[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 441
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 441
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 9 Dec 2002 23:36:01 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 441 del 10 dicembre 2002 Sommario di questo numero: 1. Lidia Menapace, per un "articolo 11" nella Costituzione europea, per un'Europa contro la guerra 2. Giulio Vittorangeli, sull'editoriale di Giancarla Codrignani 3. Peppe Sini, il ritorno della strategia della tensione e la necessita' della nonviolenza 4. Rete di Lilliput, condanniamo l'attentato 5. Le Girandole, per la pace e per Antonino Caponnetto 6. Un incontro su cinque domande 7. Enrico Peyretti, una lettera al Presidente della Repubblica 8. Un profilo di Alessandro Marescotti 9. Iaia Vantaggiato dialoga con Diana Pinto sulla Shoah e l'ebraismo europeo oggi 10. Rossana Rossanda: la Rosa inattuale, geroglifico della fine dell'inverno 11. Riletture: Giancarlo Gaeta, Religione del nostro tempo 12. Riletture: Ryszard Kapuscinski, Ebano 13. Riletture: Edoarda Masi, Il libro da nascondere 14. Riletture: Christa Wolf, Premesse a Cassandra 15. La "Carta" del Movimento Nonviolento 16. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: PER UN "ARTICOLO 11" NELLA COSTITUZIONE EUROPEA, PER UN'EUROPA CONTRO LA GUERRA [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' tra le figure piu' vive e piu' lucide della cultura e della prassi che invera pace, dignita' umana, nonviolenza] Ho ricevuto la proposta di legge di iniziativa popolare per l'attuazione e il rispetto dell'art. 11 della nostra Costituzione [gia' pubblicata su questo notiziario- ndr -]: mi pare buona e la appoggio, anche se sappiamo che le leggi di iniziativa popolare non arrivano praticamente quasi mai al dibattito e alla conclusione. Ugualmente e' giusto sostenere il diritto a legiferare da parte del popolo quando il parlamento non agisce: la sovranita' invero e' solo delegata al parlamento e non puo' mai essere sottratta alla sua sede fondativa che e' appunto il popolo. Tuttavia ho in questo momento una preoccupazione: non credo che il ceto politico del nostro paese voglia cancellare l'art. 11. Lo considera una anticaglia che cadra' da se': mi pare percio' che sia urgente concentrare attenzione, pressione e interesse sulla politica della difesa che sara' decisa in Europa. Infatti se l 'Europa decide di fare una propria "armata" o di rafforzare la sua presenza nella Nato o mantenere gli eserciti nazionali come segno della loro sovranita', l'art. 11 cadra' da solo, non fosse altro che per una inevitabile operazione di connessione e razionalizzazione e coordinamento della materia giuridica europea. Per questo sono cosi' appassionata del progetto di Europa neutrale che intendo proporre alla Convenzione permanenete di Donne contro le guerre e che trova invece diffidenze e rigetti. La neutralita' per il diritto internazionale e' l'unica posizione antagonista alla guerra, esclusiva, mentre tutte le altre forme di organizzazione internazionale (la Societa' delle Nazioni, le Nazioni Unite) cercano si di evitare la guerra, ma non la escludono. Come strada per arrivare alla neutralita' chiediamo che la Costituzione europea preveda il diritto alla pace come diritto fondamentale dei suoi cittadini e cittadine e di tutte le persone umane, e abbia una sorta di articolo 11: almeno questo. Certo sara' dfficile andare piu' in la'; ma bisogna cominciare a fare pressione sui parlamentari nazionalil ed europei perche' si impegnino per ottenere almeno questo. 2. EDITORIALE. GIULIO VITTORANGELI: SULL'EDITORIALE DI GIANCARLA CODRIGNANI [Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it) e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario, ed e' persona della quale se dovessimo trovare qualcosa di men che ottimo da dire nulla troveremmo] Provo a dire due o tre cose, in verita' molto schematiche, sull'editoriale di Giancarla Codrignani Una lettera ai pacifisti dimezzati, apparsa nel n. 237 del 6 dicembre 2002 de "La nonviolenza e' in cammino". * La prima riguarda il "movimento dei movimenti". Il fatto che questo movimento non abbia nella memoria e nei riferimenti la Conferenza Mondiale delle donne del 1995, in particolare il Forum di Hairou a Pechino (rimando su questo alle cose preziosissime scritte e dette da Lidia Menapace), dimostra l'indifferenza e l'incomprensione alle tematiche di genere, ai problemi posti dalla relazione di potere tra uomini e donne. Sfuggono la natura, il senso e gli effetti del fenomeno stesso a cui si vuole contrapporre. La globalizzazione e' infatti affare di donne, come poche altre cose al mondo lo sono mai state; e tra i movimenti, quello che ha prodotto le analisi piu' significative, economiche, sociali, politiche e culturali, e di piu' lungo respiro, e' proprio il movimento delle donne. L'altra conseguenza di questo mancato riferimento e' il prevalere (quantomeno nel movimento italiano contro la globalizzazione) del simbolico maschile, in particolare del suo linguaggio "militare", dello scontro "guerresco", che alla fine e' sicuramente perdente. Non e' accettabile che un potere illegale induca anche chi protesta contro, ad usare forme di violenza illegale e illecite; perche' come recita una famosa poesia brechtiana: "anche l'odio contro la bassezza / stravolge il viso. / Anche l'ira per l'ingiustizia / fa roca la voce". E' importante, quindi, prendere le distanze da quelle culture e forme di lotta che riproducono linguaggi e modelli di comportamento "bellici", anche se simbolici; scegliendo invece di fare della nonviolenza un tratto portante della nostra quotidianita', per opporci alle ingiustizie di cui siamo testimoni. * La seconda cosa riguarda i movimenti nonviolenti. Anche qui nei confronti delle tematiche di genere (maschile e femminile), non si scherza. Lo stesso Gandhi riconosce che ha incominciato ad apprezzare la moglie quando ha deciso di fare voto di castita'. Non convince la percezione del corpo in Gandhi o in componenti religiose che spesso tendono a condividere una svalutazione del corpo e un dualismo tra dimensione corporea e identita' personale. Abbiamo assistito, non casualmente, in questi ultimi tempi ad una centralita' del corpo femminile. La guerra in Afghanistan combattuta per liberare le donne dal burqa; le donne del commando ceceno, velate di nero, a Mosca; le giovani palestinesi che diventano kamikaze; e cosi' via, fino alla Nigeria con l'elezione di miss mondo. Il corpo