La nonviolenza e' in cammino. 482



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 482 del 20 gennaio 2003

Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini, per la chiarezza
2. Lidia Menapace, eutopia (a proposito della proposta di costruire l'Europa
come continente neutrale)
3. Antonino Drago, per dissipare alcuni equivoci sulla nonviolenza
4. Anna Picciolini, nel segno del disarmo
5. Lidia Cirillo, la guerra e la marginalita' europea
6. Ileana Montini, sul contributo della psicoanalisi
7. Filippo Ciardi, lettere contro la guerra
8. Enrico Peyretti, scrivere ogni giorno al prefetto
9. Letture: Gisella Modica, Falce, martello e cuore di Gesu'
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. PEPPE SINI: PER LA CHIAREZZA
Vorremmo che fossero chiare alcune cose.
La prima: non basta esprimere il proprio dissociarsi dalla guerra, occorre
impedire la guerra.
*
La seconda: al governo, al parlamento ed al capo dello Stato italiano va
chiesto - e se necessario imposto (lo ripeto: imposto) - il rispetto della
legge, che nella fattispecie significa il rispetto dell'articolo 11 della
Costituzione che ripudia la guerra, punto e basta.
*
La terza: al Consiglio di sicurezza dell'Onu va chiesto - e se necessario
imposto (lo ripeto: imposto) - il rispetto della Carta dell'Onu, che
anch'essa ripudia in modo assoluto la guerra.
*
La quarta: ai soggetti istituzionali citati non va chiesto di esprimere una
mera dissociazione, ma di esercitare un'azione contro la guerra; non va
chiesto di lavarsene le mani, ma di opporsi alla guerra.
Se "L'Italia ripudia la guerra" vuol dire che la legge fondamentale del
nostro ordinamento giuridico la obbliga a lottare contro la guerra.
Se l'Onu esiste per preservare i popoli del mondo dal flagello della guerra,
vuol dire che ha l'obbligo giuridico cogente e ineludibile di impedire le
guerre.
*
La quinta: nessuno si illuda di poter delegare ad altri la propria
responsabilita': nel mondo unificato dagli orrori di Auschwitz e di
Hiroshima ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. E quindi non basta
chiedere ad altri di fare qualcosa, sei tu che devi fare qualcosa. E la
prima cosa da fare hic et nunc e' impedire la guerra.
Ma per poter avere una speranza di riuscire a impedire la guerra occorrre
assumerla con rigore morale e intellettuale, con intellettuale e morale
limpidezza, la propria responsabilita': e questo implica una scelta
preliminare e necessaria: la scelta della nonviolenza come unica forma
interamente coerente e intransigentemente combattiva (combattiva, si': la
nonviolenza e' lotta) di opposizione alla guerra e alla violenza, a tutte le
guerre e tutte le violenze. Se non si sceglie la nonviolenza si resta
complici dei presupposti culturali e politici ed economici e psicologici
della guerra e della violenza; se non si sceglie la nonviolenza non si puo'
credibilmente essere costruttori e costruttrici di pace.
*
La sesta: noi cittadini italiani possiamo impedire la guerra? Si'.
Imponendo al nostro paese e quindi al suo governo cio' che il "principio
fondamentale" espresso nell'articolo 11 della legge fondamentale del nostro
Stato richiede e dunque impone: un'azione internazionale netta ed energica
contro la guerra.
E per ottener questo dobbiamo dir chiaro al governo, al parlamento ed al
capo dello Stato che se loro intendono tradire la Costituzione cui hanno
giurato fedelta', saremo noi, il popolo italiano, a difendere la legalita'
costituzionale e saremo noi, il popolo italiano, a cacciarli dal potere e a
trarli in tribunale, in quanto essi si sarebbero resi fuorilegge, golpisti,
stragisti e complici degli stragisti, poiche' la guerra sempre e solo e'
esecuzione di omicidi di massa, annientamento di esseri umani.
Dobbiamo dirlo chiaro, subito; e dobbiamo farci ascoltare, subito.
E qualora non venissimo ascoltati dobbiamo fin d'ora prepararci ad agire, e
per agire cinque cose occorre fare, al di la' delle iniziative simboliche,
al di la' dei cortesi inviti e delle squisite maniere, al di la' delle
parate e delle prosopopee, dei comizi e delle sfilate, dello spettacolo e
delle chiacchiere. E le cinque cose che occorre fare a nostro modesto avviso
sono (e mi scuso se ripeto testualmente quanto gia' apparso su questo
notiziario due giorni fa, che a sua volta ripeteva idee che e' dai tempi
della guerra del Golfo che andiamo gridando dai tetti):
a) la scelta della nonviolenza, senza di cui non si da' azione per la pace
che possa dirsi onesta e persuasa; la scelta della nonviolenza, che implica
il prender sul serio le nostre idee e il rigorizzare le nostre condotte; la
scelta della nonviolenza, che impone la necessita' della formazione e
dell'addestramento alla nonviolenza, un processo di chiarificazione e di
coscientizzazione non breve ne' facile, studio e discussione, lavoro e
fatica;
b) l'azione diretta nonviolenta, che sola puo' contrastare la guerra
concretamente, operativamente, in modo limpido e rigoroso; e che puo' esser
realizzata solo da persone alla nonviolenza accostatesi per tempo e
intimamente persuase di essa, ed all'azione nonviolenta stessa lungamente
preparatesi;
c) la disobbedienza civile di massa, che paralizzi i poteri che allo
scatenamento della guerra presiedono; e che deve essere studiata e preparata
con una lunga e profonda discussione pubblica, che coinvolga tutti i
soggetti coinvolti (ed e' incompatibile con le solite ignobili modalita'
autoritarie e spettacolari con cui vengono lanciati tanti appelli e tante
campagne che sarebbero comiche se non avessero esiti nefasti e sovente fin
tragici);
d) lo sciopero generale ad oltranza contro la guerra scatenata, fino alle
dimissioni del governo che la guerra promuove ed avalla;
e) la denuncia alla magistratura ordinaria e la richiesta di intervento
delle forze dell'ordine per arrestare quelle persone che investite di
pubblici poteri a cio' efficienti avessere deciso ed avallato l'ingresso del
nostro paese in una guerra illegale e criminale ai sensi dell'articolo 11
della legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico.

2. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: EUTOPIA (A PROPOSITO DELLA PROPOSTA DI
COSTRUIRE L'EUROPA COME CONTINENTE NEUTRALE)
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.wonenews.net) riprendiamo questo
intervento di Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it): Lidia Menapace
e' nata a Novara nel 1924, ha preso parte alla Resistenza, e' tra le voci
più significative e autorevoli della cultura e del movimento delle donne,
dei movimenti di pace, solidarieta' e liberazione, della vita civile
italiana degli ultimi decenni. Opere di Lidia Menapace: la maggior parte
degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani
e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a
cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani,
Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia
politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in
collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra
indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001]
Nel 1991, in occasione della prima guerra del Golfo, la manifestazione
indetta dal movimento femminista romano e rivolta a tutta la popolazione
civile, gia' individuata come principale vittima delle guerre, s'intitolo',
su mia proposta, "Fuori la guerra dalla storia": motto formulato
dall'elaborazione femminista sulla guerra a meta' degli anni Ottanta, cui
avevo contribuito, e che continuavo a sentire intrinsecamente legato al mio
modo di discutere di guerra come istituzione politica e giuridica
precisamente definita, come evento storico, non "calamita' naturale", non
legata a immutabili istinti.
In quell'occasione non avevo percio' solo l'intenzione di proporre uno
slogan accettato da tutte con entusiasmo, ma di avviare un processo che
facesse della guerra un qualcosa da evitare e da respingere per sempre, come
per una specie di tabu' positivo (l'espressione era di Moravia, sempre per
dare a ciascuno il suo).
Cosi' segui' "Fuori l'Italia dalla guerra": ma la Nato era gia' allora un
veicolo di guerra che violava e sorpassava la nostra Costituzione. Per cui
rimasi con l'intenzione di trovare una via d'uscita, dato che le vecchie
gloriose scritte e grida "Fuori la Nato dall'Italia, fuori l'Italia dalla
Nato" non erano piu' agibili, e venivano bypassate dall'Europa. La Nato del
resto fu poi rilegittimata motu proprio dal governo D'Alema quando era
giuridicamente giusto chiederne la definitiva cancellazione, essendo ricorso
il caso, previsto nel Trattato, della caduta del Patto di Varsavia.
Mi convinsi che la guerra rilegittimata distruggeva il diritto
internazionale e tendeva a porsi non gia' come un tabu', bensi' come nuova
forma e base del "diritto". Da allora non ho smesso di interrogarmi sulla
guerra appunto come istituzione giuridico-politica e come evento storico.
*
Nasce da quella lontana premessa il cammino che mi ha condotto a proporre
alla Convenzione e a chi si sia convinta/o che e' giusto farlo, che l'Europa
si costituisca come continente neutrale (e se ci stesse anche la Turchia
sarebbe davvero un bel colpo, e se non ci stesse sarebbe una ragione
fondativa per non ammetterla in Europa): il che, nel diritto internazionale,
significa territorio che rifiuta di usare comunque la guerra, non fa
politiche che inducano o avviino pericoli di guerre, non firma nessun
trattato militare, non accetta sul suo territorio installazioni militari o
passaggi di truppe.
La neutralita' e' questo, cio' che nel diritto internazionale viene definita
l'unica forma politica antagonista alla guerra.
So bene che nessun governante attuale accetta una ipotesi di questo tipo,
nemmeno forse gli stati gia' neutrali in Europa (Svizzera, Austria, Svezia,
Finlandia), ma penso che un movimento non debba partire da mediazioni previe
e che quindi sia giusto ed efficace che la Convenzione permanente di donne
contro le guerre (che ha fatto una scelta nonviolenta gia' da tempo, e che
condanna la guerra e il terrorismo - ogni guerra e ogni terrorismo -
parimenti come crimini contro l'umanita' e ad essi non trovi scusanti e meno
che mai giustificazioni) questa proposta la faccia.
Una volta affermato e avviato il processo di costruzione e diffusione di una
cultura politica della neutralita' attiva (disarmo, divieto di
progettazione, costruzione e vendita di armi; trasformazione dell'economia
di guerra in produzioni di pace ecc.; costruzione di una storiografia non
incentrata sulle guerre come asse storico ecc.; addestramento alla difesa
popolare nonviolenta, servizio civile e protezione civile dotati di risorse
adeguate 'ecc.) si avvia in contemporanea una campagna verso le e i
parlamentari nazionali ed europei perche' evitino che la nuova Costituzione
europea bypassi il divieto del nostro art. 11 ed inseriscano il diritto alla
pace per i cittadini e le cittadine europee e come asse della politica
estera europea verso l'intera popolazione del mondo, oppure e anche un
articolo del tenore del nostro art. 11, che ha un analogo anche gia' nella
Costituzione germanica.
*
Questo e' quanto ci sembra utile, efficace, necessario per dare inizio a una
nuova storia europea, nella quale le istituzioni politiche non si ispirino
piu' al passato cruento e bellicista del nostro continente, ma invece ai due
grandi movimenti storici che hanno cambiato positivamente la faccia del
continente e del pianeta usando solo tutte le forme dell'azione politica
nonviolenta, cioe' il movimento operaio e sindacale e il movimento delle
donne.
Questo e' il contributo da portare dall'Europa anche alle Nazioni Unite
perche' venga cancellato ogni residuo di potere esercitato in nome di una
vittoria militare, cioe' il diritto di veto e di seggio eterno nel Consiglio
di sicurezza, la fine dei tribunali speciali di origine bellica, l'inizio di
un nuovo diritto internazionale dotato di magistratura ad hoc, e di una
polizia internazionale addestrata ai metodi nonviolenti, in attuazione della
Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione universale dei diritti
umani.
Si chiama -secondo una bella proposta di vocabolario del movimento
femminista mondiale - non gia' utopia, bensi' eutopia, un bel luogo, un
altro mondo possibile.

3. EDITORIALE. ANTONINO DRAGO: PER DISSIPARE ALCUNI EQUIVOCI SULLA
NONVIOLENZA
[Ringraziamo Antonino Drago (per contatti: drago at unina.it) per averci messo
a disposizione queste sue riflessioni svolte in occasione del seminario
della Rete Lilliput sulla nonviolenza oggi in Italia. Tonino Drago, nato a
Rimini nel 1938, docente di storia della fisica all'Universita' di Napoli,
da sempre impegnato nei movimenti nonviolenti, e' uno dei piu' prestigiosi
peace-researcher italiani e uno dei piu' autorevoli amici della nonviolenza.
Tra le molte opere di Antonino Drago: Scuola e sistema di potere: Napoli,
Feltrinelli, Milano 1968; Scienza e guerra (con Giovani Salio), Edizioni
Gruppo Abele, Torino 1983; L'obiezione fiscale alle spese militari (con G.
Mattai), Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986; Le due opzioni, La Meridiana,
Molfetta; La difesa e la costruzione della pace con mezzi civili, Qualevita,
Torre dei Nolfi (Aq) 1997; Atti di vita interiore, Qualevita Torre dei Nolfi
(Aq) 1997]
In questo periodo molti si accostano alla nonviolenza senza avere alle
spalle un approfondimento personale, ma per la pressione a cercare nuove vie
per la politica collettiva, nazionale e internazionale.
In effetti il 1989 e' stato essenzialmente nonviolento; e' naturale che la
gente, anche se i politici lo oscurano e lo negano, cercano nella novita'
del 1989 una nuova direzione.
Ma secondo me, oggi l'appellarsi alla nonviolenza ha degli equivoci di fondo
anche se si superano quelli piu' evidenti... Gli equivoci ci sono sia a
livello personale che a livello collettivo.
*
A livello personale:
1) in Italia la nonviolenza e' nata con Capitini, il quale basava la
nonviolenza su una "riforma di religione", che oggi non si vede in giro; e'
quello un programma sorpassato, o hanno deviato i nonviolenti? Piu' in
generale e in maggior riferimento alla vita di oggi, il separare la
nonviolenza dalla vita interiore, e' un avanzamento verso una nonviolenza
aperta a tutti, o e' una regressione nell'attivismo cieco?
2)  sembra che per molti essere nonviolenti sia una questione di
appartenenza ad un'area di opinione; la nonviolenza e' solo questo? Oppure
sia una questione di dichiararsi soprattutto contro tutte le guerre; il che
corrisponde ad uno spirito piu' antimilitarista che nonviolento (anche
Capitini non valutava bene il solo antimilitarismo). Oppure sia una
questione di coinvolgersi in trainings, gestiti da altri in vista o di una
azione specifica o di obiettivi politici general-generici.
3) una nonviolenza che (come oggi in Italia) non prende posizione sulla
attuale grande trasformazione dell'etica (basti pensare alla sessualita' o
alla clonazione), alla gente dice qualcosa (di piu' di una prospettiva solo
culturale)?
4) il rapporto nonviolenza ed etica non e' chiaro specialmente in politica:
occorre essere machiavellici per essere efficaci in politica? Occorre essere
realisti, come i Verdi tedeschi, per portare avanti efficacemente i propri
progetti? Piu' precisamente, quando si e' eletti, occorre entrare nella
macchina politica per farsi una posizione dalla quale agire con efficacia,
oppure occorre stare al servizio del movimento dei nonviolenti, a rischio di
scomparire dalla scena politica?
*
A livello collettivo:
1) la nonviolenza politica puo' mettere da parte la democrazia, oppure la
democrazia e' la base della politica e in piu' si propone la nonviolenza? In
particolare, le assemblee servono a raccogliere consensi ad una politica
"nonviolenta" gestita da pochi... oppure servono a dare l'indirizzo ad
alcuni che offrono un servizio per realizzare le volonta' assembleari in una
direzione nonviolenta? Finora tra i nonviolenti italiani solo piccole
associazioni sono riuscite a fare nel secondo modo. Nei trainings, la
presenza del facilitatore a che ruolo corrisponde nella vita democratica?
2) si sceglie una nonviolenza politica di destra (che cerca
l'autoaffermazione personale, cura soprattutto la gestione burocratica della
organizzazione interna, cerca di egemonizzare altri gruppi e movimenti di
base considerandoli pre-politici, tende al rapporto privilegiato con le
istituzioni ed un partito), o una nonviolenza politica di sinistra (secondo
un'etica comunitaria, con obiettivi politici stabiliti assieme e realizzati
senza deleghe, basata sulla autogestione, con un movimento politico dal
basso)?
3) quale nonviolenza operativa discende dalle due scelte precedenti, specie
oggi che siamo in guerra? Chiedere ai nonviolenti non piu' che delle
espressioni di opinione, petizioni, manifestazioni culturali; oppure
cooperare con tutti coloro che danno testimonianza e sacrificio per fermare
direttamente la guerra: gli obiettori per primi (al servizio militare, alle
spese militari, alle imposizioni sul lavoro), e poi con quelli che si
interpongono concretamente nel conflitto.
4) Quale obiettivo politico strategico ha oggi la nonviolenza in Italia?
Ottenuta la legge sull'obiezione di coscienza e il servizio (legge 230/98)
torniamo a fare politica di contrattazione e di scambio, o manteniamo la
politica dei principi, ponendo nuovi principi non contrattabili per
costruire un'alternativa alla societa' e al progresso attuale? In
particolare, oggi lo Stato ci sta trattando da ingenui, gente da ignorare
come incapaci, o da accontentare con delle parole, ma non con l'applicazione
della sua legge 230/98, che da anni dovrebbe istituire, per la prima volta
del mondo, un "esercito" alternativo. Si puo' lasciare che l'Ufficio
nazionale per il servizio civile non spenda i finanziamenti pubblici per la
Difesa popolare nonviolenta?
*
Per brevita' salto quanto ci sarebbe da chiarire sulle aggregazioni
nonviolente che non sono associazioni e sulle associazioni nonviolente che
non sono aggregazioni.
Il mantenere questa situazione non conviene a nessuno; se non a chi non
vuole la nonviolenza, o a chi la vuole gestire per obiettivi politici che
non dichiara alla base.
Invito quindichi legge a superare questo momento storico, prendendo una sua
propria posizione sui punti suddetti, nella piena coscienza che oggi la
parola nonviolenza di fatto copre posizioni anche molto diverse tra loro.
Sarebbe la giusta maniera di superare una nonviolenza infantile che quasi
spera di trovarla al supermercato; e incominciare una nonviolenza da adulti,
ben consapevoli dei grossi rischi che si incontrano ad essere nonviolenti e
dell'equilibrio personale di cui bisogna dare prova per prima cosa.

4. RIFLESSIONE. ANNA PICCIOLINI: NEL SEGNO DEL DISARMO
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo anche
questo intervento su "La riflessione dell'Associazione Rosa Luxemburg della
Convenzione permanente di donne contro le guerre per la costruzione di una
politica che escluda la guerra come soluzione dei conflitti", intervento
pronunciato nel corso dell'assemblea nazionale della Convenzione, tenutasi a
Roma il 13 dicembre 2002. Anna Picciolini e' una intellettuale e militante
femminista e pacifista impegnata nell'Associazione Rosa Luxemburg]
Questa e' un'assemblea (la quinta, dopo quelle di Bologna, Genova, Lodi e
Napoli) della Convenzione, un'assemblea che si tiene poco dopo il Forum
sociale europeo (Fse) di Firenze, per proporre una campagna politica nella
prospettiva del disarmo dell'Europa.
Il mio intervento e' il frutto di una riflessione delle compagne che
costituiscono il nucleo dell'Associazione Rosa Luxemburg, quelle che, nel
corso di questi anni, ne hanno garantito l'operativita' in maniera regolare,
anche, ma non solo, per il fatto di essere a Firenze, che e' la sede
dell'Associazione. L'intervento si articola in tre punti: l'attivita'
dell'Associazione negli ultimi due anni, la partecipazione al Fse, e la
campagna politica qui proposta.
*
1. L'Associazione Rosa Luxemburg e', come tutte sapete e come anche qui e'
stato ricordato, "della Convenzione", e quindi sente l'esigenza di riferire
sull'attivita' svolta dopo l'assemblea di Lodi, visto che, per una serie di
coincidenze, a Napoli non era presente nessuna del gruppo fiorentino (anche
se c'erano ovviamente molte compagne iscritte all'Associazione).
L'evento piu' importante, annunciato a Lodi, e' stato il seminario su Rosa
Luxemburg che si e' svolto a Firenze nel dicembre 2001. Molte di voi erano
presenti. Fu una bella occasione di confronto, che riusci' a dare la misura
di quello che l'Associazione vuole e puo' essere, occasione di riflessione
sul pensiero di Rosa, ma anche di messa a fuoco di temi come il militarismo
oggi. Cosi', accanto alle relazioni su Rosa Luxemburg, quelle sull'economia
di guerra, sul mercato delle armi, sul pacifismo femminista, ecc. (tutte
pubblicate sul numero 7/8 del 2002 del "Paese delle donne").
Dopo il seminario si e' ripresentato il problema, che era gia' stato messo a
fuoco, del rapporto fra l'Associazione e la Convenzione. Provo a indicarne
un paio di picchetti: l'Associazione "appartiene" alla Convenzione, e'
"della" Convenzione; con una "missione" (uso il termine nell'odierno
significato aziendale) specifica, quella di lavorare per la costruzione di
una cultura politica che escluda la guerra come mezzo di soluzione dei
conflitti, con la consapevolezza che una tale cultura politica non c'e',
nemmeno a sinistra, non c'e' mai stata.
Con questo senso di appartenenza e questa missione riconosciuta da tutte,
non possiamo non rilevare che dopo il seminario si sono accentuati dei
problemi di comunicazione, non tutti riconducibili a problemi di e-mail, ma
che portano a interrogarsi sul metodo, sul modo di coordinare le diverse
realta' della Convenzione.
Qui mi limito a nominare il problema, aggiungendo pero' che dobbiamo trovare
il luogo per affrontarlo. Non se ne puo' parlare nelle assemblee della
Convenzione, perche' sono assemblee tematiche, aperte ad altre realta' e
quindi sembrerebbe inopportuno, ma non se ne puo' parlare soltanto alle
riunioni dell'Associazione: bisogna prevedere occasioni in cui la
Convenzione ragioni su queste cose, perche' non basta certo aver approvato
uno Statuto. Avendo chiara una cosa, di cui di nuovo possiamo trovare
riscontro nel pensiero di Rosa Luxemburg: una visione laica della politica,
da cui discende un'autonomia rigorosa del pensiero e della pratica delle
donne. Su tutto questo dobbiamo tornare.
*
2. Con questo problema di comunicazione fra Associazione e Convenzione siamo
arrivate alla decisione su come essere presenti al Forum sociale europeo
(Fse). Abbiamo scelto di proseguire nella riflessione su temi-chiave,
approfondendo alcune parole-chiave (estraneita'/infedelta', resistenza,
complicita'/responsabilita', ordine/disordine) e pubblicando sul "Paese
delle Donne" alcuni contributi individuali, nati da momenti di dibattito
associativo (l'assemblea dell'Associazione svoltasi a ottobre).
Dopo il Fse l'Associazione continua il suo percorso proponendo un seminario
per l'autunno 2003 (di cui si parlera' in maniera piu' articolata nelle
prossime occasioni di incontro) sul tema "nominare e gestire il conflitto",
il conflitto, tutte le forme di conflitto, compreso quello di genere, che
sembra spaventare (se chiamato con questo nome) molte delle giovani donne
che abbiamo incontrato al Fse, e che continuiamo a incontrare nel Forum
sociale di Firenze.
Alcune di noi, non l'Associazione in maniera formale, almeno non per ora,
abbiamo infatti deciso di stringere i rapporti, di rafforzare l'impegno nel
movimento a livello cittadino, portando come contributo quell'intreccio fra
femminismo e pacifismo che ci sembra il nostro patrimonio, da arricchire, da
mettere in gioco soprattutto nel rapporto con le donne piu' giovani, oltre
che con i maschi. Ci muoviamo privilegiando le pratiche che costruiscono
relazioni.
Una notazione particolare, che mi e' stato esplicitamente chiesto di
sottolineare: un elogio della lentezza. Perche' da un lato siamo convinte
che occorre resistere alla spirale delle scadenze, dall'altro, pur
consapevoli dell'urgenza di alcune questioni, pensiamo che far prevalere
l'urgenza puo' a volte impedire di mettere a fuoco gli obiettivi.
*
3. E arrivo cosi' all'ultimo punto: la campagna politica per il disarmo
dell'Europa, a cui siamo ovviamente interessate a contribuire con uno
specifico lavoro di riflessione, nel solco del lavoro gia' avviato come
Associazione.
A noi tutto sommato sembrava molto piu' convincente il termine "disarmo"
rispetto a "neutralita'". Non avevamo mai mandato osservazioni, di cui Lidia
Menapace rileva la mancanza, perche' era una sensazione, su cui riflettere.
Quando ci siamo viste per fare questa riflessione, era arrivata l'ultima
convocazione di questa assemblea, in cui veniva posto in primo piano proprio
il termine "disarmo". Cosi' ne abbiamo parlato poco.
E' soprattutto, ci pare, una questione di efficacia comunicativa: in un
mondo in cui non ci sono piu' i due blocchi, il termine neutralita' ci
sembra meno chiaro, meno chiaro quindi l'obiettivo.
Sui contenuti pieno accordo: dentro questa proposta non ci sta solo il
disarmo unilaterale (una volta se ne parlava per l'Italia, a sinistra). Ci
sta la riconversione dell'industria bellica: quando gli Usa entrarono in
guerra nel '17 riconvertirono l'industria meccanica civile costruendo le
canne dei fucili con le linee di produzione delle canne di bicicletta. Oggi
potremmo proporre il contrario, per lanciare insieme anche la sostituzione
dell'auto con le due ruote. Questo e' solo un esempio...
Su questo tema si potrebbe recuperare una vecchia proposta di legge su cui
le Donne in nero avviarono una raccolta di firme dopo la guerra del Golfo.
Parte integrante e sostanziale della campagna per il disarmo sono poi quelle
che Lidia Menapace ha elencato come "politiche attive di pace".
Ma proprio perche' l'accordo sui contenuti e' totale, vorrei fermarmi un
momento sugli aspetti problematici. Nel seminario del 2001, qualcuna
sottolineava come Rosa, pur con quella vita e con quella morte, fosse pero'
estranea alla logica del sacrificio, concetto a cui lei preferiva quello di
"politica efficace".
Perche' la nostra campagna sia efficace, occorre definire un paio di cose.
Prima di tutto "chi e' il soggetto": non e' il continente europeo, termine
che a noi sembra, proprio in questo momento, politicamente ambiguo. Per
intenderci sinteticamente, noi pensiamo che il problema dell'ingresso della
Turchia nella Unione Europea, non nasca dal fatto che sta al di la' dei
Dardanelli e quindi non fa parte del continente... Quindi non il
"continente", soggetto geografico, bensi' il soggetto politico Unione
Europea, cosi' come si andra' costruendo, allargando, nei prossimi anni.
E' evidente che le campagne andranno fatte anche attraverso pressioni sugli
Stati membri, e condotte dai movimenti che verranno via via coinvolti, ma
c'e' tutto un lavoro da fare rispetto alle istituzioni dell'Unione.
Questo soggetto politico Unione Europea, per essere soggetto di pace, deve
anche caratterizzarsi per la capacita' di essere inclusivo nei confronti
degli altri, dei migranti. Il problema non e' l'apertura delle frontiere,
che non sono poi cosi' chiuse, ma quello che succede dopo, a chi entra.
Secondo aspetto da definire: la Costituzione.
Chiedere che nella Costituzione europea sia inserito un principio ecc.
D'accordo, ma prima di tutto dobbiamo ricordarci che ci sono illustri
costituzionalisti che dubitano che quella che si sta elaborando possa essere
veramente una costituzione, senza che sia chiaro chi e' il soggetto che
esercita il potere costituente (dov'e' un popolo europeo?) e senza che, in
alternativa, siano indicate le procedure di legittimazione, da parte dei
popoli europei, del testo che verra' fuori dalla Commissione.
Pare inoltre che questa Commissione sia una sorta di diarchia, non nel senso
letterale di due persone - presidente e vicepresidente - che dominano sugli
altri componenti, ma nel senso che i due, Giscard d'Estaing e Amato, tengono
di fatto fuori dal processo decisionale tutti gli altri. E anche questo e'
un problema.
Vorrei finire con una nota positiva.
Ci potrebbe essere, in questa Costituzione, un contributo (che ha a che fare
con la nostra proposta) che viene specificamente dalla civilta' giuridica
italiana, al suo meglio. Il nostro Paese ha approvato nel 1992 una legge
che, riferendosi al caso specifico del conflitto nella ex Jugoslavia,
riconosceva il diritto allo status di rifugiato a obiettori e renitenti alla
leva, formula estensiva, non derivante da alcuna convenzione internazionale
sul diritto di asilo.
Oggi quella legge non e' piu' in vigore, noi non abbiamo (ancora) una
legislazione organica sul diritto di asilo, anzi, alcune modifiche
introdotte dalla Legge Bossi-Fini, sono nettamente peggiorative, ma in quel
momento ci collocammo ad uno dei piu' alti livelli di civilta' giuridica.
Ancora: l'art.10 della Costituzione concede il diritto d'asilo a colui e
colei "al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle
liberta' democratiche garantite dalla Costituzione italiana".
Pare che venga applicato ancora oggi, in qualche caso di ricorso, in
situazioni non coperte dalle Convenzioni internazionali a cui abbiamo
aderito e dalle poche norme che abbiamo. Non importa quanti sono i
magistrati che lo hanno applicato: e' un segnale, dell'esistenza di qualcosa
che va valorizzato, di qualcosa di buono in questa nostra civilta' europea
(per favore, non civilta' occidentale).

5. RIFLESSIONE. LIDIA CIRILLO: LA GUERRA E LA MARGINALITA' EUROPEA
[Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo anche
questo intervento. Lidia Cirillo e' una prestigiosa militante femminista e
pacifista]
Un'indicazione politica puo' essere nello stesso tempo giusta e inopportuna?
Mi sembra che la proposta della Convenzione di donne contro le guerre per
un'Europa neutrale, di cui cerchero' di spiegare che cosa non mi convince e
mi sembra inadatto ai tempi e alle circostanze, abbia proprio questa
ambivalenza.
Sono d'accordo nell'elaborare per la Costituzione europea una proposta di
Europa disarmata e pacifica; di chiedere che sia inserita nella Costituzione
suddetta un articolo simile all'articolo 11 di quella italiana; di affermare
tra gli altri diritti il diritto alla pace; di usare nell'articolazione
letteraria anche l'aggettivo neutrale, se esso ha un significato giuridico
non sostituibile.
Sono d'accordo sull'esigenza di avere una nostra proposta sull'Europa
diversa dalla riorganizzazione della Nato, dagli eserciti degli Stati
nazionali, dall'esercito europeo e da tutto cio' che finora e' stato
elaborato; sono d'accordo che la nostra proposta si fondi sul disarmo e sul
rifiuto della guerra.
*
Non sono invece d'accordo su una campagna che, in un contesto di guerra
permanente e di attacco all'Iraq da parte dell'amministrazione americana e
dei suoi alleati, punti sull'Europa e la sua neutralita'.
Le ragioni hanno a che fare con il linguaggio della politica e con la sua
capacita' di parlare ai milioni di persone attraverso poche frasi semplici.
Le indicazioni politiche sono indispensabili, anche se non hanno alcuna
possibilita' di realizzarsi, perche' costruiscono immaginario, condensano in
poche parole la spiegazione di uno stato di cose, mostrano l'esistenza di
altre possibilita'. Insomma sono strumento di pedagogia politica o, per
dirla con il movimento, di educazione popolare.
Una campagna sulla neutralita' dell'Europa creerebbe un immaginario distorto
da due punti di vista.
Prima di tutto dal punto di vista della dimensione Europa, che nell'attuale
conflitto si trova al margine. Non dico naturalmente che l'Europa e'
marginale o che non sarebbe importante tirarla fuori dalla guerra
permanente. Dico che dal punto di vista dell'immaginario che costruisce e
delle risposte che evoca, un'indicazione che abbia al centro l'Europa resta
al margine del problema.
Basta porsi una domanda: se l'Europa fosse disarmata, neutrale, rispettosa
dell'altrui diritto alla pace, forse questo fatto in se' impedirebbe ai
petrolieri, ai fabbricanti, all'amministrazione degli Usa di bombardare la
gente irachena? Direi proprio di no.
*
In questo contesto l'Europa disarmata, pacifica, neutrale ecc. (cioe' la
centralita' della dimensione Europa) suona semplicemente come un tirarsi
fuori, resta a cote' della questione reale, non dice che cosa sarebbe
davvero necessario per evitare il macello, ne' come rispondere agli
argomenti della propaganda bellicista.
In questo momento e' soprattutto a questa propaganda che bisogna rispondere,
perche' l'opposizione diffusa alla guerra potrebbe ridursi drasticamente
quando i mezzi di comunicazione cominceranno a fare il loro lavoro, come e'
successo nelle precedenti guerre della globalizzazione.
Bisogna rispondere prima di tutto all'argomento delle armi di distruzione di
massa nascoste in qualche parte dell'Iraq; spiegare il paradosso di un paese
armato fino ai denti, che da anni rifiuta ogni prospettiva di disarmo anche
parzialissimo e che si fa nello stesso tempo paladino dell'eliminazione
delle armi degli altri.
I temi del disarmo generalizzato, della progressiva rinuncia alle armi di
distruzione di massa (a partire da quelle che mettono a rischio la
sopravvivenza stessa del pianeta), dei trattati internazionali, della
rinuncia al reciproco terrore, sembrano cosi' lontani che perfino il
pacifismo li ha dimenticati. Eppure sono stata la speranza viva della
stagione della guerra fredda, la risposta alla demenza dell'equilibrio del
terrore e una risposta cosi' forte nelle coscienze che perfino i signori
della guerra dovettero, a un certo punto, fingere di cedere, dare
l'impressione di fare almeno qualche passo in quella direzione.
Bisogna dire che solo in un contesto di disarmo generalizzato, di reciproco
controlli, di leggi internazionali che valgano per tutti avrebbe senso
imporre a qualcuno il rispetto della convivenza tra i popoli.
In questo momento, mentre la propaganda bellicista insiste sulla ferocia e
sui crimini di Saddam, bisogna rimettere all'ordine del giorno la questione
dei tribunali internazionali, a cui proprio gli Stati Uniti si sono mostrati
particolarmente ostili.
Cio' che non e' piu' tollerabile e su cui occorre insistere con tutti gli
argomenti e i mezzi di comunicazione, e' la prepotenza elevata a sistema, la
legge del piu' forte offerta come norma al senso comune con una tale
disinvoltura da cancellare perfino quell'omaggio alla virtu' che e'
l'ipocrisia.
*
Ma l'inadeguatezza non e' solo nella dimensione Europa: e' anche nella
parola neutrale. Neutrale significa "che non parteggia per nessuno dei
contendenti" (Garzanti) e non a caso la sua forza politica si manifesta
soprattutto nella prima guerra mondiale, quando pacifismo del movimento
operaio e pacifismo femminista si incontrano su un'esigenza di non
schierarsi, di non essere da una parte o dall'altra, di essere appunto
neutrali.
Nella seconda guerra mondiale la neutralita' non avrebbe avuto alcun senso,
perche' non si poteva essere neutrali nemmeno tra Hitler e Satana, come ebbe
modo di rispondere Churchill a chi gli chiedeva ragione dell'alleanza con
Stalin.
Torniamo alla guerra permanente e all'immaginario che una campagna ben fatta
puo' contribuire a creare. Tra quali contendenti dovremmo essere neutrali ed
esistono poi davvero due parti contendenti? Dicendo "neutrale", non daremmo
avallo all'idea che davvero la guerra e' contro il terrorismo?
Altra cosa - l'ho gia' detto- e' se si vuole elaborare un complesso di
proposte per la Costituzione europea, per le elezioni europee, per momenti
in cui l'Europa sia veramente al centro dell'attenzione politica. Di questo
sarebbe utile discutere per una volta tutte insieme.
Il 16 febbraio, dopo la manifestazione romana contro la guerra, vogliamo
incontrarci anche con altre che della Marcia non fanno parte proprio sulla
Costituzione europea e sul percorso fino a Parigi, dove la questione della
Costituzione e dei diritti dovrebbe avere uno spazio assai ampio, per ovvi
motivi di coincidenze di tempi e di dimensione geopolitica. La' potremmo
discutere in quali modi e circostanze la proposta sull'Europa potrebbe
diventare campagna.

6. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: SUL CONTRIBUTO DELLA PSICOANALISI
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ETC) per questo intervento.
Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia' insegnante, e'
psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori romagnoli,
studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima scuola di
giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per "L'Avvenire
d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno politico, morale,
intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie redazioni di
periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento Femminile DC,
insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo Jervolino, a Paola
Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain" di Rimini; della
"Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus Charitas" della
"famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle" insieme a fratel
Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; attualmente collabora al
"Paese delle donne". Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia,
chiesa, scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile
(Bertani, Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini
(Bertani, Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e
liberazione nella cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite
lombardo, e' uscito un libro che racconta un'esperienza per la prevenzione
dei drop-out di cui ha redatto il progetto e  curato la supervisione delle
operatrici: titolo: "... ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di
ogni cosa". Recentemente ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta
Crocella, Attraverso il silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che
racconta l'esperienza del Laboratorio psicopedagogico delle differenze di
Brescia, luogo di formazione psicopedagogica delle insegnanti e delle donne
che operano nelle relazioni d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un
progetto di Ileana Montini e con alcune donne alla fine degli anni ottanta,
preceduto dalla fondazione, insieme ad altre donne, della "Universita' delle
donne Simone de Beauvoir"]
La Fondazione San Carlo di Modena e' ormai una consolidata istituzione della
cultura nazionale. Organizza seminari con studiosi e docenti universitari
prestigiosi su una grande varieta' di tematiche.
Invia, a chi lo desidera, un notiziario con le sintesi delle relazioni e
recensioni dotte.
Nell'ultimo notiziario pubblica una recensione dell'ultimo libro di Remo
Bodei edito da Donzelli con il titolo: Il dottor Freud e i nervi dell'anima.
Filosofia e societa' a un secolo dalla nascita della psicoanalisi.
Poiche' continuo a constatare che nei ragionamenti e nelle riflessioni,
anche della sinistra, manca la consapevolezza della dimensione nascosta
dell'individuo perche' prevale l'antico impianto illuministico, offro alla
lettura tratti della recensione:
"Il ruolo determinante svolto dalla psicoanalisi nell'ambito della
comprensione dell'uomo e della societa' novecentesca non puo' essere
limitato all'ambito terapeutico e dell'analisi: la scoperta dell'inconscio
individuale e collettivo ha imposto alla filosofia, avvezza a fare
dell'evidenza 'solare' il criterio supremo di verita', un riesame
autocritico dei propri limiti e delle possibilita' emancipatorie della
ragione illuminata rispetto al dolore, al male e alla sofferenza umana.
Sigmund Freud, senza rinunciare alla ricerca della verita' scientifica e
alla speranza di dare un fondamento biologico alla metapsicologia, ha
gettato, un secolo or sono, un ponte tra il paradigma scientifico delle
scienze dello spirito e le scienze naturali, prefigurando un rinnovato
modello di episteme ad un tempo ermeneutico e anti- riduzionistico.
Le illuminanti conversazioni tra l'analista freudiana Cecilia Albarella e il
filosofo Remo Bodei - da anni impegnato in un confronto serrato con la
spinoziana filosofia delle passioni  e le scienze dell'anima, dalla
psichiatria alla psicoanalisi - conducono il lettore a valorizzare il
contributo euristico svolto dalla psicoanalisi nella comprensione della
situazione spirituale della nostra epoca, caratterizzata dall'irrompere
aberrante e istintuale di forme di violenza collettiva non piu' arginate dal
sacro; dalla rinascita del religioso, anche nelle forme delle sette e dei
fondamentalismi, e soprattutto dall'ansia di certezze da parte di
un'umanita' occidentale disorientata dalla soppressione del Padre e dal
venire meno di ogni confronto conflittuale e liberatorio con l'autorita'.
La crisi di credibilita' pubblica che pare oggi investire la pratica e la
teoria della psicoanalisi si spiega pertanto non solo con il dogmatismo di
settori importanti della comunita' psicoanalitica che rifiutano un
aggiornamento profondo dell'impianto teorico freudiano, ma anche alla luce
della superficialita' crescente e dall'edonismo massificato della nostra
cultura, propensa a rifiutare, in nome del piacere immediato, ogni
interrogativo radicale e disassicurante sul senso dell'esistenza individuale
e collettiva".

7. INIZIATIVE. FILIPPO CIARDI: LETTERE CONTRO LA GUERRA
[Da Filippo Ciardi (per contatti: filciar at inwind.it) riceviamo e diffondiamo
ampi stralci della seguente proposta (nel n. 480 del notiziario abbiamo
riportato un altro intervento di Filippo Ciardi che altre proposte ancora
presentava). Ricordiamo che anche altri hanno proposto campagne di invio
massivo di lettere a varie autorita' istituzionali ed ai mass-media; nei
limiti in cui queste iniziative servono a qualcosa, riteniamo opportuno che
chi non puo' o non vuole fare anche qualcosa di piu' impegnativo, almeno
questo faccia. Filippo Ciardi, gia' obiettore di coscienza, e' un amico
della nonviolenza impegnato nelle attivita' del movimento per la pace a
Prato]
Inoltro un'altra proposta di iniziativa contro la guerra fatta circolare
sulla mailing list delgruppo di lavoro tematico sulla nonviolenza della Rete
di Lilliput da Tiziano Tissino dei "Beati i costruttori di pace", che pare
abbiano gia' deciso di metterla in atto come organizzazione: si tratta, in
sintesi, di inviare alle prefetture i nostri "no alla guerra" e di far
giungere al governo questa presa di posizione, perche' decida di non
appoggiarla.
Che ve ne pare? Personalmente, tra le tante possibilita', continuo a pensare
che bisognerebbe almeno provare a tentare un'azione diffusa di
noncollaborazione con le strutture economiche e militari che sostengono la
guerra. Questo si inserirebbe in un discorso piu' ampio di informazione sui
reali motivi della guerra (tra cui il petrolio) e di riflessione sul nostro
stile di vita, da proporre a tutti, mentre si prepara anche una vera e
propria campagna per l'alternativa alla dipendenza dal petrolio e si
sostiene una campagna di campagne come "scelgo la nonviolenza"
(www.retelilliput.org/scelgolanonviolenza.asp).
Non credo sia onesto agire contro la guerra senza preoccuparsi di
sensibilizzare almeno un poco sulle sue motivazioni reali e sulle possibili
alternative strutturali e di comportamento che potrebbero essere praticate
da ognuno per creare le basi della pace...
*
Allegato: illustrazione della proposta di invio di lettere alle Prefetture
No alla guerra, dillo di persona al Governo.
Una campagna semplice ed efficace per bloccare l'ingresso in guerra
dell'Italia.
Contribuisci anche tu, con un piccolo granello, ad inceppare la  macchina
bellica: parla con la Prefettura, organo periferico del governo in ogni
provincia.
- Obiettivo della campagna
La campagna si propone di far pressione, tramite le Prefetture, sul Governo
e il Parlamento affinche' l'Italia non conceda alcun tipo di supporto
logistico, militare e politico agli Usa e alla Nato per la guerra contro
l'Iraq e, se nel frattempo questo supporto fosse stato concesso, esso venga
revocato. La campagna continuera' ad oltranza fino al raggiungimento del
proprio obiettivo.
- Modalita' di azione
Chiediamo a tutti i cittadini di recarsi personalmente presso la loro
prefettura, oppure di contattarla telefonicamente, per esprimere il proprio
no alla guerra e chiedere alla prefettura di farsi portatrice di questo
messaggio presso il governo. Basterebbe un numero relativamente basso di
persone per creare un impatto significativo. Con il crescere del numero
delle persone coinvolte, si potrebbe arrivare a mettere in difficolta' la
macchina amministrativa e governativa.
- Domande e risposte per convincere anche i piu' scettici
I. Ci sono gia' molte iniziative contro la guerra. Perche' aggiungerne
un'altra invece di rafforzare quelle esistenti?
Perche' le manifestazioni, da sole, non bastano: i nostri decisori politici
devono sapere che il costo di un'adesione alla guerra sara' altissimo, gia'
nel breve periodo. D'altro canto, vogliamo offrire a tutti i cittadini non
soltanto  la possibilita' di esprimere il loro no alla guerra, ma quella di
farlo pesare, concretamente e nell'immediato.
II. Perche' non accontentarsi di una raccolta firme o di petizioni via
Internet?
L'impatto di una petizione, per quanto importante, e' limitato: migliaia di
e-mail possono essere neutralizzate con un semplice filtro; pacchi di
cartoline possono venire direttamente cestinati. Il lavoro di lobby per la
pace e' contrastato e sovrastatato da quello delle molto piu' potenti
lobbies della guerra. Anche la minaccia di non votare chi approva la guerra
e' troppo  lontana nel tempo ed indistinta per avere una reale efficacia.
III. Perche' mai questa campagna, a differenza di tutte le altre, dovrebbe
funzionare?
Perche' e' semplice da attuare, da diffondere e da gestire; e' alla portata
di tutti, e' coinvolgente e positiva, in grado di raccogliere il favore
dell'opinione pubblica ed anche delle stesse "vittime" dirette dell'azione;
essendo diffusa, e' difficile da reprimere o neutralizzare; inoltre, ha un
punto di innesco molto basso: possono bastare poche persone per cominciare a
creare i primi disagi al sistema.
IV. Quali rischi corre chi aderisce alla campagna?
Telefonare in prefettura per esprimere le proprie considerazioni non e'
reato. D'altronde, se la campagna avra' ampia diffusione, e' ipotizzabile
che ci sara' chi tentera' in tutti i modi di intimidire gli aderenti alla
campagna. E' quindi  difficile stabilire in partenza quali possano essere i
rischi: molto dipendera' dall'evolvere della campagna stessa. Tuttavia, al
momento attuale i rischi  sembrano del tutto insignificanti.
V. Come si organizza la campagna?
La campagna si sviluppa e si diffonde puntando sul passa-parola e sul passa-
email: un sito internet, www.peacelink.it/dillodipersona/ contiene gli
indirizzi ed i numeri di telefono di tutte le prefetture d'Italia. Il sito
stesso e' utilizzabile anche come "bacheca elettronica" in cui scambiarsi
suggerimenti ed esperienze. Per il resto, la campagna non ha una sua
struttura organizzativa centralizzata: a livello locale, ogni realta'
aderente all'iniziativa decide autonomamente come organizzarsi.
VI. Siamo un gruppo intenzionato a lavorare per diffondere la campagna. Cosa
possiamo fare?
Potete diffondere la campagna facendo circolare questo volantino; potete
organizzare dei presidi in vicinanza alla vostra Prefettura, invitando i
passanti ad entrare in Prefettura, ad esempio per consegnare una copia di
una lettera contro la guerra; potete fare dei comunicati alla stampa locale
annunciando l'avvio della campagna. E poi lasciate spazio alla fantasia e
vedrete che di idee ve ne vengono in abbondanza.
VII. Cosa devo dire e come mi devo comportare, quando parlo con la
prefettura?
Chiedete di parlare con il prefetto, ma se non c'e' o non e' disturbabile,
cercate di farvi passare il capo di gabinetto o qualche altro funzionario,
fino a trovare qualcuno con cui parlare.
Spiegate al vostro interlocutore le ragioni per cui siete contrari alla
guerra e chiedetegli di farsene portavoce presso il governo; cercate di
fargli capire che non ce l'abbiamo con gli impiegati della prefettura, ne'
con il loro lavoro, ma che il coinvolgimento in guerra dell'Italia e' una
cosa troppo grave per non meritare una forte azione di pressione nei
confronti del governo.
Ricordatevidi essere sempre gentili e determinati allo stesso tempo.
Ascoltate con attenzione quello che ha da dirvi il vostro interlocutore, ed
anche se si dimostrasse sgarbato mantenetevi calmi e rilassati, senza farvi
prendere dallo spirito della polemica. Se il vostro interlocutore  chiude
bruscamente la telefonata, richiamate dicendo una cosa tipo "Dev'essere
caduta la linea".
Cercate di stabilire un dialogo con il vostro interlocutore, chiedendogli se
anche lui personalmente condivide le vostre preoccupazioni. Siate
comprensivi con lui se vi esprime le sue difficolta' a far passare le vostre
istanze al livello superiore, ma al tempo stesso incoraggiatelo ad
insistere e preannunciategli che anche voi, da parte vostra, vi rifarete
vivi con lui.
Un  gruppo di amici si potrebbe ritrovare insieme nei pressi di un  telefono
con il vivavoce. Una persona chiama, le altre ascoltano il  dialogo, facendo
poi a rotazione. Il fatto di essere in molti permette, tra  una telefonata e
l'altra, di valutare come e' andata e di affinare la propria "tecnica".

8. INIZIATIVE. ENRICO PEYRETTI: SCRIVERE OGNI GIORNO AL PREFETTO
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per
questo intervento che sviluppa la proposta sopra riferita. Enrico Peyretti
e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri
piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le
sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989;
Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace,
Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999.
E' diffusa attraverso la rete telematica (ed abbiamo recentemente
ripresentato in questo notiziario) la sua fondamentale ricerca bibliografica
Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate  e
nonviolente]
Cari tutti,
stiamo tutti pensando come poter premere personalmente e quotidianamente sul
governo per la pace. Ogni proposta ha il suo valore e i suoi limiti.
Anche questa delle telefonate in prefettura, ne ha molti, di limiti: trovare
il tempo ogni giorno; possono far rispondere ad un impiegato, che potra'
anche non tenere nemmeno il conto delle chiamate; non resta alcun segno
materiale.
Propongo:
1) stampare molte copie di una brevissima lettera sostanziosa. Qui sotto
propongo un modello: le lettere devono essere molto simili, possibilmente
uguali, per fare massa critica. Qui non deve contare nulla l'originalita'
personale.
2) spedirne una al giorno, con la data del giorno, in busta chiusa, che deve
essere protocollata;
3) la lettera chieda di essere comunicata al governo;
4) insistere quotidianamente (la spesa Ëe' di 4,10 euro ogni 10 giorni;
12,30 euro al mese: vale la spesa);
5) comunicare alle liste di pace la propria personale adesione a questa
iniziativa e le modalita' usate;
6) nello stendere la lettera tenere conto delle giustissime indicazione
sopra riportate per le telefonate.
*
Modello di lettera
Signor Prefetto,
sono un cittadino/a, che fa parte della netta maggioranza del popolo
italiano contraria alla guerra annunciata.
Le ragioni di questa posizione sono evidenti:
- ogni guerra e' dolore, morte, seme di vendetta senza fine, offesa
all'umanita' di tutti, violazione dell'etica universale;
- questa guerra preventiva e' guerra di aggressione, totalmente
ingiustificabile;
- questa guerra non e' giustificabile come lotta al terrorismo, perche' lo
imita e lo alimenta stoltamente;
- la guerra non puo' essere ne' promossa ne' autorizzata dall'Onu, perche'
questa organizzazione e' istituita anzitutto per "salvare le future
generazioni dal flagello della guerra" e l'art. 2 della Carta vieta agli
Stati membri l'uso della guerra; le azioni di forza previste sono azioni di
polizia (tese a ridurre la violenza) e non possono avere carattere di
guerra, specialmente della guerra tecnologica odierna, che accresce ed
esaspera la violenza;
- infine, l'Italia, in un articolo altissimo e immutabile della sua
Costituzione solennemente "ripudia la guerra" e partecipa, purche' "in
condizioni di parita'", e mai di sudditanza, ad un ordinamento
internazionale "che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni"; dunque
l'Italia mai puo' partecipare ad alleanze di guerra.
Le chiedo di esprimere al Governo che Lei rappresenta questa decisa
posizione: io so che e' della maggioranza degli italiani.
Nome, indirizzo
Luogo e data (aggiornata ogni volta)

9. LETTURE. GISELLA MODICA: FALCE, MARTELLO E CURE DI GESU'
Gisella Modica, Falce, martello e cuore di Gesu', Stampa Alternativa, Roma
2000, pp. 112, euro 4,13. Sulla base di interviste che raccolse negli anni
'70 l'autrice racconta la storia di donne che presero parte alle occupazioni
delle terre in Sicilia tra il '44 e il '50. Un piccolo libro, ma prezioso
per molti motivi, la cui lettura vivamente raccomandiamo. Con una prefazione
di Chiara Zamboni e una nota di Beatrice Monroy.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 482 del 20 gennaio 2003