La nonviolenza e' in cammino. 470



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 470 dell'8 gennaio 2003

Sommario di questo numero:
1. Un appello della Fondazione Basso contro la guerra
2. Pietro Ingrao, dunque esiste quell'articolo 11
3. Stephanie Hiller, "cerchi di donne" per costruire la pace
4. Annabella Morelli, da Israele parole di pace
5. Marinella Correggia: la lotta nonviolenta di Abdul Ghaffar Khan, il
Gandhi musulmano
6. Noam Chomsky e Alex Zanotelli solidali con Peacelink
7. Enrico Peyretti, una lettera di Ernesto Balducci a proposito di Erasmo
8. In uscita il nuovo libro di Adriana Valerio, "La Bibbia
nell'interpretazione delle donne"
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. APPELLI. UN APPELLO DELLA FONDAZIONE BASSO CONTRO LA GUERRA
[Dalla Fondazione Basso riceviamo e diffondiamo, invitando ad aderire. La
Fondazione Internazionale Lelio Basso e' una delle piu' prestigiose
organizzazioni non governative impegnate per la pace, il diritto e la
liberazione dei popoli. La Fondazione Basso e' intitolata al suo creatore,
l'indimenticabile Lelio Basso: nato a Varazze nel 1903, fin da giovanissimo
si impegno' nel movimento socialista e collaboro' a vari fogli democratici,
tra cui  la "Rivoluzione liberale" di Gobetti. Avvocato, antifascista,
perseguitato, il 25 aprile 1945 partecipo' all'insurrezione di Milano.
Costituente, parlamentare, dirigente della sinistra italiana, fondatore e
direttore di varie riviste (tra cui "Problemi del socialismo"), studioso del
marxismo e particolarmente di Rosa Luxemburg. Fondatore della Lega per i
diritti e la liberazione dei popoli, promotore della Dichiarazione
universale dei diritti dei popoli (Algeri 1976). E' scomparso nel 1978.
Opere di Lelio Basso: della sua vastissima produzione si veda almeno l'opera
postuma Socialismo e rivoluzione, Feltrinelli, Milano 1980; e l'ampia
introduzione (pp. 13-129) a Rosa Luxemburg, Scritti politici, Editori
Riuniti, Roma 1967, 1976. Opere su Lelio Basso: per un avvio cfr. Enzo
Collotti, Oskar Negt, Franco Zannino, Lelio Basso, teorico marxista e
militante politico, Angeli, Milano 1979 (con scritti di Basso e una
bibliografia curata da Fiorella Ajmone)]
La Fondazione Internazionale Lelio Basso, di fronte alla minaccia di una
guerra preventiva contro l'Iraq, che metterebbe in pericolo il futuro del
diritto internazionale e della convivenza civile dei popoli, ha deciso di
lanciare l'appello approvato dal Tribunale Permanente dei Popoli a
conclusione della sessione "Il diritto internazionale e le nuove guerre",
svoltasi a Roma nei giorni 14-16 dicembre.
Le adesioni allíappello vanno inviate, possibilmente entro il 15 gennaio,
alla Fondazione Internazionale Lelio Basso (indirizzo di posta elettronica:
filb at iol.it, tel. 0668801468; fax: 066877774; oppure andrea.mulas at poste.it,
tel. 3391350351).
Il testo della sentenza si trova nel sito www.grisnet.it/filb
Gianni Tognoni e Linda Bimbi
*
Contro la guerra
La minaccia di una guerra preventiva contro l'Iraq e' una mi­naccia al
futuro della convivenza civile sul nostro pianeta fondata sul diritto
internazionale.
Piu' ancora delle altre guerre del pas­sato decennio, una simile guerra
rappresente­rebbe una violazione vistosa della Carta dell'Onu.
Non ricorre infatti "un attacco armato con­tro un membro delle Nazioni
Unite": che e' il solo caso in cui e' consentito dalla Carta l'esercizio del
"diritto naturale di autotutela individuale o collettiva", in deroga al
divieto della minaccia e dell'uso della forza nelle relazioni
internazio­nali.
Come hanno piu' volte affermato il Con­siglio di sicu­rezza e la Corte
internazionale di giustizia, la "guerra preventi­va", e perfino singole
azioni militari intraprese contro l'astratto pe­ricolo di un'ag­gressione,
sono radicalmente contrarie al­l'ordina­mento delle Nazioni Unite.
La stessa espres­sione "guerra preventiva", del resto, e' una formula
contradditto­ria, idonea a legittimare la guerra di aggressione attraverso
la trasformazione dell'aggredito in ag­gressore.
Ma il pericolo di un crollo del diritto internazionale deriva soprattutto
dall'aper­ta e insistente rivendicazione, che accompagna la minaccia di
questa guerra, della legittimita' della guerra medesima come strumento di
soluzione dei problemi e delle contro­versie internazionali.
Questa riabilitazione della guerra equivarrebbe a una dissoluzione dell'Onu,
la cui ragion d'essere risiede precisamente nella messa al bando della
guerra e nel mantenimento della pace, attraverso un complesso sistema di
misure che include un uso regolato e controllato della forza sot­to la
co­stante direzione del Consiglio di Sicurezza.
La guerra, in quanto uso sregolato, illimitato e incon­trollato del­la
forza, e' d'altro canto la negazione del diritto, consistendo il diritto
nella regolazione e nella limitazione della forza.
E lo sono tanto piu' le odierne guerre aeree scatenate dalle potenze
occidentali, il cui tratto ca­ratte­ristico e' di svolgersi senza perdite di
vite umane dalla par­te degli aggres­sori e di produrre la quasi tota­lita'
delle vit­time tra le popolazioni civili, innocenti del­le colpe addebi­tate
ai loro governanti.
Espressioni come "guerra giusta" o "guerra legittima" a proposito di queste
guerre hanno percio' un signifi­cato ana­logo a quello di espressioni del
tipo "giusto massacro", "giusta o legittima strage di innocenti", "giusta
carneficina", "tortura legittima" e simili.
*
Non meno incongruo e irrazionale e' il ricorso alla guerra come mezzo per
battere il terrorismo globale.
Il terrorismo e' una forma di vio­lenza politica che si caratterizza per la
sua impre­vedibilita' e per il carattere indiscriminato delle sue vittime,
immancabilmente innocenti.
La risposta ad esso con la guerra, che e' parimenti violenza indiscriminata,
equivale a una sua omologazione ai metodi delle organizzazioni
terroristiche, e percio' a un abbassa­mento de­gli Stati che la promuo­vono
al loro livello.
Ne risulterebbe una guerra altrettanto globale, senza limiti di tempo e di
spazio, che anziche' sconfiggere il terrorismo finirebbe per alimentarlo in
una spirale senza fine.
Al contrario il terrorismo puo' essere battuto soltanto con la risposta,
rispetto ad esso asimmetrica, del diritto e della politica, cioe' della
scoperta e della cattu­ra dei responsabi­li, nonche' della capacita' dei
governi di farsi carico delle sue cause politiche, economiche e culturali.
*
La rilegittimazione della guerra come strumento di governo del mondo,
preannunciata dal documento strategico americano del 17 settembre,
produrrebbe inoltre una regressione neo-assolutistica e imperiale
dell'ordine mondiale che finirebbe per compromettere le forme stesse dello
stato di diritto e della democrazia.
La restaurazione di un po­tere di guerra insindacabile e imprevedibile in
capo alla super­potenza americana, e percio' al suo presidente,
contraddirebbe infatti il paradigma dello stato di diritto, che non ammette
po­teri assoluti e richie­de la soggezione alla legge di qualunque potere.
