[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Lettera aperta di Francesco Caruso dal carcere di Viterbo
- Subject: Lettera aperta di Francesco Caruso dal carcere di Viterbo
- From: <italo.disabato at libero.it>
- Date: Mon, 25 Nov 2002 18:04:52 +0100
Ai fratelli e alle sorelle del movimento dei movimenti Alla società civile Alle moltitudini in cammino per un altro mondo possibile Un milione di persone sono tante. Un milione di persone, di uomini e donne a Firenze ha detto, ribadito e gridato a gran voce che un altro mondo è possibile e necessario, un mondo senza guerre e bombardamenti “umanitari”, un mondo nel quale le guerre si evitano semplicemente non facendole, un mondo nel quale la casa, il lavoro, il reddito, l’acqua, la terra sono diritti di tutti e non privilegi per alcuni. Un milione di persone che dicono e rivendicano queste cose sono molte. Per qualcuno, nei palazzi di potere, sono anche troppe. Firenze è stata un’ulteriore tappa delle moltitudini in movimento che da Seattle a Genova, da Napoli a Praga hanno rilanciato a livello mondiale le rivendicazioni degli indios zapatisti, elementari ma al tempo stesso rivoluzionarie: Democrazia, Giustizia, Dignità. Da questa cella piena di sbarre, democrazia giustizia e dignità sono parole vuote, concetti e valori impercettibili. In questa discarica umana, in questo carcere pieno di disperazione e disagio sociale, la dignità umana non è calpestata, ma semplicemente non esiste. Come movimento siano sempre stati dalla parte degli ultimi, degli esclusi, delle vittime della selvaggia globalizzazione neoliberista. Dalle periferie degradate di Napoli ai campi profughi in Palestina, dalle zone terremotate in Molise a Sarajevo sotto i bombardamenti, abbiamo sempre messo in gioco i nostri corpi e impegnato le nostre energie per conoscere, comprendere e combattere le tante contraddizioni e ingiustizie del nostro tempo. Dovrò paradossalmente ringraziare i magistrati di Cosenza e i loro teoremi per avermi dato la possibilità di attraversare l’infernale girone dantesco delle carceri: Trani, Viterbo, migliaia di persone rinchiuse come polli in batteria, dove anche il minimo, elementare diritto diventa un favore da implorare. Qui dentro ci sono solo i soggetti deboli e marginali, per i quali troppo spesso l’illegalità non è una scelta ma una strada obbligata dai perversi meccanismi di un sistema sociale incentrato sul profitto. Qui democrazia, giustizia e dignità si possono tradurre in un sola parola: AMNISTIA, subito e per tutti. Come movimento dobbiamo urgentemente farci carico di questa battaglia, per ridare un senso a questi valori anche qui dentro, per smascherare le chiacchiere e le false promesse dei palazzi di potere. Democrazia, Giustizia, Dignità. Ma si può parlare di democrazia, di giustizia e di dignità in un paese nel quale si perseguitano gli oppositori politici? Non è questo forse il discrimine, la linea di confine tra democrazia e autoritarismo, la spia di un’involuzione democratica? Allora l’urgenza di mobilitarsi al grido di “SIAMO TUTTI SOVVERSIVI” non è un’impellenza esclusiva dei ribelli, degli attivisti dei movimenti, ma anche e soprattutto della società civile, dei sinceri democratici, di coloro i quali credono e sperano di vivere in una democrazia matura: in gioco non vi è solo la nostra scarcerazione (che è ora una variabile secondaria) ma piuttosto l’agibilità politica e democratica dell’opposizione sociale nel nostro paese. Se passa il teorema di Cosenza, ogni attivista dei movimenti, ogni persona che si è mobilitata in questi anni per un “altro mondo possibile”, chiunque sia sceso in piazza a Napoli, Genova, Firenze, potrà essere perseguitato come pericoloso e violento sovversivo. La pericolosità sociale e politica di quest’inchiesta è sotto gli occhi di tutti. Dietro l’ambiguo e inconsistente impianto accusatorio, si cela il maldestro tentativo di ridurre la ricchezza e la vitalità dei movimenti ad un mero problema di ordine pubblico. Alla base di queste assurde congetture c’è un delirante pregiudizio ideologico sul rapporto tra democrazia, mobilitazione e conflitto sociale. Se a livello mondiale, grazie all’esperienza di Porto Alegre e all’attivismo dei movimenti, è entrata nell’agenda politica la sperimentazione di forme inedite di democrazia partecipativa, che pongono al centro delle determinazioni sociali e politiche la partecipazione, la mobilitazione ed il conflitto sociale, permane nella società e soprattutto nel mondo politico una diffidenza a riconoscere il conflitto e la mobilitazione sociale come linfa della democrazia. Ma c’è anche di peggio: soprattutto nell’establishment politico, economico e culturale, nei piani alti dei palazzi di potere, c’è chi vede i movimenti sociali come pericolosi virus da debellare, il male da sconfiggere, il disordine da reprimere, per ristabilire ORDINE e DISCIPLINA e preservare il proprio potere. Con l’insorgere del movimento antiglobalizzazione, determinati settori degli apparati, della magistratura e delle forze dell’ordine, proprio a partire dal timore e dal terrore dell’attivismo dei movimenti del loro potenziale di trasformazione sociale e di messa in discussione degli assetti di potere, sostituiscono all’imparzialità degli atteggiamenti e delle procedure, un’ossessiva persecuzione politica che tocca il suo culmine con le violenze di Genova e l’omicidio di Carlo Giuliani. Ora l’assurdo teorema di Cosenza: con in prima fila, ancora una volta, i Reparti Operativi Speciali dei Carabinieri (l’unico corpo senza indagati per i fatti di Genova) questa volta supportati da alcuni solerti magistrati che i ROS hanno trovato dopo estenuanti ricerche in un anonimo tribunale del profondo Sud. Il desiderio perverso di costoro è che dei movimenti, di questi giovani “rumorosi e fastidiosi”, se ne occupino proprio e solo loro, coi loro metodi e le loro strategie di sistematico annientamento e repressione. Che il movimento antiglobalizzazione sia un’accozzaglia di criminali sovversivi, violenti, cospiratori, da questa prospettiva non è un’ipotesi da dimostrare, ma una certezza da affermare. Eppure, di fatto, bisogna andare a ritroso fino al ventennio fascista per ritrovare altri imputati per cospirazione politica oppure ai romantici carbonari dell’Ottocento: di certo, se qualcuno paragona il nostro impegno sociale e politico con quello dei nonni antifascisti o dei bisnonni carbonari, non fa che lusingarci. In verità i pericolosi sovversivi, i veri criminali sono dall’altra parte della barricata, sono costoro che cercano di sospingere il movimento sul terreno dello scontro “fisico”, militare, anche perché sanno bene che questo è l’unico terreno dal quale usciremmo sconfitti. La loro strategia è fin troppo evidente e banale: nel momento in cui non vogliono dare risposte concrete alle istanze ed alle rivendicazioni dei movimenti, sbrigliano i loro cani da guardia, le loro meschine strategie di criminalizzazione e repressione, nel tentativo di zittire, stigmatizzare e annientare il movimento. Ma il movimento ha già dimostrato a Genova e dopo Genova la maturità politica capace di sfuggire a queste trappole: tanto meno questa ridicola inchiesta riuscirà a smentirla. Non solo, ma - come l’esperienza di Genova - anche quest’attacco politico non produce arretramento, sconforto e smobilitazione, ma anzi rafforza la consapevolezza della necessità di rilanciare le battaglie del movimento: si scopre infatti chee in gioco non c’è solo la possibilità di conquistare nuovi diritti e garanzie sociali, ma anche la tenuta democratica, l’azzeramento delle strategie eversive e reazionarie con le quali, negli ultimi decenni, hanno pesantemente attaccato i precedenti cicli di mobilitazione sociale. Per questo è importante che il movimento si divincoli da questa tenaglia in cui si cerca di stritolarlo, da quel vortice repressione/lotta alla repressione che tarpa le ali alla dinamicità ed ai processi di trasformazione sociale. Le giornate di Firenze hanno posto domande e istanze politiche ben precise, da cui nessuno può pensare di divincolarsi grazie alle geniali intuizioni di un zelante magistrato o di solerti carabinieri. Per questo, ancora, a prescindere dalla sacrosanta battaglia per denunciare il carattere politico e persecutorio di quest’operazione, è importante continuare a rilanciare le pratiche ed i contenuti del movimento, anche perché è soprattutto attraverso questo che è possibile dimostrare chi sono i veri criminali: se sono coloro che come noi si autorganizzano dal basso, coloro che partecipano ai movimenti, oppure se sono coloro i quali si rendono responsabili di guerre e bombardamenti, di milioni di morti per fame e carestie, della devastazione ambientale del nostro pianeta. Allo stesso tempo, è necessario ribadire e rivendicare le pratiche della disobbedienza civile come forme di mobilitazione legittime e sacrosante, dinanzi alle tante, troppe ingiustizie che attanagliano il nostro mondo globale. Su questo nessuna inchiesta, nessun magistrato potrà farci arretrare. Possono incarcerare 20, 200 o 2000 di noi, dei nostri fratelli, ma non ci piegheranno. Noi con il cuore, ma tanti altri fisicamente, saremo in questi giorni al fianco degli sfrattati di Melito per il diritto alla casa, dei disoccupati che rivendicano un impiego o un reddito, dei lavoratori FIAT in lotta per difendere il posto di lavoro, degli immigrati il 30 novembre a Torino contro i centri-lager. Con la violenza che si fa chiamare giustizia, ci hanno rinchiuso nelle carceri, tra mille sbarre e cancelli, ci hanno privato di un bene fondamentale, del bene primario per tutti gli esseri umani: la libertà. Non si rendono conto che è tutto inutile, che perderanno anche quest’ulteriore battaglia: perché noi siamo un esercito di straccioni, ma anche e soprattutto di sognatori. Per questo siamo invincibili. Francesco Caruso carcere di Mammagialla, Viterbo, Italia, Europa, Pianeta Terra 25 novembre 2002, Anno Secondo della Guerra Globale Permanente
- Prev by Date: BUY NOTHING DAY
- Next by Date: La nonviolenza e' in cammino. 427
- Previous by thread: BUY NOTHING DAY
- Next by thread: La nonviolenza e' in cammino. 427
- Indice: