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La nonviolenza e' in cammino. 442
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 442
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 10 Dec 2002 19:02:53 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 442 dell'11 dicembre 2002 Sommario di questo numero: 1. Floriana Lipparini, Pina Sardella: per un'Europa neutrale ma non neutra (un contributo alla riflessione proposta da Giancarla Codrignani) 2. Normanna Albertini: la pedagogia nera (un contributo alla riflessione proposta da Giancarla Codrignani) 3. Imma Barbarossa, per un'Europa neutrale, disarmata e accogliente 4. Enrico Peyretti, alla violenza si deve rispondere con la nonviolenza 5. Giovanni Colombo: per Antonino Caponnetto, il giudice delle due rose 6. Rosa Luxemburg, ieri 7. Nadine Gordimer, la gente si era ormai abituata 8. Biagio Di Pasquale, a sostegno della "ragionevole proposta" 9. Filippo Gentiloni: la Bibbia, il cristianesimo e i migranti 10. Alex Zanotelli, no alla guerra 11. Gino Strada, no alla guerra 12. Sergio Cofferati, no alla guerra 13. Simone Weil, la verita' 14. Presentazione di Ipazia (a cura di), Due per sapere, due per guarire 15. La "Carta" del Movimento Nonviolento 16. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. FLORIANA LIPPARINI, PINA SARDELLA: PER UN'EUROPA NEUTRALE MA NON NEUTRA (UN CONTRIBUTO ALLA RIFLESSIONE PROPOSTA DA GIANCARLA CODRIGNANI) [Ringraziamo Floriana Lipparini (per contatti: effe.elle at tin.it) per averci inviato, come contributo alla riflessione promossa dall'editoriale di Giancarla Codrignani di qualche giorno fa, questo intervento suo e di Pina Sardella, gia' apparso su "Il paese delle donne" (sito: www.womenews.net) il 30 novembre scorso. Floriana Lipparini e Pina Sardella sono impegnate nel gruppo "Genere e politica" di Milano, nel movimento delle donne e per la pace] Le immagini delle giovani donne cecene reclinate sulle poltrone, nella stanchezza e nel sonno della morte, sono sconvolgenti. Vittime di un feroce massacro di stato e vittime di uno speculare anche se contrapposto "patriottismo". Le ragioni o i torti (che non sono equivalenti, tra un popolo dominatore e un popolo dominato) annegano nel comune substrato patriarcale e maschile, da cui sempre germinano le guerre e le violenze, come dal codice genetico una malattia ereditaria. Giovani donne disperate, che per vendicare l'assassinio dei propri cari hanno introiettato l'unico modello a disposizione: violenza, guerra. Come altre donne kamikaze che le cronache degli ultimi anni ci hanno fatto conoscere. Pero' le vedove cecene non avevano compiuto ancora nessuna violenza. Non sapremo mai se lo avrebbero fatto, se avrebbero oltrepassato davvero quella soglia. Per qualche tempo, dal '45 in poi, in Europa si era creduto che la guerra fosse ormai sparita dalla storia, pur se nel resto del pianeta si continuava a combattere, ma era come se la cosa non ci riguardasse. Poi numerosi eventi hanno distrutto tale illusione d'immunita': prima di tutto, e' ovvio, il nucleare con la sua minaccia eternamente incombente, e nell'ultimo decennio le guerre che ci hanno coinvolto direttamente, come nel Golfo e nel Kosovo, o che ci hanno visto presenti nelle ambigue operazioni che l'Onu definisce azioni "di pace": in Somalia, in Afghanistan e altrove. Nel passato la distruzione di altri popoli e' stata spesso giustificata con artificiosi pretesti, e il militarismo da sempre e' stato usato per difendere i privilegi dei pochi. Oggi piu' che mai occorre sfatare quegli alibi, capire e far capire che le guerre vengono combattute in nome del dominio economico e dell'accaparramento delle risorse primarie, in qualsiasi luogo del mondo si trovino, depredando le genti a cui naturalmente appartengono, sconvolgendone la vita, l'economia, persino la morfologia dei luoghi se questo serve agli scopi di controllo territoriale del nuovo impero unico. E' per questo che ormai gli eserciti, secondo il modello di difesa ispirato alle dottrine militari degli Usa, non hanno piu' il compito di difendere il "sacro suolo della patria" da improbabili nemici pronti a varcare le frontiere, ma quello di difendere gli "interessi" occidentali ovunque sara' necessario. In altre parole, si trasformeranno in una polizia di mercenari con compiti di rapina ai danni delle popolazioni del sud del mondo. In queste guerre dei pochi contro i molti, che nessuna ipocrisia potra' mascherare, le popolazioni civili indifese, che sono in maggioranza donne, vecchi e bambini, saranno sempre piu' colpite, in una percentuale mai toccata prima. Nel corso della seconda guerra mondiale il rapporto fra vittime civili e militari fu del 50 per cento; in questi nuovi conflitti giunge al 90 per cento. Ma porre l'accento sui reali motivi contingenti delle guerre non basta. Ci sara' sempre qualcuno che si alza a parlare in nome della "guerra giusta". Ci sarà sempre il problema della difesa degli aggrediti. Ecco perche' occorre andare piu' a fondo. Storicamente e simbolicamente gli uomini hanno costituito la propria identita' come nazione per mezzo della guerra. Al nord come al sud, all'est come all'ovest, le nazioni sono state edificate sulla cultura della guerra. Occorre, quindi, scavare molto a fondo, nel nucleo patriarcale all'origine dell'oscuro intreccio che ha generato le strutture socio-politiche, religiose ed etiche ancor oggi dominanti. Uguali ovunque nel ricorso alla guerra e alla violenza piu' o meno sacralizzate, piu' o meno argomentate, piu' o meno legittimate. Date tali premesse, la campagna per un'Europa neutrale si rivela davvero cruciale e urgente, un campo d'azione primario per le donne. Ma sarebbe molto importante sottolinearne meglio il carattere non neutro. Rovesciare l'ideologia nazionalista, decostruirla, coltivare e generalizzare la capacita' di critica e di presa di distanza dai falsi miti patriottardi e bellicisti, sfatare l'idea che la guerra sia un dato eterno e immutabile della storia umana, mettere in discussione identita', rapporti sociali, sistemi di valori, esaltare i saperi legati all'attivit' di