La nonviolenza e' in cammino. 441



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 441 del 10 dicembre 2002

Sommario di questo numero:
1. Lidia Menapace, per un "articolo 11" nella Costituzione europea, per
un'Europa contro la guerra
2. Giulio Vittorangeli, sull'editoriale di Giancarla Codrignani
3. Peppe Sini, il ritorno della strategia della tensione e la necessita'
della nonviolenza
4. Rete di Lilliput, condanniamo l'attentato
5. Le Girandole, per la pace e per Antonino Caponnetto
6. Un incontro su cinque domande
7. Enrico Peyretti, una lettera al Presidente della Repubblica
8. Un profilo di Alessandro Marescotti
9. Iaia Vantaggiato dialoga con Diana Pinto sulla Shoah e l'ebraismo europeo
oggi
10. Rossana Rossanda: la Rosa inattuale, geroglifico della fine dell'inverno
11. Riletture: Giancarlo Gaeta, Religione del nostro tempo
12. Riletture: Ryszard Kapuscinski, Ebano
13. Riletture: Edoarda Masi, Il libro da nascondere
14. Riletture: Christa Wolf, Premesse a Cassandra
15. La "Carta" del Movimento Nonviolento
16. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: PER UN "ARTICOLO 11" NELLA COSTITUZIONE
EUROPEA, PER UN'EUROPA CONTRO LA GUERRA
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it) per questo
intervento. Lidia Menapace e' tra le figure piu' vive e piu' lucide della
cultura e della prassi che invera pace, dignita' umana, nonviolenza]
Ho ricevuto la proposta di legge di iniziativa popolare per l'attuazione e
il rispetto dell'art. 11 della nostra Costituzione [gia' pubblicata su
questo notiziario- ndr -]: mi pare buona e la appoggio, anche se sappiamo
che le leggi di iniziativa popolare non arrivano praticamente quasi mai al
dibattito e alla conclusione.
Ugualmente e' giusto sostenere il diritto a legiferare da parte del popolo
quando il parlamento non agisce: la sovranita' invero e' solo delegata al
parlamento e non puo' mai essere sottratta alla sua sede fondativa che e'
appunto il popolo.
Tuttavia ho in questo momento una preoccupazione: non credo che il ceto
politico del nostro paese voglia cancellare l'art. 11. Lo considera una
anticaglia che cadra' da se': mi pare percio' che sia urgente concentrare
attenzione, pressione e interesse sulla politica della difesa che sara'
decisa in Europa.
Infatti se l 'Europa decide di fare una propria "armata" o di rafforzare la
sua presenza nella Nato o mantenere gli eserciti nazionali come segno della
loro sovranita', l'art. 11  cadra' da solo, non fosse altro che per una
inevitabile operazione di connessione e razionalizzazione e coordinamento
della materia giuridica europea.
Per questo sono cosi' appassionata del progetto di Europa neutrale che
intendo proporre alla Convenzione permanenete di Donne contro le guerre e
che trova invece diffidenze e rigetti.
La neutralita' per  il diritto internazionale e' l'unica posizione
antagonista alla guerra, esclusiva, mentre tutte le altre forme di
organizzazione internazionale (la Societa' delle Nazioni, le Nazioni Unite)
cercano si di evitare la guerra, ma non la escludono.
Come strada per arrivare alla neutralita' chiediamo che la Costituzione
europea preveda il diritto alla pace come diritto fondamentale dei suoi
cittadini e cittadine e di tutte le persone umane, e abbia una sorta di
articolo 11: almeno questo.
Certo sara' dfficile andare piu' in la'; ma bisogna cominciare a fare
pressione sui parlamentari nazionalil ed europei perche' si impegnino per
ottenere almeno questo.

2. EDITORIALE. GIULIO VITTORANGELI: SULL'EDITORIALE DI GIANCARLA CODRIGNANI
[Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it) e' uno dei
fondamentali collaboratori di questo notiziario, ed e' persona della quale
se dovessimo trovare qualcosa di men che ottimo da dire nulla troveremmo]
Provo a dire due o tre cose, in verita' molto schematiche, sull'editoriale
di Giancarla Codrignani Una lettera ai pacifisti dimezzati, apparsa nel n.
237  del 6 dicembre 2002 de "La nonviolenza e' in cammino".
*
La prima riguarda il "movimento dei movimenti".
Il fatto che questo movimento non abbia nella memoria e nei riferimenti la
Conferenza Mondiale delle donne del 1995, in particolare il Forum di Hairou
a Pechino (rimando su questo alle cose preziosissime scritte e dette da
Lidia Menapace), dimostra l'indifferenza e l'incomprensione alle tematiche
di genere, ai problemi posti dalla relazione di potere tra uomini e donne.
Sfuggono la natura, il senso e gli effetti del fenomeno stesso a cui si
vuole contrapporre.
La globalizzazione e' infatti affare di donne, come poche altre cose al
mondo lo sono mai state; e tra i movimenti, quello che ha prodotto le
analisi piu' significative, economiche, sociali, politiche e culturali, e di
piu' lungo respiro, e' proprio il movimento delle donne.
L'altra conseguenza di questo mancato riferimento e' il prevalere
(quantomeno nel movimento italiano contro la globalizzazione) del simbolico
maschile, in particolare del suo linguaggio "militare", dello scontro
"guerresco", che alla fine e' sicuramente perdente.
Non e' accettabile che un potere illegale induca anche chi protesta contro,
ad usare forme di violenza illegale e illecite; perche' come recita una
famosa poesia brechtiana: "anche l'odio contro la bassezza / stravolge il
viso. / Anche l'ira per l'ingiustizia / fa roca la voce".
E' importante, quindi, prendere le distanze da quelle culture e forme di
lotta che riproducono linguaggi e modelli di comportamento "bellici", anche
se simbolici; scegliendo invece di fare della nonviolenza un tratto portante
della nostra quotidianita', per opporci alle ingiustizie di cui siamo
testimoni.
*
La seconda cosa riguarda i movimenti nonviolenti.
Anche qui nei confronti delle tematiche di genere (maschile e femminile),
non si scherza.
Lo stesso Gandhi riconosce che ha incominciato ad apprezzare la moglie
quando ha deciso di fare voto di castita'.
Non convince la percezione del corpo in Gandhi o in componenti religiose che
spesso tendono a condividere una svalutazione del corpo e un dualismo tra
dimensione corporea e identita' personale.
Abbiamo assistito, non casualmente, in questi ultimi tempi ad una
centralita' del corpo femminile. La guerra in Afghanistan combattuta per
liberare le donne dal burqa; le donne del commando ceceno, velate di nero, a
Mosca; le giovani palestinesi che diventano kamikaze; e cosi' via, fino alla
Nigeria con l'elezione di miss mondo.
Il corpo femminile e' oggi il segno cruciale del passaggio di civilta' a cui
l'intero mondo globale e' chiamato. "Il bello del corpo femminile e' che a
dispetto di tutti i tentativi, capitalisti e fondamentalisti, di ridurlo a
oggetto, e' anche soggetto, non e' solo tramite d'altro ma parla da se' e
per se', e non solo in Occidente dove la liberta' femminile si avvale dei
diritti scritti ma li eccede, ma anche nel mondo islamico dove quei diritti
non ci sono ma di liberta' femminile se ne vede sempre piu', nell'arte, nel
cinema, nella letteratura, nei comportamenti e in qualunque altra lingua
essa trovi il modo di parlare" (Ida Dominijanni).
*
Ed ancora chiedo al movimento pacifista: perche' della vostra cultura di
riferimento non fa parte Rosa Luxemburg?
Forse perche' ci troviamo davanti ad una comunista? Antimilitarista come
poche altre lo sono state, non smise un attimo di lottare contro la guerra
di cui denunciava l'inutilita' e la stupidita' agghiacciante; contro il
costituirsi all'interno del socialismo di tendenze che legittimavano il
ricorso alle armi (lei che rivendichera' sempre il primato della parola e
del pensiero); contro gli stereotipi che cominciavano a emergere nel
socialismo affievolendo l'umanitarismo d'origine.
Infine chiedo al movimento nonviolento perche' si e' rifiutato, e si
rifiuta, di confrontarsi con le lotte di liberazione, con i loro percorsi
contraddittori, che vengono dal Sud del mondo.
In particolare, penso allo zapatismo degli anni '90 o al sandinismo degli
anni '80, al ruolo avuto dai cristiani all'interno della rivoluzione
nicaraguense... poneva, o no, quell'esperienza dei problemi che riguardavano
anche noi, la nostra capacita' di pensare e di creare un mondo diverso?
Ed anche li', il conflitto fra generi. "Il potere che l'uomo povero puo'
esercitare e' solo quello che egli gestisce sul corpo di una donna, alla
quale quasi sempre viene negato perfino il piacere sessuale, condannata
com'e' a subire le conseguenze di atti procreativi di pura brutalita'.
Succede anche alle donne benestanti ed emancipate, ma la miseria non ha
compensazioni o rimedi di alcun genere e il divorzio traumatico di una
casalinga o di un'operaia occidentale e' - nelle cause e negli effetti -
inconfrontabile con il ripudio di un'africana con sette bambini da accudire"
(Giancarla Codrignani, dalla prefazione al libro di poesie di Mariana Yonusg
Blanco, Io nasco donna, e bastaî, La Piccola Editrice, Celleno - Vt - 1991).

3. EDITORIALE. PEPPE SINI: IL RITORNO DELLA STRATEGIA DELLA TENSIONE E LA
NECESSITA' DELLA NONVIOLENZA
Sono solo un povero uomo.
Ma ho gia' visto gli anni del sangue per le strade, e voglio che non si
ripetano piu' in questo paese.
Ed allora, in nome del cielo o di quel che volete, che tutti si faccia
quanto e' in potere di ognuno per impedire che quegli anni ritornino. Che
tutti si faccia quanto e' in potere di ciascuno per contrastare la violenza,
sempre e ovunque, davvero "senza se e senza ma".
Ed a tutti coloro che vogliono impegnarsi per la pace, per la giustizia, per
la dignita' umana, miei amici, miei fratelli e sorelle, chiedo: facciamo
tutti la scelta della nonviolenza come unica forma di lotta.
Con la scelta della nonviolenza la nostra resistenza all'inumano diventera'
invincibile.
Con la scelta della nonviolenza sempre piu' l'intera umanita' si unira' alla
nostra lotta affinche' tutti i diritti umani siano riconosciuti a tutti gli
esseri umani.
Con la scelta della nonviolenza si salvano le vite umane anziche'
distruggerle, e si disarmano gli armati.
Sono solo un uomo povero, che gia' tante persone morte ha pianto.
A tutti chiedo di ascoltarmi.
Di fermarci a considerare.
Di scegliere la nonviolenza.

4. RIFLESSIONE. RETE DI LILLIPUT: CONDANNIAMO L'ATTENTATO
[Dalla Rete di Lilliput (per contatti: ufficiostampa at retelilliput.org)
riceviamo e diffondiamo un ampio estratto del seguente comunicato.
Inviteremmo pero' gli amici lillipuziani ad essere un po' piu' attenti nelle
loro parole: le prime vittime di un attentato terroristico non sono
genericamente "quei cittadini che cercano etc.", ovvero una spesso troppo
idealizzata e stereotipata "societa' civile", ma le persone che si trovano
nel luogo dove l'attentato viene realizzato: in questo caso le donne e gli
uomini delle forze dell'ordine che giorno dopo giorno espongono la loro vita
per difendere la vita e la sicurezza di tutti, la civile convivenza e la
legalita' democratica (che poi tra essi vi possano essere talvolta dei
mascalzoni, dei sadici e dei nazisti, e' motivo per chiederne l'allontamento
e la punizione ai sensi di legge, ma non consente di dimenticare questa
fondamentale realta' che troppi per stupida e criminogena propaganda spesso
dimenticano). Un po' di concretezza ed attenzione non guasta mai, neppure
nello scrivere comunicati]
Rete Lilliput condanna con fermezza l'attentato compiuto stanotte presso la
questura di Genova ed esprime la piena solidarieta' e vicinanza ai
poliziotti che avrebbero potuto morire per colpa delle due esplosioni.
Si tratta di un attentato compiuto da ignoti che con estrema puntualita'
appaiono nei momenti piu' delicati della storia del nostro paese.
La strategia della tensione torna oggi a Genova e il suo obiettivo e' la
societa' civile italiana. I primi ad essere colpiti sono quei cittadini che
in maniera pacifica e nonviolenta cercano di trovare consenso
nell'elaborazione di alternative possibili ad un sistema economico ingiusto
che usa la guerra per difendere stili di vita eccessivi, distrugge la
dignita' della persona e compromette l'ecosistema del pianeta.
Le bombe di Genova esplodono il giorno prima della grande manifestazione
nazionale "Fuori l'Italia dalla guerra" - copromossa dalla Rete Lilliput
insieme ad Emergency, Tavola della Pace e Libera, che domani vedra'
protagonisti centinaia di migliaia di cittadini nelle piazze d'Italia - e in
prossimita' delle iniziative che sabato prossimo si terranno a Genova per
chiedere verita' e giustizia sui fatti legati al G8 del luglio 2001.

5. INIZIATIVE. LE GIRANDOLE: PER LA PACE E PER ANTONINO CAPONNETTO
[Da "Le Girandole" (per contatti: legirandole at tiscali.it) riceviamo e
diffondiamo. Una sola osservazione: nella lettera ai fondatori di Emergency
si afferma di voler dialogare con chi propugna la guerra: dialogare con
tutti e' cosa buona e giusta, ma senza equivoci: chi trascinasse l'Italia in
guerra sarebbe ipso facto un golpista e uno stragista, e con costoro quanto
a questo non possiamo e non dobbiamo dialogare: dobbiamo farli arrestare,
processare e condannare per violazione della Costituzione, crimini di guerra
e crimini contro l'umanita'; solo dopo averli disarmati, averli messi in
condizione di non nuocere, averli assicurati alla giustizia, solo allora
possiamo cercare di recuperarli alla civile convivenza]
Cari amici,
vi comunichiamo che abbiamo voluto dedicare il dibattito che gia' da tempo
stavamo organizzando per l'anniversario di piazza Fontana, il 12 dicembre, a
Nino Caponnetto, scomparso il 6 dicembre scorso. Un uomo che con generosita'
e caparbieta' ha dedicato la sua vita alla giustizia e negli ultimi anni si
e' prodigato per far conoscere i principi della nostra Costituzione. Il
titolo dell'incontro e' "La giustizia e la memoria: Antonino Caponnetto", e
saranno presenti: Gianni Barbacetto, Giancarlo Caselli, Claudio Castelli,
Franca Rame. L'appuntamento e' alle ore 21 presso le Stelline, in corso
Magenta 61, a Milano.
Le associazioni: Le Girandole, I Girotondi di Milano, Articolo 21 Liberi di.
*
Vi informiamo inoltre che le Girandole hanno aderito alla fiaccolata per la
pace di martedi' 10 dicembre prossimo - anniversario della Dichiarazione
universale dei diritti umani - a Milano, in contemporanea con altre numerose
iniziative nell'ambito della campagna di Emergency  "Fuori l'Italia dalla
guerra". L'appuntamento e' alle 18 in piazza San Babila.
*
Lettera a Emergency: adesione alla fiaccolata per la pace
Cari Teresa e Gino Strada,
le Girandole saranno in piazza con voi, martedi' 10 dicembre, alla
manifestazione convocata per tenere l'Italia fuori dalla guerra.
Molte e serie ragioni, di carattere ideale e di opportunita' politica,
rendono doverosa questa nostra presenza, per esprimere, insieme a voi, il
nostro profondo dissenso nei confronti del prospettato intervento militare
in Iraq.
In un momento in cui si annunciano nuove stragi di innocenti, ci sentiamo
uniti con tutti i cittadini, le associazioni e i movimenti dell'Italia che
"ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli
e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali" (art. 11
della Costituzione Italiana).
E avvertiamo il dovere di dialogare, con pacata ragionevolezza, con l'altra
Italia, quella che sembra ripudiare la Costituzione della Repubblica o
essersi rassegnata ad avere come governanti coloro che la ripudiano.
Si tratta di un dialogo difficile, ma tanto piu' necessario, in un momento
in cui coloro che si battono contro la scelte di una nuova guerra, prima di
portare le proprie argomentazioni, sono costretti a liberarsi di dosso
l'assurda etichetta di "nemici dell'America" o di "amici dei dittatori",
imposte loro da una macchina della propaganda martellante.
La criminalizzazione del dissenso e la manipolazione dell'informazione si
rivelano ancora una volta funzionali a un sistema di potere che, prima di
tutto nella logica del proprio meccanismo economico, trova nella guerra una
struttura portante.
Forse prevarra' il buon senso, o forse no.
Ma noi abbiamo il dovere di manifestare il nostro pensiero di pace, carico
di responsabilita' per la politica e la diplomazia, indispensabile
presupposto per un nuovo mondo possibile, meno ingiusto e crudele, ma
purtroppo ancora improbabile.
A martedi'.
Un affettuoso saluto,
le Girandole

6. INIZIATIVE. UN INCONTRO SU CINQUE DOMANDE
Nell'anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani
proclamata il 10 dicembre 1948, il Centro di ricerca per la pace di Viterbo
ha promosso un incontro di approfondimento sul tema "cinque domande
ineludibili".
Le cinque domande proposte alla riflessione sono le seguenti:
1. E' possibile difendere i diritti umani qui se si contribuisce ad
opprimere i quattro quinti dell'umanita'?
2. E' possibile difendere i diritti umani qui se si continua a tollerare che
esseri umani vengano uccisi nel mondo con la pena di morte e con le guerre -
che, come ha scritto Gandhi, consistono sempre di omicidi di massa?
3. E' possibile difendere i diritti umani qui se neghiamo ospitalita' ed
aiuto alle vittime di miseria e persecuzioni?
4. E' possibile difendere i diritti umani qui se non si fa la scelta della
nonviolenza?
5. E' possibile difendere i diritti umani qui se non ci impegnamo per la
loro affermazione ovunque nel mondo?
Il motto proposto dall'incontro e': "tutti i diritti umani per tutti gli
esseri umani".

7. LETTERE. ENRICO PEYRETTI: UNA LETTERA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per
averci messo a disposizione questa sua lettera al capo dello Stato. Enrico
Peyreti e' una delle voci piu' autorevoli della cultura e della prassi della
pace e della nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di le' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; e' diffusa attraverso la rete telematica
una sua ricerca fondamentale: Difesa senza guerra. Bibliografia storica
delle lotte nonarmate e nonviolente]
Signor Presidente della Repubblica,
sono un cittadino che Le ha scritto piu' volte lettere di critica, nello
spirito democratico.
Questa volta desidero esprimerLe stima e sostegno, nel momento in cui un
uomo politico ambizioso e spregiudicato, accumulatore di poteri che nello
stato di diritto devono essere accuratamente separati, scarsamente fornito
di senso della legge uguale per tutti, e culturalmente estraneo ai valori
costituzionali e alla loro sofferta origine nella storia italiana, si e'
permesso di progettare sfacciatamente la propria conquista populista
dell'alto ruolo da Lei oggi esercitato, senza considerazione (se non postuma
e posticcia) della Sua persona, e soprattutto con l'intenzione di
stravolgere in senso personalistico e demagogico i poteri costituzionali del
Capo dello Stato, per farne l'uso personale che gli e' solito, come dimostra
ogni giorno di nuovo.
Quell'uomo aggressivo ignora che la democrazia e' "governo della legge e non
degli uomini", come ricordo' un maestro del livello del senatore Norberto
Bobbio, quando un altro uomo politico - all'ombra e col favore del quale
questo di cui parlo intraprese la sua scalata personale - si compiaceva di
regnare nel proprio partito col metodo dell'acclamazione.
Con i piu' distinti saluti,
Enrico Peyretti

8. MAESTRI E COMPAGNI. UN PROFILO DI ALESSANDRO MARESCOTTI
[Sono assai grato ad Alessandro Marescotti (per contatti:
a.marescotti at peacelink.it) per aver accolto l'invito a scrivere alcune
riflessioni sulle sue esperienze. Mi pare che la piccola violenza che ho
esercitato nei confronti di persone amiche affinche' "si raccontassero" su
questo foglio sortisca un utile esito: di favorire in altri interlocutori
l'uscita dallo stereotipo secondo cui la nonviolenza e' qualcosa di
astratto, o peggio che la lotta per la pace sia affare per poche
personalita' dai tratti superomistici o disumanati. La nonviolenza in
cammino sono le persone concrete che "fanno la cosa giusta"; la nonviolenza
in cammino, per dirla con una bella parola coniata da Aldo Capitini, e'
l'"omnicrazia", il potere di tutti - quel "tutti" che sempre Capitini diceva
essere il plurale di "tu" (Peppe Sini)]
La mia esperienza personale e' quella di chi, nel 1991, e' stato fra i
promotori di PeaceLink, la rete telematica italiana per la pace.
Durante la guerra del Golfo ero un "pacifista con la valigetta": andavo in
giro con un computer portatile Toshiba, uno dei primi veramente leggeri e
leggibili (era uno dei primi ad avere lo schermo retroilluminato) e con
batterie che duravano dalle 3 alle 4 ore. Raccoglievo informazioni sulle
iniziative antiguerra, compilavo un bollettino e lo memorizzavo su
dischetto. Giorno dopo giorno modificavo alcune parti del bollettino,
toglievo le cose vecchie e scrivevo le nuove: con la macchina da scrivere
avrei dovuto digitare nuovamente tutto. Con il portatile scrivevo dove mi
capitava, in corriera, ai cortei, nelle riunioni; preparavo volantini,
locandine, ecc. Insomma, mi sentivo con la tipografia nella valigetta. Un
compagno sindacalista mi regalava buste di francobolli (poi la cosa fini',
perche' nei sindacati tiro' altra aria). Stampavo il bollettino, lo
fotocopiavo e lo distribuivo. Lo spedivo con i francobolli. Quando il
dischetto si riempiva mi veniva da pensare: se gli altri avessero un
computer potrei distribuire dischetti pieni di informazioni invece di mucchi
di carta.
Poi venni a sapere che esistevano reti di BBS, o "bacheche telematiche",
ossia reti che distribuivano i "file" dei dischetti senza che si dovessero
spedire i dischetti per posta. Quindi era come avere una fonte inesauribile
di francobolli praticamente gratis. I francobolli del sindacalista - nel
frattempo - non arrivavano piu'. Ed ecco che nacque PeaceLink e con essa
l'idea di progettare una rete in cui ognuno potesse disporre di "francobolli
gratis".
Noi pionieri pacifisti partimmo con il modem prima delle stesse Forze Armate
italiane e questo ci procuro' sospetti e pedinamenti. Abbiamo vissuto
l'entusiasmo degli esploratori di una nuova dimensione della comunicazione
per la pace.
*
Oggi moltissimo e' cambiato. Quasi tutte le associazioni pacifiste sono
collegate in rete perche' sanno bene che inviare un messaggio a 200 persone
costa in tutto 200 lire (1 lira a messaggio) mentre per posta prioritaria
costerebbe 240 mila lire e per fax ancora di piu'. Ma vediamo "come eravamo
prima".
Nella guerra del Golfo le riviste pacifiste non riuscivano a tenere il passo
degli eventi. Un mensile, a partire da quando veniva pensato e scritto, per
infine giungere nelle mani del postino e nella buca delle lettere, ci
impiegava 50 giorni. Quasi due mesi per arrivare nelle case degli abbonati!
In quei 50 giorni - in cui veniva impostato, scritto, impaginato, stampato,
spedito e recapitato con le dovute lentezze postali - i generali potevano
aver gia' concluso la guerra. E cosi' fu.
*
E' stato nella guerra del Kossovo che l'informazione pacifista ha compiuto
un balzo in avanti per quantita', qualita' e rapidita'. E' stata infatti la
prima guerra combattuta anche su Internet.
Il sito di PeaceLink veniva aggiornato anche 20-30 volte al giorno e
consultato da migliaia di persone perche' conteneva la mappa completa della
mobilitazione antiguerra. Dalla base venivano prodotte le informazioni e
fatte circolare, dalla base venivano stampate e distribuite. Con gambe e
modem. Il villaggio globale antiguerra ha compiuto cosi' la sua prima
esercitazione pratica scrivendo in Italia la prima pagina di esperienza
nonviolenta collettiva col computer.
"Dal basso", e mai come prima, le tecnologie info-telematiche hanno giocato
un ruolo di rilievo nella mobilitazione nonviolenta cosi' come fra i
militari i sistemi di telecomunicazione hanno svolto il ruolo di "rete di
coordinamento" del sistema bellico.
In collegamento con le citta' di Nis e di Belgrado noi pacifisti potevamo
sapere cosa pensavano gli oppositori di Milosevic e da loro sapevamo "in
tempo reale", e dal vivo delle loro testimonianze, che venivano lanciate
bombe a grappolo sui civili.
Imparavamo a conoscere le distanze e apprendevamo che i quartieri
residenziali bombardati erano lontani chilometri dalle caserme che la Nato
diceva di voler colpire.
La Nato parlava di errori involontari di alcuni metri: "Volevamo colpire
l'aeroporto". Ma noi, tramite Internet, potevamo conoscere direttamente dai
cittadini residenti le distanze reali e smentire le bugie: "L'aeroporto
dista sei chilometri".
Il presidente del consiglio Massimo D'Alema aveva detto che la strategia
Nato si sarebbe concentrata su "obiettivi di esclusiva rilevanza militare"
(discorso alla Camera dei Deputati, 26 marzo 1999). Tramite la raccolta
quotidiana delle testimonianze di fonte civile potevamo ogni giorno smentire
quelle parole fornendo agli stessi giornali informazioni di prima mano.
Le testimonianze raccolte direttamente dalla Jugoslavia tramite Internet
(attendibili perche' provenienti da chi faceva opposizione al regime di
Milosevic) sono state inviate a deputati e senatori italiani e sono divenute
base per un'interrogazione parlamentare.
Ci siamo accorti che avevamo in alcuni casi piu' informazioni dei
giornalisti e dei parlamentari. Ma questo, si badi bene, non e' avvenuto
"grazie ad Internet", ma grazie ad una rete di persone che si e' saputa
organizzare, coordinando molteplici competenze ed attivita',
dall'interpretazione delle lingue straniere alla creazione di pagine
Internet.
Solo grazie a questa "strategia lillipuziana" si e' potuto fronteggiare il
gigante Gulliver per legarlo (o farlo inciampare) con tanti esili fili.
Senza questo coordinamento Internet sarebbe stata solo un megafono e una
piazza dove ognuno cercava di gridare piu' forte. Durante la guerra del
Kossovo la telematica per la pace si e' fatta carico della funzione morale
di dare voce a chi non aveva voce e viveva nella disperazione di poter
morire innocente per colpe non commesse.
*
Questo usare la tecnologia dell'informazione per "dar voce ai senza voce"
richiama l'esempio del giornalista Webb Miller, inviato della United Press
per dare informazioni sul movimento gandhiano.
Miller, dopo aver assistito il 21 maggio 1931 al pestaggio a sangue dei
nonviolenti nei pressi delle saline di Dharasana, uso' tutta la potenza
tecnologica di allora per informare il mondo. Il giorno dopo oltre mille
giornali nel mondo pubblicavano la notizia e il gesto violento si
ripercuoteva su chi l'aveva compiuto come una sonora sconfitta inflitta sul
piano dell'opinione pubblica mondiale.
Che possibilita' di vittoria potrebbe avere la nonviolenza senza un forte
sistema di diffusione dell'informazione? Nella memoria collettiva un fatto
non esiste se non e' conosciuto. La telematica diventa quindi una strategia
e un mezzo per far giungere al mondo il grido dei senza voce.
*
Sono nato nel 1958 e mi sono laureato nel 1980. A differenza di quello che
molti pensano, non sono un laureato in informatica. Ho incominciato ad usare
i computer dal 1980, appena laureato in filosofia.
Ero insoddisfatto della mia formazione troppo basata "sui libri", e per
questo durante gli studi universitari avevo messo esami di statistica,
economia politica, storia della scienza, sociologia, ecc. in una prospettiva
di interdisciplinarita'.
Ma non mi bastava: volevo toccare "le macchine", e il computer mi sembro' la
"macchina" piu' interessante.
Durante i miei studi di filosofia ho cercato di coniugare cultura umanistica
e cultura scientifica perche' mi piaceva l'idea di Marx di una cultura
politecnica che permettesse un controllo dal basso dell'organizzazione del
lavoro.
Ora insegno lettere.
Oggi piu' di ieri diffido di gran parte dei filosofi che usano i paroloni e
che vogliono mettersi in mostra. Vedo dei limiti nella filosofia
tradizionale. Gramsci diceva: specialista piu' politico; bene, occorre dire
specialista piu' filosofo.
Tutto quello che faccio e' un tentativo di superare le ristrettezze di una
cultura parolaia, fumosa o ideologica; se fossi un ingegnere non mi fiderei
di ingegneri, ecc.
Sono diventato molto sospettoso verso gli intellettuali di grido, verso i
carrieristi della cultura, verso i politici dalla parola generica che -
quando devono entrare nel concreto - si fanno scrivere i discorsi e le
proposte di legge.
Tanti politici recitano copioni scritti da consulenti delle multinazionali o
della Nato; si fanno scrivere le leggi dai consulenti che li assistono e li
"sorvegliano". Oggi non e' la politica che sorveglia i consulenti ma
viceversa e' la corporazione tecnica che condiziona e sorveglia un potere
fantoccio.
Ecco perche' dobbiamo entrare nelle sfere tecniche per portare l'umanesimo e
i bisogni di base.
*
Sono diventato cosi' pessimista da cercare disperatamente scampo nella
cultura della concretezza, nelle tecnologie "umanitarie" che danno il potere
di comunicare e comprendere dal basso; credo nella gente di buona volonta',
unico segnale di speranza in un panorama sociale pagato e predisposto per un
dominio totale, completo, inesorabile.
Gli ideali senza la tecnica e la scienza sono perdenti.
Ho un grosso database di informazioni, di indirizzi e di telefoni in un
piccolo computer palmare che porto sempre con me. Le informazioni del
palmare vanno sul mio notebook e viceversa. Purtroppo ho troppi impegni e il
palmare a volte diventa una sorta di uccellino che cinguetta in
continuazione.
Uso spesso la macchina fotografica digitale, nello zainetto ho di tutto,
anche un misuratore dell'elettrosmog. Diffido del cellulare, diffido dei
nuovissimi cellulari UMTS, ma uso il telefonino per notificarmi le e-mail
piu' importanti in tampo reale.
E' da diverso tempo che non riesco a rispondere a tutti i messaggi, non
riesco sempre a leggerli, ne ricevo un centinaio al giorno, non tutti
personali.
"Perdo colpi" perche' il flusso di informazione - anche se ristretto al
mondo della pace - supera le mie capacita' di attenzione e le risorse di
tempo. Ecco perche' credo che si debba lavorare sempre collettivamente.
Spesso sono gli amici che mi avvisano delle cose importanti che mi sfuggono.
Ricevo molte richieste di intervento di ogni genere, e a volte devo anche
dire di no, anche se mi e' difficile.
Vado molto in bicicletta non solo perche' non inquina ma anche perche'
arrivo prima delle macchine, almeno a Taranto e' cosi'.
Insegno in una scuola media superiore e i miei studenti sono abituati a
vedermi tirare fuori dallo zainetto aggeggi sempre nuovi. Mi piace la
scuola, mi piace stare con i ragazzi e a volte inserisco i loro temi in
rete. L'ultimo tema che ho dato e': "Descrivi il tuo mondo interiore".
Sconcerto generale.

9. RIFLESSIONE. IAIA VANTAGGIATO DIALOGA CON DIANA PINTO SULLA SHOAH E
L'EBRAISMO EUROPEO OGGI
[Questo colloquio abbiamo estratto dal quotidiano "Il manifesto" dell'8
dicembre 2002]
Prima gli orrori della Shoa', poi le limitazioni imposte - per
quarant'annni - dai regimi comunisti: e' una storia piu' che sciagurata,
quella patita dalle comunita' ebraiche dell'Europa centro-orientale; e' una
storia fatta di paura, di identita' negate o tenute nascoste, di
persecuzioni e progrom.
Eppure il dolore o la morte quasi non compaiono nei saggi che compongono
l'ultimo numero della "Rassegna di Isreal" dedicato agli "Ebrei europei
dieci anni dopo la fine del socialismo reale" (pp. 340, euro 18) e curato da
Ruth Ellen Gruber e Laura Quercioli Mincer.
Inedita protagonista, piuttosto, e' la vita: quella di comunita' che
rinascono non sotto il segno dell'ortodossia ma della liberta'; quella che
attende chiunque al risveglio dal sogno, un comunismo dal sapore messianico
ma pronto a deludere e a ferire alla prima occasione; quella che nasce
dall'elaborazione di un lutto, di un passato che non si vuole piu' congelato
ma pronto piuttosto ad aprirsi al futuro; quella di un'arte che scappa dai
musei e si riversa per le strade; quella espressa dalla solidarieta'.
E' una vita declinata al presente, insomma, il filo rosso che lega i saggi
della rassegna: ed e' una vita che del presente - dall'Europa a Israele -
accetta le sfide. Perche', alla fine, anche il Muro e' caduto e - al suo
posto - si e' aperto uno "spazio ebraico" nuovo, europeo e vitale; uno
spazio abitato da "ebrei volontari" pronti a diventare la "terza colonna"
dell'ebraismo mondiale. A sostenerlo e' la storica francese Diana Pinto i
cui scritti sull'identita' ebraica europea hanno avuto un ruolo fondamentale
nel dibattito sull'Europa del dopo-Shoa' e del post-comunismo.
Con Pinto - consulente per molti anni del Consiglio d'Europa a Strasburgo e
autrice di uno dei saggi raccolti nella Rassegna - abbiamo voluto
attraversare questo spazio per meglio conoscerne asperita' e levigatezze.
- Iaia Vantaggiato: Lei sostiene che - con la caduta del Muro - si sia
aperta una grande occasione per gli ebrei europei: la possibilita' di creare
un terzo polo dell'ebraismo mondiale dopo quello israeliano e statunitense.
Cosa intende esattamente?
- Diana Pinto: Si tratta di un concetto che ho sviluppato verso la meta'
degli anni '90 e che rifletteva la nuova realta' geopolitica dell'Europa
all'indomani dell'89: quella, cioe', di un continente non piu' scisso in due
dall'ideologia ma finalmente aperto; un continente nel quale agli ebrei
dell'Est - per la prima volta nel XX secolo - veniva finalmente risparmiata
ogni discriminazione. Gli ebrei potevano viaggiare, lasciare il paese in cui
erano nati e, soprattutto, entrare apertamente in contatto con il mondo
ebraico. Sia in Israele che nella Diaspora. L'idea del terzo polo nasceva
all'interno di una "apertura democratica" capace di creare nuove
possibilita' e un nuovo spazio di azione europeo.
- I. V.: Una visione ottimistica, la sua. Non crede che sia in contrasto con
l'intensificarsi, in tutta Europa, di fenomeni di xenofobia, razzismo e
antisemitismo?
- D. P.: L'ottimismo mi veniva - e mi viene tuttora - dalle possibilita' che
questo spazio di liberta' ha creato. Poi sta agli ebrei far si' che esso
diventi una concreta realta' "europea". Del resto, lo stesso discorso vale,
in Europa, anche per i non-ebrei. Quanto ai fenomeni di cui lei parla, non
hanno un legame diretto col terzo polo. O meglio, la lotta contro gli
episodi di razzismo o di antisemitismo fa parte certo delle sue attivita' ma
non lo definisce. La presenza ebraica in Europa e' una presenza positiva,
religiosa si', ma anche culturale. E basta vedere le agende dei
rappresentanti delle diverse comunita' ebraiche per capirlo: si spostano tra
Londra, Roma, Parigi, Barcellona, Praga, Mosca e, sempre piu' di frequente,
Berlino. Organizzano incontri, progetti educativi, sociali, artistici. Il
terzo polo esiste e sempre piu' spesso e' frequentato anche da israeliani e
americani.
- I. V.: Lei parla spesso di "ebrei volontari". Vuole spiegarci cosa
intende?
- D. P.: L'origine del concetto e' legata, per me, alla fine del comunismo.
Dopo il 1989, in Europa, gli ebrei dell'Est erano diventati tutti
"volontari" per il semplice fatto che nessuno Stato li definiva piu' come
tali contro la loro volonta' e perche' a nessuno veniva piu' interdetto
l'accesso a professioni e mestieri. Ma non e' solo questo. Gli ebrei
d'Europa sono volontari perche' restano in Europa "per scelta" e non perche'
viene loro negato il visto per Israele.
- I. V.: La stessa liberta', secondo lei, va riconosciuta anche a quanti -
in Europa - non vogliono piu' "sentirsi" ebrei?
- D. P.: Assolutamente si', sono diritti che ogni democrazia deve garantire.
E' questa, in fondo, la base del pluralismo democratico. Vede, il concetto
di "ebreo volontario" e' piu' problematico se visto all'interno delle
comunita' dove non a caso - gia' nella Germania dell'800 - si era
determinata una divisione tra correnti ortodosse e liberali. E dove e' stato
causa di dibattiti accesi. Uno fra tutti: un figlio di padre ebreo e di
madre non ebrea puo' essere considerato ebreo? Voglio dire che l'ebraismo e'
qualcosa che nessuno puo' costringerti a "sentire". Lo si porta dentro di
se'. E non c'e' un battesimo passivo che possa renderti ebreo. Nei momenti
gravi, per esempio, sono in tanti a "sentirsi" ebrei e a dichiararsi tali.
Come si e' visto in questi ultimi due anni.
- I. V.: Degli ebrei europei, lei parla come di "interlocutori necessari".
Dell'Europa, ma soprattutto di Israele. Perche'?
- D. P.: Se gli ebrei che sono oggi in Europa sono tutti volontari e se -
come tali - si considerano, questo accade grazie alle possibilita' offerte
dall'Europa stessa. Gli ebrei, oggi, possono essere pienamente cittadini e
pienamente ebrei e - insieme - rivendicare il forte legame con Israele e con
gli ebrei di tutto il mondo. Potrebbe essere anche una indicazione
importante per i musulmani d'Europa a cui dovremmo dare la sensazione di
appartenza europea. Musulmani "volontari" capaci di accettare le forme del
pluralismo democratico come pure il rispetto delle nostre leggi basate
sull'uguaglianza tra uomini e donne, sui diritti umani e sulla separazione
tra stato e chiesa.
- I. V.: Che peso puo' avere, invece, il contributo europeo sulla realta'
israeliana?
- D. P.: Le rispondo parlando dell'America e degli ebrei non ortodossi
americani (il 90% degli ebrei americani) che riuscirono ad impedire che
Israele accettasse le disposizione del suo (unico) rabbinato ortodosso
quando decreto' illegali i loro matrimoni religiosi (valutandoli, quindi,
non ortodossi) e impedendo cosi' ai loro figli di "essere ebrei" in Israele.
Loro ci sono riusciti.
- I. V.: In un suo saggio lei scrive che "anche Israele ha sperimentato una
trasformzione essenziale che ha corroso il suo originale potere ideologico".
Israele avrebbe quindi sperimentato la realta' del potere dello stato,
scelte di Realpolitik e financo ingiustizie nei riguardi dei palestinesi.
Dal sogno sionista all'affermarsi della destra e del nazionalismo
ultraortodosso, insomma?
- D. P.: L'evoluzione israeliana e' il prodotto di una lotta tragica, quella
con un mondo arabo che non ha mai voluto riconoscere lo Stato d'Israele. E
anche quando vennero stabilite relazione diplomatiche - e' il caso
dell'Egitto - furono gelide. Sono convinta che in Israele si sarebbe potuto
controbilanciare il nazionalismo ultraortodosso perche' una forte
maggioranza israeliana e' democratica e, anche tra i piu' giovani
(post-sionisti), questa maggioranza ha creato le basi di una autentica
societa' civile. Una societa' che gia' negli anni '90 si poneva la questione
della natura laica o ebraica dello stato oltre a quella dei diritti degli
arabi israeliani e dei palestinesi. La tragedia - comune a israeliani e
palestinesi - e' che questa maggioranza e' stata messa fuori gioco dalle
catastrofiche scelte politiche di Arafat, dalla volonta' degli estremisti
palestinesi di non accettare lo stato d'Isreale, dalla passivita' non
neutrale degli altri paesi arabi. La situazione e' follemente anormale e le
risposte - purtroppo - sono altrettanto anormali.
- I. V.: Che puo' fare l'Europa?
- D. P.: Proteggere questa societa' civile israeliana, ridarle speranza,
avvicinarla all'Europa e comprenderla nelle sue legittime paure. Tutto,
tranne che condannare Israele con passione isterica.
- I. V.: Israele, Europa e America: i tre lati del triangolo ebraico. E, al
centro, la Shoa'. Perche' ritiene che proprio l'Europa - che dalla Shoa' e'
stata maggiormente colpita - possa meglio contribuire ad un suo ripensamento
"in positivo"?
- D. P.: Strana espressione, la sua: l'Europa maggiormente colpita dalla
Shoa'. Cosa vuol dire? La Shoa' e' una specificita' europea. Non e' avvenuta
in nessun altro continente ne' e' piombata sull'Europa come una asteroide.
La Shoa' e', forse, il fenomeno piu' pan-europeo che sia esistito nel XX
secolo ed e' come tale che va affrontata, nella sua specificita' ebraica ed
europea: non come un sottocapitolo della resistenza antifascista ne' come un
fatto puramente nazista. La differenza con gli Usa e con Israele e' che in
Europa il confronto con la Shoa' contribuisce allo sviluppo democratico di
paesi che la Shoa' l'hanno vissuta. E lo fa attraverso un dialogo vivo con
ebrei vivi.
- I. V.: E l'America, Israele?
- D. P.: In America la Shoa' e' diventata una memoria "congelata" di
avvenimenti lontani svoltisi in una Europa concepita come eternamente
antisemita e mai cambiata da allora. In Israele, e' diventata il capitolo
essenziale di una nuova teologia e teleologia nazionale. Anche la', la
memoria ha divorziato dal vissuto e dallo sviluppo storico. Solo in Europa
la Shoa' puo' rimanere ancorata ad una realta' storica vissuta e che,
proprio per questo, puo' avere un futuro. Ma affinche' cio' accada e'
necessario che ebrei e non ebrei siano consapevoli dello sterminio: due
terzi degli ebrei europei sono stati uccisi. E tuttavia io sarei favorevole
a musei che raccontino la vita, la cultura e l'interazione degli ebrei con i
non ebrei in Europa, e non soltanto la loro morte.
- I. V.: In Europa, lei dice, "la Shoa' torna a casa". Cosa intende?
- D. P.: L'Europa deve capire che la Shoa' si e' "svolta" nella "sua" casa.
E, soprattutto, che e' stata tenuta "nascosta" - nell'immediato dopoguerra -
da categorie ideologiche che l'hanno universalizzata, cancellandone cosi' la
specificita' ebraica. Per questo e' l'Europa che deve, oggi, assumersi la
responsabilita' di far conoscere la Shoa' in tutto il suo orrore. Non si
tratta soltanto di ricordare le camere a gas ma di ripercorrere le tappe che
hanno portato all'espulsione dalle diverse collettivita' nazionali di un
intero gruppo di uomini e donne e al modo in cui quel gruppo e' stata
completamente abbandonato alla sua sorte. E alla facilita' con cui tutto
cio' fu messo in atto dal potere politico e amministrativo. E' una lezione
politica che serve anche all'Europa di oggi. Un'Europa che ama ancora
distinguere tra gli europei, chiudere le frontiere, espellere senza mai
tentare la strada dell'integrazione. Spero che una buona comprensione della
Shoa' possa aiutare gli europei a capire come e perche' sia nato Israele,
l'unica terra che accolse i sopravvissuti respinti dall'Europa.
- I. V.: Secondo Tom Segev, la visione della Shoa' ha guidato tutte le
scelte di Israele e modellato l'immagine che gli israeliani hanno di se'.
Concorda?
- D. P.: Non credo che queste considerazioni valgano per gli anni '50,
quando gli israeliani stavano costruendo il loro stato; e nemmeno per i '60.
A quell'epoca c'erano gli "ebrei dell'avocado", fieri dei frutti che
coltivavano sulle loro terre; frutti che certo non potevano far ricordare
loro l'Europa. Erano ebrei che pensavano al futuro, non al passato.
Purtroppo Segev ha ragione per quanto riguarda gli anni '70, l'arrivo del
Likud e di Begin.
- I. V.: Cosa accadde, allora?
- D. P.: Accadde che la Shoa' non venne piu' associata a quanto era accaduto
in Europa agli ebrei cosiddetti "alienati"; a quanti, cioe', non avevano
capito che era arrivato il momento di tornare a casa, nell'"Eretz Israel".
La Shoa', piuttosto, divenne il paradigma di quanto sarebbe potuto accadere
agli israeliani stessi e nel loro stesso territorio. Purtroppo, per la
maggioranza degli israeliani, i due "spettri" della Shoa' continuano a
coesistere in un universo quotidiano: l'Europa continua a essere una
"nemica" e gli israeliani continuano a sentirsi assediati dal nemico arabo.
In America, tutto e' "congelato", in Israele tutto "scotta". La memoria
della Shoa' non riesce a trovare la sua temperatura "normale". Chissa' che
non sia questo il compito degli ebrei europei.
- I. V.: Israele e', forse, l'unico paese al mondo costretto a dover
giustificare continuamente la sua stessa esistenza. Crede che sia per questo
che la Diaspora ne difende comunque le scelte, anche quelle piu'
discutibili?
- D. P.: Tengo a sottolineare che le critiche piu' dure avanzate contro
Israele sono sempre venuta dall'interno della sua stessa societa' civile. Se
un non ebreo osasse dire anche solo la meta' di cio' che tanti israeliani
pensano e scrivono sui problemi del loro paese, verrebbe accusato del
peggior antisemitismo. Vede, gran parte delle reazioni "a fior di pelle" da
parte degli ebrei nei confronti dei non ebrei sono determinate dal fatto che
questi ultimi non sempre riescono a comprendere quanto gli ebrei si sentano
dilaniati: da un lato c'e' l'adesione a valori universali e democratici,
dall'altro l'appoggio a una politica che non condividono ma che pure sono
costretti ad accettare. Ritengo che il compito essenziale degli ebrei della
Diaspora sia proprio quello di sostenere le voci democratiche che si levano
in Israele: definendo, per esempio, i valori che giudicano essenziali per
poter vivere in Europa ed esigendo che quegli stessi valori animino lo stato
d'Israele. E questo vale anche per i religiosi che hanno il dovere - come ha
fatto il Gran Rabbino d'Inghilterra - di dire quando lo stato israeliano sta
smarrendo la sua anima ebraica.
- I. V.: Dunque, per lei, un appoggio non critico non e' un vero appoggio...
- D. P.: Assolutamente no. Piuttosto, proprio la distanza deve aiutare a
guardare piu' chiaramente quanto accade, anche in mezzo all'immane tragedia
del terrorismo. Ma questo puo' avvenire solo se gli ebrei europei sentiranno
di avere alle spalle una Europa piu' comprensiva ed equanime nei confronti
di Israele.
- I. V.: Esistono alternative al giudaismo tradizionale? Modi diversi di
essere ebrei?
- D. P.: L'ebraismo e' un mondo pieno di vita che si e' sempre lasciato
attraversare dalle forme piu' avanzate delle culture con le quali e' entrato
in contatto. E oggi si trova a raccogliere la sfida del pluralismo
democratico contro qualsiasi chiusura difensiva. Se i rabbini ufficiali
intendono mantenere rigide ortodossie devono anche sapere che - presto o
tardi - altri gruppi si formeranno, "liberal" o "conservative". E si tratta
di movimenti che si stanno diffondendo un po' dappertutto, anche in Europa.
Molti ebrei - pur non essendo ortodossi - prendono sul serio la loro
religione e vogliono praticarla in modo consono ai loro valori anche
filosofici. Non e' meglio questo modo di essere ebrei rispetto a quanti -
solo per tradizione - si recano in sinagoga una volta all'anno? L'importante
e' mantenere sfere comuni a livello comunitario, caritatevole e culturale:
lo sa bene il mondo ebraico italiano perche' da voi in ogni citta' storica
coesistevano sinagoghe di rito italiano, tedesco e spagnolo. Quando ero
studentessa ad Harvard c'era la "Hillel House", la casa degli studenti
ebrei. Ricordo ancora con emozione come gli studenti pregassero ciascuno
seconda la sua scelta: ortodossa, "conservative" o liberal. Pero' alla fine
delle preghiere tutti attendevano tutti per fare la cena di Shabbat insieme.
D'inverno, gli ortodossi che pregavano al tramonto, aspettavano i liberal
che pregavano ad ora fissa, alle sei di sera. Di primavera, accadeva il
contrario. La passione ebraica - religiosa e culturale - che li univa era
piu' forte della diversita' delle loro scelte liturgiche.
- I. V.: Il pluralismo e' innato all'ebraismo?
- D. P.: Assolutamente si'. Lo si ritrova ad ogni pagina del Talmud, il
testo biblico fondamentale contornato da infiniti commentari che si
completano l'un l'altro senza che se ne possa imporre uno contro l'altro. La
parola "Halacha" - cioe' cio' che e' legale secondo i tribunali rabbinici e
che, oggi, e' spesso impiegata per sostenere il conservatorismo piu'
rigido - ha la sua radice in un altro termine che vuol dire "avanzare".

10. MAESTRE. ROSSANA ROSSANDA: LA ROSA INATTUALE, GEROGLIFICO DELLA FINE
DELL'INVERNO
[Da Rossana Rossanda, La Rosa inattuale, prefazione a Paul Froelich, Rosa
Luxemburg, Rizzoli, Milano 1987, pp. 15-16. Rossana Rossanda e' nata a Pola
nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del
PCI (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il
manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive
della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi
quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti,
interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui
temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le
altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come
educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna,
persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro
Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con
Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita',
Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma
la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e
morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana
Rossanda e' tuttora dispersa in articoli e saggi pubblicati in giornali e
riviste. Rosa Luxemburg,  1871-1919, e' una delle piu' limpide figure del
movimento dei lavoratori e dell'impegno contro la guerra e contro
l'autoritarismo. Assassinata, il suo cadavere fu gettato in un canale e
ripescato solo mesi dopo; ci sono due epitaffi per lei scritti da Bertolt
Brecht, che suonano cosi': Epitaffio (1919): "Ora e' sparita anche la Rosa
rossa, / non si sa dov'e' sepolta. / Siccome ai poveri ha detto la verita' /
i ricchi l'hanno spedita nell'aldila'"; e Epitaffio per Rosa Luxemburg
(1948): "Qui giace sepolta / Rosa Luxemburg / Un'ebrea polacca / Che
combatte' in difesa dei lavoratori tedeschi, / Uccisa / Dagli oppressori
tedeschi. Oppressi, / Seppellite la vostra discordia". Opere di Rosa
Luxemburg: segnaliamo due fondamentali raccolte di scritti in italiano:
Scritti scelti, Einaudi; Scritti politici, Editori Riuniti (con una ampia,
fondamentale introduzione di Lelio Basso). Opere su Rosa Luxemburg: Lelio
Basso (a cura di), Per conoscere Rosa Luxemburg, Mondadori; Paul Froelich,
Rosa Luxemburg, Rizzoli; P. J. Nettl, Rosa Luxemburg, Il Saggiatore; Daniel
Guerin, Rosa Luxemburg e la spontaneita' rivoluzionaria, Mursia; AA. VV.,
Rosa Luxemburg e lo sviluppo del pensiero marxista, Mazzotta. Ovviamente si
veda anche il noto saggio di Lukacs, Rosa Luxemburg marxista, in Gyorgy
Lukacs, Storia e coscienza di classe, Sugar. Margarethe von Trotta e' una
grande  regista cinematografica tedesca, di forte impegno morale e civile.
Opere di Margarethe von Trotta: Il caso Katharina Blum (1975); Il secondo
risveglio di Christa Klages (1978); Sorelle, o l'equilibrio della felicita'
(1979); Anni di piombo (1980); Lucida follia (1983); Rosa L. (1986); Paura e
amore (1988); Essere donne (1988); L'africana (1990); Il lungo silenzio
(1993); Das Versprechen (1994); Winterkind (1997); Mit fuenfzig kuessen
Maenner anders (1999); Dunkle Tage (1999); Jahrestage (2000); Rosenstrasse
(2002)]
Da dove viene il suo fascino? Viene dalla sua inattualita' in tempi non di
crisi, ma di rinuncia a elaborare la crisi, come quello che ci sta alle
spalle, ai piedi. Non elaborare la crisi vuol dire rimuovere, non ricordare,
perdersi, ammalarsi, come e' ammalata questa societa' che con scarsi
risultati la pubblicita' descrive felice. Se oggi la Luxemburg viene
ripensata da una donna della cultura tedesca, e non per i pochi lettori d'un
libro ma per i milioni di spettatori d'un film, e' forse perche' a un
bisogno solo, ma essenziale, la sua figura risponde: l'unita' della persona
nell'indolenzita trama del dolore e della speranza, dell'intelligenza e dei
sentimenti, dell'io e del mondo, ricomposti. Questo e' un bisogno profondo
dei nostri anni, e forse soltanto di essi. Cosi' succede che una comunista
che non ha vissuto che sconfitte, che e' stata donna in senso pieno,
sofferente delle sofferenze delle donne senza che nessuna le fosse
risparmiata, e insieme forte e fragile come e' del suo sesso, ci parli come
non saprebbe fare una figura virile a tutto tondo. Il fascino d'una
esistenza interamente vissuta come senso in periodi di perdita di senso,
tragica e non retorica, tenace e non ottimista, opera in noi piu'
sottimlmente che un tempo

11. RILETTURE. GIANCARLO GAETA: RELIGIONE DEL NOSTRO TEMPO
Giancarlo Gaeta, Religione del nostro tempo, Edizioni e/o, Roma 1999, pp.
160, lire 15.000. Una raccolta di saggi che vivamente raccomandiamo.

12. RILETTURE. RYSZARD KAPUSCINSKI: EBANO
Ryszard Kapuscinski, Ebano, Feltrinelli, Milano 2000, 2002, pp. 280, euro 7.
Uno dei bellissimi libri di Kapuscinski, viaggiatore ed amico degli esseri
umani.

13. RILETTURE. EDOARDA MASI: IL LIBRO DA NASCONDERE
Edoarda Masi, Il libro da nascondere, Marietti, Casale Monferrato (Al) 1985,
pp. 172. Alcune riflessioni di una saggista, moralista e militante, di aspra
lucidita' e profonda sapienza.

14. RILETTURE. CHRISTA WOLF: PREMESSE A CASSANDRA
Christa Wolf, Premesse a Cassandra, Edizioni e/o, Roma 1984, pp. 176.
Quattro lezioni francofortesi sulla genesi di Cassandra, il capolavoro della
grande scrittrice tedesca femminista ed ecopacifista.

15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

16. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it;
angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di
Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it

Numero 441 del 10 dicembre 2002