati senza deleghe, basata sulla autogestione, con un movimento politico dal basso)? 3) quale nonviolenza operativa discende dalle due scelte precedenti, specie oggi che siamo in guerra? Chiedere ai nonviolenti non piu' che delle espressioni di opinione, petizioni, manifestazioni culturali; oppure cooperare con tutti coloro che danno testimonianza e sacrificio per fermare direttamente la guerra: gli obiettori per primi (al servizio militare, alle spese militari, alle imposizioni sul lavoro), e poi con quelli che si interpongono concretamente nel conflitto. 4) Quale obiettivo politico strategico ha oggi la nonviolenza in Italia? Ottenuta la legge sull'obiezione di coscienza e il servizio (legge 230/98) torniamo a fare politica di contrattazione e di scambio, o manteniamo la politica dei principi, ponendo nuovi principi non contrattabili per costruire un'alternativa alla societa' e al progresso attuale? In particolare, oggi lo Stato ci sta trattando da ingenui, gente da ignorare come incapaci, o da accontentare con delle parole, ma non con l'applicazione della sua legge 230/98, che da anni dovrebbe istituire, per la prima volta del mondo, un "esercito" alternativo. Si puo' lasciare che l'Ufficio nazionale per il servizio civile non spenda i finanziamenti pubblici per la Difesa popolare nonviolenta? * Per brevita' salto quanto ci sarebbe da chiarire sulle aggregazioni nonviolente che non sono associazioni e sulle associazioni nonviolente che non sono aggregazioni. Il mantenere questa situazione non conviene a nessuno; se non a chi non vuole la nonviolenza, o a chi la vuole gestire per obiettivi politici che non dichiara alla base. Invito quindichi legge a superare questo momento storico, prendendo una sua propria posizione sui punti suddetti, nella piena coscienza che oggi la parola nonviolenza di fatto copre posizioni anche molto diverse tra loro. Sarebbe la giusta maniera di superare una nonviolenza infantile che quasi spera di trovarla al supermercato; e incominciare una nonviolenza da adulti, ben consapevoli dei grossi rischi che si incontrano ad essere nonviolenti e dell'equilibrio personale di cui bisogna dare prova per prima cosa. 4. RIFLESSIONE. ANNA PICCIOLINI: NEL SEGNO DEL DISARMO [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo anche questo intervento su "La riflessione dell'Associazione Rosa Luxemburg della Convenzione permanente di donne contro le guerre per la costruzione di una politica che escluda la guerra come soluzione dei conflitti", intervento pronunciato nel corso dell'assemblea nazionale della Convenzione, tenutasi a Roma il 13 dicembre 2002. Anna Picciolini e' una intellettuale e militante femminista e pacifista impegnata nell'Associazione Rosa Luxemburg] Questa e' un'assemblea (la quinta, dopo quelle di Bologna, Genova, Lodi e Napoli) della Convenzione, un'assemblea che si tiene poco dopo il Forum sociale europeo (Fse) di Firenze, per proporre una campagna politica nella prospettiva del disarmo dell'Europa. Il mio intervento e' il frutto di una riflessione delle compagne che costituiscono il nucleo dell'Associazione Rosa Luxemburg, quelle che, nel corso di questi anni, ne hanno garantito l'operativita' in maniera regolare, anche, ma non solo, per il fatto di essere a Firenze, che e' la sede dell'Associazione. L'intervento si articola in tre punti: l'attivita' dell'Associazione negli ultimi due anni, la partecipazione al Fse, e la campagna politica qui proposta. * 1. L'Associazione Rosa Luxemburg e', come tutte sapete e come anche qui e' stato ricordato, "della Convenzione", e quindi sente l'esigenza di riferire sull'attivita' svolta dopo l'assemblea di Lodi, visto che, per una serie di coincidenze, a Napoli non era presente nessuna del gruppo fiorentino (anche se c'erano ovviamente molte compagne iscritte all'Associazione). L'evento piu' importante, annunciato a Lodi, e' stato il seminario su Rosa Luxemburg che si e' svolto a Firenze nel dicembre 2001. Molte di voi erano presenti. Fu una bella occasione di confronto, che riusci' a dare la misura di quello che l'Associazione vuole e puo' essere, occasione di riflessione sul pensiero di Rosa, ma anche di messa a fuoco di temi come il militarismo oggi. Cosi', accanto alle relazioni su Rosa Luxemburg, quelle sull'economia di guerra, sul mercato delle armi, sul pacifismo femminista, ecc. (tutte pubblicate sul numero 7/8 del 2002 del "Paese delle donne"). Dopo il seminario si e' ripresentato il problema, che era gia' stato messo a fuoco, del rapporto fra l'Associazione e la Convenzione. Provo a indicarne un paio di picchetti: l'Associazione "appartiene" alla Convenzione, e' "della" Convenzione; con una "missione" (uso il termine nell'odierno significato aziendale) specifica, quella di lavorare per la costruzione di una cultura politica che escluda la guerra come mezzo di soluzione dei conflitti, con la consapevolezza che una tale cultura politica non c'e', nemmeno a sinistra, non c'e' mai stata. Con questo senso di appartenenza e questa missione riconosciuta da tutte, non possiamo non rilevare che dopo il seminario si sono accentuati dei problemi di comunicazione, non tutti riconducibili a problemi di e-mail, ma che portano a interrogarsi sul metodo, sul modo di coordinare le diverse realta' della Convenzione. Qui mi limito a nominare il problema, aggiungendo pero' che dobbiamo trovare il luogo per affrontarlo. Non se ne puo' parlare nelle assemblee della Convenzione, perche' sono assemblee tematiche, aperte ad altre realta' e quindi sembrerebbe inopportuno, ma non se ne puo' parlare soltanto alle riunioni dell'Associazione: bisogna prevedere occasioni in cui la Convenzione ragioni su queste cose, perche' non basta certo aver approvato uno Statuto. Avendo chiara una cosa, di cui di nuovo possiamo trovare riscontro nel pensiero di Rosa Luxemburg: una visione laica della politica, da cui discende un'autonomia rigorosa del pensiero e della pratica delle donne. Su tutto questo dobbiamo tornare. * 2. Con questo problema di comunicazione fra Associazione e Convenzione siamo arrivate alla decisione su come essere presenti al Forum sociale europeo (Fse). Abbiamo scelto di proseguire nella riflessione su temi-chiave, approfondendo alcune parole-chiave (estraneita'/infedelta', resistenza, complicita'/responsabilita', ordine/disordine) e pubblicando sul "Paese delle Donne" alcuni contributi individuali, nati da momenti di dibattito associativo (l'assemblea dell'Associazione svoltasi a ottobre). Dopo il Fse l'Associazione continua il suo percorso proponendo un seminario per l'autunno 2003 (di cui si parlera' in maniera piu' articolata nelle prossime occasioni di incontro) sul tema "nominare e gestire il conflitto", il conflitto, tutte le forme di conflitto, compreso quello di genere, che sembra spaventare (se chiamato con questo nome) molte delle giovani donne che abbiamo incontrato al Fse, e che continuiamo a incontrare nel Forum sociale di Firenze. Alcune di noi, non l'Associazione in maniera formale, almeno non per ora, abbiamo infatti deciso di stringere i rapporti, di rafforzare l'impegno nel movimento a livello cittadino, portando come contributo quell'intreccio fra femminismo e pacifismo che ci sembra il nostro patrimonio, da arricchire, da mettere in gioco soprattutto nel rapporto con le donne piu' giovani, oltre che con i maschi. Ci muoviamo privilegiando le pratiche che costruiscono relazioni. Una notazione particolare, che mi e' stato esplicitamente chiesto di sottolineare: un elogio della lentezza. Perche' da un lato siamo convinte che occorre resistere alla spirale delle scadenze, dall'altro, pur consapevoli dell'urgenza di alcune questioni, pensiamo che far prevalere l'urgenza puo' a volte impedire di mettere a fuoco gli obiettivi. * 3. E arrivo cosi' all'ultimo punto: la campagna politica per il disarmo dell'Europa, a cui siamo ovviamente interessate a contribuire con uno specifico lavoro di riflessione, nel solco del lavoro gia' avviato come Associazione. A noi tutto sommato sembrava molto piu' convincente il termine "disarmo" rispetto a "neutralita'". Non avevamo mai mandato osservazioni, di cui Lidia Menapace rileva la mancanza, perche' era una sensazione, su cui riflettere. Quando ci siamo viste per fare questa riflessione, era arrivata l'ultima convocazione di questa assemblea, in cui veniva posto in primo piano proprio il termine "disarmo". Cosi' ne abbiamo parlato poco. E' soprattutto, ci pare, una questione di efficacia comunicativa: in un mondo in cui non ci sono piu' i due blocchi, il termine neutralita' ci sembra meno chiaro, meno chiaro quindi l'obiettivo. Sui contenuti pieno accordo: dentro questa proposta non ci sta solo il disarmo unilaterale (una volta se ne parlava per l'Italia, a sinistra). Ci sta la riconversione dell'industria bellica: quando gli Usa entrarono in guerra nel '17 riconvertirono l'industria meccanica civile costruendo le canne dei fucili con le linee di produzione delle canne di bicicletta. Oggi potremmo proporre il contrario, per lanciare insieme anche la sostituzione dell'auto con le due ruote. Questo e' solo un esempio... Su questo tema si potrebbe recuperare una vecchia proposta di legge su cui le Donne in nero avviarono una raccolta di firme dopo la guerra del Golfo. Parte integrante e sostanziale della campagna per il disarmo sono poi quelle che Lidia Menapace ha elencato come "politiche attive di pace". Ma proprio perche' l'accordo sui contenuti e' totale, vorrei fermarmi un momento sugli aspetti problematici. Nel seminario del 2001, qualcuna sottolineava come Rosa, pur con quella vita e con quella morte, fosse pero' estranea alla logica del sacrificio, concetto a cui lei preferiva quello di "politica efficace". Perche' la nostra campagna sia efficace, occorre definire un paio di cose. Prima di tutto "chi e' il soggetto": non e' il continente europeo, termine che a noi sembra, proprio in questo momento, politicamente ambiguo. Per intenderci sinteticamente, noi pensiamo che il problema dell'ingresso della Turchia nella Unione Europea, non nasca dal fatto che sta al di la' dei Dardanelli e quindi non fa parte del continente... Quindi non il "continente", soggetto geografico, bensi' il soggetto politico Unione Europea, cosi' come si andra' costruendo, allargando, nei prossimi anni. E' evidente che le campagne andranno fatte anche attraverso pressioni sugli Stati membri, e condotte dai movimenti che verranno via via coinvolti, ma c'e' tutto un lavoro da fare rispetto alle istituzioni dell'Unione. Questo soggetto politico Unione Europea, per essere soggetto di pace, deve anche caratterizzarsi per la capacita' di essere inclusivo nei confronti degli altri, dei migranti. Il problema non e' l'apertura delle frontiere, che non sono poi cosi' chiuse, ma quello che succede dopo, a chi entra. Secondo aspetto da definire: la Costituzione. Chiedere che nella Costituzione europea sia inserito un principio ecc. D'accordo, ma prima di tutto dobbiamo ricordarci che ci sono illustri costituzionalisti che dubitano che quella che si sta elaborando possa essere veramente una costituzione, senza che sia chiaro chi e' il soggetto che esercita il potere costituente (dov'e' un popolo europeo?) e senza che, in alternativa, siano indicate le procedure di legittimazione, da parte dei popoli europei, del testo che verra' fuori dalla Commissione. Pare inoltre che questa Commissione sia una sorta di diarchia, non nel senso letterale di due persone - presidente e vicepresidente - che dominano sugli altri componenti, ma nel senso che i due, Giscard d'Estaing e Amato, tengono di fatto fuori dal processo decisionale tutti gli altri. E anche questo e' un problema. Vorrei finire con una nota positiva. Ci potrebbe essere, in questa Costituzione, un contributo (che ha a che fare con la nostra proposta) che viene specificamente dalla civilta' giuridica italiana, al suo meglio. Il nostro Paese ha approvato nel 1992 una legge che, riferendosi al caso specifico del conflitto nella ex Jugoslavia, riconosceva il diritto allo status di rifugiato a obiettori e renitenti alla leva, formula estensiva, non derivante da alcuna convenzione internazionale sul diritto di asilo. Oggi quella legge non e' piu' in vigore, noi non abbiamo (ancora) una legislazione organica sul diritto di asilo, anzi, alcune modifiche introdotte dalla Legge Bossi-Fini, sono nettamente peggiorative, ma in quel momento ci collocammo ad uno dei piu' alti livelli di civilta' giuridica. Ancora: l'art.10 della Costituzione concede il diritto d'asilo a colui e colei "al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche garantite dalla Costituzione italiana". Pare che venga applicato ancora oggi, in qualche caso di ricorso, in situazioni non coperte dalle Convenzioni internazionali a cui abbiamo aderito e dalle poche norme che abbiamo. Non importa quanti sono i magistrati che lo hanno applicato: e' un segnale, dell'esistenza di qualcosa che va valorizzato, di qualcosa di buono in questa nostra civilta' europea (per favore, non civilta' occidentale). 