riproduzione affinche' avvenga un radicale rimescolarsi nell'universo maschile e femminile. Tutto questo e' un grande terreno di lavoro, per le donne. Traducendolo, naturalmente, in mille azioni concrete che si possono compiere in molti campi della vita quotidiana, dalle scelte di consumo e di stile di vita al boicottaggio di tutti i soggetti privati e pubblici favorevoli alla guerra, dall'uso di simboli antimilitaristi chiaramente interpretabili (va bene lo straccio bianco, ma ci vorrebbe qualcosa di piu' leggibile anche da chi e' distratto, altrimenti non si raggiunge lo scopo), alla diffusione verbale e scritta, su carta o in rete, di materiali che spieghino dettagliatamente in quali e quanti modi la guerra colpisca tutti, anche quando e' geograficamente lontana. Esistono libri e documentari indipendenti molto efficaci nello spiegare queste realta'. Cerchiamo i soldi per regalarli a chi ancora non ha capito. Non partiamo da zero, abbiamo gia' un tratto di storia alle spalle. Possiamo ritessere i fili di quella modalita' reticolare gia' sperimentata da vari gruppi di donne in alcune situazioni conflittuali di questi ultimi anni, una modalita' organizzativa auto-gestita che si nutre di decisioni "orizzontali" e non verticistiche o solitarie. Non abbiamo potuto fermare le guerre, il cammino e' ancora tutto da fare, ma abbiamo cercato di contrastarle con chiari atti teorici, politici, corporei, pragmatici che affermavano una diversa visione del mondo. Documenti e appelli contro i nazionalismi, proteste di piazza, interposizione pacifista sul luogo dei conflitti, aiuto materiale e morale alla popolazione profuga, sostegno ai civili che nei luoghi di guerra continuano coraggiosamente a lavorare per il rispetto dei diritti umani. Semi che potranno germogliare se si continuera' a curarli. L'importante e' evitare il rischio di appiattirci su modelli dati, su azioni di pace condivisibili ma neutre, pensate soltanto al maschile, invece di contaminare con la nostra differenza le strategie, le politiche, e quindi la societa', destrutturandone l'intreccio patriarcal/bellicista e integrandovi quel "principio femminile" la cui assenza spiega gran parte degli squilibri, delle follie e delle tragedie di cui e' costellato il pianeta. Questo non per farne un terreno esclusivo delle donne, una specie di recinto, ma al contrario proponendo anche agli uomini la cultura della relazione, della mediazione e del dialogo come un modello forte da intraprendere insieme. 2. EDITORIALE. NORMANNA ALBERTINI: LA PEDAGOGIA NERA (UN CONTRIBUTO ALLA RIFLESSIONE PROPOSTA DA GIANCARLA CODRIGNANI) [Ringraziamo Normanna Albertini (per contatti: normanna.a at libero.it) per questo intervento. Normanna Albertini e' impegnata nella Rete Radie' Resch e in varie attivita' di solidarieta', di pace, per i diritti umani e per la nonviolenza] "Ed io porro' ostilita' tra te e la donna e tra il lignaggio tuo e il lignaggio di lei: esso ti schiaccera' la testa e tu lo assalirai al tallone". "Tu eri perfetto nella tua condotta quando fosti creato, finche' non si trovo' in te malvagita'. Con l'abbondanza del tuo commercio ti riempisti di violenza e di peccati; io ti disonorai cacciandoti dal monte di Dio! Ti feci perire, cherubino guardiano, cacciandoti via dalle pietre di fuoco! Il tuo cuore s'inorgoglo' per la tua bellezza; perdesti la sapienza a causa del tuo splendore... Con l'abbondanza delle tue colpe, con la malvagita' del tuo commercio profanasti i tuoi santuari... Diventasti oggetto di terrore e non sarai mai altro che terrore". Sono un passo della Genesi e uno di Isaia. Credo che la donna sia la custode della creazione. Credo che la donna sia stata e continui ad essere immolata ad un orizzonte culturale maschile che ne annienta le capacita' e la creativita' in nome del potere dei soli maschi, purtroppo a scapito della piena realizzazione di tutta l'umanita'. Credo che il serpente, colui che strisciando si mette di traverso (diavolo vuol dire questo, no? Di traverso) sia proprio l'idolatria del potere, dell'oro, della ricchezza. Ed e' poi la morte, la guerra, la follia, l'infelicita' di un mondo guidato da maschi votati alla distruzione. Sembra quasi che l'impossibilita' di generare, che e' propria della donna e... di Dio soltanto, crei nel maschio il desiderio di distruggere. E la violenza del maschio perpetrata nei millenni sulla donna l'ha talmente piegata, distrutta, spezzata interiormente, da renderla inconsapevole complice delle sue malefatte e della sua psicosi distruttiva. Cosi' nasce la pedagogia nera, quella che forma i criminali e i piu' grandi tra i criminali: gli uomini di potere. E a questo modo di crescere i figli collaborano anche le donne. "La punizione segui' in grande stile. Per dieci giorni, troppi per qualsiasi coscienza, mio padre benedisse con un righello affilato le palme aperte di suo figlio, che aveva quattro anni. Sette colpi ogni giorno su ogni mano fanno centoquaranta colpi e qualcosa di piu': la fine dell'innocenza di un bambino. Che cosa mai sia successo in paradiso con Adamo, Eva, Lilith, il serpente e la mela, le giuste saette bibliche, il fragore dell'Onnipotente e il suo dito teso a cacciar via, io non lo so. Fu mio padre che mi scaccio' di la'" (Christoph Meckel, 1979). Il lignaggio della donna schiaccera' mai la testa del serpente? La creatura umana e' ancora in evoluzione. L'uomo completo, l'uomo vero e' Gesu' Cristo. Forse l'umanita' riuscira' ad arrivarci, ma prima le donne dovranno riuscire a liberarsi di tutta la violenza che da sempre hanno assorbito e che le rende complici della violenza maschile. Ed aiutare a liberare i loro compagni dal culto della morte. Allora schiacceremo la testa alla Bestia e la smetteremo di far nascere esseri ad immagine e somiglianza di Dio per poi affamarli, schiavizzarli, torturarli, massacrarli. Smetteremo di produrre carne per le trincee. Smetteremo di crocifiggere Dio. Consiglio la rilettura di: - George Duby, Michelle Perrot, Storia delle donne; - Alice Miller, La persecuzione del bambino; - Alice Miller, La chiave accantonata; - Alexander Lowen, Il