La nonviolenza e' in cammino. 442



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 442 dell'11 dicembre 2002

Sommario di questo numero:
1. Floriana Lipparini, Pina Sardella: per un'Europa neutrale ma non neutra
(un contributo alla riflessione proposta da Giancarla Codrignani)
2. Normanna Albertini: la pedagogia nera (un contributo alla riflessione
proposta da Giancarla Codrignani)
3. Imma Barbarossa, per un'Europa neutrale, disarmata e accogliente
4. Enrico Peyretti, alla violenza si deve rispondere con la nonviolenza
5. Giovanni Colombo: per Antonino Caponnetto, il giudice delle due rose
6. Rosa Luxemburg, ieri
7. Nadine Gordimer, la gente si era ormai abituata
8. Biagio Di Pasquale, a sostegno della "ragionevole proposta"
9. Filippo Gentiloni: la Bibbia, il cristianesimo e i migranti
10. Alex Zanotelli, no alla guerra
11. Gino Strada, no alla guerra
12. Sergio Cofferati, no alla guerra
13. Simone Weil, la verita'
14. Presentazione di Ipazia (a cura di), Due per sapere, due per guarire
15. La "Carta" del Movimento Nonviolento
16. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. FLORIANA LIPPARINI, PINA SARDELLA: PER UN'EUROPA NEUTRALE MA
NON NEUTRA (UN CONTRIBUTO ALLA RIFLESSIONE PROPOSTA DA GIANCARLA CODRIGNANI)
[Ringraziamo Floriana Lipparini (per contatti: effe.elle at tin.it) per averci
inviato, come contributo alla riflessione promossa dall'editoriale di
Giancarla Codrignani di qualche giorno fa, questo intervento suo e di Pina
Sardella, gia' apparso su "Il paese delle donne" (sito: www.womenews.net) il
30 novembre scorso. Floriana Lipparini e Pina Sardella sono impegnate nel
gruppo "Genere e politica" di Milano, nel movimento delle donne e per la
pace]
Le immagini delle giovani donne cecene reclinate sulle poltrone, nella
stanchezza e nel sonno della morte, sono sconvolgenti. Vittime di un feroce
massacro di stato e vittime di uno speculare anche se contrapposto
"patriottismo". Le ragioni o i torti (che non sono equivalenti, tra un
popolo dominatore e un popolo dominato) annegano nel comune substrato
patriarcale e maschile, da cui sempre germinano le guerre e le violenze,
come dal codice genetico una malattia ereditaria.
Giovani donne disperate, che per vendicare l'assassinio dei propri cari
hanno introiettato l'unico modello a disposizione: violenza, guerra. Come
altre donne kamikaze che le cronache degli ultimi anni ci hanno fatto
conoscere. Pero' le vedove cecene non avevano compiuto ancora nessuna
violenza. Non sapremo mai se lo avrebbero fatto, se avrebbero oltrepassato
davvero quella soglia.
Per qualche tempo, dal '45 in poi, in Europa si era creduto che la guerra
fosse ormai sparita dalla storia, pur se nel resto del pianeta si continuava
a combattere, ma era come se la cosa non ci riguardasse.
Poi numerosi eventi hanno distrutto tale illusione d'immunita': prima di
tutto, e' ovvio, il nucleare con la sua minaccia eternamente incombente, e
nell'ultimo decennio le guerre che ci hanno coinvolto direttamente, come nel
Golfo e nel Kosovo, o che ci hanno visto presenti nelle ambigue operazioni
che l'Onu definisce azioni "di pace": in Somalia, in Afghanistan e altrove.
Nel passato la distruzione di altri popoli e' stata spesso giustificata con
artificiosi pretesti, e il militarismo da sempre e' stato usato per
difendere i privilegi dei pochi. Oggi piu' che mai occorre sfatare quegli
alibi, capire e far capire che le guerre vengono combattute in nome del
dominio economico e dell'accaparramento delle risorse primarie, in qualsiasi
luogo del mondo si trovino, depredando le genti a cui naturalmente
appartengono, sconvolgendone la vita, l'economia, persino la morfologia dei
luoghi se questo serve agli scopi di controllo territoriale del nuovo impero
unico.
E' per questo che ormai gli eserciti, secondo il modello di difesa ispirato
alle dottrine militari degli Usa, non hanno piu' il compito di difendere il
"sacro suolo della patria" da improbabili nemici pronti a varcare le
frontiere, ma quello di difendere gli "interessi" occidentali ovunque sara'
necessario. In altre parole, si trasformeranno in una polizia di mercenari
con compiti di rapina ai danni delle popolazioni del sud del mondo.
In queste guerre dei pochi contro i molti, che nessuna ipocrisia potra'
mascherare, le popolazioni civili indifese, che sono in maggioranza donne,
vecchi e bambini, saranno sempre piu' colpite, in una percentuale mai
toccata prima. Nel corso della seconda guerra mondiale il rapporto fra
vittime civili e militari fu del 50 per cento; in questi nuovi conflitti
giunge al 90 per cento.
Ma porre l'accento sui reali motivi contingenti delle guerre non basta. Ci
sara' sempre qualcuno che si alza a parlare in nome della "guerra giusta".
Ci sarà sempre il problema della difesa degli aggrediti. Ecco perche'
occorre andare piu' a fondo. Storicamente e simbolicamente gli uomini hanno
costituito la propria identita' come nazione per mezzo della guerra. Al nord
come al sud, all'est come all'ovest, le nazioni sono state edificate sulla
cultura della guerra. Occorre, quindi, scavare molto a fondo, nel nucleo
patriarcale all'origine dell'oscuro intreccio che ha generato le strutture
socio-politiche, religiose ed etiche ancor oggi dominanti. Uguali ovunque
nel ricorso alla guerra e alla violenza piu' o meno sacralizzate, piu' o
meno argomentate, piu' o meno legittimate.
Date tali premesse, la campagna per un'Europa neutrale si rivela davvero
cruciale e urgente, un campo d'azione primario per le donne. Ma sarebbe
molto importante sottolinearne meglio il carattere non neutro. Rovesciare
l'ideologia nazionalista, decostruirla, coltivare e generalizzare la
capacita' di critica e di presa di distanza dai falsi miti patriottardi e
bellicisti, sfatare l'idea che la guerra sia un dato eterno e immutabile
della storia umana, mettere in discussione identita', rapporti sociali,
sistemi di valori, esaltare i saperi legati all'attivit' di riproduzione
affinche' avvenga un radicale rimescolarsi nell'universo maschile e
femminile. Tutto questo e' un grande terreno di lavoro, per le donne.
Traducendolo, naturalmente, in mille azioni concrete che si possono compiere
in molti campi della vita quotidiana, dalle scelte di consumo e di stile di
vita al boicottaggio di tutti i soggetti privati e pubblici favorevoli alla
guerra, dall'uso di simboli antimilitaristi chiaramente interpretabili (va
bene lo straccio bianco, ma ci vorrebbe qualcosa di piu' leggibile anche da
chi e' distratto, altrimenti non si raggiunge lo scopo), alla diffusione
verbale e scritta, su carta o in rete, di materiali che spieghino
dettagliatamente in quali e quanti modi la guerra colpisca tutti, anche
quando e' geograficamente lontana. Esistono libri e documentari indipendenti
molto efficaci nello spiegare queste realta'. Cerchiamo i soldi per
regalarli a chi ancora non ha capito.
Non partiamo da zero, abbiamo gia' un tratto di storia alle spalle. Possiamo
ritessere i fili di quella modalita' reticolare gia' sperimentata da vari
gruppi di donne in alcune situazioni conflittuali di questi ultimi anni, una
modalita' organizzativa auto-gestita che si nutre di decisioni "orizzontali"
e non verticistiche o solitarie. Non abbiamo potuto fermare le guerre, il
cammino e' ancora tutto da fare, ma abbiamo cercato di contrastarle con
chiari atti teorici, politici, corporei, pragmatici che affermavano una
diversa visione del mondo. Documenti e appelli contro i nazionalismi,
proteste di piazza, interposizione pacifista sul luogo dei conflitti, aiuto
materiale e morale alla popolazione profuga, sostegno ai civili che nei
luoghi di guerra continuano coraggiosamente a lavorare per il rispetto dei
diritti umani.
Semi che potranno germogliare se si continuera' a curarli. L'importante e'
evitare il rischio di appiattirci su modelli dati, su azioni di pace
condivisibili ma neutre, pensate soltanto al maschile, invece di contaminare
con la nostra differenza le strategie, le politiche, e quindi la societa',
destrutturandone l'intreccio patriarcal/bellicista e integrandovi quel
"principio femminile" la cui assenza spiega gran parte degli squilibri,
delle follie e delle tragedie di cui e' costellato il pianeta.
Questo non per farne un terreno esclusivo delle donne, una specie di
recinto, ma al contrario proponendo anche agli uomini la cultura della
relazione, della mediazione e del dialogo come un modello forte da
intraprendere insieme.