femminile e' oggi il segno cruciale del passaggio di civilta' a cui l'intero mondo globale e' chiamato. "Il bello del corpo femminile e' che a dispetto di tutti i tentativi, capitalisti e fondamentalisti, di ridurlo a oggetto, e' anche soggetto, non e' solo tramite d'altro ma parla da se' e per se', e non solo in Occidente dove la liberta' femminile si avvale dei diritti scritti ma li eccede, ma anche nel mondo islamico dove quei diritti non ci sono ma di liberta' femminile se ne vede sempre piu', nell'arte, nel cinema, nella letteratura, nei comportamenti e in qualunque altra lingua essa trovi il modo di parlare" (Ida Dominijanni). * Ed ancora chiedo al movimento pacifista: perche' della vostra cultura di riferimento non fa parte Rosa Luxemburg? Forse perche' ci troviamo davanti ad una comunista? Antimilitarista come poche altre lo sono state, non smise un attimo di lottare contro la guerra di cui denunciava l'inutilita' e la stupidita' agghiacciante; contro il costituirsi all'interno del socialismo di tendenze che legittimavano il ricorso alle armi (lei che rivendichera' sempre il primato della parola e del pensiero); contro gli stereotipi che cominciavano a emergere nel socialismo affievolendo l'umanitarismo d'origine. Infine chiedo al movimento nonviolento perche' si e' rifiutato, e si rifiuta, di confrontarsi con le lotte di liberazione, con i loro percorsi contraddittori, che vengono dal Sud del mondo. In particolare, penso allo zapatismo degli anni '90 o al sandinismo degli anni '80, al ruolo avuto dai cristiani all'interno della rivoluzione nicaraguense... poneva, o no, quell'esperienza dei problemi che riguardavano anche noi, la nostra capacita' di pensare e di creare un mondo diverso? Ed anche li', il conflitto fra generi. "Il potere che l'uomo povero puo' esercitare e' solo quello che egli gestisce sul corpo di una donna, alla quale quasi sempre viene negato perfino il piacere sessuale, condannata com'e' a subire le conseguenze di atti procreativi di pura brutalita'. Succede anche alle donne benestanti ed emancipate, ma la miseria non ha compensazioni o rimedi di alcun genere e il divorzio traumatico di una casalinga o di un'operaia occidentale e' - nelle cause e negli effetti - inconfrontabile con il ripudio di un'africana con sette bambini da accudire" (Giancarla Codrignani, dalla prefazione al libro di poesie di Mariana Yonusg Blanco, Io nasco donna, e bastaî, La Piccola Editrice, Celleno - Vt - 1991). 3. EDITORIALE. PEPPE SINI: IL RITORNO DELLA STRATEGIA DELLA TENSIONE E LA NECESSITA' DELLA NONVIOLENZA Sono solo un povero uomo. Ma ho gia' visto gli anni del sangue per le strade, e voglio che non si ripetano piu' in questo paese. Ed allora, in nome del cielo o di quel che volete, che tutti si faccia quanto e' in potere di ognuno per impedire che quegli anni ritornino. Che tutti si faccia quanto e' in potere di ciascuno per contrastare la violenza, sempre e ovunque, davvero "senza se e senza ma". Ed a tutti coloro che vogliono impegnarsi per la pace, per la giustizia, per la dignita' umana, miei amici, miei fratelli e sorelle, chiedo: facciamo tutti la scelta della nonviolenza come unica forma di lotta. Con la scelta della nonviolenza la nostra resistenza all'inumano diventera' invincibile. Con la scelta della nonviolenza sempre piu' l'intera umanita' si unira' alla nostra lotta affinche' tutti i diritti umani siano riconosciuti a tutti gli esseri umani. Con la scelta della nonviolenza si salvano le vite umane anziche' distruggerle, e si disarmano gli armati. Sono solo un uomo povero, che gia' tante persone morte ha pianto. A tutti chiedo di ascoltarmi. Di fermarci a considerare. Di scegliere la nonviolenza. 4. RIFLESSIONE. RETE DI LILLIPUT: CONDANNIAMO L'ATTENTATO [Dalla Rete di Lilliput (per contatti: ufficiostampa at retelilliput.org) riceviamo e diffondiamo un ampio estratto del seguente comunicato. Inviteremmo pero' gli amici lillipuziani ad essere un po' piu' attenti nelle loro parole: le prime vittime di un attentato terroristico non sono genericamente "quei cittadini che cercano etc.", ovvero una spesso troppo idealizzata e stereotipata "societa' civile", ma le persone che si trovano nel luogo dove l'attentato viene realizzato: in questo caso le donne e gli uomini delle forze dell'ordine che giorno dopo giorno espongono la loro vita per difendere la vita e la sicurezza di tutti, la civile convivenza e la legalita' democratica (che poi tra essi vi possano essere talvolta dei mascalzoni, dei sadici e dei nazisti, e' motivo per chiederne l'allontamento e la punizione ai sensi di legge, ma non consente di dimenticare questa fondamentale realta' che troppi per stupida e criminogena propaganda spesso dimenticano). Un po' di concretezza ed attenzione non guasta mai, neppure nello scrivere comunicati] Rete Lilliput condanna con fermezza l'attentato compiuto stanotte presso la questura di Genova ed esprime la piena solidarieta' e vicinanza ai poliziotti che avrebbero potuto morire per colpa delle due esplosioni. Si tratta di un attentato compiuto da ignoti che con estrema puntualita' appaiono nei momenti piu' delicati della storia del nostro paese. La strategia della tensione torna oggi a Genova e il suo obiettivo e' la societa' civile italiana. I primi ad essere colpiti sono quei cittadini che in maniera pacifica e nonviolenta cercano di trovare consenso nell'elaborazione di alternative possibili ad un sistema economico ingiusto che usa la guerra per difendere stili di vita eccessivi, distrugge la dignita' della persona e compromette l'ecosistema del pianeta. Le bombe di Genova esplodono il giorno prima della grande manifestazione nazionale "Fuori l'Italia dalla guerra" - copromossa dalla Rete Lilliput insieme ad Emergency, Tavola della Pace e Libera, che domani vedra' protagonisti centinaia di migliaia di cittadini nelle piazze d'Italia - e in prossimita' delle iniziative che sabato prossimo si terranno a Genova per chiedere verita' e giustizia sui fatti legati al G8 del luglio 2001. 