narcisismo; - e, infine, il bellissimo vangelo di Marco. Se non fosse per Gesu' Cristo, io che donna sarei? Un abbraccio, continuate cosi'. Normanna 3. RIFLESSIONE. IMMA BARBAROSSA: PER UN'EUROPA NEUTRALE, DISARMATA E ACCOGLIENTE [Riprendiamo questo intervento dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net). Imma Barbarossa e' una delle piu' autorevoli intellettuali e militanti femministe e pacifiste] Le proposte politiche della Convenzione permanente di donne contro le guerre: di questo e di altro la Convenzione discute il 13 dicembre a Roma alle ore 14 presso l'ex Hotel Bologna. Uno dei seminari contro la guerra, promossi a Firenze da associazioni di donne, e' stato tenuto dalla Convenzione permanente di donne contro le guerre, con il titolo "Per un'Europa neutrale e disarmata". Le donne della Convenzione, nata nel 1999 durante la guerra "umanitaria" del governo D'Alema, avvertirono subito la necessita' di andare oltre le pur giuste e necessarie manifestazioni contro quella e le altre, oramai prevedibili, guerre: si sentiva forte il bisogno di un'analisi "antica e moderna" insieme non solo delle ragioni economiche delle guerre, ma anche dei meccanismi strutturali e mentali, delle forme vecchie e nuove del militarismo e dei nazionalismi. Si e' costruita, percio', l'associazione Rosa Luxemburg, che ha sede a Firenze, e che dal nome della grande Rosa trae motivo e spunto per una lettura delle modalita' passate e presenti con cui la guerra si manifesta. Insomma, se e' vero che le guerre oggi sono il precipitato della globalizzazione neoliberista, dello squilibrio, delle disuguaglianze e delle volonta' di potenza dell'Occidente, ci sembra altrettanto vero che per comprendere a pieno (e contrastare) il carattere permanente, invisibile e percio' pervasivo della guerra infinita con cui si apre il nuovo millennio, e' indispensabile cogliere i nessi con una tradizione piu' complessa e piu' onnivora della storia umana, quella del patriarcato, delle sue categorie, delle sue strutture materiali e mentali, del suo linguaggio, del suo simbolico. Il senso comune ne e' impregnato, al punto che la guerra (e la morte per guerra) e' considerata un evento della natura, un fatto inevitabile. E di conseguenza le modalita' di comunicazione tra essere umani sono impregnate di termini e immagini militari. Il femminismo pacifista, proprio per aver colto i nessi tra guerra, militarismo, pratiche maschili, patriarcato, ha avviato da tempo una destrutturazione dell'immaginario e del simbolico di guerra, dal nesso sacrificio/eroismo/morte alla dialettica paura/coraggio e alle armi come protesi del corpo maschile. Non per fare letteratura, ma per denudare della patina eroica e romantica il militarismo, gli eserciti, il nesso tra religioni, eserciti, violenza, la morte per la patria, e per metterne in evidenza la miseria materiale e simbolica. Queste sono le ragioni profonde che mettono in relazione le donne della Convenzione, nella convinzione che esercitare il conflitto di genere e' pratica ineludibile per le donne, per le femministe. E qui anche sta il nucleo di proposte politiche che la Convenzione avanza alle donne e al movimento: le proposte di un'Europa disarmata, soggetto di politica attiva verso le aree del Mediterraneo, con una dichiarazione di "neutralita'" e di opposizione attiva a tutte le guerre, di ripudio della guerra come strumento per dirimere le controversie internazionali, dichiarazione da iscrivere nella Costituzione europea. Una tale dichiarazione impedirebbe ai paesi della Unione Europea la partecipazione a guerre comunque camuffate, la cessione dell'uso del proprio territorio per le basi militari, il commercio (e la costruzione) di armi di qualsiasi genere. Ma questa dichiarazione va assolutamente accompagnata ad una politica di accoglienza e di apertura materiale, sociale, mentale e simbolica delle frontiere, e ad una riscrittura della cittadinanza non come diritto di sangue o di nascita o di nazione, ma diritto a vivere e a convivere nel luogo in cui si approda. Senza questa apertura l'Europa sarebbe una fortezza, una cittadella. L'attraversamento delle frontiere e' la nostra proposta forte, visto che siamo nel cuore del Mediterraneo, che e' sempre stato un mare di commerci, ma anche (forse percio') un mare di sangue, di guerre per il dominio e per il potere. Su questo c'e' stato un primo appello della Convenzione, sottoscritto da moltissime donne (e anche da uomini). Di questo e di altro la Convenzione discute il 13 dicembre a Roma alle ore 14.00 presso l'ex Hotel Bologna. 4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: ALLA VIOLENZA SI DEVE RISPONDERE CON LA NONVIOLENZA [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per averci trasmesso questo intervento, di risposta ad una lettera diffusa in una lista di discussione pacifista, precedente alla vicenda dell'attentato terroristico alla questura di Genova. Enrico Peyretti e' una della figure piu' prestigiose della cultura della pace, e un ammirevole amico della nonviolenza] Alla violenza strutturale e talora, come a Genova, diretta, si deve rispondere con la nonviolenza piu' assoluta e chiara, per poter essere di qualita' alternativa, ed anche poter essere compresi da tutti come tali: alternativi, non uguali e contrari. Il movimento deve criticare con decisione chi ritiene di dovere "difendersi" in modo tale da imitare, e cosi' confermare, i metodi violenti. Se si vuol fare "disobbedienza civile" bisogna, come Socrate, come Gandhi, essere disposti a pagare il prezzo, ad accettare le conseguenze. Solo questo dimostra agli occhi di tutti la sincerita' e superiorita' delle proprie intenzioni e la differenza dei propri valori e della propria idea di societa'. C'e' la nostra solidarieta' umana per gli accusati, di cui comprendiamo l'indignazione e le intenzioni giuste, ma, nel caso in cui fossero davvero autori di azioni violente verso le persone o le cose, ci sarebbe anche la critica dispiaciuta ma precisa. La critica degli amici e' anch'essa solidarieta'; non e' l'accusa degli avversari. E chi ha ceduto, anche in