2. EDITORIALE. NORMANNA ALBERTINI: LA PEDAGOGIA NERA (UN CONTRIBUTO ALLA
RIFLESSIONE PROPOSTA DA GIANCARLA CODRIGNANI)
[Ringraziamo Normanna Albertini (per contatti: normanna.a at libero.it) per
questo intervento. Normanna Albertini e' impegnata nella Rete Radie' Resch e
in varie attivita' di solidarieta', di pace, per i diritti umani e per la
nonviolenza]
"Ed io porro' ostilita' tra te e la donna e tra il lignaggio tuo e il
lignaggio di lei: esso ti schiaccera' la testa e tu lo assalirai al
tallone".
"Tu eri perfetto nella tua condotta quando fosti creato, finche' non si
trovo' in te malvagita'. Con l'abbondanza del tuo commercio ti riempisti di
violenza e di peccati; io ti disonorai cacciandoti dal monte di Dio! Ti feci
perire, cherubino guardiano, cacciandoti via dalle pietre di fuoco! Il tuo
cuore s'inorgoglo' per la tua bellezza; perdesti la sapienza a causa del tuo
splendore... Con l'abbondanza delle tue colpe, con la malvagita' del tuo
commercio profanasti i tuoi santuari... Diventasti oggetto di terrore e non
sarai mai altro che terrore".
Sono un passo della Genesi e uno di Isaia.
Credo che la donna sia la custode della creazione.
Credo che la donna sia stata e continui ad essere immolata ad un orizzonte
culturale maschile che ne annienta le capacita' e la creativita' in nome del
potere dei soli maschi, purtroppo a scapito della piena realizzazione di
tutta l'umanita'.
Credo che il serpente, colui che strisciando si mette di traverso (diavolo
vuol dire questo, no? Di traverso) sia proprio l'idolatria del potere,
dell'oro, della ricchezza.
Ed e' poi la morte, la guerra, la follia, l'infelicita' di un mondo guidato
da maschi votati alla distruzione.
Sembra quasi che l'impossibilita' di generare, che e' propria della donna
e... di Dio soltanto, crei nel maschio il desiderio di distruggere.
E la violenza del maschio perpetrata nei millenni sulla donna l'ha talmente
piegata, distrutta, spezzata interiormente, da renderla inconsapevole
complice delle sue malefatte e della sua psicosi distruttiva.
Cosi' nasce la pedagogia nera, quella che forma i criminali e i piu' grandi
tra i criminali: gli uomini di potere. E a questo modo di crescere i figli
collaborano anche le donne.
"La punizione segui' in grande stile. Per dieci giorni, troppi per qualsiasi
coscienza, mio padre benedisse con un righello affilato le palme aperte di
suo figlio, che aveva quattro anni. Sette colpi ogni giorno su ogni mano
fanno centoquaranta colpi e qualcosa di piu': la fine dell'innocenza di un
bambino. Che cosa mai sia successo in paradiso con Adamo, Eva, Lilith, il
serpente e la mela, le giuste saette bibliche, il fragore dell'Onnipotente e
il suo dito teso a cacciar via, io non lo so. Fu mio padre che mi scaccio'
di la'" (Christoph Meckel, 1979).
Il lignaggio della donna schiaccera' mai la testa del serpente? La creatura
umana e' ancora in evoluzione. L'uomo completo, l'uomo vero e' Gesu' Cristo.
Forse l'umanita' riuscira' ad arrivarci, ma prima le donne dovranno riuscire
a liberarsi di tutta la violenza che da sempre hanno assorbito e che le
rende complici della violenza maschile. Ed aiutare a liberare i loro
compagni dal culto della morte.
Allora schiacceremo la testa alla Bestia e la smetteremo di far nascere
esseri ad immagine e somiglianza di Dio per poi affamarli, schiavizzarli,
torturarli, massacrarli. Smetteremo di produrre carne per le trincee.
Smetteremo di crocifiggere Dio.
Consiglio la rilettura di:
- George Duby, Michelle Perrot, Storia delle donne;
- Alice Miller, La persecuzione del bambino;
- Alice Miller, La chiave accantonata;
- Alexander Lowen, Il narcisismo;
- e, infine, il bellissimo vangelo di Marco.
Se non fosse per Gesu' Cristo, io che donna sarei?
Un abbraccio, continuate cosi'.
Normanna