5. RIFLESSIONE. LIDIA CIRILLO: LA GUERRA E LA MARGINALITA' EUROPEA [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo anche questo intervento. Lidia Cirillo e' una prestigiosa militante femminista e pacifista] Un'indicazione politica puo' essere nello stesso tempo giusta e inopportuna? Mi sembra che la proposta della Convenzione di donne contro le guerre per un'Europa neutrale, di cui cerchero' di spiegare che cosa non mi convince e mi sembra inadatto ai tempi e alle circostanze, abbia proprio questa ambivalenza. Sono d'accordo nell'elaborare per la Costituzione europea una proposta di Europa disarmata e pacifica; di chiedere che sia inserita nella Costituzione suddetta un articolo simile all'articolo 11 di quella italiana; di affermare tra gli altri diritti il diritto alla pace; di usare nell'articolazione letteraria anche l'aggettivo neutrale, se esso ha un significato giuridico non sostituibile. Sono d'accordo sull'esigenza di avere una nostra proposta sull'Europa diversa dalla riorganizzazione della Nato, dagli eserciti degli Stati nazionali, dall'esercito europeo e da tutto cio' che finora e' stato elaborato; sono d'accordo che la nostra proposta si fondi sul disarmo e sul rifiuto della guerra. * Non sono invece d'accordo su una campagna che, in un contesto di guerra permanente e di attacco all'Iraq da parte dell'amministrazione americana e dei suoi alleati, punti sull'Europa e la sua neutralita'. Le ragioni hanno a che fare con il linguaggio della politica e con la sua capacita' di parlare ai milioni di persone attraverso poche frasi semplici. Le indicazioni politiche sono indispensabili, anche se non hanno alcuna possibilita' di realizzarsi, perche' costruiscono immaginario, condensano in poche parole la spiegazione di uno stato di cose, mostrano l'esistenza di altre possibilita'. Insomma sono strumento di pedagogia politica o, per dirla con il movimento, di educazione popolare. Una campagna sulla neutralita' dell'Europa creerebbe un immaginario distorto da due punti di vista. Prima di tutto dal punto di vista della dimensione Europa, che nell'attuale conflitto si trova al margine. Non dico naturalmente che l'Europa e' marginale o che non sarebbe importante tirarla fuori dalla guerra permanente. Dico che dal punto di vista dell'immaginario che costruisce e delle risposte che evoca, un'indicazione che abbia al centro l'Europa resta al margine del problema. Basta porsi una domanda: se l'Europa fosse disarmata, neutrale, rispettosa dell'altrui diritto alla pace, forse questo fatto in se' impedirebbe ai petrolieri, ai fabbricanti, all'amministrazione degli Usa di bombardare la gente irachena? Direi proprio di no. * In questo contesto l'Europa disarmata, pacifica, neutrale ecc. (cioe' la centralita' della dimensione Europa) suona semplicemente come un tirarsi fuori, resta a cote' della questione reale, non dice che cosa sarebbe davvero necessario per evitare il macello, ne' come rispondere agli argomenti della propaganda bellicista. In questo momento e' soprattutto a questa propaganda che bisogna rispondere, perche' l'opposizione diffusa alla guerra potrebbe ridursi drasticamente quando i mezzi di comunicazione cominceranno a fare il loro lavoro, come e' successo nelle precedenti guerre della globalizzazione. Bisogna rispondere prima di tutto all'argomento delle armi di distruzione di massa nascoste in qualche parte dell'Iraq; spiegare il paradosso di un paese armato fino ai denti, che da anni rifiuta ogni prospettiva di disarmo anche parzialissimo e che si fa nello stesso tempo paladino dell'eliminazione delle armi degli altri. I temi del disarmo generalizzato, della progressiva rinuncia alle armi di distruzione di massa (a partire da quelle che mettono a rischio la sopravvivenza stessa del pianeta), dei trattati internazionali, della rinuncia al reciproco terrore, sembrano cosi' lontani che perfino il pacifismo li ha dimenticati. Eppure sono stata la speranza viva della stagione della guerra fredda, la risposta alla demenza dell'equilibrio del terrore e una risposta cosi' forte nelle coscienze che perfino i signori della guerra dovettero, a un certo punto, fingere di cedere, dare l'impressione di fare almeno qualche passo in quella direzione. Bisogna dire che solo in un contesto di disarmo generalizzato, di reciproco controlli, di leggi internazionali che valgano per tutti avrebbe senso imporre a qualcuno il rispetto della convivenza tra i popoli. In questo momento, mentre la propaganda bellicista insiste sulla ferocia e sui crimini di Saddam, bisogna rimettere all'ordine