parte, alla violenza, e' giusto che lo riconosca. E' esemplare cio' che scrive il nodo Lilliput di Genova: "Fin dall'anno scorso M. M. [e' nostra la scelta di aver omesso qui il nome completo della persona, indicato per esteso nel comunicato della Rete Lilliput genovese - ndr -] ha sempre detto 'cio' di cui mi accusano e' vero, paghero' per questo'. A quando la stessa dignita' da parte degli appartenenti alle forze dell'ordine che hanno commesso violenze e da chi le ha dirette?" (Rete Lilliput - Nodo di Genova). O la lotta per la giustizia e' giusta nei fini come nei mezzi, oppure non e' lotta per la giustizia, ma involontaria collaborazione col sistema dell'ingiustizia, il quale nulla desidera di piu' che trovarsi davanti avversari violenti, che gli sono utilissimi, perche' sono la sua copia e perche' dimostrano che dalla violenza non c'e' uscita. Chi crede invece che ci sia uscita deve dimostrarlo. Cio' deve valere nel modo piu' chiaro per tutte le occasioni prossime. Firenze e' stato un bel momento, positivo, ma anche - notano diversi - per il fatto che non c'era un obiettivo di fronte, come a Genova. Io invece penso che quel momento sia stato cosi' anche grazie al fatto che il movimento, tra Genova e Firenze, ha meditato sulla violenza propria oltre che su quella dell'impero. Eppure bisogna diventare capaci, ciascuno interiormente, e tutti insieme, di opporre la forza nonviolenta, cioe' umana, forte di verita' e giustizia, alla violenza del dominio, anche quando questo si manifesta in tutta la sua arroganza, come a Genova. Invece, nel movimento, troppe voci rumorose, blandite e adescate dai media, suonano ancora affascinate dalla stessa violenza che vogliono combattere. O il movimento si fa tutto schiettamente e coraggiosamente nonviolento positivo, oppure fallira' e avra' giocato a favore dell'impero, per averlo sostanzialmente imitato. Questo e' cio' che devo seriamente pensare, davanti ai fatti. 5. MEMORIA. GIOVANNI COLOMBO: PER ANTONINO CAPONNETTO, IL GIUDICE DELLE DUE ROSE [Dalla mailing list "Peacelink news" riprendiamo questo intervento di Giovanni Colombo (per contatti: giovanni.colombo at fastwebnet.it). Giovanni Colombo e' consigliere comunale di Milano e presidente della Rosa Bianca, l'associazione che si richiama ai martiri della Resistenza antinazista e all'insegnamento di Lazzati] All'uscita dalla camera ardente di Paolo Borsellino aveva esclamato con voce rotta dall'emozione: "E' finita, e' finita...". Ma subito si penti' di quelle parole di sconforto e decise di dedicare gli ultimi anni della sua vita a seminare speranza. "Non dobbiamo mai avere paura di sognare e di sperare. E' una ricchezza interiore che dobbiamo coltivare. Dobbiamo affrontare le difficolta' tenendoci per mano, sperando e sognando. Credo che l'avvenire stia dalla nostra parte. Quando nelle scuole mi chiedono se in un mondo cosi' si puo' avere speranza, rispondo sempre con le parole di padre Turoldo: 'Sperare e' da eroi, ma non se ne puo' fare a meno'. Oggi si deve sperare. Il dovere di ciascuno di noi e' proiettare l'animo verso il domani, verso la speranza. Solo cosi' potremo fare passi in avanti. E ci troveremo a uscire dalla notte" (intervento alla scuola della Rosa Bianca, Brentonico, 24 agosto 1994). Nino Caponnetto, cuore tenero e spirito forte, lo ricordo cosi': mentre alla fine degli incontri, saluta il pubblico con le dita alzate in segno di vittoria. Lui, cosi' fragile fisicamente, cosi' riservato e delicato, cosi' anti-eroe, mostrava una determinazione fuori dal comune nel combattere la buona battaglia per una giustizia autentica. Per tre volte abbiamo raccolto le firme per la sua nomina a senatore a vita. Non ce l'abbiamo fatta. Purtroppo sono altri i personaggi che s'ammantano di tale titolo. Lui pero' non se l'e' presa e ha tirato dritto, prodigandosi fino all'ultimo negli incontri nelle scuole per scuotere le coscienze giovanili. Sulla sua bara i familiari hanno messo la toga e due rose: una rosa rossa, simbolo di dedizione e amore, e una rosa bianca, simbolo di saggezza e candore. Splendida sintesi della sua esistenza. Grazie, nonno Nino, giudice delle due rose. Le rose hanno dato tutto e ora muoiono, che e' un modo di dare ancora. 6. MAESTRE. ROSA LUXEMBURG: IERI [Da una delle lettere dal carcere di Rosa Luxemburg, detenuta come oppositrice della guerra, del gennaio 1918. in Eadem, Lettere 1893-1919, Editori Riuniti, Roma 1979, p. 253. Rosa Luxemburg, 1871-1919, e' una delle piu' limpide figure del movimento dei lavoratori e dell'impegno contro la guerra e contro l'autoritarismo. Assassinata, il suo cadavere fu gettato in un canale e ripescato solo mesi dopo; ci sono due epitaffi per lei scritti da Bertolt Brecht, che suonano cosi': Epitaffio (1919): "Ora e' sparita anche la Rosa rossa, / non si sa dov'e' sepolta. / Siccome ai poveri ha detto la verita' / i ricchi l'hanno spedita nell'aldila'"; e Epitaffio per Rosa Luxemburg (1948): "Qui giace sepolta / Rosa Luxemburg / Un'ebrea polacca / Che combatte' in difesa dei lavoratori tedeschi, / Uccisa / Dagli oppressori tedeschi. Oppressi, / Seppellite la vostra discordia". Opere di Rosa Luxemburg: segnaliamo due fondamentali raccolte di scritti in italiano: Scritti scelti, Einaudi; Scritti politici, Editori Riuniti (con una ampia, fondamentale introduzione di Lelio Basso). Opere su Rosa Luxemburg: Lelio Basso (a cura di), Per conoscere Rosa Luxemburg, Mondadori; Paul Froelich, Rosa Luxemburg, Rizzoli; P. J. Nettl, Rosa Luxemburg, Il Saggiatore; Daniel Guerin, Rosa Luxemburg e la spontaneita' rivoluzionaria, Mursia; AA. VV., Rosa Luxemburg e lo sviluppo del pensiero marxista, Mazzotta. Ovviamente si veda anche il noto saggio di Lukacs, Rosa Luxemburg marxista, in Gyorgy Lukacs, Storia e coscienza di classe, Sugar] Ieri purtroppo l'atmosfera era cosi' disagevole che le parole mi si gelavano in bocca. 