5. INIZIATIVE. LE GIRANDOLE: PER LA PACE E PER ANTONINO CAPONNETTO [Da "Le Girandole" (per contatti: legirandole at tiscali.it) riceviamo e diffondiamo. Una sola osservazione: nella lettera ai fondatori di Emergency si afferma di voler dialogare con chi propugna la guerra: dialogare con tutti e' cosa buona e giusta, ma senza equivoci: chi trascinasse l'Italia in guerra sarebbe ipso facto un golpista e uno stragista, e con costoro quanto a questo non possiamo e non dobbiamo dialogare: dobbiamo farli arrestare, processare e condannare per violazione della Costituzione, crimini di guerra e crimini contro l'umanita'; solo dopo averli disarmati, averli messi in condizione di non nuocere, averli assicurati alla giustizia, solo allora possiamo cercare di recuperarli alla civile convivenza] Cari amici, vi comunichiamo che abbiamo voluto dedicare il dibattito che gia' da tempo stavamo organizzando per l'anniversario di piazza Fontana, il 12 dicembre, a Nino Caponnetto, scomparso il 6 dicembre scorso. Un uomo che con generosita' e caparbieta' ha dedicato la sua vita alla giustizia e negli ultimi anni si e' prodigato per far conoscere i principi della nostra Costituzione. Il titolo dell'incontro e' "La giustizia e la memoria: Antonino Caponnetto", e saranno presenti: Gianni Barbacetto, Giancarlo Caselli, Claudio Castelli, Franca Rame. L'appuntamento e' alle ore 21 presso le Stelline, in corso Magenta 61, a Milano. Le associazioni: Le Girandole, I Girotondi di Milano, Articolo 21 Liberi di. * Vi informiamo inoltre che le Girandole hanno aderito alla fiaccolata per la pace di martedi' 10 dicembre prossimo - anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani - a Milano, in contemporanea con altre numerose iniziative nell'ambito della campagna di Emergency "Fuori l'Italia dalla guerra". L'appuntamento e' alle 18 in piazza San Babila. * Lettera a Emergency: adesione alla fiaccolata per la pace Cari Teresa e Gino Strada, le Girandole saranno in piazza con voi, martedi' 10 dicembre, alla manifestazione convocata per tenere l'Italia fuori dalla guerra. Molte e serie ragioni, di carattere ideale e di opportunita' politica, rendono doverosa questa nostra presenza, per esprimere, insieme a voi, il nostro profondo dissenso nei confronti del prospettato intervento militare in Iraq. In un momento in cui si annunciano nuove stragi di innocenti, ci sentiamo uniti con tutti i cittadini, le associazioni e i movimenti dell'Italia che "ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali" (art. 11 della Costituzione Italiana). E avvertiamo il dovere di dialogare, con pacata ragionevolezza, con l'altra Italia, quella che sembra ripudiare la Costituzione della Repubblica o essersi rassegnata ad avere come governanti coloro che la ripudiano. Si tratta di un dialogo difficile, ma tanto piu' necessario, in un momento in cui coloro che si battono contro la scelte di una nuova guerra, prima di portare le proprie argomentazioni, sono costretti a liberarsi di dosso l'assurda etichetta di "nemici dell'America" o di "amici dei dittatori", imposte loro da una macchina della propaganda martellante. La criminalizzazione del dissenso e la manipolazione dell'informazione si rivelano ancora una volta funzionali a un sistema di potere che, prima di tutto nella logica del proprio meccanismo economico, trova nella guerra una struttura portante. Forse prevarra' il buon senso, o forse no. Ma noi abbiamo il dovere di manifestare il nostro pensiero di pace, carico di responsabilita' per la politica e la diplomazia, indispensabile presupposto per un nuovo mondo possibile, meno ingiusto e crudele, ma purtroppo ancora improbabile. A martedi'. Un affettuoso saluto, le Girandole 6. INIZIATIVE. UN INCONTRO SU CINQUE DOMANDE Nell'anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani proclamata il 10 dicembre 1948, il Centro di ricerca per la pace di Viterbo ha promosso un incontro di approfondimento sul tema "cinque domande ineludibili". Le cinque domande proposte alla riflessione sono le seguenti: 1. E' possibile difendere i diritti umani qui se si contribuisce ad opprimere i quattro quinti dell'umanita'? 2. E' possibile difendere i diritti umani qui se si continua a tollerare che esseri umani vengano uccisi nel mondo con la pena di morte e con le guerre - che, come ha scritto Gandhi, consistono sempre di omicidi di massa? 3. E' possibile difendere i diritti umani qui se neghiamo ospitalita' ed aiuto alle vittime di miseria e persecuzioni? 4. E' possibile difendere i diritti umani qui se non si fa la scelta della nonviolenza? 5. E' possibile difendere i diritti umani qui se non ci impegnamo per la loro affermazione ovunque nel mondo? Il motto proposto dall'incontro e': "tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani". 7. LETTERE. ENRICO PEYRETTI: UNA LETTERA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per averci messo a disposizione questa sua lettera al capo dello Stato. Enrico Peyreti e' una delle voci piu' autorevoli della cultura e della prassi della pace e della nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di le' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; e' diffusa attraverso la rete telematica una sua ricerca fondamentale: Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente] Signor Presidente della Repubblica, sono un cittadino che Le ha scritto piu' volte lettere di critica, nello spirito democratico. Questa volta desidero esprimerLe stima e sostegno, nel momento in cui un uomo politico ambizioso e spregiudicato, accumulatore di poteri che nello stato di diritto devono essere accuratamente separati, scarsamente fornito di senso della legge uguale per tutti, e culturalmente estraneo ai valori costituzionali e alla loro sofferta origine nella storia italiana, si e' permesso di progettare sfacciatamente la propria conquista populista dell'alto ruolo da Lei oggi esercitato, senza considerazione (se non postuma e posticcia) della Sua persona, e soprattutto con l'intenzione di stravolgere in senso personalistico e demagogico i poteri costituzionali del Capo dello Stato, per farne l'uso personale che gli e' solito, come dimostra ogni giorno di nuovo. Quell'uomo aggressivo ignora che la democrazia e' "governo della legge e non degli uomini", come ricordo' un maestro del livello del senatore Norberto Bobbio, quando un altro uomo politico - all'ombra e col favore del quale questo di cui parlo intraprese la sua scalata personale - si compiaceva di regnare nel proprio partito col metodo dell'acclamazione. Con i piu' distinti saluti, Enrico Peyretti 8. MAESTRI E COMPAGNI. UN PROFILO DI ALESSANDRO MARESCOTTI [Sono assai grato ad Alessandro Marescotti (per contatti: a.marescotti at peacelink.it) per aver accolto l'invito a scrivere alcune riflessioni sulle sue esperienze. Mi pare che la piccola violenza che ho esercitato nei confronti di persone amiche affinche' "si raccontassero" su questo foglio sortisca un utile esito: di favorire in altri interlocutori l'uscita dallo stereotipo secondo cui la nonviolenza e' qualcosa di astratto, o peggio che la lotta per la pace sia affare per poche personalita' dai tratti superomistici o disumanati. La nonviolenza in cammino sono le persone concrete che "fanno la cosa giusta"; la nonviolenza in cammino, per dirla con una bella parola coniata da Aldo Capitini, e' l'"omnicrazia", il potere di tutti - quel "tutti" che sempre Capitini diceva essere il plurale di "tu" (Peppe Sini)] La mia esperienza personale e' quella di chi, nel 1991, e' stato fra i promotori di PeaceLink, la rete telematica italiana per la pace. Durante la guerra del Golfo ero un "pacifista con la valigetta": andavo in giro con un computer portatile Toshiba, uno dei primi veramente leggeri e leggibili (era uno dei primi ad avere lo schermo retroilluminato) e con batterie che duravano dalle 3 alle 4 ore. Raccoglievo informazioni sulle iniziative antiguerra, compilavo un bollettino e lo memorizzavo su dischetto. Giorno dopo giorno modificavo alcune parti del bollettino, toglievo le cose vecchie e scrivevo le nuove: con la macchina da scrivere avrei dovuto digitare nuovamente tutto. Con il portatile scrivevo dove mi capitava, in corriera, ai cortei, nelle riunioni; preparavo volantini, locandine, ecc. Insomma, mi sentivo con la tipografia nella valigetta. Un compagno sindacalista mi regalava buste di francobolli (poi la cosa fini', perche' nei sindacati tiro' altra aria). Stampavo il bollettino, lo fotocopiavo e lo distribuivo. Lo spedivo con i francobolli. Quando il dischetto si riempiva mi veniva da pensare: se gli altri avessero un computer potrei distribuire dischetti pieni di informazioni invece di mucchi di carta. Poi venni a sapere che esistevano reti di BBS, o "bacheche telematiche", ossia reti che distribuivano i "file" dei dischetti senza che si dovessero spedire i dischetti per posta. Quindi era come avere una fonte inesauribile di francobolli praticamente gratis. I francobolli del sindacalista - nel frattempo - non arrivavano piu'. Ed ecco che nacque PeaceLink e con essa l'idea di progettare una rete in cui ognuno potesse disporre di "francobolli gratis". Noi pionieri pacifisti partimmo con il modem prima delle stesse Forze Armate italiane e questo ci procuro' sospetti e pedinamenti. Abbiamo vissuto l'entusiasmo degli esploratori di una nuova dimensione della comunicazione per la pace. * Oggi moltissimo e' cambiato. Quasi tutte le associazioni pacifiste sono collegate in rete perche' sanno bene che inviare un messaggio a 200 persone costa in tutto 200 lire (1 lira a messaggio) mentre per posta prioritaria costerebbe 240 mila lire e per fax ancora di piu'. Ma vediamo "come eravamo prima". Nella guerra del Golfo le riviste pacifiste non riuscivano a tenere il passo degli eventi. Un mensile, a partire da quando veniva pensato e scritto, per infine giungere nelle mani del postino e nella buca delle lettere, ci impiegava 50 giorni. Quasi due mesi per arrivare nelle case degli abbonati! In quei 50 giorni - in cui veniva impostato, scritto, impaginato, stampato, spedito e recapitato con le dovute lentezze postali - i generali potevano aver gia' concluso la guerra. E cosi' fu. * E' stato nella guerra del Kossovo che l'informazione pacifista ha compiuto un balzo in avanti per quantita', qualita' e rapidita'. E' stata infatti la prima guerra combattuta anche su Internet. Il sito di PeaceLink veniva aggiornato anche 20-30 volte al giorno e consultato da migliaia di persone perche' conteneva la mappa completa della mobilitazione antiguerra. Dalla base venivano prodotte le informazioni e fatte circolare, dalla base venivano stampate e distribuite. Con gambe e modem. Il villaggio globale antiguerra ha compiuto cosi' la sua prima esercitazione pratica scrivendo in Italia la prima pagina di esperienza nonviolenta collettiva col computer. "Dal basso", e mai come prima, le tecnologie info-telematiche hanno giocato un ruolo di rilievo nella mobilitazione nonviolenta cosi' come fra i militari i sistemi di telecomunicazione hanno svolto il ruolo di "rete di coordinamento" del sistema bellico. In collegamento con le citta' di Nis e di Belgrado noi pacifisti potevamo sapere cosa pensavano gli oppositori di Milosevic e da loro sapevamo "in tempo reale", e dal vivo delle loro testimonianze, che venivano lanciate bombe a grappolo sui civili. Imparavamo a conoscere le distanze e apprendevamo che i quartieri residenziali bombardati erano lontani chilometri dalle caserme che la Nato diceva di voler colpire. La Nato parlava di errori involontari di alcuni metri: "Volevamo colpire l'aeroporto". Ma noi, tramite Internet, potevamo conoscere direttamente dai cittadini residenti le distanze reali e smentire le bugie: "L'aeroporto dista sei chilometri". Il presidente del consiglio Massimo D'Alema aveva detto che la strategia Nato si sarebbe concentrata su "obiettivi di esclusiva rilevanza militare" (discorso alla Camera dei Deputati, 26 marzo 1999). Tramite la raccolta quotidiana delle testimonianze di fonte civile potevamo ogni giorno smentire quelle parole fornendo agli stessi giornali informazioni di prima mano. Le testimonianze raccolte direttamente dalla Jugoslavia tramite Internet (attendibili perche' provenienti da chi faceva opposizione al regime di Milosevic) sono state inviate a deputati e senatori italiani e sono divenute base per un'interrogazione parlamentare. Ci siamo accorti che avevamo in alcuni casi piu' informazioni dei giornalisti e dei parlamentari. Ma questo, si badi bene, non e' avvenuto "grazie ad Internet", ma grazie ad una rete di persone che si e' saputa organizzare, coordinando molteplici competenze ed attivita', dall'interpretazione delle lingue straniere alla creazione di pagine Internet. Solo grazie a questa "strategia lillipuziana" si e' potuto fronteggiare il gigante Gulliver per legarlo (o farlo inciampare) con tanti esili fili. Senza questo coordinamento Internet sarebbe stata solo un megafono e una piazza dove ognuno cercava di gridare piu' forte. Durante la guerra del Kossovo la telematica per la pace si e' fatta carico della funzione morale di dare voce a chi non aveva voce e viveva nella disperazione di poter morire innocente per colpe non commesse. * Questo usare la tecnologia dell'informazione per "dar voce ai senza voce" richiama l'esempio del giornalista Webb Miller, inviato della United Press per dare informazioni sul movimento gandhiano. Miller, dopo aver assistito il 21 maggio 1931 al pestaggio a sangue dei nonviolenti nei pressi delle saline di Dharasana, uso' tutta la potenza tecnologica di allora per informare il mondo. Il giorno dopo oltre mille giornali nel mondo pubblicavano la notizia e il gesto violento si ripercuoteva su chi l'aveva compiuto come una sonora sconfitta inflitta sul piano dell'opinione pubblica mondiale. Che possibilita' di vittoria potrebbe avere la nonviolenza senza un forte sistema di diffusione dell'informazione? Nella memoria collettiva un fatto non esiste se non e' conosciuto. La telematica diventa quindi una strategia e un mezzo per far giungere al mondo il grido dei senza voce. * Sono nato nel 1958 e mi sono laureato nel 1980. A differenza di quello che molti pensano, non sono un laureato in informatica. Ho incominciato ad usare i computer dal 1980, appena laureato in filosofia. Ero insoddisfatto della mia formazione troppo basata "sui libri", e per questo durante gli studi universitari avevo messo esami di statistica, economia politica, storia della scienza, sociologia, ecc. in una prospettiva di interdisciplinarita'. Ma non mi bastava: volevo toccare "le macchine", e il computer mi sembro' la "macchina" piu' interessante. Durante i miei studi di filosofia ho cercato di coniugare cultura umanistica e cultura scientifica perche' mi piaceva l'idea di Marx di una cultura politecnica che permettesse un controllo dal basso dell'organizzazione del lavoro. Ora insegno lettere. Oggi piu' di ieri diffido di gran parte dei filosofi che usano i paroloni e che vogliono mettersi in mostra. Vedo dei limiti nella filosofia tradizionale. Gramsci diceva: specialista piu' politico; bene, occorre dire specialista piu' filosofo. Tutto quello che faccio e' un tentativo di superare le ristrettezze di una cultura parolaia, fumosa o ideologica; se fossi un ingegnere non mi fiderei di ingegneri, ecc. Sono diventato molto sospettoso verso gli intellettuali di grido, verso i carrieristi della cultura, verso i politici dalla parola generica che - quando devono entrare nel concreto - si fanno scrivere i discorsi e le proposte di legge. Tanti politici recitano copioni scritti da consulenti delle multinazionali o della Nato; si fanno scrivere le leggi dai consulenti che li assistono e li "sorvegliano". Oggi non e' la politica che sorveglia i consulenti ma viceversa e' la corporazione tecnica che condiziona e sorveglia un potere fantoccio. Ecco perche' dobbiamo entrare nelle sfere tecniche per portare l'umanesimo e i bisogni di base. * Sono diventato cosi' pessimista da cercare disperatamente scampo nella cultura della concretezza, nelle tecnologie "umanitarie" che danno il potere di comunicare e comprendere dal basso; credo nella gente di buona volonta', unico segnale di speranza in un panorama sociale pagato e predisposto per un dominio totale, completo, inesorabile. Gli ideali senza la tecnica e la scienza sono perdenti. Ho un grosso database di informazioni, di indirizzi e di telefoni in un piccolo computer palmare che porto sempre con me. Le informazioni del palmare vanno sul mio notebook e viceversa. Purtroppo ho troppi impegni e il palmare a volte diventa una sorta di uccellino che cinguetta in continuazione. Uso spesso la macchina fotografica digitale, nello zainetto ho di tutto, anche un misuratore dell'elettrosmog. Diffido del cellulare, diffido dei nuovissimi cellulari UMTS, ma uso il telefonino per notificarmi le e-mail piu' importanti in tampo reale. E' da diverso tempo che non riesco a rispondere a tutti i messaggi, non riesco sempre a leggerli, ne ricevo un centinaio al giorno, non tutti personali. "Perdo colpi" perche' il flusso di informazione - anche se ristretto al mondo della pace - supera le mie capacita' di attenzione e le risorse di tempo. Ecco perche' credo che si debba lavorare sempre collettivamente. Spesso sono gli amici che mi avvisano delle cose importanti che mi sfuggono. Ricevo molte richieste di intervento di ogni genere, e a volte devo anche dire di no, anche se mi e' difficile. Vado molto in bicicletta non solo perche' non inquina ma anche perche' arrivo prima delle macchine, almeno a Taranto e' cosi'. Insegno in una scuola media superiore e i miei studenti sono abituati a vedermi tirare fuori dallo zainetto aggeggi sempre nuovi. Mi piace la scuola, mi piace stare con i ragazzi e a volte inserisco i loro temi in rete. L'ultimo tema che ho dato e': "Descrivi il tuo mondo interiore". Sconcerto generale. 9. RIFLESSIONE. IAIA VANTAGGIATO DIALOGA CON DIANA PINTO SULLA SHOAH E L'EBRAISMO EUROPEO OGGI [Questo colloquio abbiamo estratto dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 dicembre 2002] Prima gli orrori della Shoa', poi le limitazioni imposte - per quarant'annni - dai regimi comunisti: e' una storia piu' che sciagurata, quella patita dalle comunita' ebraiche dell'Europa centro-orientale; e' una storia fatta di paura, di identita' negate o tenute nascoste, di persecuzioni e progrom. Eppure il dolore o la morte quasi non compaiono nei saggi che compongono l'ultimo numero della "Rassegna di Isreal" dedicato agli "Ebrei europei dieci anni dopo la fine del socialismo reale" (pp. 340, euro 18) e curato da Ruth Ellen Gruber e Laura Quercioli Mincer. Inedita protagonista, piuttosto, e' la vita: quella di comunita' che rinascono non sotto il segno dell'ortodossia ma della liberta'; quella che attende chiunque al risveglio dal sogno, un comunismo dal sapore messianico ma pronto a deludere e a ferire alla prima occasione; quella che nasce dall'elaborazione di un lutto, di un passato che non si vuole piu' congelato ma pronto piuttosto ad aprirsi al futuro; quella di un'arte che scappa dai musei e si riversa per le strade; quella espressa dalla solidarieta'. E' una vita declinata al presente, insomma, il filo rosso che lega i saggi della rassegna: ed e' una vita che del presente - dall'Europa a Israele - accetta le sfide. Perche', alla fine, anche il Muro e' caduto e - al suo posto - si e' aperto uno "spazio ebraico" nuovo, europeo e vitale; uno spazio abitato da "ebrei volontari" pronti a diventare la "terza colonna" dell'ebraismo mondiale. A sostenerlo e' la storica francese Diana Pinto i cui scritti sull'identita' ebraica europea hanno avuto un ruolo fondamentale nel dibattito sull'Europa del dopo-Shoa' e del post-comunismo. Con Pinto - consulente per molti anni del Consiglio d'Europa a Strasburgo e autrice di uno dei saggi raccolti nella Rassegna - abbiamo voluto attraversare questo spazio per meglio conoscerne asperita' e levigatezze. - Iaia