del giorno la questione dei tribunali internazionali, a cui proprio gli Stati Uniti si sono mostrati particolarmente ostili. Cio' che non e' piu' tollerabile e su cui occorre insistere con tutti gli argomenti e i mezzi di comunicazione, e' la prepotenza elevata a sistema, la legge del piu' forte offerta come norma al senso comune con una tale disinvoltura da cancellare perfino quell'omaggio alla virtu' che e' l'ipocrisia. * Ma l'inadeguatezza non e' solo nella dimensione Europa: e' anche nella parola neutrale. Neutrale significa "che non parteggia per nessuno dei contendenti" (Garzanti) e non a caso la sua forza politica si manifesta soprattutto nella prima guerra mondiale, quando pacifismo del movimento operaio e pacifismo femminista si incontrano su un'esigenza di non schierarsi, di non essere da una parte o dall'altra, di essere appunto neutrali. Nella seconda guerra mondiale la neutralita' non avrebbe avuto alcun senso, perche' non si poteva essere neutrali nemmeno tra Hitler e Satana, come ebbe modo di rispondere Churchill a chi gli chiedeva ragione dell'alleanza con Stalin. Torniamo alla guerra permanente e all'immaginario che una campagna ben fatta puo' contribuire a creare. Tra quali contendenti dovremmo essere neutrali ed esistono poi davvero due parti contendenti? Dicendo "neutrale", non daremmo avallo all'idea che davvero la guerra e' contro il terrorismo? Altra cosa - l'ho gia' detto- e' se si vuole elaborare un complesso di proposte per la Costituzione europea, per le elezioni europee, per momenti in cui l'Europa sia veramente al centro dell'attenzione politica. Di questo sarebbe utile discutere per una volta tutte insieme. Il 16 febbraio, dopo la manifestazione romana contro la guerra, vogliamo incontrarci anche con altre che della Marcia non fanno parte proprio sulla Costituzione europea e sul percorso fino a Parigi, dove la questione della Costituzione e dei diritti dovrebbe avere uno spazio assai ampio, per ovvi motivi di coincidenze di tempi e di dimensione geopolitica. La' potremmo discutere in quali modi e circostanze la proposta sull'Europa potrebbe diventare campagna. 6. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: SUL CONTRIBUTO DELLA PSICOANALISI [Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ETC) per questo intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia' insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per "L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain" di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle" insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; attualmente collabora al "Paese delle donne". Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa, scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani, Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani, Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha redatto il progetto e curato la supervisione delle operatrici: titolo: "... ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione, insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir"] La Fondazione San Carlo di Modena e' ormai una consolidata istituzione della cultura nazionale. Organizza seminari con studiosi e docenti universitari prestigiosi su una grande varieta' di tematiche. Invia, a chi lo desidera, un notiziario con le sintesi delle relazioni e recensioni dotte. Nell'ultimo notiziario pubblica una recensione dell'ultimo libro di Remo Bodei edito da Donzelli con il titolo: Il dottor Freud e i nervi dell'anima. Filosofia e societa' a un secolo dalla nascita della psicoanalisi. Poiche' continuo a constatare che nei ragionamenti e nelle riflessioni, anche della sinistra, manca la consapevolezza della dimensione nascosta dell'individuo perche' prevale l'antico impianto illuministico, offro alla lettura tratti della recensione: "Il ruolo determinante svolto dalla psicoanalisi nell'ambito della comprensione dell'uomo e della societa' novecentesca non puo' essere limitato all'ambito terapeutico e dell'analisi: la scoperta dell'inconscio individuale e collettivo ha imposto alla filosofia, avvezza a fare dell'evidenza 'solare' il criterio supremo di verita', un riesame autocritico dei propri limiti e delle possibilita' emancipatorie della ragione illuminata rispetto al dolore, al male e alla sofferenza umana. Sigmund Freud, senza rinunciare alla ricerca della verita' scientifica e alla speranza di dare un fondamento biologico alla metapsicologia, ha gettato, un secolo or sono, un ponte tra il paradigma scientifico delle scienze dello spirito e le scienze naturali, prefigurando un rinnovato modello di episteme ad un tempo ermeneutico e anti- riduzionistico. Le illuminanti conversazioni tra l'analista freudiana Cecilia Albarella e il filosofo Remo Bodei - da anni impegnato in un confronto serrato con la spinoziana filosofia delle passioni e le scienze dell'anima, dalla psichiatria alla psicoanalisi - conducono il lettore a valorizzare il contributo euristico svolto dalla psicoanalisi nella comprensione della situazione spirituale della nostra epoca, caratterizzata dall'irrompere aberrante e istintuale di forme di violenza collettiva non piu' arginate dal sacro; dalla rinascita del religioso, anche nelle forme delle sette e dei fondamentalismi, e soprattutto dall'ansia di certezze da parte di un'umanita' occidentale disorientata dalla soppressione del Padre e dal venire meno di ogni confronto conflittuale e liberatorio con l'autorita'. La crisi di credibilita' pubblica che pare oggi investire la pratica e la teoria della psicoanalisi si spiega pertanto non solo con il dogmatismo di settori importanti della comunita' psicoanalitica che rifiutano un aggiornamento profondo dell'impianto teorico freudiano, ma anche alla luce della superficialita' crescente e dall'edonismo massificato della nostra cultura, propensa a rifiutare, in nome del piacere immediato, ogni interrogativo radicale e disassicurante sul senso dell'esistenza individuale e collettiva". 7. INIZIATIVE. FILIPPO CIARDI: LETTERE CONTRO LA GUERRA [Da Filippo Ciardi (per contatti: filciar at inwind.it) riceviamo e diffondiamo ampi stralci della seguente proposta (nel n. 480 del notiziario abbiamo riportato un altro intervento di Filippo Ciardi che altre proposte ancora presentava). Ricordiamo che anche altri hanno proposto campagne di invio massivo di lettere a varie autorita' istituzionali ed ai mass-media; nei limiti in cui queste iniziative servono a qualcosa, riteniamo opportuno che chi non puo' o non vuole fare anche qualcosa di piu' impegnativo, almeno questo faccia. Filippo Ciardi, gia' obiettore di coscienza, e' un amico della nonviolenza impegnato nelle attivita' del movimento per la pace a Prato] Inoltro un'altra proposta di iniziativa contro la guerra fatta circolare sulla mailing list delgruppo di lavoro tematico sulla nonviolenza della Rete di Lilliput da Tiziano Tissino dei "Beati i costruttori di pace", che pare abbiano gia' deciso di metterla in atto come organizzazione: si tratta, in sintesi, di inviare alle prefetture i nostri "no alla guerra" e di far giungere al governo questa presa di posizione, perche' decida di non appoggiarla. Che ve ne pare? Personalmente, tra le tante possibilita', continuo a pensare che bisognerebbe almeno provare a tentare un'azione diffusa di noncollaborazione con le strutture economiche e militari che sostengono la guerra. Questo si inserirebbe in un discorso piu' ampio di informazione sui reali motivi della guerra (tra cui il petrolio) e di riflessione sul nostro stile di vita, da proporre a tutti, mentre si prepara anche una vera e propria campagna per l'alternativa alla dipendenza dal petrolio e si sostiene una campagna di campagne come "scelgo la nonviolenza" (www.retelilliput.org/scelgolanonviolenza.asp). Non credo sia onesto agire contro la guerra senza preoccuparsi di sensibilizzare almeno un poco sulle sue motivazioni reali e sulle possibili alternative strutturali e di comportamento che potrebbero essere praticate da ognuno per creare le basi della pace... * Allegato: illustrazione della proposta di invio di lettere alle Prefetture No alla guerra, dillo di persona al Governo. Una campagna semplice ed efficace per bloccare l'ingresso in guerra dell'Italia. Contribuisci anche tu, con un piccolo granello, ad inceppare la macchina bellica: parla con la Prefettura, organo periferico del governo in ogni provincia. - Obiettivo della campagna La campagna si propone di far pressione, tramite le Prefetture, sul Governo e il Parlamento affinche' l'Italia non conceda alcun tipo di supporto logistico, militare e politico agli Usa e alla Nato per la guerra contro l'Iraq e, se nel frattempo questo supporto fosse stato concesso, esso venga revocato. La campagna continuera' ad oltranza fino al raggiungimento del proprio