7. MAESTRE. NADINE GORDIMER: LA GENTE SI ERA ORMAI ABITUATA [Da Nadine Gordimer, Lettera da Johannesburg, 1976, in Eadem, Vivere nell'interregno, Feltrinelli, Milano 1990, p. 120. Nadine Gordimer e' una grande scrittrice sudafricana, impegnata contro l'apartheid, Premio Nobel per la letteratura. Opere di Nadine Gordimer: oltre i suoi numerosi volumi di racconti e romanzi (tra cui: Un mondo di stranieri, Occasione d'amore, Il mondo tardoborghese, Un ospite d'onore, La figlia di Burger, Luglio, Qualcosa la' fuori, Storia di mio figlio, tutti presso Feltrinelli; Il bacio del soldato, presso La Tartaruga) segnaliamo Vivere nell'interregno, Feltrinelli, Milano 1990; Scrivere ed essere, Feltrinelli, Milano 1996. Opere su Nadine Gordimer: AA. VV., Nadine Gordimer: a bibliography of primary and secondary sources, 1937-1992, Hans Zell, London 1994] La ragazza quindicenne andava ad aggiungersi all'elenco dei decessi; mi resi conto che nessuno era rimasto colpito dalla natura specifica di questa morte: l'uccisione di una ragazzina da parte di un proiettile della polizia. Come dopo il cambio di stagione, nell'aria non restava piu' nulla. Come era successo con tante altre cose impensabili, la gente si era ormai abituata al fatto che durante i disordini i ragazzi perdessero la vita. 8. RIFLESSIONE. BIAGIO DI PASQUALE: A SOSTEGNO DELLA "RAGIONEVOLE PROPOSTA" [Biagio Di Pasquale e' un collaboratore del Centro di ricerca per la pace di Viterbo. Lo ringraziamo di questa lettera] Mio buon amico, mi chiedi un'opinione sulla "ragionevole proposta" di salvare la vita agli esseri umani che oggi trovano la morte in mare nel tentativo di sfuggire alla miseria ed alle persecuzioni, alla fame ("frusta dei popoli"), alle guerre, alle dittature; proposta che consiste nel garantire a tutti l'ingresso legale nel nostro paese ed offrire a chi piu' ne ha diritto e bisogno (le persone la cui condizione e' quella prevista dal comma terzo dell'art. 10 della Costituzione italiana) un servizio di trasporto pubblico e gratuito. La mia opinione, detta senza circonlocuzioni, e' che sono d'accordo. Sono d'accordo perche' e' evidente che quelle persone muoiono perche' vittime di un'ingiustizia a cui anche il nostro paese coopera negando loro di trovar scampo qui, quello scampo che la nostra legge fondamentale riconosce essere un loro diritto. Io sono di quelli che pensano che le leggi vadano prese sul serio. E sono di quelli che pensano che non si possa stare a cincischiare quando si tratta di decidere se salvare delle vite umane o condannarle a perire tra i piu' atroci tormenti: credo che compito primo di ogni appartenente alla comunita' umana sia quello di salvare dalla morte piu' esseri umani che possa. Che altro dire? Possa questa "ragionevole proposta" divenire presto legge dello Stato, poiche' legge della coscienza lo e' gia'. 9. RIFLESSIONE. FILIPPO GENTILONI: LA BIBBIA, IL CRISTIANESIMO E I MIGRANTI [Riprendiamo questo articolo dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 dicembre 2002. Filippo Gentiloni e' un prestigioso saggista, ha partecipato attivamente al movimento delle Comunità di base; tra i suoi vari utili libri segnaliamo particolarmente Abramo contro Ulisse, Claudiana, Torino 1984] La questione della accoglienza - anzi, non accoglienza - agli immigrati voluta dalla legge Bossi-Fini dovrebbe ostacolare il rapporto fra chiesa cattolica e governo Berlusconi. Dovrebbe, sia per l'importanza della questione in se stessa, sia per il posto che occupa nell'insieme del pensiero cristiano. In realta' il conflitto e' addirittura inesistente o fortemente attutito a livello delle gerarchie, indubbiamente soddisfatte per i favori ottenuti, ultimo il ruolo per gli insegnanti di religione. Rimane, invece, il conflitto in sede locale, dal sud al nord, anche se da tutte e due le parti si cerca di farlo dimenticare. "L'immigrazione ci divide oggi e ancora piu' ci dividera' in futuro" scrive "Famiglia cristiana" sotto il titolo eloquente "Siamo talebani o buonisti?". Coloro che guardano agli immigrati con paura e chi li considera in modo fiducioso. Per il cristianesimo - cattolico e non - si tratta di una questione assolutamente cruciale, centrale. L'accoglienza allo straniero non e' una nota a margine, un di piu'. Fa parte essenziale di un atteggiamento, di una cultura, di un'etica. Perche' aveva fatto parte essenziale di una storia, quella biblica. Si veda, fra i molti testi che la illustrano, quello ottimo di Carmine Di Sante, Lo straniero nella bibbia, con il sottotitolo Saggio sull'ospitalita' (Citta' aperta edizioni). Chi, invece, insiste sulla identita' da salvaguardare e quindi sui limiti alla ospitalita', non ha letto la Bibbia, soprattutto non puo' dirsi cristiano. Come fa oggi Bossi e con lui una parte del nostro nord-est - tradizionalmente ritenuto molto cattolico e patria di molti missionari - a sostenere la chiusura delle porte proprio in nome del nostro cristianesimo? Non manca la reazione cristiana, come si e' visto a Treviso in questi giorni di fine Ramadan, ma si tratta di una reazione ancora parziale e insufficiente. Come potra' giudicare il resto del mondo il nostro cristianesimo? Non bastano certo i documenti pontifici, ne' possono bastare i gesti anche eroici di molti volontari cristiani che cercano di accogliere gli immigrati gettati sulle spiagge del sud. I cosiddetti campi di "accoglienza" sono quasi dei lager, in attesa del rimpatrio forzato. Questa e' l'immagine di se stesso che il cristianesimo da' allo straniero, proprio l'opposto di quella della Bibbia. Di Sante, fra i testi che aprono il saggio, cita don Milani: "Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dico che nel vostro senso, io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati ed oppressi da una lato, privilegiati e oppressori dall'altro". E Di Sante: "Tra le grandi letterature, quella biblica e' l'unica che presenta lo straniero non come minaccia da espellere e solo parzialmente da tollerare , bensi' come 'finestra' o 'fessura' dalla quale guardare e rileggere il reale, come luogo 'teologico' e 'metafisico' dove Dio - l'Assoluto - irrompe nella storia ed eleva l'io dal piano della soddisfazione di se' all'altezza della responsabilita' per l'altro". Questa "antropologia dell'ospitalita'" deve dunque essere una nuova antropologia e una nuova etica. Da questa, non da una qualifica sulla carta d'identita', si dovrebbero riconoscere i cristiani. Quindi dalla contestazione a leggi del tipo di quella Bossi-Fini. Una contestazione decisa ed autorevole, della quale siamo ancora in attesa. 10. VOCI. ALEX ZANOTELLI: NO ALLA GUERRA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 dicembre 2002. Padre Alex Zanotelli, missionario cattolico, e' una delle voci piu' note del movimento per la pace] E'un momento grave questo per l'umanita'. Forse uno dei suoi momenti piu' gravi. Si tratta di vita e di morte per il pianeta, per la razza umana. Questa assurda guerra all'Iraq diventa il simbolo di una scelta radicale di fondo. Dobbiamo scegliere da che parte stiamo, se dalla parte della vita o della morte. Non si puo' piu' barare. Il 20% del mondo e' ormai deciso a continuare a papparsi l'83% delle risorse del mondo. Anzi puo' assicurarsi con le armi di continuare a farlo. Le armi servono oggi a garantire che pochi possano continuare a papparsi quasi tutto a spese di molto morti di fame. Solo lo strapotere delle armi puo' permetterci questo. Infatti utilizzando l'11 settembre il complesso industriale militare americano ha forzato il governo americano ad investire 500 miliardi di dollari in armi. Bush ha gia' firmato giorni fa un bilancio della difesa di 378 miliardi di dollari e l'Europa dovrebbe investire 250 miliardi di dollari. E' un'altra maniera, questa, per rilanciare l'economia mondiale in recessione. Secondo, gli Usa stanno rinnovando tutto l'armamentario atomico (60 miliardi di dollari). Gli Usa affermano che useranno l'atomica ovunque i loro interessi militari saranno minacciati. Terzo gli Usa hanno gia' stanziato 70 miliardi di dollari per la costruzione dello scudo spaziale. Quarto gli Usa hanno gia' messo da parte 100 miliardi di dollari per la guerra contro l'Iraq (gli esperti dicono che ci costera' circa 200 miliardi di dollari). Questa e' una macchina da guerra infernale per lottare contro il "terrorismo internazionale". Ma dobbiamo pur chiederci: chi sono i terroristi? Non siamo forse noi che costruiamo un folle arsenale per proteggere lo stile di vita del 20% del mondo? E' stato lo stesso ministro della difesa americano Rumsfeld a dirlo. Quando gli e' stato chiesto cosa ritenesse vittoria nella nuova guerra contro il terrorismo ha risposto che per lui sarebbe vittoria se tutto il mondo accettasse che gli americani siano liberi di continuare con il loro stile di vita. E gli americani sono disposti ad usare anche l'arma atomica se i loro interessi vitali saranno minacciati. Questa e' follia collettiva! Per questo dobbiamo dire un no categorico a questa guerra. E' un momento di non ritorno. Altrimenti sara' la guerra infinita. E' una questione morale ed etica per tutti (credenti e non). Non puo' esistere una "guerra preventiva" (e' importante l'editoriale dell'ultima "Civilt?a' Cattolica" che bolla senza mezzi termini questa guerra). Gli ingenti investimenti in armi tolgono risorse alla vita: con 13 miliardi di dollari potremmo risolvere fame e sanita' per un anno e per tutto il mondo. Ma questo sistema uccide poi lo stesso pianeta il cui stato di salute e' gia' cosi' precario. Questa guerra sara' un'altra botta ecologica incredibile. E la guerra nucleare resta una reale possibilita' in questa guerra all'Iraq (e' il monito che ci viene rivolto da tanti scienziati). Insieme a tanti pensatori (Rene' Girard, Bailey, ecc) ritengo che stiamo attraversando la piu' grave crisi che l'homo sapiens abbia mai vissuto: il genio della violenza e' fuggito dalla bottiglia e non esiste piu' nessun potere che potra' rimettervelo dentro. All'umanita' rimane solo una scelta: rendere tabu' la violenza e la guerra. L'umanita' ha fatto una simile operazione con l'incesto che era praticato nelle antiche societa'. Quando l'uomo vide che l'incesto faceva male alla razza umana lo ha reso tabu'. Penso che non ci resta che questo: rendere tabu' la guerra e la violenza. E' questo il salto di qualita' che l'umanita' e' chiamata a fare. E' la scelta della nonviolenza attiva come praticata da Gesu', Gandhi, Martin Luther King. E' una scelta di civilta'. E' l'unica strada che ci rimane. 11. VOCI. GINO STRADA: NO ALLA GUERRA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 dicembre 2002. Gino Strada, medico in zone di guerra, e' il fondatore dell'associazione umanitaria "Emergency"] Due mesi fa avevamo chiesto ai cittadini di dare un segno di pace per il 10 dicembre, nell'anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani. Avevamo chiesto di portare stracci bianchi, candele e bandiere di pace nelle piazze delle nostre citta', dei nostri comuni, per dire che non vogliamo guerre nel futuro dei nostri figli. Per tenere l'Italia fuori dalla guerra. E la guerra fuori dall'Italia. Oggi, in Italia, sta succedendo qualche cosa di nuovo. L'iniziativa "Fuori l'Italia dalla guerra", lanciata da Emergency, Libera, Rete Lilliput e Tavola della Pace, e' stata rigorosamente, scientificamente ignorata dai grandi mezzi di comunicazione televisivi e della carta stampata. A volte, quando frettolosamente ne e' stata data notizia, se ne e' travisato il significato presentandola come una "manifestazione di protesta". Eppure la censura, in questo caso, non ha funzionato. Ne' hanno funzionato le stupidaggini dei vari "opinionisti" guerrafondai, pagati per trasformare l'informazione in spot pubblicitario della guerra. E' successo che le persone, i cittadini, hanno ripreso a parlarsi, a interrogarsi sulla guerra e sulla pace, a comunicare gli uni agli altri il disagio, l'angoscia - o piu' semplicemente la perplessita' - per un mondo che anziche' progredire si ritrova, un'altra volta, sull'orlo di un conflitto che sara' devastante per tutti. Un mondo sul quale si proietta come un'ombra lo spettro di un conflitto - l'attacco all'Iraq - che potrebbe allargarsi, e nel quale potrebbero essere usati anche ordigni nucleari. Cosi', nonostante la censura, o forse proprio a causa della censura, e' scattato il passaparola: oggi in centinaia di citta' si svolgeranno iniziative contro la guerra. Milioni di cittadini saranno coinvolti, in questa gigantesca dimostrazione nonviolenta, esprimeranno la loro voglia pace. Regioni, Province, Comuni, centinaia di scuole, centinaia di associazioni di volontariato cattoliche e laiche, sindacali, centinaia di migliaia di famiglie diranno oggi con noi no alla guerra. Negli ultimi decenni, decine di conflitti hanno insanguinato il pianeta producendo milioni di vittime e un enorme carico di disperazione e di poverta'. Nel terzo millennio ancora non riusciamo a mettere al bando la guerra come mezzo di risoluzione dei nostri problemi. Perche'? Perche' non siamo capaci di trovare strategie alternative? Il mondo in cui viviamo non e' un quel "villaggio globale" che molti si ostinano a farci credere. Di villaggi, infatti, ce ne sono almeno due: il primo, di medie dimensioni - conta solo un miliardo e duecentomila persone - consuma l'83% delle risorse del pianeta. Di fronte a questo dato statistico si passa oltre frettolosamente, si prosegue nella lettura. Invece occorrerebbe rileggere la frase fino ad impararla a memoria, e a capirne il senso, perche' li' dentro c'e' tutta la cattiva coscienza - e soprattutto il crimine - del mondo sviluppato, civilizzato, democratico, libero. Noi di Emergency, da cittadini di quel villaggio, crediamo sia un dovere morale riconoscere che ai quattro aggettivi di cui sopra dovremmo mettere le virgolette, per toglierle solo quando avremo risarcito e restituito il maltolto. Perche' noi consumiamo l'83% delle risorse di tutti, e siamo solo il 20 per cento della popolazione mondiale. E allora la nostra liberta' e i nostri lussi, il potere e il danaro che ostentiamo ogni momento, tutto quello che abbiamo, insomma, e' nostro, in buona parte, perche' lo abbiamo sottratto ad altri. Certo non siamo andati noi personalmente a rubare di notte, ma e' un fatto che nei Paesi dai quali importiamo frutti esotici per i nostri party gli esseri umani muoiono a milioni. Loro, abitanti del secondo villaggio - di dimensioni enormi, in cui vivono quattro miliardi e settecento milioni di persone - sono nella situazione di doversi spartire quel 17% delle risorse rimasto disponibile. La', in quel villaggio, gli esseri umani nel terzo millennio muoiono di fame e di malattie, di poverta' e di guerre. Riusciamo ancora, noi democratici, donne e uomini liberi, a capire che cosa voglia dire morire di fame? Riusciamo a immaginare i mesi, i giorni, le ore che precedono la morte di un uomo, quando la sua vita si spegne semplicemente perche' non ha nulla da mangiare? In quello sterminato villaggio si muore di poverta', perche' chi deve tirare avanti con un dollaro al giorno spesso mangia poco e male, e vive in immondezzai, dove abitano anche malaria e tubercolosi, e alla fine, per una ragione o per l'altra o per tutte insieme, muore. E si muore per le guerre. Conflitti tribali, sentenziano in molti, con il disprezzo tipico degli ignoranti, "si ammazzano da sempre, sono dei selvaggi". Non ci meraviglia che ci sia tanta violenza dove la vita e' misera, squallida e umiliante per tutti. Stupisce, piuttosto, che i grandi media liberi e indipendenti non facciano sapere ai cittadini che l'85% delle armi che massacrano donne e bambini in quei conflitti provengono dai rispettabilissimi paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu, che le vendono ai dittatori e ai macellai di turno. La maggior parte dei conflitti oggi in corso, e di quelli cui abbiamo assistito negli ultimi quarant'anni, sono stati incoraggiati, finanziati, armati, e in qualche caso pianificati dall'uno o dall'altro di quei paesi che insieme dovrebbero garantire "la sicurezza del pianeta". Perche' lo hanno fatto, e lo stanno facendo: liberte' e democrazia, giustizia e diritti umani? Non prendiamoci in giro, sappiamo tutti benissimo che lo fanno per interessi economici, cioe' perche' in quei paesi c'e' chi sulle guerre guadagna enormi quantita' di danaro. Loro, le grandi lobbies che decidono le scelte politiche, sono una piccolissima parte del nostro villaggio, una specie di quartiere residenziale molto esclusivo: famiglie potenti, padroni del petrolio e delle armi, della finanza e dell'informazione, tanto per incominciare. Hanno preso il potere in moltissimi paesi, a volte, dove sono riusciti, perfino in modo "democratico", imbottendo i cittadini di false informazioni per carpirne il consenso e il voto. "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignita' e diritti" afferma l'articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. E' stata sottoscritta anche dall'Italia. E' davvero cosi', per gli esseri umani che nascono nel 2003 sul pianeta Terra? C'e' giustizia nel mondo in cui viviamo, c'e' solidarieta' tra gli esseri umani? Agiscono, come dovrebbero in base all'articolo 1 della Dichiarazione universale, "gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza"? Il 10 dicembre del 1948, poco dopo la fine di una guerra devastante, e' stata scritta la Dichiarazione universale dei diritti umani. Nel preambolo, l'assemblea generale dell'Onu considera il riconoscimento dei diritti umani, uguali e inalienabili per tutti gli esseri umani, come "il fondamento della liberta', della giustizia e della pace nel mondo". La Dichiarazione universale e' stato il tentativo di definire le regole del nostro stare insieme, i diritti di ciascuno di noi, i valori da promuovere perche' l'orrendo massacro non avesse a ripetersi, mai piu'. Per cancellare l'incubo dell'olocausto e di Hiroshima. A 54 anni da quella Dichiarazione, non uno dei paesi firmatari puo' affermare di averla rispettata. Siamo convinti che le vittime civili siano la prima e forse l'unica verita' della guerra, e che l'alternarsi di governi e dittatori ne siano soltanto, questi si', effetti collaterali. A cinquantaquattro anni da quella solenne Dichiarazione firmata e poi calpestata, siamo arrivati a un punto critico. Dobbiamo ricostruire i rapporti tra gli esseri umani sulla giustizia e sulla solidarieta'. Altrimenti saremo condannati alla autodistruzione, non ci saranno vincitori ne' vinti, l'"esperimento umano" sara' fallito. Praticare la Dichiarazione universale dei diritti umani e' l'unico antidoto per vincere il cancro della guerra che sta divorando il pianeta. E' il primo dei compiti da scrivere nella nostra agenda, riuscirci e' davvero nelle nostre mani. Per questo stasera [10 dicembre 2002 -ndr-]si riempiranno le piazze italiane. Basta guerre, basta morti, basta vittime. 12. VOCI. SERGIO COFFERATI: NO ALLA GUERRA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 dicembre 2002. Sergio Cofferati e' stato fino a poco fa segretario generale della Cgil] Non penso che i contrasti o i conflitti tra i paesi si debbano risolvere mai con la guerra. Credo nell'efficacia della politica e della diplomazia. Ritengo decisiva la capacita' degli stati e delle loro organizzazioni di cercare pazientemente gli equilibri necessari e, ancor di piu', di operare per tempo per prevenire contrasti e conflitti. Non penso che la politica del terrorismo si debba combattere con la guerra. Il terrorismo e' follia perche' uccide gli inermi, a questa atrocita' non si puo' rispondere con un'altra atrocita' che distrugge altre vite inermi. Il terrorismo non ha giustificazioni, mai. Il terrorismo nuoce storicamente alle cause dietro le quali vorrebbe nascondersi. Il terrorismo va combattuto senza tregua, con gli strumenti della polizia, per prevenirlo e reprimerlo consegnando alla giustizia i terroristi. Il terrorismo va combattuto con la politica, dando prova concreta di volere e sapere combattere la poverta', le ingiustizie e le diseguaglianze. Il terrorismo non ha giustificazioni ma il degrado, la negazione della dignita' delle persone, la poverta' che uccide, possono fornire terreno di coltura alla sua follia. Tutti dovrebbero sentirsi impegnati nella costruzione della pace, di una cultura per la pace. E' un impegno quotidiano che non puo' vivere solo quando incombe la guerra, ma deve vivere sempre. Sono tante le azioni positive necessarie e possibili, possono essere fatte da persone con responsabilita' istituzionali, politiche, economiche o da semplici cittadini. Possono riguardare la creazione di un nuovo ordine nel mondo basato sull'affermazione dei principi democratici, sulla lotta all'esclusione e alla poverta', sull'affermazione dei diritti umani. Oppure, piu' modestamente, possono essere atti di solidarieta' verso i piu' deboli o scelte di partecipazione alla costruzione di una forte e visibile cultura della pace e di avversione alla guerra. Il 10 dicembre del 1948, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite approvo' e proclamo' la Dichiarazione universale dei diritti umani. E' forte e voluto il richiamo simbolico ai diritti nelle manifestazioni che si terranno oggi [10 dicembre 2002 -ndr-] in tantissime citta' italiane per la pace, per impedire che il nostro paese partecipi alla guerra annunciata contro l'Iraq. Non bisogna rassegnarsi a considerare "inevitabile" questa assurda ipotesi di guerra e nel contempo bisogna dare visibilita' al sentimento di repulsione verso la guerra che e' proprio di milioni di cittadini. Nella grandissima maggioranza degli italiani il rifiuto alla guerra, come letteralmente previsto dalla Costituzione, e' considerato un diritto fondamentale. Quello di poter vivere in pace. Oggi, nella difesa di questo diritto, si troveranno insieme tantissime persone diverse per cultura, appartenenza, ceto, ed e' questa diversita' la forza maggiore del popolo pacifista. 13. MAESTRE. SIMONE WEIL: LA VERITA' [Da Simone Weil, Quaderni, Adelphi, Milano 1988, volume terzo, p. 75. Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', Se, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994] La verita' si produce al contatto di due proposizioni nessuna delle quali e' vera; e' vero il loro rapporto. 14. LIBRI. PRESENTAZIONE DI IPAZIA (A CURA DI), DUE PER SAPERE, DUE PER GUARIRE [Questa presentazione del libro di Ipazia (a cura di), Due per sapere, due per guarire (apparso nella bella collana dei Quaderni di "Via Dogana", supplemento al n. 32/33 di Via Dogana, settembre 1997), abbiamo tratto dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it). "Ipazia" e' una comunita' scientifica femminile nata a Milano nel 1987] L'hanno definita un'arte, e qualcuno la chiama poesia; la medicina ufficiale, quella che oggi incontriamo negli ospedali e negli ambulatori, e' pero' il frutto di secoli di sforzi per farne una scienza. Ma proprio come scienza oggi conosce una crisi di legittimita', mentre avanza la ricerca e la pratica di altri percorsi di guarigione. Certo chi sta male non sceglie la cura pensando alla fondatezza dei presupposti teorici, anche se questo non e' irrilevante. Chi soffre cerca altro, cerca un aiuto e qualcuna o qualcuno che si prenda cura del suo star male. Attenzione: non stiamo opponendo il calore umano all'astratta freddezza scientifica. Noi pensiamo che se si puo' parlare di crisi della medicina e' per un suo difetto di scientificita', che nasce dall'avere relegato in una posizione periferica il rapporto diretto con i pazienti. Un vecchio detto, che sostiene ciascuno essere il miglior medico di se stesso, ci ricorda una verita' spesso dimenticata: chi porta la malattia stampata nel corpo e nell'anima ne ha una conoscenza unica ed insostituibile, che chi cura deve saper ascoltare ed interpretare con gli strumenti della propria competenza. Quando questo incontro avviene la cura e' efficace e produce nuovo sapere. Di questo parla Due per sapere, due per guarire: le esperienze di pazienti, mediche e infermiere che vi sono riportate sono diverse, ma tutte mostrano come una medicina, qualunque sia la scuola di pensiero o la pratica di cura a cui fa riferimento, possa non solo curare (e, facendo i conti con la limitatezza umana, guarire) ma anche accumulare conoscenza, cioe' essere scientifica, solo se sa far fruttare le potenzialita' contenute nella relazione tra chi ammala e chi cura. 15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 16. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 442 dell'11 dicembre 2002
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