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La nonviolenza e' in cammino. 455
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 455
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 24 Dec 2002 07:45:40 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 455 del 24 dicembre 2002 Sommario di questo numero: 1. Primo Levi, la bambina di Pompei 2. Peppe Sini, una dichiarazione di solidarieta' con Giuseppe Casarrubea 3. Carlo Gubitosa: dieci modi per sostenere Peacelink e il volontariato della telematica pacifista e nonviolenta 4. Susanna Ripamonti intervista Vandana Shiva 5. Anto Akkara, Medha Patkar 6. Giulio Vittorangeli: solidarieta' internazionale, una parola semplice 7. Gabriella Fiori: l'incontro di Simone Weil 8. Eugenio Melandri, e' difficile farsi gli auguri 9. Michele De Pasquale, noncollaborazione economica contro la guerra 10. Hannah Arendt, tutto cio' che vive 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. POESIA E VERITA'. PRIMO LEVI: LA BAMBINA DI POMPEI [Ancora una volta riproponiamo questa sublime poesia di Primo Levi del 20 novembre 1978 (in Ad ora incerta, Garzanti, Milano 1984, 1990, pp. 42-43; e anche in Opere II, Einaudi, Torino 1997, p. 549). Primo Levi e' stato uno dei piu' grandi testimoni della dignita' umana, il piu' grande dei nostri maestri. Primo Levi e' nato a Torino nel 1919, e qui e' tragicamente scomparso nel 1987. Chimico, partigiano, deportato nel lager di Auschwitz, sopravvissuto, e' stato uno dei piu' grandi testimoni della dignita' umana ed un costante ammonitore a non dimenticare l'orrore dei campi di sterminio; le sue opere e la sua lezione costituiscono uno dei punti piu' alti dell'impegno civile in difesa dell'umanita'. Opere di Primo Levi: fondamentali sono Se questo e' un uomo, La tregua, Il sistema periodico, La ricerca delle radici, L'altrui mestiere, I sommersi e i salvati, tutti presso Einaudi; presso Garzanti sono state pubblicate le poesie di Ad ora incerta; sempre presso Einaudi nel 1997 e' apparso un volume di Conversazioni e interviste. Altri libri: Storie naturali, Vizio di forma, La chiave a stella, Lilit, Se non ora, quando?, tutti presso Einaudi; ed Il fabbricante di specchi, edito da "La Stampa". Ora l'intera opera di Primo Levi (e una vastissima selezione di pagine sparse) e' raccolta nei due volumi delle Opere, Einaudi, Torino 1997, a cura di Marco Belpoliti. Opere su Primo Levi: AA. VV., Primo Levi: il presente del passato, Angeli, Milano 1991; AA. VV., Primo Levi: la dignita' dell'uomo, Cittadella, Assisi 1994; Marco Belpoliti, Primo Levi, Bruno Mondadori, Milano 1998; Massimo Dini, Stefano Jesurum, Primo Levi: le opere e i giorni, Rizzoli, Milano 1992; Ernesto Ferrero (a cura di), Primo Levi: un'antologia della critica, Einaudi, Torino 1997; Giuseppe Grassano, Primo Levi, La Nuova Italia, Firenze 1981; Gabriella Poli, Giorgio Calcagno, Echi di una voce perduta, Mursia, Milano 1992; Claudio Toscani, Come leggere "Se questo e' un uomo" di Primo Levi, Mursia, Milano 1990; Fiora Vincenti, Invito alla lettura di Primo Levi, Mursia, Milano 1976] Poiche' l'angoscia di ciascuno e' la nostra Ancora riviviamo la tua, fanciulla scarna Che ti sei stretta convulsamente a tua madre Quasi volessi ripenetrare in lei Quando al meriggio il cielo si e' fatto nero. Invano, perche' l'aria volta in veleno E' filtrata a cercarti per le finestre serrate Della tua casa tranquilla dalle robuste pareti Lieta gia' del tuo canto e del tuo timido riso. Sono pssati i secoli, la cenere si e' pietrificata A incarcerare per sempre codeste membra gentili. Cosi' tu rimani tra noi, contorto calco di gesso, Agonia senza fine, terribile testimonianza Di quanto importi agli dei l'orgoglioso nostro seme. Ma nulla rimane fra noi della tua lontana sorella, Della fanciulla d'Olanda murata fra quattro mura Che pure scrisse la sua giovinezza senza domani: La sua cenere muta e' stata dispersa dal vento, La sua breve vita rinchiusa in un quaderno sgualcito. Nulla rimane della scolara di Hiroshima, Ombra confitta nel muro dalla luce di mille soli, Vittima sacrificata sull'altare della paura. Potenti della terra padroni di nuovi veleni, Tristi custodi segreti del tuono definitivo, Ci bastano d'assai le afflizioni donate dal cielo. Prima di premere il dito, fermatevi e considerate. 2. APPELLI. PEPPE SINI: UNA DICHIARAZIONE DI SOLIDARIETA' CON GIUSEPPE CASARRUBEA "La verite' est en marche et rien ne l'arretera" (Emile Zola, Lettre au President de la Republique, apparsa ne "L'aurore", 13 gennaio 1898) * Vi e' un filo, nero di lutto, rosso di sangue, che lega in continuita' il regime terrorista fascista e le stragi di stato nell'Italia repubblicana. E uno dei nodi essenziali di questa trama e' Portella della Ginestra. Tutti coloro che in Italia dal dopoguerra ad oggi si sono occupati di lotta contro i poteri criminali, il regime della corruzione, le stragi di stato, l'economia inquinata e illegale, i poteri occulti e deviati; tutti coloro che hanno provato almeno una volta nella vita il sentimento mirabilmente espresso nell'indimenticabile "romanzo delle stragi" di Pier Paolo Pasolini (quell'articolo del novembre '74 che comincia con: "Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe..."); tutti coloro che hanno avuto una o piu' persone care assassinate dalle organizzazioni criminali; tutti coloro che hanno pianto ed hanno gridato di strazio vedendo straziate le carni e le anime dei buoni e degli infelici