3. RIFLESSIONE. IMMA BARBAROSSA: PER UN'EUROPA NEUTRALE, DISARMATA E
ACCOGLIENTE
[Riprendiamo questo intervento dal sito de "Il paese delle donne"
(www.womenews.net). Imma Barbarossa e' una delle piu' autorevoli
intellettuali e militanti femministe e pacifiste]
Le proposte politiche della Convenzione permanente di donne contro le
guerre: di questo e di altro la Convenzione discute il 13 dicembre a Roma
alle ore 14 presso l'ex Hotel Bologna.
Uno dei seminari contro la guerra, promossi a Firenze da associazioni di
donne, e' stato tenuto dalla Convenzione permanente di donne contro le
guerre, con il titolo "Per un'Europa neutrale e disarmata".
Le donne della Convenzione, nata nel 1999 durante la guerra "umanitaria" del
governo D'Alema, avvertirono subito la necessita' di andare oltre le pur
giuste e necessarie manifestazioni contro quella e le altre, oramai
prevedibili, guerre: si sentiva forte il bisogno di un'analisi "antica e
moderna" insieme non solo delle ragioni economiche delle guerre, ma anche
dei meccanismi strutturali e mentali, delle forme vecchie e nuove del
militarismo e dei nazionalismi.
Si e' costruita, percio', l'associazione Rosa Luxemburg, che ha sede a
Firenze, e che dal nome della grande Rosa trae motivo e spunto per una
lettura delle modalita' passate e presenti con cui la guerra si manifesta.
Insomma, se e' vero che le guerre oggi sono il precipitato della
globalizzazione neoliberista, dello squilibrio, delle disuguaglianze e delle
volonta' di potenza dell'Occidente, ci sembra altrettanto vero che per
comprendere a pieno (e contrastare) il carattere permanente, invisibile e
percio' pervasivo della guerra infinita con cui si apre il nuovo millennio,
e' indispensabile cogliere i nessi con una tradizione piu' complessa e piu'

onnivora della storia umana, quella del patriarcato, delle sue categorie,
delle sue strutture materiali e mentali, del suo linguaggio, del suo
simbolico.
Il senso comune ne e' impregnato, al punto che la guerra (e la morte per
guerra) e' considerata un evento della natura, un fatto inevitabile. E di
conseguenza le modalita' di comunicazione tra essere umani sono impregnate
di termini e immagini militari.
Il femminismo pacifista, proprio per aver colto i nessi tra guerra,
militarismo, pratiche maschili, patriarcato, ha avviato da tempo una
destrutturazione dell'immaginario e del simbolico di guerra, dal nesso
sacrificio/eroismo/morte alla dialettica paura/coraggio e alle armi come
protesi del corpo maschile.
Non per fare letteratura, ma per denudare della patina eroica e romantica il
militarismo, gli eserciti, il nesso tra religioni, eserciti, violenza, la
morte per la patria, e per metterne in evidenza la miseria materiale e
simbolica.
Queste sono le ragioni profonde che mettono in relazione le donne della
Convenzione, nella convinzione che esercitare il conflitto di genere e'
pratica ineludibile per le donne, per le femministe.
E qui anche sta il nucleo di proposte politiche che la Convenzione avanza
alle donne e al movimento: le proposte di un'Europa disarmata, soggetto di
politica attiva verso le aree del Mediterraneo, con una dichiarazione di
"neutralita'" e di opposizione attiva a tutte le guerre, di ripudio della
guerra come strumento per dirimere le controversie internazionali,
dichiarazione da iscrivere nella Costituzione europea.
Una tale dichiarazione impedirebbe ai paesi della Unione Europea la
partecipazione a guerre comunque camuffate, la cessione dell'uso del proprio
territorio per le basi militari, il commercio (e la costruzione) di armi di
qualsiasi genere.
Ma questa dichiarazione va assolutamente accompagnata ad una politica di
accoglienza e di apertura materiale, sociale, mentale e simbolica delle
frontiere, e ad una riscrittura della cittadinanza non come diritto di
sangue o di nascita o di nazione, ma diritto a vivere e a convivere nel
luogo in cui si approda.
Senza questa apertura l'Europa sarebbe una fortezza, una cittadella.
L'attraversamento delle frontiere e' la nostra proposta forte, visto che
siamo nel cuore del Mediterraneo, che e' sempre stato un mare di commerci,
ma anche (forse percio') un mare di sangue, di guerre per il dominio e per
il potere.
Su questo c'e' stato un primo appello della Convenzione, sottoscritto da
moltissime donne (e anche da uomini). Di questo e di altro la Convenzione
discute il 13 dicembre a Roma alle ore 14.00 presso l'ex Hotel Bologna.

4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: ALLA VIOLENZA SI DEVE RISPONDERE CON LA
NONVIOLENZA
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per
averci trasmesso questo intervento, di risposta ad una lettera diffusa in
una lista di discussione pacifista, precedente alla vicenda dell'attentato
terroristico alla questura di Genova. Enrico Peyretti e' una della figure
piu' prestigiose della cultura della pace, e un ammirevole amico della
nonviolenza]
Alla violenza strutturale e talora, come a Genova, diretta, si deve
rispondere con la nonviolenza piu' assoluta e chiara, per poter essere di
qualita' alternativa, ed anche poter essere compresi da tutti come tali:
alternativi, non uguali e contrari.
Il movimento deve criticare con decisione chi ritiene di dovere "difendersi"
in modo tale da imitare, e cosi' confermare, i metodi violenti.
Se si vuol fare "disobbedienza civile" bisogna, come Socrate, come Gandhi,
essere disposti a pagare il prezzo, ad accettare le conseguenze. Solo questo
dimostra agli occhi di tutti la sincerita' e superiorita' delle proprie
intenzioni e la differenza dei propri valori e della propria idea di
societa'.
C'e' la nostra solidarieta' umana per gli accusati, di cui comprendiamo
l'indignazione e le intenzioni giuste, ma, nel caso in cui fossero davvero
autori di azioni violente verso le persone o le cose, ci sarebbe anche la
critica dispiaciuta ma precisa.
La critica degli amici e' anch'essa solidarieta'; non e' l'accusa degli
avversari.
E chi ha ceduto, anche in parte, alla violenza, e' giusto che lo riconosca.
E' esemplare cio' che scrive il nodo Lilliput di Genova: "Fin dall'anno
scorso M. M. [e' nostra la scelta di aver omesso qui il nome completo della
persona, indicato per esteso nel comunicato della Rete Lilliput genovese -
ndr -] ha sempre detto 'cio' di cui mi accusano e' vero, paghero' per
questo'. A quando la stessa dignita' da parte degli appartenenti alle forze
dell'ordine che hanno commesso violenze e da chi le ha dirette?" (Rete
Lilliput - Nodo di Genova).
O la lotta per la giustizia e' giusta nei fini come nei mezzi, oppure non e'
lotta per la giustizia, ma involontaria collaborazione col sistema
dell'ingiustizia, il quale nulla desidera di piu' che trovarsi davanti
avversari violenti, che gli sono utilissimi, perche' sono la sua copia e
perche' dimostrano che dalla violenza non c'e' uscita.
Chi crede invece che ci sia uscita deve dimostrarlo.
Cio' deve valere nel modo piu' chiaro per tutte le occasioni prossime.
Firenze e' stato un bel momento, positivo, ma anche - notano diversi - per
il fatto che non c'era un obiettivo di fronte, come a Genova. Io invece
penso che quel momento sia stato cosi' anche grazie al fatto che il
movimento, tra Genova e Firenze, ha meditato sulla violenza propria oltre
che su quella dell'impero.
Eppure bisogna diventare capaci, ciascuno interiormente, e tutti insieme, di
opporre la forza nonviolenta, cioe' umana, forte di verita' e giustizia,
alla violenza del dominio, anche quando questo si manifesta in tutta la sua
arroganza, come a Genova.
Invece, nel movimento, troppe voci rumorose, blandite e adescate dai media,
suonano ancora affascinate dalla stessa violenza che vogliono combattere.
O il movimento si fa tutto schiettamente e coraggiosamente nonviolento
positivo, oppure fallira' e avra' giocato a favore dell'impero, per averlo
sostanzialmente imitato.
Questo e' cio' che devo seriamente pensare, davanti ai fatti.