obiettivo. - Modalita' di azione Chiediamo a tutti i cittadini di recarsi personalmente presso la loro prefettura, oppure di contattarla telefonicamente, per esprimere il proprio no alla guerra e chiedere alla prefettura di farsi portatrice di questo messaggio presso il governo. Basterebbe un numero relativamente basso di persone per creare un impatto significativo. Con il crescere del numero delle persone coinvolte, si potrebbe arrivare a mettere in difficolta' la macchina amministrativa e governativa. - Domande e risposte per convincere anche i piu' scettici I. Ci sono gia' molte iniziative contro la guerra. Perche' aggiungerne un'altra invece di rafforzare quelle esistenti? Perche' le manifestazioni, da sole, non bastano: i nostri decisori politici devono sapere che il costo di un'adesione alla guerra sara' altissimo, gia' nel breve periodo. D'altro canto, vogliamo offrire a tutti i cittadini non soltanto la possibilita' di esprimere il loro no alla guerra, ma quella di farlo pesare, concretamente e nell'immediato. II. Perche' non accontentarsi di una raccolta firme o di petizioni via Internet? L'impatto di una petizione, per quanto importante, e' limitato: migliaia di e-mail possono essere neutralizzate con un semplice filtro; pacchi di cartoline possono venire direttamente cestinati. Il lavoro di lobby per la pace e' contrastato e sovrastatato da quello delle molto piu' potenti lobbies della guerra. Anche la minaccia di non votare chi approva la guerra e' troppo lontana nel tempo ed indistinta per avere una reale efficacia. III. Perche' mai questa campagna, a differenza di tutte le altre, dovrebbe funzionare? Perche' e' semplice da attuare, da diffondere e da gestire; e' alla portata di tutti, e' coinvolgente e positiva, in grado di raccogliere il favore dell'opinione pubblica ed anche delle stesse "vittime" dirette dell'azione; essendo diffusa, e' difficile da reprimere o neutralizzare; inoltre, ha un punto di innesco molto basso: possono bastare poche persone per cominciare a creare i primi disagi al sistema. IV. Quali rischi corre chi aderisce alla campagna? Telefonare in prefettura per esprimere le proprie considerazioni non e' reato. D'altronde, se la campagna avra' ampia diffusione, e' ipotizzabile che ci sara' chi tentera' in tutti i modi di intimidire gli aderenti alla campagna. E' quindi difficile stabilire in partenza quali possano essere i rischi: molto dipendera' dall'evolvere della campagna stessa. Tuttavia, al momento attuale i rischi sembrano del tutto insignificanti. V. Come si organizza la campagna? La campagna si sviluppa e si diffonde puntando sul passa-parola e sul passa- email: un sito internet, www.peacelink.it/dillodipersona/ contiene gli indirizzi ed i numeri di telefono di tutte le prefetture d'Italia. Il sito stesso e' utilizzabile anche come "bacheca elettronica" in cui scambiarsi suggerimenti ed esperienze. Per il resto, la campagna non ha una sua struttura organizzativa centralizzata: a livello locale, ogni realta' aderente all'iniziativa decide autonomamente come organizzarsi. VI. Siamo un gruppo intenzionato a lavorare per diffondere la campagna. Cosa possiamo fare? Potete diffondere la campagna facendo circolare questo volantino; potete organizzare dei presidi in vicinanza alla vostra Prefettura, invitando i passanti ad entrare in Prefettura, ad esempio per consegnare una copia di una lettera contro la guerra; potete fare dei comunicati alla stampa locale annunciando l'avvio della campagna. E poi lasciate spazio alla fantasia e vedrete che di idee ve ne vengono in abbondanza. VII. Cosa devo dire e come mi devo comportare, quando parlo con la prefettura? Chiedete di parlare con il prefetto, ma se non c'e' o non e' disturbabile, cercate di farvi passare il capo di gabinetto o qualche altro funzionario, fino a trovare qualcuno con cui parlare. Spiegate al vostro interlocutore le ragioni per cui siete contrari alla guerra e chiedetegli di farsene portavoce presso il governo; cercate di fargli capire che non ce l'abbiamo con gli impiegati della prefettura, ne' con il loro lavoro, ma che il coinvolgimento in guerra dell'Italia e' una cosa troppo grave per non meritare una forte azione di pressione nei confronti del governo. Ricordatevidi essere sempre gentili e determinati allo stesso tempo. Ascoltate con attenzione quello che ha da dirvi il vostro interlocutore, ed anche se si dimostrasse sgarbato mantenetevi calmi e rilassati, senza farvi prendere dallo spirito della polemica. Se il vostro interlocutore chiude bruscamente la telefonata, richiamate dicendo una cosa tipo "Dev'essere caduta la linea". Cercate di stabilire un dialogo con il vostro interlocutore, chiedendogli se anche lui personalmente condivide le vostre preoccupazioni. Siate comprensivi con lui se vi esprime le sue difficolta' a far passare le vostre istanze al livello superiore, ma al tempo stesso incoraggiatelo ad insistere e preannunciategli che anche voi, da parte vostra, vi rifarete vivi con lui. Un gruppo di amici si potrebbe ritrovare insieme nei pressi di un telefono con il vivavoce. Una persona chiama, le altre ascoltano il dialogo, facendo poi a rotazione. Il fatto di essere in molti permette, tra una telefonata e l'altra, di valutare come e' andata e di affinare la propria "tecnica". 8. INIZIATIVE. ENRICO PEYRETTI: SCRIVERE OGNI GIORNO AL PREFETTO [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per questo intervento che sviluppa la proposta sopra riferita. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica (ed abbiamo recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente] Cari tutti, stiamo tutti pensando come poter premere personalmente e quotidianamente sul governo per la pace. Ogni proposta ha il suo valore e i suoi limiti. Anche questa delle telefonate in prefettura, ne ha molti, di limiti: trovare il tempo ogni giorno; possono far rispondere ad un impiegato, che potra' anche non tenere nemmeno il conto delle chiamate; non resta alcun segno materiale. Propongo: 1) stampare molte copie di una brevissima lettera sostanziosa. Qui sotto propongo un modello: le lettere devono essere molto simili, possibilmente uguali, per fare massa critica. Qui non deve contare nulla l'originalita' personale. 2) spedirne una al giorno, con la data del giorno, in busta chiusa, che deve essere protocollata; 3) la lettera chieda di essere comunicata al governo; 4) insistere quotidianamente (la spesa Ëe' di 4,10 euro ogni 10 giorni; 12,30 euro al mese: vale la spesa); 5) comunicare alle liste di pace la propria personale adesione a questa iniziativa e le modalita' usate; 6) nello stendere la lettera tenere conto delle giustissime indicazione sopra riportate per le telefonate. * Modello di lettera Signor Prefetto, sono un cittadino/a, che fa parte della netta maggioranza del popolo italiano contraria alla guerra annunciata. Le ragioni di questa posizione sono evidenti: - ogni guerra e' dolore, morte, seme di vendetta senza fine, offesa all'umanita' di tutti, violazione dell'etica universale; - questa guerra preventiva e' guerra di aggressione, totalmente ingiustificabile; - questa guerra non e' giustificabile come lotta al terrorismo, perche' lo imita e lo alimenta stoltamente; - la guerra non puo' essere ne' promossa ne' autorizzata dall'Onu, perche' questa organizzazione e' istituita anzitutto per "salvare le future generazioni dal flagello della guerra" e l'art. 2 della Carta vieta agli Stati membri l'uso della guerra; le azioni di forza previste sono azioni di polizia (tese a ridurre la violenza) e non possono avere carattere di guerra, specialmente della guerra tecnologica odierna, che accresce ed esaspera la violenza; - infine, l'Italia, in un articolo altissimo e immutabile della sua Costituzione solennemente "ripudia la guerra" e partecipa, purche' "in condizioni di parita'", e mai di sudditanza, ad un ordinamento internazionale "che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni"; dunque l'Italia mai puo' partecipare ad alleanze di guerra. Le chiedo di esprimere al Governo che Lei rappresenta questa decisa posizione: io so che e' della maggioranza degli italiani. Nome, indirizzo Luogo e data (aggiornata ogni volta) 9. LETTURE. GISELLA MODICA: FALCE, MARTELLO E CURE DI GESU' Gisella Modica, Falce, martello e cuore di Gesu', Stampa Alternativa, Roma 2000, pp. 112, euro 4,13. Sulla base di interviste che raccolse negli anni '70 l'autrice racconta la storia di donne che presero parte alle occupazioni delle terre in Sicilia tra il '44 e il '50. Un piccolo libro, ma prezioso per molti motivi, la cui lettura vivamente raccomandiamo. Con una prefazione di Chiara Zamboni e una nota di Beatrice Monroy. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 482 del 20 gennaio 2003
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