molti; tutti sappiamo che Portella della Ginestra e' una delle radici e delle chiavi dell'orrore che tuttora perdura. Il professor Giuseppe Casarrubea conosce il dolore, di quello strazio e' un testimone. E Giuseppe Casarrubea e' uno storico: sa che solo con la verita' si rende postuma giustizia alle vittime per quanto ad esse giustizia sia possibile rendere, poiche' le vittime restano vittime e spento ad esse il lume dei giorni nulla piu' e' riparabile, redimibile, risarcibile. Ma possiamo onorarle, le vittime, rivendicarle come nostri maggiori e nostri compagni; possiamo porci alla loro scuola; e per far questo uno strumento ed uno solo abbiamo: la forza della verita', che e' luce incivilitrice, che e' riscatto degli oppressi, che e' suscitamento dei vivi alle opere buone, all'agire che inveri l'eredita' feconda delle lotte e delle speranze delle vittime, riconoscimento di umanita'. Giuseppe Casarrubea, testimone e storico, mette a disposizione la sua competenza scientifica e la sua motivazione morale e psicagogica, fa opera di impegno civile. Con i suoi libri e le sue ricerche ha contribuito a tener viva la memoria delle vittime ed a portare avanti l'escavo dei fatti al fine di far emergere dalla roccia del piu' doloroso passato la rosa risplendente della verita'. * Che per questa sua attivita' scientifica e civica di promozione della verita' e della giustizia Giuseppe Casarrubea subisca oggi un processo gli fa onore. Su quel banco degli imputati sono idealmente con lui Danilo Dolci, che gli fu maestro ed amico, e quanti non hanno giammai piegato la testa al barbaro dominio mafioso, al terrorismo, ed al regime della corruzione e delle stragi di stato. * Io che scrivo queste righe ignoro perche' un altro cittadino italiano si sia sentito offeso da queste ricerche storiografiche che certo riaprono antiche ferite (ma quelle ferite e' necessario riaprire proprio per contrastare la cancrena che ancora affetta e corrode necrotica il nostro paese e la nostra storia); e non esito a dire che se una persona si sente offesa individualmente o nella sua appartenenza ad un soggetto collettivo, ad essa va espresso il nostro sincero sentimento di dispiacere, e la conferma del convincimento che la dignita' di ogni persona vada sempre rispettata. Ma non vi e' dubbio che il lavoro di Giuseppe Casarrubea non e' inteso ad offendere, bensi' a far luce affinche' cessi un troppo a lungo protrattosi oltraggio alla storia civile ed alla memoria delle vittime tutte; non vi e' dubbio che il lavoro di Giuseppe Casarrubea e' inteso proprio all'affermazione della dignita' di ogni essere umano: in questo consiste la ricerca storica rettamente intesa e praticata. Cosicche' al querelante, persona che non conosco, vorrei rivolgere fraterno e rispettoso un invito a recedere dall'azione giudiziaria intentata, come scelta autonoma e generosa, in nome dell'impegno - che deve essere comune e sentito come tale massime da persone che hanno svolto o svolgono tuttora importanti funzioni pubbliche - alla ricerca e promozione della verita' storica, alla promozione della dignita' umana di tutti gli esseri umani, alla promozione del civile convivere e condursi, della legalita' cardine del nostro ordinamento giuridico democratico, dello stato di diritto. * Ed a Giuseppe Casarrubea vorrei attestare qui la solidarieta' mia personale e del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo. Piena, profonda, persuasa. Ed ai lettori di questa dichiarazione vorrei rivolgere un invito ad informarsi ed una volta informatisi a fare altrettanto, inviando una dichiarazione di solidarieta' con il professor Giuseppe Casarrubea. Sia per richiedere informazioni che per attestare solidarieta' si puo' far riferimento all'indirizzo di posta elettronica seguente: icasar at tin.it * Come ebbe a scrivere Zola, una volta per sempre e parlando a nome dell'umanita' intera: "la verita' e' in marcia, e niente potra' fermarla". 3. APPELLI. CARLO GUBITOSA: DIECI MODI PER SOSTENERE PEACELINK E IL VOLONTARIATO DELLA TELEMATICA PACIFISTA E NONVIOLENTA [Riportiamo la parte conclusiva dell'appello la cui prima parte abbiamo gia' pubblicato per ampi stralci nel notiziario di ieri; il testo integrale puo' essere letto su www.peacelink.it] Per sostenere il diritto all'esistenza della nostra associazione suggeriamo le seguenti iniziative di solidarieta': 1. Diffondere questo messaggio a tutti i propri contatti telematici. E' il gesto piu' importante, perche' il sostegno dell'opinione pubblica sara' determinante per la difesa dei nostri diritti. 2. Esprimere solidarieta' all'associazione Peacelink con una semplice adesione all'appello pubblicato sul sito http://www.peacelink.it/emergenza L'appello telematico e' un semplice "abbraccio elettronico" per farci capire che non siamo soli. 3. Contribuire alle nostre spese legali con un libero versamento sul ccp 13403746 intestato ad Associazione PeaceLink, via Galuppi 15, 74010 Statte (Taranto). Da dieci anni operiamo nello spirito del volontariato puro, senza alcuna retribuzione, e rifiutiamo sponsorizzazioni delle aziende e finanziamenti dai partiti o dalle istituzioni, per garantire al nostro sito liberta' e indipendenza. La vita della nostra associazione dipende dai contributi che i cittadini di buona volonta' inviano sul nostro conto corrente postale. Chi non conosce la storia della nascita di PeaceLink puo' leggere la ricostruzione presente su http://www.peacelink.it/info/storia.htm 4. Organizzare dibattiti, conferenze e iniziative pubbliche per presentare il lavoro dell'associazione PeaceLink e per raccogliere citta' per citta' il sostegno della societa' civile alla nostra battaglia legale. Senza un lavoro di base nella societa' civile che permetta alle idee di uscire dalla rete, il volontariato dell'informazione non ha ragione di esistere. 5. Aggiungere un banner sul proprio sito internet che faccia riferimento all'indirizzo http://www.peacelink.it/emergenza Si puo' realizzare un banner a partire da zero o utilizzare quelli gia' disponibili sul sito di PeaceLink. La solidarieta' di altri compagni di strada, che come noi fanno informazione indipendente su internet, e' fondamentale. 6. Segnalare questa nostra vicenda alla stampa, ai mezzi di informazione e ai giornalisti amici che potrebbero essere interessati a raccontare questa vicenda. Per una volta non diamo notizie su quello che ci circonda, ma cerchiamo di essere una notizia. 7. Diffondere per strada, a scuola, nelle associazioni, nei sindacati, nelle parrocchie e nei luoghi di lavoro una copia del volantino pubblicato all'indirizzo http://www.peacelink.it/emergenza E' importante raggiungere anche chi non arriva su internet, perche' il problema della liberta' di espressione riguarda tutti. 8. Aiutarci ad entrare in contatto con personaggi noti, che possano sostenere la nostra azione di difesa legale con la loro immagine. Questo potra' aiutarci ad entrare in relazione con un maggior numero di persone di buona volonta' disposte ad aiutarci, o con qualche gruppo musicale, teatrale o artistico (anche piccolissimo e sconosciuto) che vorra' organizzare una iniziativa per sostenere il nostro diritto ad esistere. 9. Realizzare dei prodotti culturali e artistici a sostegno della nostra difesa legale. Ad esempio spot radiofonici in Mp3 da trasmettere sulle radio locali, vignette satiriche, poesie, articoli che parlano sulla nostra vicenda, dipinti su tela e in formato digitale, cartoline, lettere, sculture, fotografie e fotoritocchi saranno utilissimi per le nostre attivita' di sensibilizzazione. 10 - Proporre altre idee e iniziative. Siamo disponibili a valutare ed appoggiare qualsiasi altra idea o proposta che possa essere d'aiuto al nostro tentativo di continuare il cammino percorso finora. Per contattarci e' possibile utilizzare questi recapiti: Peacelink, c. p. 2009, 74100 Taranto, tel: 3492258342 (Carlo Gubitosa), fax: 1782279059, ccp n. 13403746, sito: http://www.peacelink.it, e-mail: info at peacelink.it 4. MAESTRE. SUSANNA RIPAMONTI INTERVISTA VANDANA SHIVA [Dal quotidiano "L'Unita'" del primo dicembre 2002. Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002] E' la storia di Davide contro Golia quella che racconta Vandana Shiva, personaggio ben noto nella galassia "No Global", che da almeno 15 anni combatte per svelare il grande bluff delle multinazionali: le corporazioni come la Monsanto, che arrivarono in India promettendo ai contadini raccolti miracolosi, ricchezza e benessere e rivelarono molto presto l'inganno nascosto dietro al miraggio di seducenti campagne pubblicitarie. Lei, scienziato prestato all'agricoltura, ha fondato un'organizzazione, Navdanya, che raccoglie dieci milioni di agricoltori indiani. Ha attraversato l'India, girando da un villaggio all'altro, spiegando ai contadini che il modello di sviluppo proposto dalle multinazionali li avrebbe trasformati da consumatori di semenze a consumatori di prodotti chimici e di semi geneticamente modificati, che non si sarebbero piu' riprodotti. Un meccanismo che avrebbe indotto qualcosa che e' paragonabile alla tossicodipendenza: la dipendenza dai narcotici dell'agricoltura. - Susanna Ripamonti: Vandana Shiva, lei poche settimane fa era a Firenze in occasione del Social Forum. Che cosa pensa del movimento No Global? - Vandana Shiva: Tanto per cominciare, forse non si dovrebbe chiamare piu' No Global, ma Pro Local, nel senso che e' un movimento che cerca di promuovere la diversita', la democrazia, il rispetto delle differenze. E' un movimento forte e vibrante, che ha saputo raccogliere attorno a se' forze diverse, manifestando pacificamente nonostante minacce, provocazioni e pressioni. - S. R.: C'e' un filo che lega la sua attivita' in India con questi nuovi movimenti occidentali? - V. S.: Partiamo da lontano: dieci o quindici anni fa, i modelli di sviluppo dividevano nettamente il Nord dal Sud del mondo: il Nord rappresentava lo sviluppo e il Sud il sottosviluppo. Io non sono stata mai d'accordo con questa rappresentazione della realta', che rispecchiava un obiettivo preciso: l'Occidente voleva mantenere le sue ricchezze e il Terzo mondo era costretto a rincorrere quel tipo di sviluppo. Oggi la globalizzazione ha prodotto almeno un effetto positivo: le cose per cui combattono i contadini italiani sono sostanzialmente simili a quelle per cui lottano gli indiani. Entrambi vogliono difendere la qualita' della loro vita, produrre in modo sano, su una terra sana. - S. R.: E' sicura che questa consapevolezza sia cosi' diffusa? - V. S.: Diciamo che in Europa come in India c'e' ormai la consapevolezza che le multinazionali che controllano le sementi e privatizzano l'acqua sono un nemico da combattere. Prima della globalizzazione eravamo divisi adesso la stessa globalizzazione ci ha uniti. - S. R.: Lei in India ha cercato di costruire delle alternative concrete. Come si puo' riassumere l'esperienza di Navdanya? - V. S.: C'e' una parola indiana, Satyagraha, che spiega il nostro lavoro. Vuol dire combattere per la verita', con la forza della nonviolenza. Noi abbiamo stretto un patto con i contadini, convincendoli a non collaborare con le multinazionali. Abbiamo creato una banca dei semi, tutelando l'incredibile varieta' di specie che produciamo. Le multinazionali ci dicevano che avevano inventato semi resistenti alla salinita', alle alluvioni, alla siccita'. Ma noi abbiamo risposto: Li abbiamo gia'. La loro ingegneria genetica e' assolutamente primitiva rispetto alla ricchezza delle nostre risorse. Abbiamo una tale varieta', che possiamo fare a meno di loro. L'alternativa e' semplice: contrapporre la biodiversita' all'omogeneizzazione. - S. R.: Non e' cosi' facile contrastare, col semplice mezzo della parola, una multinazionale. Come avete fatto? - V. S.: Noi diamo alternative a contadini che stanno morendo e che si suicidano perche' non riescono a saldare i loro debiti. Ma le multinazionali hanno rivelato da sole il loro bluff. Facciamo un esempio: in tre stati dell'India del Sud avevano pubblicizzato e venduto un seme di cotone che avrebbe dovuto dare raccolti miracolosi, ma in effetti ha prodotto solo un decimo delle promesse. Il 26 marzo scorso, i contadini che erano caduti in questa trappola hanno constatato di aver perso un miliardo di rupie: il guadagno mancato, rispetto all'uso di semi di cotone tradizionali. Ora stiamo cercando di fare causa alle aziende che hanno venduto miraggi. - S. R.: Avete provato a stabilire rapporti di collaborazione con l'Onu? - V. S.: L'Onu ha firmato due trattati che aiutano molto il nostro lavoro: uno per la difesa della biodiversita' e uno, stipulato con la Fao, dopo dieci anni di interminabili trattative, sulle risorse genetiche delle piante. Entrambi riconoscono i diritti degli agricoltori, ma adesso si tenta di vanificarli a favore del Wto. In agosto, quando si tenne a Johannesburg il summit mondiale su accessibilita' e sviluppo, noi abbiamo cercato di difendere il trattato sulla biodiversita', spiegando che l'Onu non puo' sottostare ai diktat dei Wto, che invece vuole imporre la tutela dei brevetti. - S. R.: Le vostre forme di lotta sono sempre state pacifiche? - V. S.: Noi lottiamo contro aziende che hanno riconvertito in agricoltura i prodotti chimici dell'industria bellica. Ma abbiamo sempre presente l'insegnamento di Gandhi. Negli anni '30 gli inglesi volevano privatizzare i settemila chilometri di costa indiana e proibire la libera produzione del sale. Gandhi disse: "la natura ci ha dato il mare e noi ne abbiamo bisogno per la nostra sopravvivenza. Le vostre leggi sono immorali e noi non ubbidiamo a leggi immorali". Noi oggi diciamo esattamente la stessa cosa: la natura ci ha dato gratuitamente i semi che appartenevano ai nostri antenati e noi continuiamo a volerli usare liberamente. 5. MAESTRE. ANTO AKKARA: MEDHA PATKAR [Questo articolo e' apparso sulla rivista "Popoli" dell'ottobre 2002, noi lo abbiamo tratto dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it). Medha Patkar e' la straordinaria animatrice della lotta contro le grandi dighe in India (in cui e' impegnata anche, come e' noto, la grande scrittrice Arundhati Roy), in difesa dei diritti delle popolazioni locali e dell'ambiente] La figura fragile di Medha Patkar, avvolta nel suo semplice sari, e' ormai familiare agli attivisti sociali in tutto il mondo. Sono pochi quelli che non hanno mai sentito parlare della quarantottenne fondatrice del Normada Bachao Andolan (Nba: Movimento per la salvezza del fiume Narmada), una donna simbolo della lotta contro i grandi e spesso insensati progetti di sviluppo in tutto il mondo. Per la sua attivita', la Patkar ha ricevuto numerosi riconoscimento nazionali e internazionali. Tra questi il Premio per il diritto all'esistenza, della Svezia, nel 1992 e il Premio "Goldman" per l'ambiente nel 1993. A lei si deve la fondazione dell'Alleanza dei movimenti popolari dell'India, che raduna 200 organizzazioni non governative. Il suo e' un impegno che viene da lontano e non ha mai mostrato incertezze. * Contro un progetto controverso All'inizio degli anni '80, la Patkar stava concludendo la sua tesi universitaria sullo sviluppo economico e il suo impatto sulle societa' tradizionali presso l'Istituto di Scienze Sociali "Tata" a Bombay. Le sue ricerche la portavano nei remoti villaggi tribali del Gujarat settentrionale. Medha Patkar si trov' cosi' coinvolta emotivamente nella lotta degli adivasi (aborigeni) che fini' col lasciar perdere le sue ambizioni accademiche e mettersi a loro fianco. Fu alora che il governo federale indiano, insieme ai governi locali di Madhya Pradesh, Maharashtra e Gujarat, decisero di avviare la costruzione della piu' grande diga dell'India, quella del Sardar Sarovar nel bacino del fiume Narmada che attraversa piu' stati federali. Il progetto prevede 30 dighe di grandi dimensioni, 135 di dimensioni medie e tremila sbarramenti minori. Un'opera grandiosa che - una volta conclusa - dovrebbe interessare 1.300 chilometri del corso del fiume e dei suoi tributari nell'India centro-occidentale. Anni di vivaci proteste di Medha Patkar e dei suoi sostenitori sotto le bandiere del Nba contro un progetto considerato "dispendioso e irrazionale" hanno costretto la Banca Mondiale a ritirare nel 1994 il suo sostegno finanziario al controverso piano, che ha un costo finale previsto di oltre 400 miliardi di rupie (circa 10 miliardi di euro). Ancor piu' importante, la battaglia condotta dalla Patkar e' diventata in India capofila dei movimenti di protesta sociale. Nonostante la vigorosa campagna del Narmada Bachao Andolan non abbia avuto pieno successo nel fermare il progetto sul Narmada, il governo indiano ha compreso di non potere forzare la mano alle popolazioni locali che vi si oppongono. Inoltre, la battaglia contro le dighe ha costretto la leadership di New Delhi e le sue agenzie a migliorare i programmi di ricollocazione e assistenza delle popolazioni, costrette a lasciare le aree di cui e' in corso o e' prevista l'inondazione. Quello che per noi e' ancora piu' significativo, e' che il governo dovra' ora pensarci due volte prima di lanciare altri progetti simili - dice la Paktar sorridendo. "Punto di forza del nostro movimento e' stata l'attiva partecipazione delle donne a una lotta che non e' solo contro lo spostamento coatto di due milioni di persone nella valle del Narmada. La trasformazione in atto del bacino fluviale sta portando al sommergimento di centinaia di villaggi abitati da gruppi tribali che da tempo immemorabile vivono in perfetta sintonia con la natura circostante". "E' stata la preoccupazione di essere estromessi dal loro habitat naturale e culturale e il timore di una distruzione totale dell'ambiente loro familiare a spingerli a farsi avanti e a unirsi alla nostra lotta. E le donne sono state fin dall'inizio in prima linea". * Le donne in prima linea Contraria alla percezione comune della donna come "genere subordinato", la Patkar e' convinta che le donne tribali siano un esempio di "onesta' e perseveranza". "C'e' un esempio che propongo sempre all'attenzione di chi mi vuole ascoltare. Quello delle decine di donne rimaste con me, immerse fino al collo nell'acqua anche per quindici ore durante le proteste", finche' la polizia le ha costrette con la forza a lasciare i terreni agricoli o i lembi di foresta appena inondati dalle acque, il cui deflusso viene impedito dal progredire delle dighe. L'ampio coinvolgimento delle donne nella questione del Narmada e in altre problematiche ambientaliste ha aggiunto, continua la Patkar, "forza e vivacita' alla lotta". "Una volta tanto, le donne non sono state utilizzate come scudi umani dai contestatori ma, anzi, hanno affrontato coscientemente e subito il trattamento brutale della polizia durante le proteste". Non sempre provocato, come dice Medha Patkar, lei stessa piu' volte imprigionata insieme a gruppi di attiviste nel ventennale impegno a fianco delle popolazioni in lotta contro lo scempio ambientale in atto in varie regioni dell'India. "Inizialmente, quando andavamo nei villaggi per spiegare il senso delle nostre iniziative contro il progetto del Narmada - ricorda la Patkar - le donne non uscivano nemmeno da casa, bloccate dalle rigide norme sociali. Ma quando si sono convinte della serieta' del problema, sono arrivate numerose. Forse e' stata proprio questa mobilitazione di donne, in molti casi analfabete, che ha reso efficace la nostra campagna". Mentre i comitati principali e quelli locali hanno una partecipazione femminile che arriva anche al 50%, le donne sono almeno un terzo di coloro che prendono parte alle nostre iniziative di massa. Medha Patkar ha indicato come le donne riescano sempre a portare la prospettiva esistenziale e la dimensione umana nelle lotte sociali. Possono anche non essere colte - e in molti casi sono analfabete - ma sanno bene come la distruzione ambientale puo' influire sulla realta' quotidiana del genere umano, hanno una chiara comprensione di che cosa si dovrebbe fare e di che cosa non si dovrebbe fare alla natura. "Discriminate per tradizione, molte donne in India possono anche non essere capaci di pronunciare la parola ecologia - immaginiamoci spiegarla - ma l'ambiente e' assai vicino al loro cuore e conoscono il significato del termine sostenibilita' meglio di molte donne colte delle citta'". 6. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: SOLIDARIETA' INTERNAZIONALE, UNA PAROLA SEMPLICE [Giulio Vittorangeli (per contatti: giulio.vittorangeli at tin.it) e' uno dei fondamentali collaboratori di questo foglio, e una delle voci piu' autorevoli della solidarieta' internazionale] "Parola" arriva a noi dal latino parabola, che e' discorso, frase. La parola e' l'unica cosa comune che puo' permetterci di comprendere, di comprenderci. Sembra piu' capace di tenerci assieme, di modificare quel che abbiamo intorno e noi stessi. Ecco perche' nel tempo delle molte parole, leggere, vuote, superficiali e convenzionali, si devono scegliere quelle che hanno invece forza di annuncio e promessa di mantenersi, che e' un tenersi per mano tra le parole e noi. Fra queste ultime, la parola "solidarieta' internazionale" resta attualissima. Del resto oggi, al massimo, si produce la solidarieta' di gruppo, di categoria; una solidarieta' fondata su un interesse immediatamente percepibile, non su un ragionamento politico complesso, dotato di un retroterra, indotto da un identita' culturale e morale in cui riconoscersi. Invece la solidarieta' internazionale e' centrale, davanti ai quattro quinti dell'umanita' che vivono sulla soglia della miseria, mentre la ricchezza dei pochi e' direttamente, automaticamente, costruita sulla poverta' degli altri. Un solo dato: a partire dal 1960, i trasferimenti finanziari dal sud (impoverito) verso il nord (arricchito) del mondo equivalgono a piu' di venti "piani Marshall". Parliamo di una solidarieta' capace di affrontare il grande squilibrio mondiale e che chiede ad ognuno ed ognuna di noi di decidere, di schierarci dalla parte dei popoli e delle maggioranze emarginate. Una solidarieta' liberatrice che e' la condivisione dei mali del pianeta e non un surrogato ideologico; una priorita' e una passione. Si tratta di idee-forza; non di generici appelli. Nel nuovo quadro mondiale fatto di globalizzazione, di nuove oppressioni, di violenze e sofferenze, di pericoli per la biosfera, ecc., la solidarieta' internazionale resta uno strumento (non il solo) per interpretare il nuovo dis-ordine mondiale, ma anche per tentare di cambiarlo, per poter intervenire concretamente. Quando parliamo di solidarieta' la interpretiamo nel suo aspetto piu' alto: di scelta etica, che rompe con la concezione dominante, machiavellica, della politica, intesa come "realpolitik", retta unicamente dal diritto del piu' forte. Scelta politica, che implica uno stretto rapporto fra politica e morale. Nella prospettiva e' il riconoscimento dei popoli emarginati come soggetti (in quanto emergono alla coscienza e alla dignita'), soggetti storici che diventano la cerniera tra morale e politica. Scelta culturale, che svela l'occultamento e la legittimazione della violenza che domina la storia; l'occultamento anzitutto del conflitto fondamentale Nord-Sud del mondo, dell'emarginazione delle grandi maggioranze impoverite. In una parola il punto di vista dei vincitori, eurocentrico ed imperocentrico, largamente prevalente nel mondo. Scelta educativa, come progetto per un nuovo modello di essere umano e di popolo, consapevole della tragica realta' della societa' e del mondo, identificato con le sofferenze e il destino di tutti gli emarginati, cosciente dei loro diritti e delle loro potenzialita', capace di condividere le loro lotte e le loro speranze. Un essere umano ed un popolo che si caratterizzano come soggetti solidali. Scelta teologica per i credenti (rinviamo all'ampia riflessione di Giulio Girardi, a cui siamo debitori anche per queste note sulla solidarieta'); inevitabilmente il riferimento non puo' non essere all'esperienza sandinista, dove l'emergere del popolo nicaraguense come soggetto, ha coinvolto profondamente il cristianesimo, diventando un fatto teologico decisivo. Si pensi alla presenza massiccia dei cristiani nella lotta rivoluzionaria, in nome delle esigenze liberatrici e solidaristiche del Vangelo. Tutto questo ci sembra di grande attualita' davanti alla novita' del "movimento dei movimenti", che pero' porta con se una rottura della memoria che non e' salutare, propenso a liberarsi in fretta del passato e "senza troppo angustiarsene, come un fardello che non lo riguarda, assorbendo dalla cultura dominante l'idea del novecento come cumulo di macerie" (Lucio Magri). In questo senso, il sandinismo rischia di diventare una delle tante rivolte ignorate che hanno segnato la storia recente dell'America latina. Infine, un pensiero ed un augurio di speranza nelle parole di Rigoberta Menchu' (Premio Nobel per la Pace 1992): "Vorrei che ci fosse rispetto tra i popoli, perche' tutti perseguiamo gli stessi scopi. (...) Io desidero che nasca da tutti una lotta cosciente e determinata, una forte solidarieta' che possa creare nuove relazioni di rispetto e uguaglianza per il prossimo millennio, che dovra' essere scenario di fraternita' e non di conflitti". 7. MAESTRE. GABRIELLA FIORI: L'INCONTRO DI SIMONE WEIL [Da Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1981, 1990, p. 293. Gabriella Fiori e' una finissima studiosa e saggista. Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa, militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria, operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti, lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione, sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora: radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del 1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento". Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia (Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori), La prima radice (Comunita', Se, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria (Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da Giancarlo Gaeta. Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr. AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985; Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna 1997; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia, Milano 1994] E' avvenuto in lei il raccordo io-universo: sorgente ne e' stata l'incontro, quell'incontro in cui sentiamo un'esperienza della vita profonda, o un'esperienza mistica, prendendo questo aggettivo nel suo significato di contatto con il mistero. 