5. MEMORIA. GIOVANNI COLOMBO: PER ANTONINO CAPONNETTO, IL GIUDICE DELLE DUE
ROSE
[Dalla mailing list "Peacelink news" riprendiamo questo intervento di
Giovanni Colombo (per contatti: giovanni.colombo at fastwebnet.it). Giovanni
Colombo e' consigliere comunale di Milano e presidente della Rosa Bianca,
l'associazione che si richiama ai martiri della Resistenza antinazista e
all'insegnamento di Lazzati]
All'uscita dalla camera ardente di Paolo Borsellino aveva esclamato con voce
rotta dall'emozione: "E' finita, e' finita...".  Ma subito si penti' di
quelle parole di sconforto e decise di dedicare gli ultimi anni della sua
vita a seminare speranza.
"Non dobbiamo mai avere paura di sognare e di sperare. E' una ricchezza
interiore che dobbiamo coltivare. Dobbiamo affrontare le difficolta'
tenendoci per mano, sperando e sognando. Credo che l'avvenire stia dalla
nostra parte. Quando nelle scuole mi chiedono se in un mondo cosi' si puo'
avere speranza, rispondo sempre con le parole di padre Turoldo: 'Sperare e'
da eroi, ma non se ne puo' fare a meno'. Oggi si deve sperare. Il dovere di
ciascuno di noi e' proiettare l'animo verso il domani, verso la speranza.
Solo cosi' potremo fare passi in avanti. E ci troveremo a uscire dalla
notte" (intervento alla scuola della Rosa Bianca, Brentonico, 24 agosto
1994).
Nino Caponnetto, cuore tenero e spirito forte,  lo ricordo cosi': mentre
alla fine degli incontri, saluta il pubblico con le dita alzate in segno di
vittoria. Lui, cosi' fragile fisicamente, cosi' riservato e delicato, cosi'
anti-eroe, mostrava una determinazione fuori dal comune nel combattere la
buona battaglia per una giustizia autentica.
Per tre volte abbiamo raccolto le firme per la sua nomina a senatore a vita.
Non ce l'abbiamo fatta. Purtroppo sono altri i personaggi che s'ammantano di
tale titolo. Lui pero' non se l'e' presa e ha tirato dritto, prodigandosi
fino all'ultimo negli incontri nelle scuole per scuotere le coscienze
giovanili.
Sulla sua bara i familiari hanno messo la toga e due rose: una rosa rossa,
simbolo di dedizione e amore, e una rosa bianca, simbolo di saggezza e
candore.
Splendida sintesi della sua esistenza.
Grazie, nonno Nino, giudice delle due rose.
Le rose hanno dato tutto e ora muoiono, che e' un modo di dare ancora.

6. MAESTRE. ROSA LUXEMBURG: IERI
[Da una delle lettere dal carcere di Rosa Luxemburg, detenuta come
oppositrice della guerra, del gennaio 1918. in Eadem, Lettere 1893-1919,
Editori Riuniti, Roma 1979, p. 253. Rosa Luxemburg, 1871-1919, e' una delle
piu' limpide figure del movimento dei lavoratori e dell'impegno contro la
guerra e contro l'autoritarismo. Assassinata, il suo cadavere fu gettato in
un canale e ripescato solo mesi dopo; ci sono due epitaffi per lei scritti
da Bertolt Brecht, che suonano cosi': Epitaffio (1919): "Ora e' sparita
anche la Rosa rossa, / non si sa dov'e' sepolta. / Siccome ai poveri ha
detto la verita' / i ricchi l'hanno spedita nell'aldila'"; e Epitaffio per
Rosa Luxemburg (1948): "Qui giace sepolta / Rosa Luxemburg / Un'ebrea
polacca / Che combatte' in difesa dei lavoratori tedeschi, / Uccisa / Dagli
oppressori tedeschi. Oppressi, / Seppellite la vostra discordia". Opere di
Rosa Luxemburg: segnaliamo due fondamentali raccolte di scritti in italiano:
Scritti scelti, Einaudi; Scritti politici, Editori Riuniti (con una ampia,
fondamentale introduzione di Lelio Basso). Opere su Rosa Luxemburg: Lelio
Basso (a cura di), Per conoscere Rosa Luxemburg, Mondadori; Paul Froelich,
Rosa Luxemburg, Rizzoli; P. J. Nettl, Rosa Luxemburg, Il Saggiatore; Daniel
Guerin, Rosa Luxemburg e la spontaneita' rivoluzionaria, Mursia; AA. VV.,
Rosa Luxemburg e lo sviluppo del pensiero marxista, Mazzotta. Ovviamente si
veda anche il noto saggio di Lukacs, Rosa Luxemburg marxista, in Gyorgy
Lukacs, Storia e coscienza di classe, Sugar]
Ieri purtroppo l'atmosfera era cosi' disagevole che le parole mi si gelavano
in bocca.

7. MAESTRE. NADINE GORDIMER: LA GENTE SI ERA ORMAI ABITUATA
[Da Nadine Gordimer, Lettera da Johannesburg, 1976, in Eadem, Vivere
nell'interregno, Feltrinelli, Milano 1990, p. 120. Nadine Gordimer e' una
grande scrittrice sudafricana, impegnata contro l'apartheid, Premio Nobel
per la letteratura. Opere di Nadine Gordimer: oltre i suoi numerosi volumi
di racconti e romanzi (tra cui: Un mondo di stranieri, Occasione d'amore, Il
mondo tardoborghese, Un ospite d'onore, La figlia di Burger, Luglio,
Qualcosa la' fuori, Storia di mio figlio, tutti presso Feltrinelli; Il bacio
del soldato, presso La Tartaruga) segnaliamo Vivere nell'interregno,
Feltrinelli, Milano 1990; Scrivere ed essere, Feltrinelli, Milano 1996.
Opere su Nadine Gordimer: AA. VV., Nadine Gordimer: a bibliography of
primary and secondary sources, 1937-1992, Hans Zell, London 1994]
La ragazza quindicenne andava ad aggiungersi all'elenco dei decessi; mi resi
conto che nessuno era rimasto colpito dalla natura specifica di questa
morte: l'uccisione di una ragazzina da parte di un proiettile della polizia.
Come dopo il cambio di stagione, nell'aria non restava piu' nulla. Come era
successo con tante altre cose impensabili, la gente si era ormai abituata al
fatto che durante i disordini i ragazzi perdessero la vita.

8. RIFLESSIONE. BIAGIO DI PASQUALE: A SOSTEGNO DELLA "RAGIONEVOLE PROPOSTA"
[Biagio Di Pasquale e' un collaboratore del Centro di ricerca per la pace di
Viterbo. Lo ringraziamo di questa lettera]
Mio buon amico,
mi chiedi un'opinione sulla "ragionevole proposta" di salvare la vita agli
esseri umani che oggi trovano la morte in mare nel tentativo di sfuggire
alla miseria ed alle persecuzioni, alla fame ("frusta dei popoli"), alle
guerre, alle dittature; proposta che consiste nel garantire a tutti
l'ingresso legale nel nostro paese ed offrire a chi piu' ne ha diritto e
bisogno (le persone la cui condizione e' quella prevista dal comma terzo
dell'art. 10 della Costituzione italiana) un servizio di trasporto pubblico
e gratuito.
La mia opinione, detta senza circonlocuzioni, e' che sono d'accordo.
Sono d'accordo perche' e' evidente che quelle persone muoiono perche'
vittime di un'ingiustizia a cui anche il nostro paese coopera negando loro
di trovar scampo qui, quello scampo che la nostra legge fondamentale
riconosce essere un loro diritto.
Io sono di quelli che pensano che le leggi vadano prese sul serio.
E sono di quelli che pensano che non si possa stare a cincischiare quando si
tratta di decidere se salvare delle vite umane o condannarle a perire tra i
piu' atroci tormenti: credo che compito primo di ogni appartenente alla
comunita' umana sia quello di salvare dalla morte piu' esseri umani che
possa.
Che altro dire? Possa questa "ragionevole proposta" divenire presto legge
dello Stato, poiche' legge della coscienza lo e' gia'.

9. RIFLESSIONE. FILIPPO GENTILONI: LA BIBBIA, IL CRISTIANESIMO E I MIGRANTI
[Riprendiamo questo articolo dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 dicembre
2002. Filippo Gentiloni e' un prestigioso saggista, ha partecipato
attivamente al movimento delle Comunità di base; tra i suoi vari utili libri
segnaliamo particolarmente Abramo contro Ulisse, Claudiana, Torino 1984]
La questione della accoglienza - anzi, non accoglienza - agli immigrati
voluta dalla legge Bossi-Fini dovrebbe ostacolare il rapporto fra chiesa
cattolica e governo Berlusconi.
Dovrebbe, sia per l'importanza della questione in se stessa, sia per il
posto che occupa nell'insieme del pensiero cristiano. In realta' il
conflitto e' addirittura inesistente o fortemente attutito a livello delle
gerarchie, indubbiamente soddisfatte per i favori ottenuti, ultimo il ruolo
per gli insegnanti di religione. Rimane, invece, il conflitto in sede
locale, dal sud al nord, anche se da tutte e due le parti si cerca di farlo
dimenticare.
"L'immigrazione ci divide oggi e ancora piu' ci dividera' in futuro" scrive
"Famiglia cristiana" sotto il titolo eloquente "Siamo talebani o buonisti?".
Coloro che guardano agli immigrati con paura e chi li considera in modo
fiducioso.
Per il cristianesimo - cattolico e non - si tratta di una questione
assolutamente cruciale, centrale. L'accoglienza allo straniero non e' una
nota a margine, un di piu'. Fa parte essenziale di un atteggiamento, di una
cultura, di un'etica.
Perche' aveva fatto parte essenziale di una storia, quella biblica. Si veda,
fra i molti testi che la illustrano, quello ottimo di Carmine Di Sante, Lo
straniero nella bibbia, con il sottotitolo Saggio sull'ospitalita' (Citta'
aperta edizioni).
Chi, invece, insiste sulla identita' da salvaguardare e quindi sui limiti
alla ospitalita', non ha letto la Bibbia, soprattutto non puo' dirsi
cristiano.
Come fa oggi Bossi e con lui una parte del nostro nord-est -
tradizionalmente ritenuto molto cattolico e patria di molti missionari - a
sostenere la chiusura delle porte proprio in nome del nostro cristianesimo?
Non manca la reazione cristiana, come si e' visto a Treviso in questi giorni
di fine Ramadan, ma si tratta di una reazione ancora parziale e
insufficiente. Come potra' giudicare il resto del mondo il nostro
cristianesimo? Non bastano certo i documenti pontifici, ne' possono bastare
i gesti anche eroici di molti volontari cristiani che cercano di accogliere
gli immigrati gettati sulle spiagge del sud. I cosiddetti campi di
"accoglienza" sono quasi dei lager, in attesa del rimpatrio forzato. Questa
e' l'immagine di se stesso che il cristianesimo da' allo straniero, proprio
l'opposto di quella della Bibbia.
Di Sante, fra i testi che aprono il saggio, cita don Milani: "Se voi avete
il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dico che
nel vostro senso, io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo
in diseredati ed oppressi da una lato, privilegiati e oppressori
dall'altro". E Di Sante: "Tra le grandi letterature, quella biblica e'
l'unica che presenta lo straniero non come minaccia da espellere e solo
parzialmente da tollerare , bensi' come 'finestra' o 'fessura' dalla quale
guardare e rileggere il reale, come luogo 'teologico' e 'metafisico' dove
Dio - l'Assoluto - irrompe nella storia ed eleva l'io dal piano della
soddisfazione di se' all'altezza della responsabilita' per l'altro".
Questa "antropologia dell'ospitalita'" deve dunque essere una nuova
antropologia e una nuova etica. Da questa, non da una qualifica sulla carta
d'identita', si dovrebbero riconoscere i cristiani. Quindi dalla
contestazione a leggi del tipo di quella Bossi-Fini.
Una contestazione decisa ed autorevole, della quale siamo ancora in attesa.