E varrebbe a logorare profondamente le nostre democrazie, sotto due
aspet­ti: all'interno dei paesi occidentali, a causa delle leggi
liberticide, della disinformazione, della propaganda e dell'intimidazione
del dissenso che sempre si accompagnano all'emergenza bellica; a livello
mondiale perche' di fatto l'intera popolazione della terra risulterebbe
virtualmente soggetta a un nuovo sovrano, rappresentativo nel migliore dei
casi del solo popolo del suo  paese.
Si avrebbe cosi' il paradosso che una guerra, promossa secondo il documento
strategico statunitense per difendere "liberta', democrazia e libero
mercato", avrebbe raggiunto l'effetto di affossarli.
E questa contraddizione sarebbe drammaticamente aggravata dalla crescita
dell'odio e dello spirito di rivolta nei confronti dell'Occidente e dalla
totale perdita di credibilita', presso i popoli poveri della terra, del suo
intero sistema di valori.
*
L'imprudenza politica ha di solito conseguenze catastrofiche non soltanto
per chi la subisce ma anche per i politici imprevidenti.
Se poi l'imprudenza e' un'imprudenza armata, la catastrofe acquista i
caratteri della tragedia collettiva.
Quando infine l'appello moralistico ai valori umanitari e' utilizzato per
occultare gli effetti perversi di una guerra, l'imprudenza politica ha la
tendenza ad acquistare, come scrisse Hume, i caratteri della veemenza e a
contribuire alla rapida distruzione dei medesimi valori che si invocano a
sostegno dell'intervento armato.
Eí probabile che in futuro l'uso sempre piu' frequente di un pensiero di
tipo bellicista indebolisca i freni della prudenza e favorisca il
trattamento veemente, cioe' irriflessivo, dei problemi politico-giuridici.
Questo contribuira' anche a formulare false giustificazioni a sostegno del
raggiungimento egoista e violento di interessi nazionali, a imporre la
pratica di una diplomazia coercitiva informata alla legge del piu' forte, a
rafforzare gli odii e i pregiudizi ideologici e, last but not least, a
ridurre la fiducia nella possibilita' che le relazioni internazionali siano
basate su principi e regole morali di carattere universale.
Quando la guerra si rende accettabile attraverso lo schermo retorico
dell'umanitarismo armato dei "moralisti politici", come li chiamo' Kant,
allora l'uscita dal labirinto della violenza diventa impossibile.
*
Noi non ci illudiamo, con questa dichiarazione, di convincere i potenti
della terra dai quali dipendono i destini del mondo.
Cio' che intendiamo  affermare e' che la guerra attualmente annun­ciata
sarebbe giuri­dicamente illecita, moralmente ingiustificabi­le e
politicamente inefficace.
Il suo terribile effetto, oltre alle vittime e alle devastazioni che seguono
ad ogni guerra, sa­rebbe la distruzione dell'attuale ordine interna­zionale
nel ten­tativo, a nostro parere irrealistico, di sosti­tuirlo con un nuovo
ordine basato sulla forza e sull'arbitrio.
Contribuire a privare questo nuo­vo ordine del consenso necessario alla sua
legittimazione e' il principale scopo di questo appello.

2. RIFLESSIONE. PIETRO INGRAO: DUNQUE ESISTE QUELL'ARTICOLO 11
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 gennaio 2003. Pietro Ingrao e' nato nel
1915 a Lenola (Lt), laureato in giurisprudenza e lettere, partecipa alla
lotta clandestina antifascista e alla Resistenza. Giornalista, direttore de
"L'Unita'" dal 1947 al 1957, dal 1948 deputato del Pci al Parlamento per
varie legislature e tra il 1976 e il 1979 presidente della Camera dei
Deputati. Sono di grande rilievo le sue riflessioni sui movimenti, le
istituzioni, la storia contemporanea e le tendenze globali attuali. Opere di
Pietro Ingrao: Masse e potere, Editori Riuniti, Roma 1977; Tradizione e
progetto, De Donato, Bari 1982; Le cose impossibili, Editori Riuniti, Roma
1990; Interventi sul campo, Cuen, Napoli 1990; Appuntamenti di fine secolo,
Manifestolibri, Roma 1995 (con Rossana Rossanda ed altri)]
Sulla "Stampa", nel consueto editoriale domenicale, Barbara Spinelli torna
sulla situazione internazionale e sulle tempeste che oggi la scuotono e
tengono il mondo con il fiato sospeso: dall'orrenda tragedia cecena al
conflitto che insanguina la Palestina dove i massacri sembrano non finire
mai. E si potrebbero anche aggiungere le rovine crudeli e insanate
dell'Afghanistan.
Scrive la Spinelli: "La guerra non s'accampa dunque dinanzi a noi come una
prospettiva futura: e' il nostro presente, e lo spazio che abitiamo". Non si
potrebbero dire sull'oggi parole piu' esatte e piu' amare: la guerra come il
presente, come "lo spazio che abitiamo".
La Spinelli commenta con favore le posizioni espresse dal Presidente della
Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, nel discorso di fine d'anno alla nazione e
nel suo consenso alle parole del papa, e sottolinea il richiamo del
Presidente all'articolo 11 della Costituzione; un richiamo che la Spinelli
legge come un rilancio del ruolo dell'Onu e della Nato, e anche dell'Osce.
Ciampi del resto - sostiene la Spinelli - riprende una grande linea, che fu
propria, energicamente, di un suo predecessore, Luigi Einaudi, il quale
volle "con tanta fermezza" quell'articolo 11: da allora avendo in mente "una
autorita' superiore alle nazioni cui i singoli Stati decidono liberamente di
vincolarsi".
*
E qui viene la mia chiosa. Dunque esiste: quell'articolo 11 della
Costituzione non e' cassato.
Esiste.
Anzi ci viene detto - rimandando addirittura alla volonta' e alla garanzia
del Presidente della Repubblica dell'epoca - che quell'articolo, quel
dettato non e' un residuo patetico delle tragedie vissute nel secolo, anzi
e' il tema cruciale, la prefigurazione del futuro dell'Europa a cui si mira
e - in certo modo - del domani che si auspica per il mondo.
E sia. Siamo - si direbbe - addirittura ad una lettura apologetica di quella
norma costituzionale che sembrava defunta.
Ma se quella norma e' viva ed attiva ed ha carattere cosi' centrale,
bisognera' pur leggerla nella sua interezza, e darci ragione di cio' che
significa quel suo incipit cosi' imperioso: "L'Italia ripudia la guerra...".
Che affermano quelle parole? Coloro che le scrissero che volevano dire? Ci
ponevano un vincolo e quale? E come vale, e vive oggi quel vincolo? Non ci
si puo' sottrarre a queste domande.
Intendiamoci bene, e cerchiamo di capirci. Io vedo chiaramente - come
dire? - l'enormita' di quel verbo: "ripudia", e persino la sua assurdita'
nel mondo che ci circonda, in cui non solo e' avanzata velocemente la
normalizzazione della guerra, ma oggi addirittura se ne cerca e prospetta
una nuova forma, una nuova ragione: quella "guerra preventiva" che il
Presidente americano annuncia e promette al mondo come una necessita' e un
bene.
Sostengo: non e' proprio il precipitare di questa nuova cogenza nel mondo a
chiamarci, forse a obbligarci a una verifica su quell'articolo, su quel nodo
della Costituzione italiana?
Ed e' possibile che su questioni di questa portata il Parlamento italiano
taccia? Che attende, quando per sovrappiu' e' oggi in campo, con urgenza e a
un passo da noi, l'ipotesi di una seconda guerra all'Iraq, prima prova della
nuova "guerra preventiva"?
*
Infine una considerazione sul pacifismo. Io so che e' parola - a suo modo -
bizzarra, persino assurda in questo pianeta irto ormai di selve di macchine
militari.
E pero', nei suoi modi, pacifismo mi sembra un'idea, una tendenza piu'
stringente di ieri proprio per la terribile cogenza che hanno assunto i
sistemi di arma disseminati sul globo nel millennio in cui ci inoltriamo.
Non vi sembra strana, e abbastanza improvvida la normalita' assunta dalla
guerra nella vita di questo pianeta? Non vi spaventa? Non reca con se' un
rischio ancora incalcolato? Non dobbiamo frugare, esplorare se non ci siano
un qualche sbaglio di fondo e correzioni costitutive da tentare?
Forse la parola "pacifismo" prima ancora che un fare e' questa presa di
coscienza del limite raggiunto, o - se volete - un'aspra, dolente
confessione sullo stato delle cose.

3. ESPERIENZE. STEPHANIE HILLER: "CERCHI DI DONNE" PER COSTRUIRE LA PACE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: dirienzo at tvol.it) per averci
inviato la traduzione di questo articolo di Stephanie Hiller, direttrice
della rivista "Awakened Woman". Ci e' parso opportuno rispettare la scelta
del termine "cerchio" anziche' "circolo" nella traduzione: implica forse una
qualche durezza linguistica, ma promuove l'attenzione di chi legge sulla
pregnanza e peculiarita' della modalita' dell'incontro e dell'agire che qui
viene proposta]
A meta' gennaio dello scorso anno, un gruppo di donne si e' riunito in
cerchio per parlare di pace.
Sono state ospiti a Washington di Patricia Smith Melton, una donna che dopo
l'11 settembre ha cercato la risposta a questa domanda: Cos'e' la pace, e
come le donne possono essere sostenute per crearla?
In pochi giorni, sette donne che non avevano mai sentito parlare di lei
hanno risposto "si'" al suo invito ed il loro fine settimana di dialogo,
registrato, ha prodotto 600 pagine di trascrizioni.
Queste sette donne hanno una considerevole esperienza nel lavoro di
costruzione della pace e venivano da cinque differenti parti del mondo: la
dottoressa Azizah Y al-Hibri, musulmana statunitense insegnante di diritto;
Isabel Allende, scrittrice latinoamericana; la dottoressa Hanan Ashrawi,
portavoce del popolo palestinese; Fatima Gailani, afgana, musulmana sunnita,
membro del parlamento afgano (Loya Jirga); Barbara Marx Hubbard, scrittrice
e direttrice di una fondazione per la pace; Alma Jadallah, musulmana
palestinese-americana, facilitatrice nella risoluzione dei conflitti; Susan
Collins Marks, sudafricana, facilitatrice per l'Accordo di pace in
Sudafrica.
Dalle loro conversazioni, le donne hanno concluso che le qualita' che
caratterizzano la pace sono le stesse che caratterizzano le condizioni
necessarie per raggiungerla: riconoscimento della comune umanita';
comunicazione aperta ed ascolto ricettivo; il nutrire, l'interezza e la
guarigione; la giustizia riparatrice che si basa sulla mediazione e sullo
sviluppo di responsabilita' anziche' sulla punizione, che causa altra
sofferenza e umiliazione; democrazia diretta; creativita'; eguaglianza di
diritti.
*
Cio' che e' emerso da questo cerchio di donne e' la fondazione di "Peace x
Peace", un'organizzazione che ha prodotto un documentario sui "cerchi di
donne" che lavorano per la pace in ogni parte del mondo. Il filmato si
chiama "Peace x Peace: costruendo Adalah".
"Adalah", spiega Patricia Smith Melton, "e' una parola araba per cui non
c'e' una traduzione equivalente. Essenzialmente significa "pace
sostanziale", una cosa ben diversa dalla mera fine di un conflitto
violento".
Il documentario ha riportato il lavoro dei cerchi di donne in Afghanistan,
Burundi, Bosnia, Argentina e Usa. "Il filmato, dice ancora Patricia, intende
spiegare ad un vasto numero di persone come il gruppo di cui fanno parte
(sia esso un club di lettrici, un gruppo di preghiera, o quant'altro) possa
formare una direzione verso la pace ed essere direttamente in contatto con
altri gruppi di donne che fanno lo stesso in tutto il mondo, per sostenersi
le une con le altre".
Il cerchio originario di "Peace x Peace" ha mostrato come la struttura
circolare leghi le persone fra loro e permetta di trarre da loro le migliori
idee. Un cerchio e' qualcosa di piu' della somma delle sue componenti. Esso
sostiene le qualita' necessarie a raggiungere e mantenere la pace:
inclusivita', compassione, il chiedere e l'ascoltare, il nutrire ed il
proteggere, il guarire e la giustizia riparatrice.
L'approccio "maschile" alla risoluzione dei conflitti prevede invece il
pensiero lineare, la struttura, la competizione e la gerarchia. Un approccio
che non funziona: sono state uccise piu' persone durante le guerre del
ventesimo secolo che in qualsiasi altro periodo storico.
L'enfasi, nel cerchio, e' verso la costruzione della pace: "Ne siamo
esperte, e dobbiamo informare il processo di cambiamento".
*
Ho incontrato Patricia Smith Melton nel marzo successivo all'incontro, e in
quell'occasione mi ha spiegato i suoi progetti. In quel momento, io ero
preoccupatissima che Bush si stesse muovendo verso una guerra nucleare e
sentivo che dovevamo fare qualcosa al riguardo: mentre mangiavamo insieme,
ho investito Patricia del mio senso d'urgenza.
Lei mi ascolto', convenne che la situazione richiedeva un intervento
urgente, ma il suo approccio era diverso. Era orientata al costruire la
pace, piuttosto che all'opporsi alla guerra: rimasi impressionata dal modo
in cui parlo' e dalle argomentazioni che esponeva, un misto di fortissimi
convincimenti e di grande gentilezza. Era infatti pronta a partire per
l'Afghanistan, per filmare i locali cerchi di donne.
Al suo ritorno, le telefonai. "Questa gente affronta ogni giorno difficolta'
incredibili, soprattutto queste bellissime donne che sono giunta ad amare ed
ammirare per la loro semplice volonta' di alzarsi ogni mattina".
Patricia le ha riprese in un panificio cooperativo di donne e nelle piccole
scuole domestiche dalle pareti di fango. Nelle loro attivita' di ogni
giorno, esse compiono il lavoro di tenere insieme le loro comunita'.
Nell'occuparsi dei bambini e nel preparare il cibo, mi disse Patricia, nello
sfidare i Talebani mantenendo le scuole, stanno costruendo la pace: ma il
valore del loro lavoro non e' stimato.
"Ci era stato dato il permesso di filmare due scuole domestiche a Paghamn,
ad un'ora di viaggio da Kabul. Quando arrivammo sul posto, scoprimmo che uno
dei due permessi era stato ritirato. I padri, i mariti e i fratelli delle
donne e delle ragazze coinvolte nella scuola dissero che, se lo avessimo
fatto, non avrebbero piu' permesso loro di frequentarla. Se fossero comparse
nel filmato, sarebbero state equiparate a delle prostitute. Non c'erano
scuole a Paghman, prima d'ora, e la presenza femminile in esse e' altissima,
ma questo durera' sino a quando gli uomini saranno d'accordo.
Nell'altra scuola il permesso venne mantenuto perche' si trattava di un
edificio lontano dal centro della citta' e perche' la maggior parte delle
studenti aveva una relazione di qualche tipo con una grande famiglia estesa,
i cui uomini hanno una tradizione liberale. Ma persino li', alcune donne
nascondevano i loro volti nei veli. E abbiamo sentito che tre scuole di
questo tipo, fuori Kabul, sono state bombardate. Non voglio dare
informazioni sbagliate: ho conosciuto donne che sono visibili, coraggiose e
determinate nell'afferrare le opportunita' di frequentare le scuole e di
rendere migliori le loro vite. Alcune di esse sono state elette nel Loya
Jirga e fanno sentire le proprie voci. Queste donne stanno ricostruendo le
loro vite mentre sperimentano il lutto. E' un processo duale. Non tutte
hanno una riserva di energia e di piani per il futuro. Alcune si', e le ho
incontrate, ma ho incontrato anche donne che hanno perso tutti, ogni singolo
membro della loro famiglia. La mia sensazione e' come di qualcosa legato
troppo stretto per essere sciolto. Stanno sperimentando maggior liberta', ma
quando sono i sentimenti ad essere in primo piano e' molto doloroso. Ora che
possono incontrarsi e parlare piu' facilmente devono accadere due cose
fondamentali: 1) devono poter sperimentare la sicurezza, prima di agire nel
modo in cui le persone agiscono quando si sentono al sicuro. Non ti togli il
burqa se sai che il tuo vicino di casa fondamentalista potrebbe domani
tornare al potere; 2) devono poter elaborare il lutto".
*
Ora che fronteggiamo la crisi con l'Iraq, ho chiesto a Patricia, come porti
avanti il tuo lavoro?
"Sto costantemente ridefinendo l'impostazione delle iniziative nel
convincimento che il network globale che abbiamo creato debba essere il piu'
possibile inclusivo. Mi sta diventando sempre piu' chiaro che il messaggio
piu' potente veicolato da "Peace x Peace" e' l'attenzione posta sul
riconoscere ogni altro come "familiare". Ho fiducia sul fatto che attraverso
il reciproco contatto la saggezza trovi la sua strada. Abbiamo bisogno di
una democrazia praticabile dai cittadini, una democrazia profonda, e di
strumenti, come internet, che rendano possibile alle persone esprimersi,
prendere decisioni informate e non basate su imposizioni. Attraverso le reti
cominci a costruire una cittadinanza informata che, globalmente, sa come
sono le vite altrui, conosce le speranze, le necessita' ed i sogni degli
altri. Diventiamo importanti gli uni per gli altri, ed e' nostra volonta'
che i nostri governi sappiano come la pensiamo".
*
Hanan Ashrawi, al telefono da Ramallah, mi ha detto: "Abbiamo formato una
coalizione di donne. Abbiamo discusso se volevamo essere un movimento di
protesta, una coalizione di donne contro l'occupazione, e abbiamo deciso di
no. Vogliamo essere 'per' qualcosa, e cioe' per la costruzione della pace,
non semplicemente per 'far pace', ma per costruirla".
*
"Oro dalla scoria, / diamante dal carbone: / quest'alchimia e' facile, / se
confrontata al far sorgere l'amore dall'odio, /la chiarezza da una ferita
che sanguina" (Patricia Smith Melton).

4. TESTIMONIANZE. ANNABELLA MORELLI: DA ISRAELE PAROLE DI PACE
[Dalla cronaca di Viterbo del quotidiano "Il messaggero" del 7 gennaio 2002
riprendiamo questo articolo]
Le bombe riprendono a scoppiare in Israele facendo decine di vittime ma Jona
 Bargur non rinuncia al sogno di vedere il suo paese finalmente in pace,
quella pace che gli integralisti di entrambe le parti allontanano sempre
piu' con la loro intransigenza.
L'altra sera al teatro San Leonardo, durante la serata conclusiva di
"Viterbo con amore", Jona era l'unico rappresentante del Parent's Circle
(associazione che riunisce 250 famiglie israeliane e 120 palestinesi parenti
di vittime della guerra che mette di fronte armati questi due popoli)
perche' l'altro invitato, il palestinese Gazhi Briegieth che ha perso due
fratelli, non ha ottenuto il visto dall'ambasciata italiana.
"Ma lo rappresento io e cerchero' di farvi conoscere il suo dolore che e'
anche il mio - ha detto Jona Bargur aiutato da una valida interprete -. Mio
figlio e' morto mentre svolgeva il suo lavoro di ufficiale dell'esercito
israeliano. Soffro, ma il passato non si cambia, il futuro si'. Ed e' quello
che vogliamo fare. Tutti dicono che non c'e' dialogo tra israeliani e
palestinesi, la nostra associazione ha invece attivato un progetto che mette
in comunicazione i due popoli e le famiglie si sono gia' scambiate 45.000
telefonate. Poi abbiamo iniziato con le donazioni di sangue da una parte
all'altra perche' dobbiamo impegnarci tutti per salvare la sacralita' della
vita umana, lavorando per la pace e la convivenza".

5. MEMORIA. MARINELLA CORREGGIA: LA LOTTA NONVIOLENTA DI ABDUL GHAFFAR KHAN,
IL GANDHI MUSULMANO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 gennaio 2003. Marinella Correggia e'
una giornalista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, della pace,
dei diritti umani, della nonviolenza. Abdul Ghaffar Khan, nato nel 1890,
deceduto nel 1988, un terzo della sua vita passato in carcere sotto gli
inglesi e sotto il nuovo stato pakistano; e' stato il leader nonviolento
della lotta dei pathan; su Badshah Khan e' disponibile in italiano il libro
di Eknath Easwaran, Badshah Khan, il Gandhi musulmano, Sonda, Torino-Milano
1990, cui si fa riferimento nell'articolo seguente]
Scendeva da uno scompartimento di terza classe alla stazione indiana di
Wardha per andare all'ashram dove aveva vissuto Gandhi. "Aveva la figura
maestosa, l'aspetto forte e il portamento eretto nonostante i molti anni
trascorsi in prigione; era riservato, semplice, quasi infantile": cosi'
Eknath Easwaran descrive l'ormai anziano Abdul Ghaffar Khan di cui scrivera'
la biografia (Badshah Khan, il Gandhi musulmano, Sonda, Torino-Milano 1990).
Khan nacque nel 1889 a Utmanzai, un villaggio a circa 30 chilometri da
Peshawar, Pakistan, che era ed e' la provincia della frontiera
nordoccidentale (Nwfp): un territorio dominato dai clan tribali, ora
crocevia di traffici e presunto rifugio di islamisti e "al qaedisti". La
provincia confina con la Cina e l'India, ma allora il Pakistan era l'India.
Popolata dai battaglieri pathan - i pasthun dell'Afghanistan - la provincia
era governata dagli inglesi con pugno di ferro, in un circolo vizioso di
violenze e reazioni.
Da giovanissimo, il figlio di proprietari terrieri Abdul Ghaffar Khan
conobbe e segui' un "religioso laico" che apriva scuole nei villaggi: era il
primo riformatore sociale dell'area. Nel 1913, si reco' ad Agra per una
conferenza di musulmani progressisti e la' incontro' leader impegnati nella
promozione sociale, culturale e politica delle popolazioni musulmane di
tutto il subcontinente indiano. Al ritorno, riapri' le scuole chiuse dagli
inglesi, ma quasi subito venne arrestato per aver promosso l'istruzione
libera, passando tre anni in una cella fredda e sporca.
Oltre alla repressione inglese, il maggiore ostacolo per Khan era
rappresentato dal culto della vendetta e della violenza intrinseca alla
societa' tribale; e furono ostacoli per superare i quali si ispiro' a
Gandhi, scrivendo tra l'altro: "Da giovane avevo tendenze violente; nelle
mie vene scorreva il sangue caldo dei pathan. Da Gandhi imparai tutto sulla
nonviolenza". Piu' tardi, gli occhi di uno dei suoi figli colsero "lo
splendore e la tragedia" dei pathan: "la natura violenta, il fisico robusto
e il cuore tenero sono una combinazione molto instabile con cui affrontare
la vita, anche se ideale per la poesia".
Nell'estate del 1929, durante un viaggio in India per una riunione del
Partito del Congresso, Khan fece sua l'urgenza della lotta indipendentista
e, tornato nella Nwfp, decise di trascinarvi i pathan. Occorreva un
"esercito" ma non per compiere altra violenza: "Un esercito di soldati
disarmati, addestrati e disciplinati, con quadri, uniformi, bandiere, un
esercito di pathan disarmati, si', proprio loro, solo dei pathan erano
abbastanza temerari da provarci, ad affrontare spavaldi il nemico per una
giusta causa senza indietreggiare ne' rispondere". Del resto, lo stesso
Gandhi sosteneva che la nonviolenza si addice all'impavido.
All'inizio furono "reclutati" i giovani diplomati dalle scuole di Khan. I
pathan diventati nonviolenti si chiamarono Khudai khidmatgar, servi di Dio,
e furono - scrive Easwaran - "il primo esercito nonviolento professionale
della storia".
Promettevano di dedicare almeno due ore al giorno all'impegno sociale,
astenersi dalla violenza, vivere una vita semplice, evitare il male e la
pigrizia.
L'"esercito" aveva una rete di comitati, i jirga, organizzati come consigli
tribali, e nei quali svolsero ruoli importanti le donne, tra cui la stessa
sorella di Khan, che si spese per la loro emancipazione.
I pathan andavano di villaggio in villaggio ad aprire scuole, sostenere
progetti di lavoro, organizzare assemblee pubbliche.
Le sura del Corano consigliavano a piu' riprese la sabr, la lotta per la
verita' (l'equivalente del sathyagraha gandhiano), tenacia e austerita'; e
la famosa jihad, la guerra santa, era considerata la lotta fra il bene e il
male che ogni essere umano dovrebbe combattere nel proprio cuore.
Il 31 dicembre 1929 i delegati del Congresso indiano decisero di dichiarare
l'indipendenza e sostennero la noncollaborazione e la disobbedienza civile.
Poco dopo, con la marcia del sale, il monsone della resistenza si abbatte'
sull'India.
La repressione fu spietata, soprattutto nella provincia di Frontiera. Ma i
"disarmati" non reagirono alle violenze; il movimento crebbe malgrado la
repressione e ottenne concessioni per i pathan.
Nell'estate del 1930 i khudai erano ottantamila, uomini e donne. Khan era
quasi sempre in prigione, ma i khudai avevano imparato che la nonviolenza
funziona.
Contro Khan, erano anche i ricchi capivillaggio che vedevano i loro
interessi minacciati da un uomo che aveva lasciato i propri averi, si
vestiva con semplice stoffa, aveva smesso di mangiare carne e perfino di
bere te'.
Intanto la politica inglese del divide et impera riusci' a mettere indu' e
musulmani - dopo secoli di convivenza - gli uni contro gli altri. La Lega
musulmana e il Congresso diventarono nemici politici: la prima avrebbe
preferito uno status di dominion all'interno dell'impero britannico; il
secondo l'indipendenza. E' a questo punto che i khudai kidmatgar di Khan
rimasero l'unica importante organizzazione musulmana a opporsi al dominio
inglese.
Verso la fine degli anni `30, quando l'indipendenza sembrava ormai
imminente, la Lega musulmana chiese uno stato confessionale autonomo. Khan e
i suoi rifiutarono la proposta sostenendo che, partiti gli inglesi, indu' e
musulmani avrebbero potuto nuovamente convivere. La spartizione non avrebbe
mai risolto il problema della violenza reciproca. E infatti, dopo la
partition (spartizione, con la creazione del Pakistan come entita'
separata), vi fu la piu' grande migrazione della storia con almeno
cinquecentomila morti.
Nella logica di Mounbatten, la Frontiera avrebbe dovuto rimanere all'India.
Per quanto interamente musulmana, essa aveva scelto come rappresentanti i
khudai khidmatgar e non i membri della Lega musulmana; ma questa non avrebbe
accettato un Pakistan senza la Frontiera.
Khan capi' che tutto poteva finire in un altro bagno di sangue e invito' i
khudai ad astenersi in occasione del referendum decisionale; ma una volta di
piu' venne arrestato.
"A meno di un anno dalla notte in cui Mountbatten aveva ceduto le redini del
potere all'India e al Pakistan, Gandhi era stato ucciso da un indu' che
temeva che egli fosse filomusulmano, e Khan era stato imprigionato da un
governo che lo accusava di essere filoindu'. I due piu' grandi uomini di Dio
in tutta la regione erano stati sacrificati in nome della religione".
Khan e i suoi avevano legato la propria sorte a quella di Gandhi; ora la
divisione li lasciava in balia dei ministri della Lega musulmana. Cominciava
cosi' la seconda fase della lotta di Khan. Dei primi trent'anni di esistenza
del Pakistan, egli ne passo' quindici in prigione e sette in esilio in
Afghanistan.
Nel 1956 fondo' la Awami League (Lega del popolo), il principale partito di
opposizione negli anni '60 e '70. Scrive l'autore della biografia: "La sua
vita e' uno specchio perfetto dei profondi valori dell'amore, della fede e
del servizio disinteressato incarnati nell'Islam fin dalle origini. Il suo
"esercito" nonviolento costituisce un punto di riferimento per tutti i
musulmani che cercano un'alternativa all'autodistruzione provocata dalla
violenza".
In Islam e nonviolenza (Edizioni Gruppo Abele, Torino 1997) il musulmano
Chaiwat Satha-Anand da' interpretazioni analoghe. Jihad significa lottare
per la giustizia, fronteggiare l'oppressione, il dispotismo, l'ingiustizia,
nel nome degli oppressi: "Al musulmano non puo' essere permessa la jihad
armata". Allora come puo' il musulmano lottare contro il disordine e
l'oppressione? "Per non violare la sacralita' della vita, dovra' farlo con
metodi nonviolenti", spiega Chaiwat Satha-Anand...

6. APPELLI. NOAM CHOMSKY E ALEX ZANOTELLI SOLIDALI CON PEACELINK
[Dall'Associazione PeaceLink (per contatti: e-mail: info at peacelink.it; sito:
www.peacelink.it) riceviamo e diffondiamo il seguente comunicato. Peacelink
e' la principale risorsa pacifista italiana disponibile nella rete
telematica.
Noam Chomsky, nato a Philadelphia nel 1928. Illustre linguista, docente
universitario al Mit di Boston, e' uno degli intellettuali americani piu'
prestigiosi. Da decenni impegnato per i diritti civili e dei popoli, contro
la guerra e l'imperialismo. Opere di Noam Chomsky: prescindendo dagli
scritti piu' specialistici di linguistica e filosofia del linguaggio, qui
segnaliamo soltanto due volumi di conferenze: Conoscenza e liberta',
Einaudi; Linguaggio e problemi della conoscenza, Il Mulino. Per quanto
riguarda gli scritti di intervento civile segnaliamo I nuovi mandarini, La
guerra americana in Asia, Riflessioni sul Medio Oriente, tutti presso
Einaudi, Torino; La quinta liberta', Alla corte di re Artu', Illusioni
necessarie, tutti presso Eleuthera, Milano; Anno 501: la Conquista continua,
I cortili dello zio Sam, Il club dei ricchi, tutti presso Gamberetti, Roma;
La societa' globale (con Heinz Dieterich), presso La Piccola, Celleno (Vt);
Linguaggio e liberta', La fabbrica del consenso, Sulla nostra pelle, Atti di
aggressione e di controllo, presso Marco Tropea, Milano. Opere su Noam
Chomsky: la monografia migliore e' di J. Lyons, Chomsky, Fontana Press,
London 1991. Interessante ed utile il volume che raccoglie il dibattito su e
tra Jean Piaget e Noam Chomsky, con contributi di vari altri studiosi:
Theories du langage. Theories de l'aprentissage, Seuil. In italiano esistono
molti studi su Chomsky linguista e sulla grammatica generativa
trasformazionale, ma a nostra conoscenza non c'e' una monografia complessiva
su Chomsky come intellettuale pacifista ed attivista per i diritti umani e
dei popoli.
Alessandro Zanotelli, missionario comboniano, ha diretto per anni la rivista
"Nigrizia" conducendo inchieste sugli aiuti e sulla vendita delle armi del
governo italiano ai paesi del Sud del mondo, scontrandosi con il potere
politico, economico e militare italiano: rimosso dall'incarico e' tornato in
Africa a condividere vita e speranze dei poveri, ed e' da poco tornato in
Italia; e' direttore responsabile della rivista "Mosaico di pace", promossa
da Pax Christi; promotore della Rete di Lilliput, e' una delle voci piu'
autorevoli dei movimetni apcifisti e nonviolenti. Opere di Alessandro
Zanotelli: La morte promessa. Armi, droga e fame nel terzo mondo,
Publiprint, Trento 1987; Il coraggio dell'utopia, Publiprint, Trento 1988; I
poveri non ci lasceranno dormire, Monti, Saronno 1996; Leggere l'impero. Il
potere tra l'Apocalisse e l'Esodo, La meridiana, Molfetta 1996; Sulle strade
di Pasqua, Emi, Bologna 1998; Inno alla vita, Emi, Bologna 1998; Ti no ses
mia nat par noi, Cum, Verona 1998; La solidarieta' di Dio, Emi, Bologna
2000; R...esistenza e dialogo, Emi, Bologna 2001]
Superate le mille adesioni alla campagna promossa per la difesa legale
dell'associazione Peacelink, citata per danni da un consulente Nato. Anche
Noam Chomsky e Alex Zanotelli si schierano a difesa della piccola
associazione nonviolenta nata a Taranto.
Per contatti e informazioni specifiche: sito: www.peacelink.it/emergenza;
tel.: Carlo Gubitosa (segretario dell'associazione Peacelink), 3492258342,
e-mail: c.gubitosa at peacelink.it
*
Anche il grande filosofo del linguaggio ed attivista democratico Noam
Chomsky e il missonario comboniano Alex Zanotelli si sono aggiunti a piu' di
mille persone che hanno gia' espresso solidarieta' all'associazione
PeaceLink, citata per danni da un consulente della Nato che ha richiesto
50.000 euro di risarcimento per la pubblicazione su internet (con citazione
della fonte) di un appello ambientalista gia' diffuso su altri siti.
Il 10 febbraio 2000 PeaceLink aveva riprodotto testualmente il testo
completo, compresi i firmatari, di un "Manifesto per un forum
ambientalista", pubblicato sul sito web di un partito nazionale. La
pubblicazione di questo testo era avvenuta in un messaggio di una mailing
list pubblica successivamente riprodotto in una pagina web di PeaceLink. Tra
i firmatari di quel "Manifesto" compare anche il nome del consulente Nato
che nel novembre 2002 dichiara di non aver sottoscritto quel testo e cita in
giudizio l'Associazione PeaceLink, a quasi tre anni di distanza dalla
pubblicazione in rete del "Manifesto per un forum ambientalista".
"Questa faccenda e' strana - ha scritto a PeaceLink Noam Chomsky -. Non
riesco a credere che questa citazione possa andare a buon fine, e credo che
si tratti solamente di una intimidazione. Mi unisco volentieri alla vostra
protesta".
Padre Alex Zanotelli e Padre Michele Stragapede, anche a nome dei missionari
comboniani di Bari e della scuola di Pace "don Tonino Bello" di Molfetta
hanno dichiarato che la richiesta di risarcimento danni rivolta a PeaceLink
e' "pesante, ingiusta e pretestuosa".
"Ci auguriamo - hanno detto i missionari comboniani - che la manifestazione
di solidarieta' nei confronti di Peacelink sia la piu' ampia e profonda
possibile, per scongiurare la chiusura di un'associazione che dal '91 si e'
caratterizzata e si caratterizza come nonviolenta, apartitica e
indipendente, impegnata a diffondere una nuova cultura sulla pace, sul
rispetto dell'ambiente e dei diritti umani. L'eventuale chiusura del sito
costituirebbe un colpo mortale alla liberta' dell'informazione in rete e un
ulteriore bavaglio alla societa' civile organizzata. Peacelink e' sempre
stata per il mondo scolastico e i tanti enti locali per la pace un
riferimento autorevole e gratuito per la crescita di una cultura di pace".
Nel frattempo la vicenda legale di PeaceLink prosegue il suo iter, e il
futuro della piu' antica esperienza italiana di volontariato
dell'informazione in rete si decidera' nell'aula di un tribunale, a partire
dalla prima udienza del 18 febbraio 2003.
All'indirizzo http://www.peacelink.it/emergenza sono presenti tutte le
informazioni sulla vicenda, compreso l'atto di citazione ricevuto
dall'associazione, ed e' possibile sottoscrivere un appello telematico in
difesa dell'associazione PeaceLink, al quale hanno gia' aderito piu' di
mille persone e oltre 80 enti e associazioni, tra cui la "Rete di Lilliput",
il settimanale "Vita", il "Forum permanente per la Pace" di Ferrara, e il
centro missionario diocesano di Pisa.

7. MAESTRI. ENRICO PEYRETTI: UNA LETTERA DI ERNESTO BALDUCCI A PROPOSITO DI
ERASMO
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per
averci messo a disposizione questa testimonianza.
Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno
dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di
nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere",
Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998;
La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe
Grande, Torino 1999. E' diffusa attraverso la rete telematica (ed abbiamo
recentemente ripresentato in questo notiziario) la sua fondamentale ricerca
bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte
nonarmate  e nonviolente.
Ernesto Balducci e' nato a Santa Fiora (in provincia di Grosseto) nel 1922,
ed e' deceduto a seguito di un incidente stradale nel 1992. Sacerdote,
insegnante, scrittore, organizzatore culturale, promotore di numerose
iniziative di pace e di solidarieta'. Fondatore della rivista
"Testimonianze" nel 1958 e delle Edizioni Cultura della Pace (Ecp) nel 1986.
Oltre che infaticabile attivista per la pace e i diritti, e' stato un
pensatore di grande vigore ed originalita', le cui riflessioni ed analisi
sono decisive per un'etica della mondialita' all'altezza dei drammatici
problemi dell'ora presente. Opere di Ernesto Balducci: segnaliamo
particolarmente alcuni libri dell'ultimo periodo: Il terzo millennio
(Bompiani); La pace. Realismo di un'utopia (Principato), in collaborazione
con Lodovico Grassi; Pensieri di pace (Cittadella); L'uomo planetario
(Camunia, poi Ecp); La terra del tramonto (Ecp); Montezuma scopre l'Europa
(Ecp). Si vedano anche l'intervista autobiografica Il cerchio che si chiude
(Marietti); la raccolta postuma di scritti autobiografici Il sogno di una
cosa (Ecp); il manuale di storia della filosofia, Storia del pensiero umano
(Cremonese), ed il corso di educazione civica Cittadini del mondo
(Principato), in collaborazione con Pierluigi Onorato. Opere su Ernesto
Balducci: cfr. i due fondamentali volumi monografici di "Testimonianze" a
lui dedicati: Ernesto Balducci, "Testimonianze" nn. 347-349, 1992; ed
Ernesto Balducci e la lunga marcia dei diritti umani, "Testimonianze" nn.
373-374, 1995. Un'ottima rassegna bibliografica preceduta da una precisa
introduzione biografica e' il libro di Andrea Cecconi, Ernesto Balducci:
cinquant'anni di attivita', Libreria Chiari, Firenze 1996. Recente e' il
libro di Bruna Bocchini Camaiani, Ernesto Balducci. La Chiesa e la
modernita', Laterza, Roma-Bari 2002. Cfr. anche Enzo Mazzi, Ernesto Balducci
e il dissenso creativo, Manifestolibri, Roma 2002. Indirizzi utili:
Fondazione Ernesto Balducci, via Badia dei Roccettini 11, S. Domenico di
Fiesole (Fi).
Su Erasmo da Rotterdam, il piu' grande umanista e pacifista del Rinascimento
europeo, riproduciamo qui un estratto dalla postilla biobibliografica che
conclude la nostra prefazione alla recente traduzione italiana di Erasmo, Il
lamento della pace, Multimage, Firenze 2002: "I. Le opere di Erasmo. L'opera
omnia di Erasmo si legge ancora nell'edizione di Leida (Lugduni Batavorum)
del 1703-1706 a cura di Jean Leclerc (Joannes Clericus), ristampata nel 1961
a Hildsheim. Dal 1969 e' in corso ad Amsterdam l'edizione critica, di cui
sono gia' usciti vari volumi. Il monumentale e fondamentale epistolario di
Erasmo e' stato edito da P. S. Allen e collaboratori e prosecutori ad Oxford
tra il 1906 e il 1958. II. Alcune opere di Erasmo disponibili in italiano.
Per la Querela Pacis segnaliamo le edizioni curate da Luigi Firpo (Erasmo,
Il lamento della pace, Utet, Torino 1967; poi Tea, Milano); da Franco Gaeta
(Erasmo, Contro la guerra, Japadre, L'Aquila 1968, che reca anche il Dulce
bellum inexpertis); da Eugenio Garin (nella sezione di testi erasmiani
inclusa nella sua monografia Erasmo, Edizioni Cultura della Pace, S.
Domenico di Fiesole 1988, di cui diremo piu' avanti). Ovviamente quasi non
c'e' casa editrice, grande o piccola, che non abbia pubblicato l'Elogio
della follia, sovente arricchito da perspicue introduzioni e prefazioni di
preclari studiosi. Dall'edizione a cura di Benedetto Croce per Laterza
(Elogio della pazzia e Dialoghi, Laterza, Bari 1914), a quella a cura di
Tommaso Fiore per Einaudi (Elogio della pazzia, Einaudi, Torino 1943), a
quella a cura di Eugenio Garin (Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia,
Serra e Riva, Milano 1984, poi Mondadori, Milano 1992) ad innumerevoli
altre: tra le recenti segnaliamo quella di Luca D'Ascia con un saggio di
Bainton, per Rizzoli. Dei Colloquia dopo la traduzione parziale di Gian
Piero Brega (Erasmo, I colloqui, Feltrinelli, Milano 1959, poi in edizione
rivista 1967; e adesso Garzanti, Milano 2000) finalmente e' stata pubblicata
una traduzione integrale con testo a fronte: Erasmo da Rotterdam, Colloquia,
Einaudi, Torino 2002 (progetto editoriale e introduzione di Adriano
Prosperi, traduzione, cura e apparati di Cecilia Asso). Degli Adagia
segnaliamo la pregevole edizione di un piccolo ma prezioso saggio di essi a
cura di Silvana Seidel Menchi: Erasmo, Adagia. Sei saggi politici in forma
di proverbi, Einaudi, Torino 1980. Una segnalazione particolare vogliamo
fare anche per L'Institutio principis christiani, nella traduzione italiana
a cura di Margherita Isnardi Parente: Erasmo da Rotterdam, L'educazione del
principe cristiano, Morano, Napoli 1977. Va letto anche almeno il Libero
arbitrio nell'utile edizione a cura di Roberto Jouvenal: Erasmo, Il libero
arbitrio (testo integrale); Lutero, Il servo arbitrio (passi scelti),
Claudiana, Torino 1969, seconda edizione del 1973. Una nuova edizione del
solo testo erasmiano (ma con una prefazione di Sergio Quinzio) e' nella
traduzione di Italo Pin: Erasmo da Rotterdam, Sul libero arbitrio, Edizioni
Studio Tesi, Pordenone 1989. Ovviamente vari altri testi di Erasmo sono
disponibili in traduzione italiana. E' opportuno avvertire che sovente gli
apparati critici e informativi che accompagnano le traduzioni italiane dei
testi erasmiani sono assai approssimativi. III. Alcune opere su Erasmo.
Chiunque si accosti alla letteratura critica novecentesca su Erasmo non puo'
non notare la presenza tra i suoi studiosi di un elevato numero di persone
che hanno dato  buona prova di se' nell'opporsi al fascismo: scorrendo i
nomi dei traduttori, dei curatori, degli autori di studi e ricerche
erasmiane trovi alcune delle figure piu' nitide ed alte dell'antifascismo e
della Resistenza. Pensiamo che non avvenga per caso. Ed anche se in questa
nota non citiamo che pochi autori di contributi maggiori, vorremmo qui
idealmente ricordarli tutti, con ammirazione ed affetto. Tra le principali
monografie disponibili in italiano che ricostruiscono vita, personalita',
riflessione ed opera di Erasmo segnaliamo particolarmente le seguenti: Johan
Huizinga, Erasmo, Einaudi, Torino 1941 (piu' volte ristampata); Roland H.
Bainton, Erasmo della Cristianita', Sansoni, Firenze 1970; Pierre Mesnard,
Erasmo, Accademia Sansoni, Milano 1971; Cornelis Augustijn, Erasmo da
Rotterdam. La vita e l'opera, Morcelliana, Brescia 1989; Leon E. Halkin,
Erasmo, Laterza, Roma-Bari 1989. Fondamentale e' anche Hugh R. Trevor-Roper,
Protestantesimo e trasformazione sociale, Laterza, Bari 1969 e piu' volte
ristampato; il primo saggio del volume e' specifico su Erasmo, ma - scrive
l'autore nella prefazione all'edizione italiana, e dice bene - "la figura e
le idee di Erasmo dominano il libro. Se questi saggi, come spero, hanno una
loro unita', mi sembra che il filo conduttore sia appunto la sconfitta delle
prospettive aperte da Erasmo". Su Erasmo e la pace cfr. Eugenio Garin,
Erasmo, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1988 (che
reca anche i seguenti testi erasmiani: il Dulce bellum inexpertis, dagli
Adagia; la Querela Pacis; e tre testi dai Colloquia: la Confessio militis,
Militis et Cartusiani, il Charon). Per una puntuale collocazione di Erasmo
nella tradizione (ed alle radici) del pensiero pacifista moderno si veda
anche l'eccellente antologia a cura di Ernesto Balducci e Lodovico Grassi,
La pace. Realismo di un'utopia, Principato, Milano 1983. Per la bibliografia
cfr. (in francese) gli ottimi lavori specifici di Jean-Claude Margolin. Su
Erasmo e l'erasmismo fondamentali sono gli studi di Augustin Renaudet,
Marcel Bataillon, e per l'Italia Silvana Seidel Menchi, Erasmo in Italia.
1520-1580, Bollati Boringhieri, Torino 1987. Su Erasmo e l'Italia cfr. anche
i classici studi (che non ci risulta siano stati tradotti in italiano) di P.
De Nolhac, Erasme en Italie. Etude sur un episode de la Renaissance, Paris
1888; ed Augustin Renaudet, Erasme et l'Italie, Geneve 1954, nuova ed. 1998.
Vari studiosi italiani nel corso degli ultimi decenni hanno dedicato ad
Erasmo studi talvolta perspicui, rinunciamo a darne qui un elenco rinviando
alle bibliografie contenute nei volumi sopra segnalati. Degli autori gia'
citati vorremmo ricordare altri libri a nostro parere utili a lumeggiare le
premesse, il contesto o l'eredita' erasmiana: di Johan Huzinga cfr. anche
L'autunno del Medioevo (Sansoni) e La civilta' olandese del Seicento
(Einaudi); di Pierre Mesnard si veda anche almeno l'eccellente Il pensiero
politico rinascimentale, 2 voll., Laterza, Bari 1963-1964; di Eugenio Garin
e di Ernesto Balducci si dovrebbero ricordare qui innumerevoli opere, basti
aver reso omaggio ai loro nomi di maestri. IV. Su Thomas More. Ovviamente
non si puo' parlare di Erasmo e tacere di Thomas More, l'amico fraterno,
l'autore dell'Utopia, il testimone del primato della coscienza e della
dignita' umana; su More si legga almeno introduttivamente il volume di
Cosimo Quarta, Thomas More, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di
Fiesole (Fi) 1993. V. Et coetera. Sul XVI secolo un utile testo introduttivo
e' quello di H. G. Königsberger e G. L. Mosse, L'Europa del Cinquecento,
Laterza, Bari 1969 (ma noi abbiamo sotto gli occhi l'edizione del 1974);
cfr. anche almeno Gerhard Ritter, La formazione dell'Europa moderna, 2
voll., Laterza, Bari 1964, 1968 (ma noi abbiamo letto l'edizione del  1976).
Sulla figura di Carlo V resta ancora insostituibile come compendio
biografico Karl Brandi, Carlo V, Einaudi, Torino, 1961, in nuova edizione
del 2001. Sulla cultura del Rinascimento bastera' il rinvio alle molte
eccellenti opere di Eugenio Garin; come e' noto hanno sviluppato negli
ultimi decenni nuove prospettive, ed hanno lumeggiato aspetti prima
sottovalutati, i lavori di Frances Amelia Yates. Sulle vicende della Riforma
e della Controriforma (o della Riforma protestante e di quella cattolica, se
si preferisce) per un avvio cfr. almeno J. Lortz ed E. Iserloh, Storia della
Riforma, Il Mulino, Bologna 1974; Roland H. Bainton, La Riforma protestante,
Einaudi 1958, 1974; Hubert Jedin, Riforma cattolica o Controriforma?,
Morcelliana, Brescia, 1957, 1987]
Nel 1997, a cinque anni dalla morte di Ernesto Balducci, pubblicai sul
mensile torinese "il foglio" n. 238, aprile 1997, cinque lettere sue,
ricevute tra il 1986 e il 1992.
In quella del 21 gennaio 1989, Balducci rispondeva ad una mia in cui gli
avevo chiesto che sostenesse la richiesta che l'Assemblea Ecumenica di
Basilea del successivo maggio rendesse particolare onore ad Erasmo, sepolto
nella cattedrale evangelica di quella citta'. Gli chiedevo anche un parere
su un giudizio critico espresso una volta da Hans Kueng, a mio giudizio
sbagliato (cfr. Hans Kueng, Teologia in cammino, Mondadori, Milano 1987, pp.
21-55, spec. 48).
Balducci mi scriveva:
"Caro Enrico, trovo molto bella la tua idea e, per quanto sta in me, vedro'
di appoggiarla, sia scrivendo qualche articolo, sia affidandola a qualche
amico influente (penso ora a Paolo Ricca, che sta ultimando il suo volume La
chiesa evangelica e la pace). Sono convinto, diversamente da Kueng, che
Erasmo, tra Roma e Lutero, aveva visto giusto: la questione dirimente, che
avrebbe portato con se' anche la riforma della chiesa, era quella della
pace.
Non e' forse oggi la vera questione ecumenica?
Sarebbe bene scriverne qualcosa a Weizsaecker, il cui libro-manifesto
sull'assise mondiale dei cristiani per la pace ho appena finito di leggere,
con molta commozione.
Non potresti scrivere tu un articoletto su Testimonianze?".
Non scrissi l'articoletto, per la legge del tempo, che fa abortire
tantiprogetti. Il libro di Paolo Ricca usci' poi, nello stesso 1989, con il
titolo Le chiese evangeliche e la pace, nelle Edizioni Cultura della Pace,
create e curate da Balducci stesso. Il libro di Carl Friedrich von
Weizsaecker, Il tempo stringe. Un'Assise mondiale dei cristiani per la
giustizia, la pace e la salvaguardia della creazione, era stato pubblicato
dalla Queriniana, Brescia, 1987.
Grazie dell'attenzione a questo documento profetico di Balducci, che e'
bello far conoscere.

8. LIBRI. IN USCITA IL NUOVO LIBRO DI ADRIANA VALERIO, "LA BIBBIA
NELL'INTERPRETAZIONE DELLE DONNE"
[Ci e' assai grato presentare questa breve scheda sull'ultimo lavoro di
Adriana Valerio, a giorni in libreria]
Il 10 gennaio 2003 esce il nuovo libro della teologa Adriana Valerio, atti
di un convegno tenutosi a Napoli nel 1999. Si tratta di: Claudio Leonardi e
Adriana Valerio (a cura di), La Bibbia nell'interpretazione delle donne, Il
Galluzzo, Firenze 2002.
Per chi volesse richiedere il testo, inviare una e-mail a: order at sismel.it
*
Una breve scheda di presentazione
L'interpretazione della Bibbia da parte delle donne e' pressoche'
sconosciuta agli studiosi di storia dell'esegesi.
Eppure le donne, nei mutevoli e complessi scenari di storia religiosa, hanno
dovuto necessariamente relazionarsi con il testo sacro e con le sue
interpretazioni: per compiere gli stessi percorsi o per coglierne sensi
"altri", raramente per opporvisi. Egeria, Duoda, Angela da Foligno, Caterina
da Siena, Maria d'Agreda, Margareth Fell, Maria Ascione, Harriet Stowe, ma
anche anonime ugonotte, impegnate cristiane afroamericane, scrittrici ebree
contemporanee animano le pagine di questo libro.
Non una lettura al femminile, ne' del femminile, ne' femminista quella
utilizzata negli studi qui presenti, ma percorsi storici che offrano
occasioni per riflettere, affinche', attraverso alcune tracce indicate,
alcuni tasselli posti, si possano mettere le basi per elaborare criteri
fondanti una storia dell'esegesi femminile.
*
L'autrice
La teologa Adriana Valerio (per contatti: avalerio at unina.it) e' da piu' di
vent'anni impegnata nel reperire fonti e testimonianze per la ricostruzione
della memoria delle donne nella storia del cristianesimo. Laureata in Storia
e Filosofia e in Teologia (dopo aver conseguito la Licenza a Fribourg in
Svizzera), lavora attualmente alla Federico II di Napoli (cattedra di Storia
del Cristianesimo). Ha diretto per tre anni il "Centro Adelaide Pignatelli
per la ricerca storico-religiosa delle donne" ed e' oggi coordinatrice
italiana dell'Afert (Associazione Femminile europea per la ricerca
teologica) e delegata Onu e affari internazionali per l'"Associazione
Internazionale Giovanna d'Arco" per la difesa dei diritti della donna nella
societa' e nella chiesa. Dirige dal 1990 la collana La Dracma su Donne e
Cristianesimo preso la casa editrice D'Auria di Napoli. Tra le tante
pubblicazioni: Cristianesimo al femminile (Napoli 1990), Domenica da
Paradiso. Profezia e politica in una mistica del Rinascimento (Spoleto
1993), Donna potere e profezia (Napoli 1995), Savonarola. Fede e speranza di
un profeta (Paoline, Milano 1998), Donne in viaggio (Bari-Roma 1999), I
sermoni di Domenica da Paradiso (Firenze 1999), Donne e Religione a Napoli
(con G. Galasso, Franco Angeli 2001).

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 470 dell'8 gennaio 2003