8. RIFLESSIONE. EUGENIO MELANDRI: E' DIFFICILE FARSI GLI AUGURI [Ringraziamo Eugenio Melandri (per contatti: eugyn at tiscali.it) per questo intervento. Eugenio Melandri e' una delle figure piu' prestigiose della solidarieta' internazionale e dell'impegno di pace e nonviolenza] A Betlemme, nel luogo dove Gesu' e' nato, i carri armati israeliani hanno fatto il deserto. La gente sta chiusa nelle case. Non un turista. Non un pellegrino. Il rumore delle lamiere che si muovono ha ormai preso il posto delle liturgie e delle feste che in questi giorni tradizionalmente accompagnavano il Natale in Terra Santa. Ogni tanto uno sparo. Nuove vittime si assommano al numero ormai incalcolabile di morti che questa guerra ha provocato. La guerra e' stata capace di distruggere tutto. Anche quel po' di poesia e di dolcezza tipiche delle feste di Natale. Eppure Gesu' e' figlio di questa terra, di questa regione difficile dove si scontrano odi secolari con contingenze politiche attuali. Lui che e' venuto, come dicono le scritture, a fare di due popoli un solo popolo, oggi si trova schiacciato da una guerra che aumenta le divisioni, fa crescere gli odi ed e' foriera di ulteriori guerre, di ulteriori conflitti. * Poco piu' in la', nella stessa regione, in Iraq, si stanno consumando gli ultimi atti formali per cercare di dare legittimita' ad un'altra guerra senza senso. Quello con l'Iraq e' un conflitto che l'occidente - gli Usa in particolare - non ha mai terminato. Dieci anni di embargo hanno messo in ginocchio il popolo iracheno, rendendo nello stesso tempo piu' forte Saddam Hussein. Ma una nuova guerra sembra inevitabile. Nuovi bombardamenti, nuove vittime civili, nuovi "effetti collaterali" che renderanno ancora piu' tragico il bilancio di questo mondo che ormai sembra votato all'irrazionalita'. * Intanto continua la caccia all'islamico. La parola "terrorismo" apre la porta ad ogni genere di mostruosita'. Mostruoso porre azioni che seminano la morte tra persone innocenti, solo per creare disordine e per colpire l'avversario. Mostruoso chi non trova altra forma di risposta che quella della vendetta che aumenta l'odio e da' corda al circolo vizioso della violenza. In nome della lotta al terrorismo si sospendono i diritti civili, si crea una situazione in cui l'emergenza pare essere divenuta la norma. * In Africa continuano le guerre senza nome. Sudan, Grandi Laghi, Costa d'Avorio, Liberia. Nomi che ogni tanto, non troppo in verita', leggiamo sui giornali. Dietro ad ognuno di questi nomi un numero senza fine di vittime innocenti che hanno come unica colpa quella di essere nati in questi paesi e non altrove. L'elenco non e' terminato e potrebbe continuare a lungo. * Finisce cosi' questo 2002. Ed e' difficile, davvero, farsi gli auguri. C'e' una cappa di tristezza che pesa su questo mondo. Quella cappa che ha fatto gridare a Giovanni Paolo II: "Dio non si rivela piu', sembra nascondersi nel suo cielo, in silenzio, quasi disgustato dalle azioni dell'umanita'". Farsi gli auguri per un nuovo anno che comincia diventa cosi' un atto di fede e di speranza. Si', fede e speranza, anche in questa umanita' ferita. Che ci ha dato Auschwitz , ma anche san Francesco. Fede e speranza che vorremmo divenissero quella che Horkheimer chiama "la nostalgia del totalmente altro". Verra' un giorno, ne siamo certi, in cui finalmente le vittime avranno ragione dei loro carnefici. Buon Natale e buon anno, Eugenio Melandri 9. RIFLESSIONE. MICHELE DE PASQUALE: NONCOLLABORAZIONE ECONOMICA CONTRO LA GUERRA [Ringraziamo Michele de Pasquale (per contatti: ghoade at tin.it) per questo intervento. Michele de Pasquale e' responsabile nazionale per le politiche di pace e nonviolenza del movimento di "Cittadinanzattiva"] Ho trovato una vignetta di Vauro che esprime bene quello che sento: un Babbo Natale-Morte con la sua slitta carica di "doni" terribili per i bambini iracheni. La grottesca tragedia a cui stiamo assistendo in queste settimane non lascia sperare niente di buono, sembra che la guerra scoppiera' a febbraio. Ci hanno fatto credere che la guerra sarebbe scoppiata se il regime iracheno non avesse fatto entrare gli ispettori Onu: gli iracheni li hanno fatti entrare e stanno collaborando. Poi ci hanno detto che poteva esserci guerra se Saddam non consegnava entro l'8 dicembre il dossier: il dossier e' stato consegnato. Adesso ci dicono che la guerra deve esserci per forza perche' il dossier non costituisce un'autocertificazione fedele... a farla breve la guerra sembra essere stata gia' decisa questa estate e anche se il regime iracheno non offre pretesti per provocarla, la si fara' lo stesso. Al teatrino delle dichiarazioni dei grandi governanti che fanno tutto questo per "garantire pace e sicurezza" al mondo intero ormai non ci credono piu' neanche i bambini. E' una guerra per il petrolio. E basta. O meglio: e' una guerra per proteggere lo stile di vita del 20% ricco del mondo. E' stato lo stesso ministro della difesa americana Rumsfeld a dirlo. Quando gli e' stato chiesto cosa ritenesse vittoria nella nuova guerra contro il terrorismo ha risposto che per lui sarebbe vittoria se tutto il mondo accettasse che gli americani siano liberi di continuare con il loro stile di vita. Tra i cosiddetti grandi qualche debole voce e' fuori dal coro: Kofi Annan, qualche europeo. Ma sono voci drammaticamente inascoltate. Come non e' ascoltato da nessuno Giovanni Paolo II: non e' un caso che in questi ultimi giorni nella sua catechesi compaiono immagini strane come quella del Dio che si vergogna degli uomini e tace. Nonostante le mobilitazioni piccole e grandi (come l'ultima del 10 dicembre scorso) di opposizione alla guerra, i governanti europei, con qualche distinguo, si mantengono ossequiosi all'imperatore americano. Non credo che quella parte della popolazione coinvolta dall'attivismo di gruppi, associazioni e movimenti, riuscira' a fermare la guerra solo con marce e appelli. Bisogna mettere in atto delle azioni nonviolente che forse richiedono un impegno maggiore da parte nostra ma comunque sempre alla nostra portata e che quindi abbiano una incidenza piu' elevata. Se poi nella pratica di queste azioni venisse coinvolta anche quella larga parte della popolazione che non si esprime, che non prende posizione di fronte alla guerra e la cui presunta "indifferenza" avalla le scelte belliche dei governanti, la guerra sarebbe fermata. Sono convinto che anche queste persone che non rispondono agli appelli, che non vengono in piazza con noi, nutrono un rifiuto per la guerra ma non lo manifestano forse perche' non consapevoli del proprio potere di fermarla, influenzati, forse, da un certo fatalismo frutto dell'inefficacia di impegni precedenti, distratti da altre preoccupazioni. Sono queste le persone a cui rivolgerci per sperare di fermare la guerra. Come? Invitandoli a compiere delle azioni non troppo impegnative ma messe in pratica da tutti. Dicevo prima che forse le petizioni non fermeranno la guerra perche' l'appello parla al cuore dell'avversario, ma quando l'avversario ha il cuore nascosto dal portafoglio, il suo cuore non sente. Per parlare al suo cuore dobbiamo colpire il suo portafoglio. Io credo che Bush e compagni (che sono i rappresentanti-simboli di interessi incrociati) abbiano un cuore: anche loro hanno giocato con i loro figli e sono capaci di commuoversi di fronte alle sofferenze. Solo che - poverini - gli interessi di cui sono portatori (soprattutto per conto terzi) hanno ottuso questa capacita' di sentire: bisogna aiutarli a riscoprire l'essere umano che e' in loro: la logica del profitto e dell'utilita' nella nostra societa' dei consumi e' cosi' pervasiva da costituire un approccio totalizzante a cui pertanto si piegano non solo i rapporti con le cose ma anche quelli con le persone. Probabilmente colpire gli interessi economici di quei soggetti favorevoli alla guerra o indifferenti ad essa potrebbe avere una funzione di shock che li porterebbe perlomeno a riflettere sulla convenienza delle loro scelte. Ed allora dobbiamo pensare ad una grande azione di noncollaborazione economica condivisa da una consistente percentuale della popolazione: annunciamo fin d'ora che in caso di attacco all'Irak i cittadini dichiareranno un lutto ad oltranza che sara' sospeso solo con la fine della guerra. Quando si e' a lutto non si vede la televisione, si riducono gli acquisti, si viaggia di meno. Immaginate cosa succederebbe se centinaia di migliaia di cittadini italiani decidessero per un certo periodo di non guardare la tv: calo degli indici di ascolto dei programmi, ritiro delle pubblicita' inserite nei programmi, calo delle vendite dei prodotti pubblicizzati... Poiche' le ditte saprebbero che questo comportamento dei cittadini e' messo in atto per protestare contro la guerra, non pensate che esse - forse prima favorevoli o al massimo indifferenti alla guerra - farebbero di tutto per opporsi alla guerra al fine di far cessare questo comportamento dei consumatori dannoso per le loro tasche? E la riduzione dell'uso dell'auto non abbasserebbe i nostri consumi di petrolio e colpirebbe, quindi, i produttori (la cui lobby sostiene negli Usa l'entrata in guerra)? Pensate che nelle scorse settimane e' stta diffusa la notizia che sarebbe bastato che un milione di automobilisti aderisse al boicottaggio della Esso (scelta di non rifornirsi alle stazioni Esso) promosso da Greenpeace per far scendere consistentemente in termini assoluti e percentuali il numero dei clienti abituali della Esso. Lo stesso dicasi, infine, del calo degli acquisti messo in atto intenzionalmente dai cittadini in lutto: anche un calo delle vendite del 10% metterebbe in crisi i produttori e non basterebbero spot come quello del tizio con la busta gialla che dice "grazie" a tutti per far girare l'economia. Considerate che cosa sono in grado di provocare i cittadini organizzati gia' solo non guardando la tv, comprando e viaggiando di meno. Non e' necessario essere eroi per far questo: sono infatti azioni alla portata di tutti. Azioni che anche quella maggioranza di cittadini che sembra mostrare oggi piu' indifferenza non avrebbe difficolta' a condividere. Ma ad un lutto nazionale bisogna prepararsi fin d'ora, far circolare la proposta, annunciarla alle istituzioni e ai soggetti economici. La pratica del lutto avrebbe anche un effetto positivo su di noi: l'esperienza di restrizioni e quindi di poverta' volontaria a cui ci sottoporremmo ci aiuterebbe a scoprire cio' che e' essenziale (spesso nascosto dalla sovrabbondanza di beni di cui ci dotiamo) e ci farebbe sentire piu' vicina l'esperienza di morte di chi sta sotto le bombe. 10. MAESTRE. HANNAH ARENDT: TUTTO CIO' CHE VIVE [Da Hannah Arendt, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano 1991, pp. 243-244. Hannah Arendt, nata ad Hannover nel 1906, costretta all'esilio dal nazismo, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; mori' a New York nel 1975. Tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna; una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985; molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001. Su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] Tutto cio' che vive (non solo la vita vegetativa) sgorga da un'oscurita'; e per quanto forte sia il suo naturale impulso a gettarsi nella luce, esige, per crescere, la sicurezza dell'oscurita'. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 455 del 24 dicembre 2002
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