10. VOCI. ALEX ZANOTELLI: NO ALLA GUERRA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 dicembre 2002. Padre Alex Zanotelli,
missionario cattolico, e' una delle voci piu' note del movimento per la
pace]
E'un momento grave questo per l'umanita'. Forse uno dei suoi momenti piu'
gravi. Si tratta di vita e di morte per il pianeta, per la razza umana.
Questa assurda guerra all'Iraq diventa il simbolo di una scelta radicale di
fondo. Dobbiamo scegliere da che parte stiamo, se dalla parte della vita o
della morte.
Non si puo' piu' barare. Il 20% del mondo e' ormai deciso a continuare a
papparsi l'83% delle risorse del mondo. Anzi puo' assicurarsi con le armi di
continuare a farlo.
Le armi servono oggi a garantire che pochi possano continuare a papparsi
quasi tutto a spese di molto morti di fame. Solo lo strapotere delle armi
puo' permetterci questo. Infatti utilizzando l'11 settembre il complesso
industriale militare americano ha forzato il governo americano ad investire
500 miliardi di dollari in armi.
Bush ha gia' firmato giorni fa un bilancio della difesa di 378 miliardi di
dollari e l'Europa dovrebbe investire 250 miliardi di dollari. E' un'altra
maniera, questa, per rilanciare l'economia mondiale in recessione. Secondo,
gli Usa stanno rinnovando tutto l'armamentario atomico (60 miliardi di
dollari). Gli Usa affermano che useranno l'atomica ovunque i loro interessi
militari saranno minacciati. Terzo gli Usa hanno gia' stanziato 70 miliardi
di dollari per la costruzione dello scudo spaziale. Quarto gli Usa hanno
gia' messo da parte 100 miliardi di dollari per la guerra contro l'Iraq (gli
esperti dicono che ci costera' circa 200 miliardi di dollari).
Questa e' una macchina da guerra infernale per lottare contro il "terrorismo
internazionale". Ma dobbiamo pur chiederci: chi sono i terroristi?
Non siamo forse noi che costruiamo un folle arsenale per proteggere lo stile
di vita del 20% del mondo?
E' stato lo stesso ministro della difesa americano Rumsfeld a dirlo. Quando
gli e' stato chiesto cosa ritenesse vittoria nella nuova guerra contro il
terrorismo ha risposto che per lui sarebbe vittoria se tutto il mondo
accettasse che gli americani siano liberi di continuare con il loro stile di
vita. E gli americani sono disposti ad usare anche l'arma atomica se i loro
interessi vitali saranno minacciati.
Questa e' follia collettiva! Per questo dobbiamo dire un no categorico a
questa guerra. E' un momento di non ritorno.
Altrimenti sara' la guerra infinita. E' una questione morale ed etica per
tutti (credenti e non). Non puo' esistere una "guerra preventiva" (e'
importante l'editoriale dell'ultima "Civilt?a' Cattolica" che bolla senza
mezzi termini questa guerra).
Gli ingenti investimenti in armi tolgono risorse alla vita: con 13 miliardi
di dollari potremmo risolvere fame e sanita' per un anno e per tutto il
mondo.
Ma questo sistema uccide poi lo stesso pianeta il cui stato di salute e'
gia' cosi' precario. Questa guerra sara' un'altra botta ecologica
incredibile.
E la guerra nucleare resta una reale possibilita' in questa guerra all'Iraq
(e' il monito che ci viene rivolto da tanti scienziati).
Insieme a tanti pensatori (Rene' Girard, Bailey, ecc) ritengo che stiamo
attraversando la piu' grave crisi che l'homo sapiens abbia mai vissuto: il
genio della violenza e' fuggito dalla bottiglia e non esiste piu' nessun
potere che potra' rimettervelo dentro.
All'umanita' rimane solo una scelta: rendere tabu' la violenza e la guerra.
L'umanita' ha fatto una simile operazione con l'incesto che era praticato
nelle antiche societa'. Quando l'uomo vide che l'incesto faceva male alla
razza umana lo ha reso tabu'. Penso che non ci resta che questo: rendere
tabu' la guerra e la violenza. E' questo il salto di qualita' che l'umanita'
e' chiamata a fare.
E' la scelta della nonviolenza attiva come praticata da Gesu', Gandhi,
Martin Luther King. E' una scelta di civilta'. E' l'unica strada che ci
rimane.

11. VOCI. GINO STRADA: NO ALLA GUERRA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 dicembre 2002. Gino Strada, medico in
zone di guerra, e' il fondatore dell'associazione umanitaria "Emergency"]
Due mesi fa avevamo chiesto ai cittadini di dare un segno di pace per il 10
dicembre, nell'anniversario della Dichiarazione universale dei diritti
umani. Avevamo chiesto di portare stracci bianchi, candele e bandiere di
pace nelle piazze delle nostre citta', dei nostri comuni, per dire che non
vogliamo guerre nel futuro dei nostri figli. Per tenere l'Italia fuori dalla
guerra. E la guerra fuori dall'Italia.
Oggi, in Italia, sta succedendo qualche cosa di nuovo. L'iniziativa "Fuori
l'Italia dalla guerra", lanciata da Emergency, Libera, Rete Lilliput e
Tavola della Pace, e' stata rigorosamente, scientificamente ignorata dai
grandi mezzi di comunicazione televisivi e della carta stampata. A volte,
quando frettolosamente ne e' stata data notizia, se ne e' travisato il
significato presentandola come una "manifestazione di protesta".
Eppure la censura, in questo caso, non ha funzionato. Ne' hanno funzionato
le stupidaggini dei vari "opinionisti" guerrafondai, pagati per trasformare
l'informazione in spot pubblicitario della guerra.
E' successo che le persone, i cittadini, hanno ripreso a parlarsi, a
interrogarsi sulla guerra e sulla pace, a comunicare gli uni agli altri il
disagio, l'angoscia - o piu' semplicemente la perplessita' - per un mondo
che anziche' progredire si ritrova, un'altra volta, sull'orlo di un
conflitto che sara' devastante per tutti.
Un mondo sul quale si proietta come un'ombra lo spettro di un conflitto -
l'attacco all'Iraq - che potrebbe allargarsi, e nel quale potrebbero essere
usati anche ordigni nucleari.
Cosi', nonostante la censura, o forse proprio a causa della censura, e'
scattato il passaparola: oggi in centinaia di citta' si svolgeranno
iniziative contro la guerra. Milioni di cittadini saranno coinvolti, in
questa gigantesca dimostrazione nonviolenta, esprimeranno la loro voglia
pace.
Regioni, Province, Comuni, centinaia di scuole, centinaia di associazioni di
volontariato cattoliche e laiche, sindacali, centinaia di migliaia di
famiglie diranno oggi con noi no alla guerra.
Negli ultimi decenni, decine di conflitti hanno insanguinato il pianeta
producendo milioni di vittime e un enorme carico di disperazione e di
poverta'. Nel terzo millennio ancora non riusciamo a mettere al bando la
guerra come mezzo di risoluzione dei nostri problemi. Perche'? Perche' non
siamo capaci di trovare strategie alternative?
Il mondo in cui viviamo non e' un quel "villaggio globale" che molti si
ostinano a farci credere.
Di villaggi, infatti, ce ne sono almeno due: il primo, di medie dimensioni -
conta solo un miliardo e duecentomila persone - consuma l'83% delle risorse
del pianeta. Di fronte a questo dato statistico si passa oltre
frettolosamente, si prosegue nella lettura. Invece occorrerebbe rileggere la
frase fino ad impararla a memoria, e a capirne il senso, perche' li' dentro
c'e' tutta la cattiva coscienza - e soprattutto il crimine - del mondo
sviluppato, civilizzato, democratico, libero.
Noi di Emergency, da cittadini di quel villaggio, crediamo sia un dovere
morale riconoscere che ai quattro aggettivi di cui sopra dovremmo mettere le
virgolette, per toglierle solo quando avremo risarcito e restituito il
maltolto. Perche' noi consumiamo l'83% delle risorse di tutti, e siamo solo
il 20 per cento della popolazione mondiale.
E allora la nostra liberta' e i nostri lussi, il potere e il danaro che
ostentiamo ogni momento, tutto quello che abbiamo, insomma, e' nostro, in
buona parte, perche' lo abbiamo sottratto ad altri. Certo non siamo andati
noi personalmente a rubare di notte, ma e' un fatto che nei Paesi dai quali
importiamo frutti esotici per i nostri party gli esseri umani muoiono a
milioni.
Loro, abitanti del secondo villaggio - di dimensioni enormi, in cui vivono
quattro miliardi e settecento milioni di persone - sono nella situazione di
doversi spartire quel 17% delle risorse rimasto disponibile. La', in quel
villaggio, gli esseri umani nel terzo millennio muoiono di fame e di
malattie, di poverta' e di guerre.
Riusciamo ancora, noi democratici, donne e uomini liberi, a capire che cosa
voglia dire morire di fame?
Riusciamo a immaginare i mesi, i giorni, le ore che precedono la morte di un
uomo, quando la sua vita si spegne semplicemente perche' non ha nulla da
mangiare?
In quello sterminato villaggio si muore di poverta', perche' chi deve tirare
avanti con un dollaro al giorno spesso mangia poco e male, e vive in
immondezzai, dove abitano anche malaria e tubercolosi, e alla fine, per una
ragione o per l'altra o per tutte insieme, muore.
E si muore per le guerre. Conflitti tribali, sentenziano in molti, con il
disprezzo tipico degli ignoranti, "si ammazzano da sempre, sono dei
selvaggi". Non ci meraviglia che ci sia tanta violenza dove la vita e'
misera, squallida e umiliante per tutti. Stupisce, piuttosto, che i grandi
media liberi e indipendenti non facciano sapere ai cittadini che l'85% delle
armi che massacrano donne e bambini in quei conflitti provengono dai
rispettabilissimi paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza
dell'Onu, che le vendono ai dittatori e ai macellai di turno.
La maggior parte dei conflitti oggi in corso, e di quelli cui abbiamo
assistito negli ultimi quarant'anni, sono stati incoraggiati, finanziati,
armati, e in qualche caso pianificati dall'uno o dall'altro di quei paesi
che insieme dovrebbero garantire "la sicurezza del pianeta".
Perche' lo hanno fatto, e lo stanno facendo: liberte' e democrazia,
giustizia e diritti umani? Non prendiamoci in giro, sappiamo tutti benissimo
che lo fanno per interessi economici, cioe' perche' in quei paesi c'e' chi
sulle guerre guadagna enormi quantita' di danaro.
Loro, le grandi lobbies che decidono le scelte politiche, sono una
piccolissima parte del nostro villaggio, una specie di quartiere
residenziale molto esclusivo: famiglie potenti, padroni del petrolio e delle
armi, della finanza e dell'informazione, tanto per incominciare.
Hanno preso il potere in moltissimi paesi, a volte, dove sono riusciti,
perfino in modo "democratico", imbottendo i cittadini di false informazioni
per carpirne il consenso e il voto.
"Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignita' e diritti"
afferma l'articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti umani del
1948. E' stata sottoscritta anche dall'Italia. E' davvero cosi', per gli
esseri umani che nascono nel 2003 sul pianeta Terra?
C'e' giustizia nel mondo in cui viviamo, c'e' solidarieta' tra gli esseri
umani? Agiscono, come dovrebbero in base all'articolo 1 della Dichiarazione
universale, "gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza"?
Il 10 dicembre del 1948, poco dopo la fine di una guerra devastante, e'
stata scritta la Dichiarazione universale dei diritti umani. Nel preambolo,
l'assemblea generale dell'Onu considera il riconoscimento dei diritti umani,
uguali e inalienabili per tutti gli esseri umani, come "il fondamento della
liberta', della giustizia e della pace nel mondo".
La Dichiarazione universale e' stato il tentativo di definire le regole del
nostro stare insieme, i diritti di ciascuno di noi, i valori da promuovere
perche' l'orrendo massacro non avesse a ripetersi, mai piu'. Per cancellare
l'incubo dell'olocausto e di Hiroshima.
A 54 anni da quella Dichiarazione, non uno dei paesi firmatari puo'
affermare di averla rispettata.
Siamo convinti che le vittime civili siano la prima e forse l'unica verita'
della guerra, e che l'alternarsi di governi e dittatori ne siano soltanto,
questi si', effetti collaterali.
A cinquantaquattro anni da quella solenne Dichiarazione firmata e poi
calpestata, siamo arrivati a un punto critico.
Dobbiamo ricostruire i rapporti tra gli esseri umani sulla giustizia e sulla
solidarieta'. Altrimenti saremo condannati alla autodistruzione, non ci
saranno vincitori ne' vinti, l'"esperimento umano" sara' fallito.
Praticare la Dichiarazione universale dei diritti umani e' l'unico antidoto
per vincere il cancro della guerra che sta divorando il pianeta. E' il primo
dei compiti da scrivere nella nostra agenda, riuscirci e' davvero nelle
nostre mani.
Per questo stasera [10 dicembre 2002 -ndr-]si riempiranno le piazze
italiane. Basta guerre, basta morti, basta vittime.

12. VOCI. SERGIO COFFERATI: NO ALLA GUERRA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 dicembre 2002. Sergio Cofferati e'
stato fino a poco fa segretario generale della Cgil]
Non penso che i contrasti o i conflitti tra i paesi si debbano risolvere mai
con la guerra. Credo nell'efficacia della politica e della diplomazia.
Ritengo decisiva la capacita' degli stati e delle loro organizzazioni di
cercare pazientemente gli equilibri necessari e, ancor di piu', di operare
per tempo per prevenire contrasti e conflitti.
Non penso che la politica del terrorismo si debba combattere con la guerra.
Il terrorismo e' follia perche' uccide gli inermi, a questa atrocita' non si
puo' rispondere con un'altra atrocita' che distrugge altre vite inermi.
Il terrorismo non ha giustificazioni, mai. Il terrorismo nuoce storicamente
alle cause dietro le quali vorrebbe nascondersi.
Il terrorismo va combattuto senza tregua, con gli strumenti della polizia,
per prevenirlo e reprimerlo consegnando alla giustizia i terroristi.
Il terrorismo va combattuto con la politica, dando prova concreta di volere
e sapere combattere la poverta', le ingiustizie e le diseguaglianze.
Il terrorismo non ha giustificazioni ma il degrado, la negazione della
dignita' delle persone, la poverta' che uccide, possono fornire terreno di
coltura alla sua follia.
Tutti dovrebbero sentirsi impegnati nella costruzione della pace, di una
cultura per la pace. E' un impegno quotidiano che non puo' vivere solo
quando incombe la guerra, ma deve vivere sempre.
Sono tante le azioni positive necessarie e possibili, possono essere fatte
da persone con responsabilita' istituzionali, politiche, economiche o da
semplici cittadini.
Possono riguardare la creazione di un nuovo ordine nel mondo basato
sull'affermazione dei principi democratici, sulla lotta all'esclusione e
alla poverta', sull'affermazione dei diritti umani.
Oppure, piu' modestamente, possono essere atti di solidarieta' verso i piu'
deboli o scelte di partecipazione alla costruzione di una forte e visibile
cultura della pace e di avversione alla guerra.
Il 10 dicembre del 1948, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite approvo' e
proclamo' la Dichiarazione universale dei diritti umani. E' forte e voluto
il richiamo simbolico ai diritti nelle manifestazioni che si terranno oggi
[10 dicembre 2002 -ndr-] in tantissime citta' italiane per la pace, per
impedire che il nostro paese partecipi alla guerra annunciata contro l'Iraq.
Non bisogna rassegnarsi a considerare "inevitabile" questa assurda ipotesi
di guerra e nel contempo bisogna dare visibilita' al sentimento di
repulsione verso la guerra che e' proprio di milioni di cittadini.
Nella grandissima maggioranza degli italiani il rifiuto alla guerra, come
letteralmente previsto dalla Costituzione, e' considerato un diritto
fondamentale. Quello di poter vivere in pace.
Oggi, nella difesa di questo diritto, si troveranno insieme tantissime
persone diverse per cultura, appartenenza, ceto, ed e' questa diversita' la
forza maggiore del popolo pacifista.

13. MAESTRE. SIMONE WEIL: LA VERITA'
[Da Simone Weil, Quaderni, Adelphi, Milano 1988, volume terzo, p. 75. Simone
Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante
sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di
fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice
agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la
Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze,
muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella
che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in
particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora:
radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del
1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe
imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli
o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come
vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil:
tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti
pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici
(e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti
le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione
italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La
condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita',
Se, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni
precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e
dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi),
Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali
i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo
Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone
Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr.
AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985;
Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone
Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie
Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna
1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994]
La verita' si produce al contatto di due proposizioni nessuna delle quali e'
vera; e' vero il loro rapporto.

14. LIBRI. PRESENTAZIONE DI IPAZIA (A CURA DI), DUE PER SAPERE, DUE PER
GUARIRE
[Questa presentazione del libro di Ipazia (a cura di), Due per sapere, due
per guarire (apparso nella bella collana dei Quaderni di "Via Dogana",
supplemento al n. 32/33 di Via Dogana, settembre 1997), abbiamo tratto dal
sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it).
"Ipazia" e' una comunita' scientifica femminile nata a Milano nel 1987]
L'hanno definita un'arte, e qualcuno la chiama poesia; la medicina
ufficiale, quella che oggi incontriamo negli ospedali e negli ambulatori, e'
pero' il frutto di secoli di sforzi per farne una scienza. Ma proprio come
scienza oggi conosce una crisi di legittimita', mentre avanza la ricerca e
la pratica di altri percorsi di guarigione. Certo chi sta male non sceglie
la cura pensando alla fondatezza dei presupposti teorici, anche se questo
non e' irrilevante. Chi soffre cerca altro, cerca un aiuto e qualcuna o
qualcuno che si prenda cura del suo star male.
Attenzione: non stiamo opponendo il calore umano all'astratta freddezza
scientifica. Noi pensiamo che se si puo' parlare di crisi della medicina e'
per un suo difetto di scientificita', che nasce dall'avere relegato in una
posizione periferica il rapporto diretto con i pazienti.
Un vecchio detto, che sostiene ciascuno essere il miglior medico di se
stesso, ci ricorda una verita' spesso dimenticata: chi porta la malattia
stampata nel corpo e nell'anima ne ha una conoscenza unica ed
insostituibile, che chi cura deve saper ascoltare ed interpretare con gli
strumenti della propria competenza. Quando questo incontro avviene la cura
e' efficace e produce nuovo sapere.
Di questo parla Due per sapere, due per guarire: le esperienze di pazienti,
mediche e infermiere che vi sono riportate sono diverse, ma tutte mostrano
come una medicina, qualunque sia la scuola di pensiero o la pratica di cura
a cui fa riferimento, possa non solo curare (e, facendo i conti con la
limitatezza umana, guarire) ma anche accumulare conoscenza, cioe' essere
scientifica, solo se sa far fruttare le potenzialita' contenute nella
relazione tra chi ammala e chi cura.

15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

16. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 442 dell'11 dicembre 2002