Vantaggiato: Lei sostiene che - con la caduta del Muro - si sia aperta una grande occasione per gli ebrei europei: la possibilita' di creare un terzo polo dell'ebraismo mondiale dopo quello israeliano e statunitense. Cosa intende esattamente? - Diana Pinto: Si tratta di un concetto che ho sviluppato verso la meta' degli anni '90 e che rifletteva la nuova realta' geopolitica dell'Europa all'indomani dell'89: quella, cioe', di un continente non piu' scisso in due dall'ideologia ma finalmente aperto; un continente nel quale agli ebrei dell'Est - per la prima volta nel XX secolo - veniva finalmente risparmiata ogni discriminazione. Gli ebrei potevano viaggiare, lasciare il paese in cui erano nati e, soprattutto, entrare apertamente in contatto con il mondo ebraico. Sia in Israele che nella Diaspora. L'idea del terzo polo nasceva all'interno di una "apertura democratica" capace di creare nuove possibilita' e un nuovo spazio di azione europeo. - I. V.: Una visione ottimistica, la sua. Non crede che sia in contrasto con l'intensificarsi, in tutta Europa, di fenomeni di xenofobia, razzismo e antisemitismo? - D. P.: L'ottimismo mi veniva - e mi viene tuttora - dalle possibilita' che questo spazio di liberta' ha creato. Poi sta agli ebrei far si' che esso diventi una concreta realta' "europea". Del resto, lo stesso discorso vale, in Europa, anche per i non-ebrei. Quanto ai fenomeni di cui lei parla, non hanno un legame diretto col terzo polo. O meglio, la lotta contro gli episodi di razzismo o di antisemitismo fa parte certo delle sue attivita' ma non lo definisce. La presenza ebraica in Europa e' una presenza positiva, religiosa si', ma anche culturale. E basta vedere le agende dei rappresentanti delle diverse comunita' ebraiche per capirlo: si spostano tra Londra, Roma, Parigi, Barcellona, Praga, Mosca e, sempre piu' di frequente, Berlino. Organizzano incontri, progetti educativi, sociali, artistici. Il terzo polo esiste e sempre piu' spesso e' frequentato anche da israeliani e americani. - I. V.: Lei parla spesso di "ebrei volontari". Vuole spiegarci cosa intende? - D. P.: L'origine del concetto e' legata, per me, alla fine del comunismo. Dopo il 1989, in Europa, gli ebrei dell'Est erano diventati tutti "volontari" per il semplice fatto che nessuno Stato li definiva piu' come tali contro la loro volonta' e perche' a nessuno veniva piu' interdetto l'accesso a professioni e mestieri. Ma non e' solo questo. Gli ebrei d'Europa sono volontari perche' restano in Europa "per scelta" e non perche' viene loro negato il visto per Israele. - I. V.: La stessa liberta', secondo lei, va riconosciuta anche a quanti - in Europa - non vogliono piu' "sentirsi" ebrei? - D. P.: Assolutamente si', sono diritti che ogni democrazia deve garantire. E' questa, in fondo, la base del pluralismo democratico. Vede, il concetto di "ebreo volontario" e' piu' problematico se visto all'interno delle comunita' dove non a caso - gia' nella Germania dell'800 - si era determinata una divisione tra correnti ortodosse e liberali. E dove e' stato causa di dibattiti accesi. Uno fra tutti: un figlio di padre ebreo e di madre non ebrea puo' essere considerato ebreo? Voglio dire che l'ebraismo e' qualcosa che nessuno puo' costringerti a "sentire". Lo si porta dentro di se'. E non c'e' un battesimo passivo che possa renderti ebreo. Nei momenti gravi, per esempio, sono in tanti a "sentirsi" ebrei e a dichiararsi tali. Come si e' visto in questi ultimi due anni. - I. V.: Degli ebrei europei, lei parla come di "interlocutori necessari". Dell'Europa, ma soprattutto di Israele. Perche'? - D. P.: Se gli ebrei che sono oggi in Europa sono tutti volontari e se - come tali - si considerano, questo accade grazie alle possibilita' offerte dall'Europa stessa. Gli ebrei, oggi, possono essere pienamente cittadini e pienamente ebrei e - insieme - rivendicare il forte legame con Israele e con gli ebrei di tutto il mondo. Potrebbe essere anche una indicazione importante per i musulmani d'Europa a cui dovremmo dare la sensazione di appartenza europea. Musulmani "volontari" capaci di accettare le forme del pluralismo democratico come pure il rispetto delle nostre leggi basate sull'uguaglianza tra uomini e donne, sui diritti umani e sulla separazione tra stato e chiesa. - I. V.: Che peso puo' avere, invece, il contributo europeo sulla realta' israeliana? - D. P.: Le rispondo parlando dell'America e degli ebrei non ortodossi americani (il 90% degli ebrei americani) che riuscirono ad impedire che Israele accettasse le disposizione del suo (unico) rabbinato ortodosso quando decreto' illegali i loro matrimoni religiosi (valutandoli, quindi, non ortodossi) e impedendo cosi' ai loro figli di "essere ebrei" in Israele. Loro ci sono riusciti. - I. V.: In un suo saggio lei scrive che "anche Israele ha sperimentato una trasformzione essenziale che ha corroso il suo originale potere ideologico". Israele avrebbe quindi sperimentato la realta' del potere dello stato, scelte di Realpolitik e financo ingiustizie nei riguardi dei palestinesi. Dal sogno sionista all'affermarsi della destra e del nazionalismo ultraortodosso, insomma? - D. P.: L'evoluzione israeliana e' il prodotto di una lotta tragica, quella con un mondo arabo che non ha mai voluto riconoscere lo Stato d'Israele. E anche quando vennero stabilite relazione diplomatiche - e' il caso dell'Egitto - furono gelide. Sono convinta che in Israele si sarebbe potuto controbilanciare il nazionalismo ultraortodosso perche' una forte maggioranza israeliana e' democratica e, anche tra i piu' giovani (post-sionisti), questa maggioranza ha creato le basi di una autentica societa' civile. Una societa' che gia' negli anni '90 si poneva la questione della natura laica o ebraica dello stato oltre a quella dei diritti degli arabi israeliani e dei palestinesi. La tragedia - comune a israeliani e palestinesi - e' che questa maggioranza e' stata messa fuori gioco dalle catastrofiche scelte politiche di Arafat, dalla volonta' degli estremisti palestinesi di non accettare lo stato d'Isreale, dalla passivita' non neutrale degli altri paesi arabi. La situazione e' follemente anormale e le risposte - purtroppo - sono altrettanto anormali. - I. V.: Che puo' fare l'Europa? - D. P.: Proteggere questa societa' civile israeliana, ridarle speranza, avvicinarla all'Europa e comprenderla nelle sue legittime paure. Tutto, tranne che condannare Israele con passione isterica. - I. V.: Israele, Europa e America: i tre lati del triangolo ebraico. E, al centro, la Shoa'. Perche' ritiene che proprio l'Europa - che dalla Shoa' e' stata maggiormente colpita - possa meglio contribuire ad un suo ripensamento "in positivo"? - D. P.: Strana espressione, la sua: l'Europa maggiormente colpita dalla Shoa'. Cosa vuol dire? La Shoa' e' una specificita' europea. Non e' avvenuta in nessun altro continente ne' e' piombata sull'Europa come una asteroide. La Shoa' e', forse, il fenomeno piu' pan-europeo che sia esistito nel XX secolo ed e' come tale che va affrontata, nella sua specificita' ebraica ed europea: non come un sottocapitolo della resistenza antifascista ne' come un fatto puramente nazista. La differenza con gli Usa e con Israele e' che in Europa il confronto con la Shoa' contribuisce allo sviluppo democratico di paesi che la Shoa' l'hanno vissuta. E lo fa attraverso un dialogo vivo con ebrei vivi. - I. V.: E l'America, Israele? - D. P.: In America la Shoa' e' diventata una memoria "congelata" di avvenimenti lontani svoltisi in una Europa concepita come eternamente antisemita e mai cambiata da allora. In Israele, e' diventata il capitolo essenziale di una nuova teologia e teleologia nazionale. Anche la', la memoria ha divorziato dal vissuto e dallo sviluppo storico. Solo in Europa la Shoa' puo' rimanere ancorata ad una realta' storica vissuta e che, proprio per questo, puo' avere un futuro. Ma affinche' cio' accada e' necessario che ebrei e non ebrei siano consapevoli dello sterminio: due terzi degli ebrei europei sono stati uccisi. E tuttavia io sarei favorevole a musei che raccontino la vita, la cultura e l'interazione degli ebrei con i non ebrei in Europa, e non soltanto la loro morte. - I. V.: In Europa, lei dice, "la Shoa' torna a casa". Cosa intende? - D. P.: L'Europa deve capire che la Shoa' si e' "svolta" nella "sua" casa. E, soprattutto, che e' stata tenuta "nascosta" - nell'immediato dopoguerra - da categorie ideologiche che l'hanno universalizzata, cancellandone cosi' la specificita' ebraica. Per questo e' l'Europa che deve, oggi, assumersi la responsabilita' di far conoscere la Shoa' in tutto il suo orrore. Non si tratta soltanto di ricordare le camere a gas ma di ripercorrere le tappe che hanno portato all'espulsione dalle diverse collettivita' nazionali di un intero gruppo di uomini e donne e al modo in cui quel gruppo e' stata completamente abbandonato alla sua sorte. E alla facilita' con cui tutto cio' fu messo in atto dal potere politico e amministrativo. E' una lezione politica che serve anche all'Europa di oggi. Un'Europa che ama ancora distinguere tra gli europei, chiudere le frontiere, espellere senza mai tentare la strada dell'integrazione. Spero che una buona comprensione della Shoa' possa aiutare gli europei a capire come e perche' sia nato Israele, l'unica terra che accolse i sopravvissuti respinti dall'Europa. - I. V.: Secondo Tom Segev, la visione della Shoa' ha guidato tutte le scelte di Israele e modellato l'immagine che gli israeliani hanno di se'. Concorda? - D. P.: Non credo che queste considerazioni valgano per gli anni '50, quando gli israeliani stavano costruendo il loro stato; e nemmeno per i '60. A quell'epoca c'erano gli "ebrei dell'avocado", fieri dei frutti che coltivavano sulle loro terre; frutti che certo non potevano far ricordare loro l'Europa. Erano ebrei che pensavano al futuro, non al passato. Purtroppo Segev ha ragione per quanto riguarda gli anni '70, l'arrivo del Likud e di Begin. - I. V.: Cosa accadde, allora? - D. P.: Accadde che la Shoa' non venne piu' associata a quanto era accaduto in Europa agli ebrei cosiddetti "alienati"; a quanti, cioe', non avevano capito che era arrivato il momento di tornare a casa, nell'"Eretz Israel". La Shoa', piuttosto, divenne il paradigma di quanto sarebbe potuto accadere agli israeliani stessi e nel loro stesso territorio. Purtroppo, per la maggioranza degli israeliani, i due "spettri" della Shoa' continuano a coesistere in un universo quotidiano: l'Europa continua a essere una "nemica" e gli israeliani continuano a sentirsi assediati dal nemico arabo. In America, tutto e' "congelato", in Israele tutto "scotta". La memoria della Shoa' non riesce a trovare la sua temperatura "normale". Chissa' che non sia questo il compito degli ebrei europei. - I. V.: Israele e', forse, l'unico paese al mondo costretto a dover giustificare continuamente la sua stessa esistenza. Crede che sia per questo che la Diaspora ne difende comunque le scelte, anche quelle piu' discutibili? - D. P.: Tengo a sottolineare che le critiche piu' dure avanzate contro Israele sono sempre venuta dall'interno della sua stessa societa' civile. Se un non ebreo osasse dire anche solo la meta' di cio' che tanti israeliani pensano e scrivono sui problemi del loro paese, verrebbe accusato del peggior antisemitismo. Vede, gran parte delle reazioni "a fior di pelle" da parte degli ebrei nei confronti dei non ebrei sono determinate dal fatto che questi ultimi non sempre riescono a comprendere quanto gli ebrei si sentano dilaniati: da un lato c'e' l'adesione a valori universali e democratici, dall'altro l'appoggio a una politica che non condividono ma che pure sono costretti ad accettare. Ritengo che il compito essenziale degli ebrei della Diaspora sia proprio quello di sostenere le voci democratiche che si levano in Israele: definendo, per esempio, i valori che giudicano essenziali per poter vivere in Europa ed esigendo che quegli stessi valori animino lo stato d'Israele. E questo vale anche per i religiosi che hanno il dovere - come ha fatto il Gran Rabbino d'Inghilterra - di dire quando lo stato israeliano sta smarrendo la sua anima ebraica. - I. V.: Dunque, per lei, un appoggio non critico non e' un vero appoggio... - D. P.: Assolutamente no. Piuttosto, proprio la distanza deve aiutare a guardare piu' chiaramente quanto accade, anche in mezzo all'immane tragedia del terrorismo. Ma questo puo' avvenire solo se gli ebrei europei sentiranno di avere alle spalle una Europa piu' comprensiva ed equanime nei confronti di Israele. - I. V.: Esistono alternative al giudaismo tradizionale? Modi diversi di essere ebrei? - D. P.: L'ebraismo e' un mondo pieno di vita che si e' sempre lasciato attraversare dalle forme piu' avanzate delle culture con le quali e' entrato in contatto. E oggi si trova a raccogliere la sfida del pluralismo democratico contro qualsiasi chiusura difensiva. Se i rabbini ufficiali intendono mantenere rigide ortodossie devono anche sapere che - presto o tardi - altri gruppi si formeranno, "liberal" o "conservative". E si tratta di movimenti che si stanno diffondendo un po' dappertutto, anche in Europa. Molti ebrei - pur non essendo ortodossi - prendono sul serio la loro religione e vogliono praticarla in modo consono ai loro valori anche filosofici. Non e' meglio questo modo di essere ebrei rispetto a quanti - solo per tradizione - si recano in sinagoga una volta all'anno? L'importante e' mantenere sfere comuni a livello comunitario, caritatevole e culturale: lo sa bene il mondo ebraico italiano perche' da voi in ogni citta' storica coesistevano sinagoghe di rito italiano, tedesco e spagnolo. Quando ero studentessa ad Harvard c'era la "Hillel House", la casa degli studenti ebrei. Ricordo ancora con emozione come gli studenti pregassero ciascuno seconda la sua scelta: ortodossa, "conservative" o liberal. Pero' alla fine delle preghiere tutti attendevano tutti per fare la cena di Shabbat insieme. D'inverno, gli ortodossi che pregavano al tramonto, aspettavano i liberal che pregavano ad ora fissa, alle sei di sera. Di primavera, accadeva il contrario. La passione ebraica - religiosa e culturale - che li univa era piu' forte della diversita' delle loro scelte liturgiche. - I. V.: Il pluralismo e' innato all'ebraismo? - D. P.: Assolutamente si'. Lo si ritrova ad ogni pagina del Talmud, il testo biblico fondamentale contornato da infiniti commentari che si completano l'un l'altro senza che se ne possa imporre uno contro l'altro. La parola "Halacha" - cioe' cio' che e' legale secondo i tribunali rabbinici e che, oggi, e' spesso impiegata per sostenere il conservatorismo piu' rigido - ha la sua radice in un altro termine che vuol dire "avanzare". 10. MAESTRE. ROSSANA ROSSANDA: LA ROSA INATTUALE, GEROGLIFICO DELLA FINE DELL'INVERNO [Da Rossana Rossanda, La Rosa inattuale, prefazione a Paul Froelich, Rosa Luxemburg, Rizzoli, Milano 1987, pp. 15-16. Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del PCI (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli e saggi pubblicati in giornali e riviste. Rosa Luxemburg, 1871-1919, e' una delle piu' limpide figure del movimento dei lavoratori e dell'impegno contro la guerra e contro l'autoritarismo. Assassinata, il suo cadavere fu gettato in un canale e ripescato solo mesi dopo; ci sono due epitaffi per lei scritti da Bertolt Brecht, che suonano cosi': Epitaffio (1919): "Ora e' sparita anche la Rosa rossa, / non si sa dov'e' sepolta. / Siccome ai poveri ha detto la verita' / i ricchi l'hanno spedita nell'aldila'"; e Epitaffio per Rosa Luxemburg (1948): "Qui giace sepolta / Rosa Luxemburg / Un'ebrea polacca / Che combatte' in difesa dei lavoratori tedeschi, / Uccisa / Dagli oppressori tedeschi. Oppressi, / Seppellite la vostra discordia". Opere di Rosa Luxemburg: segnaliamo due fondamentali raccolte di scritti in italiano: Scritti scelti, Einaudi; Scritti politici, Editori Riuniti (con una ampia, fondamentale introduzione di Lelio Basso). Opere su Rosa Luxemburg: Lelio Basso (a cura di), Per conoscere Rosa Luxemburg, Mondadori; Paul Froelich, Rosa Luxemburg, Rizzoli; P. J. Nettl, Rosa Luxemburg, Il Saggiatore; Daniel Guerin, Rosa Luxemburg e la spontaneita' rivoluzionaria, Mursia; AA. VV., Rosa Luxemburg e lo sviluppo del pensiero marxista, Mazzotta. Ovviamente si veda anche il noto saggio di Lukacs, Rosa Luxemburg marxista, in Gyorgy Lukacs, Storia e coscienza di classe, Sugar. Margarethe von Trotta e' una grande regista cinematografica tedesca, di forte impegno morale e civile. Opere di Margarethe von Trotta: Il caso Katharina Blum (1975); Il secondo risveglio di Christa Klages (1978); Sorelle, o l'equilibrio della felicita' (1979); Anni di piombo (1980); Lucida follia (1983); Rosa L. (1986); Paura e amore (1988); Essere donne (1988); L'africana (1990); Il lungo silenzio (1993); Das Versprechen (1994); Winterkind (1997); Mit fuenfzig kuessen Maenner anders (1999); Dunkle Tage (1999); Jahrestage (2000); Rosenstrasse (2002)] Da dove viene il suo fascino? Viene dalla sua inattualita' in tempi non di crisi, ma di rinuncia a elaborare la crisi, come quello che ci sta alle spalle, ai piedi. Non elaborare la crisi vuol dire rimuovere, non ricordare, perdersi, ammalarsi, come e' ammalata questa societa' che con scarsi risultati la pubblicita' descrive felice. Se oggi la Luxemburg viene ripensata da una donna della cultura tedesca, e non per i pochi lettori d'un libro ma per i milioni di spettatori d'un film, e' forse perche' a un bisogno solo, ma essenziale, la sua figura risponde: l'unita' della persona nell'indolenzita trama del dolore e della speranza, dell'intelligenza e dei sentimenti, dell'io e del mondo, ricomposti. Questo e' un bisogno profondo dei nostri anni, e forse soltanto di essi. Cosi' succede che una comunista che non ha vissuto che sconfitte, che e' stata donna in senso pieno, sofferente delle sofferenze delle donne senza che nessuna le fosse risparmiata, e insieme forte e fragile come e' del suo sesso, ci parli come non saprebbe fare una figura virile a tutto tondo. Il fascino d'una esistenza interamente vissuta come senso in periodi di perdita di senso, tragica e non retorica, tenace e non ottimista, opera in noi piu' sottimlmente che un tempo 11. RILETTURE. GIANCARLO GAETA: RELIGIONE DEL NOSTRO TEMPO Giancarlo Gaeta, Religione del nostro tempo, Edizioni e/o, Roma 1999, pp. 160, lire 15.000. Una raccolta di saggi che vivamente raccomandiamo. 12. RILETTURE. RYSZARD KAPUSCINSKI: EBANO Ryszard Kapuscinski, Ebano, Feltrinelli, Milano 2000, 2002, pp. 280, euro 7. Uno dei bellissimi libri di Kapuscinski, viaggiatore ed amico degli esseri umani. 13. RILETTURE. EDOARDA MASI: IL LIBRO DA NASCONDERE Edoarda Masi, Il libro da nascondere, Marietti, Casale Monferrato (Al) 1985, pp. 172. Alcune riflessioni di una saggista, moralista e militante, di aspra lucidita' e profonda sapienza. 14. RILETTURE. CHRISTA WOLF: PREMESSE A CASSANDRA Christa Wolf, Premesse a Cassandra, Edizioni e/o, Roma 1984, pp. 176. Quattro lezioni francofortesi sulla genesi di Cassandra, il capolavoro della grande scrittrice tedesca femminista ed ecopacifista. 15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 16. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 441 del 10 dicembre 2002
- Prev by Date: Caponnetto
- Next by Date: COMUNICATO STAMPA - Comitato Verità e Giustizia per Genova
- Previous by thread: Caponnetto
- Next by thread: COMUNICATO STAMPA - Comitato Verità e Giustizia per Genova
- Indice: