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La nonviolenza e' in cammino. 423
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 423
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 21 Nov 2002 22:41:28 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 423 del 22 novembre 2002 Sommario di questo numero: 1. Giobbe Santabarbara, il sangue per le strade 2. Ali Rashid, se fossi israeliano voterei Mitzna 3. Enrico Peyretti, ventuno novembre 4. Giancarla Codrignani, patriarcato e fascismo 5. Peppe Sini, sulla sentenza di Perugia 6. Giuseppe Di Lello, sulla sentenza di Perugia 7. Lidia Menapace, sulla sentenza di Perugia 8. Luciano Benini, sulla sentenza di Perugia 9. Luciano Violante, dodici tesi sulle mafie italiane 10. Giuliana Sgrena: torturati i testimoni delle stragi di Mazar-i-Sharif? 11. Tavola della pace, forte preoccupazione 12. Edoarda Masi, senza 13. Gloria Gazzeri, nell'ipocrisia 14. La scomparsa di Alberto Caracciolo 15. Riletture: Rachel Carson, Primavera silenziosa 16. Riletture: Mary Kaldor, Le nuove guerre 17. Riletture: Carla Ravaioli, Il pianeta degli economisti 18. La "Carta" del Movimento Nonviolento 19. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. GIOBBE SANTABARBARA: IL SANGUE PER LE STRADE Amasti subito quel libro di Nando dalla Chiesa quando aprendo Delitto imperfetto (che riaprendolo oggi vedo ancora macchiato dalle lacrime di quando lo lessi allora) trovasti in epigrafe quelle parole di Pablo Neruda, da Spagna nel cuore: "Domanderete perche' la sua poesia non ci parli del sogno, delle foglie, dei grandi vulcani del suo paese natale? Venite a vedere il sangue per le strade, venite a vedere il sangue per le strade, venite a vedere il sangue per le strade". Mentre mi accingevo a lavorare a questo numero del notiziario, che non pensavo di aprire con queste righe, mi giunge la notizia di una nuova strage a Gerusalemme; e stanotte leggevo le ultime lettere dei miei amici dell'Operazione Colomba in Palestina. Una catena di violenze senza fine, ed ogni giorni temo di sentire che qualche mio amico israeliano o palestinese possa essere stato ucciso. E capisco il dolore e il terrore del popolo palestinese tutto, del popolo israeliano tutto, e del popolo delle due diaspore. E sento come una spina nella carne che la radice di tutto e' qui: nella storia europea, in duemila anni di persecuzione antisemita, in cinquecento anni di colonialismo, nell'orrore della Shoah che e' l'evento che spezza in due la storia umana dopo di cui tutto deve cambiare nell'agire degli esseri umani perche' l'umanita' intera non sia annichilita. E che e' innanzitutto a noi europei il compito di fare un primo passo per aiutare tutte le vittime, per soccorrere i popoli e gli stati di Palestina e di Israele, per lenire le ferite, per risarcire per quanto possibile i superstiti poiche' quelle vittime sono le nostre vittime, per lavorare ad aprire percorsi di pace e di giustizia, e quindi di riconciliazione; innanzitutto col riconoscimento dello stato palestinese, ma anche di quello di israele che ancora troppi nel mondo e anche qui tra noi vorrebbero cancellare con una nuova Shoah; con la cessazione dell'occupazione militare e delle colonie, ma anche con la cessazione della diuturna aggressione dei gruppi terroristici alla popolazione israeliana, aggressione terroristica che ancora troppi nel mondo e anche qui abominevolmente pretendono di giustificare; con la fine di ogni terrorismo da chiunque agito che costringe nel trauma permanente, nell'orrore quotidiano la popolazione di Israele come quella di Palestina. La lotta delle donne in nero indica una via. Il Sudafrica, che e' una realta' sicuramente pecularie e sicuramente tanto diversa da quella mediorientale, indica una via. Quell'antico canto scritto a Parigi mentre austriacanti e versagliesi facevano le loro crude cruente sanguinolente vendette sulla nuda umanita', quell'antico canto indica una via: la via della solidarieta' umana fra tutti gli esseri umani; la via del riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani: l'internazionale futura umanita'. E' l'ora della nonviolenza. O non vi sara' un futuro per l'umanita'. 2. RIFLESSIONE. ALI RASHID: SE FOSSI ISRAELIANO VOTEREI MITZNA [Questo articolo abbiamo tratto dal quotidiano "Il manifesto" del 21 novembre 2002. Ali Rashid, primo segretario della Delegazione palestinese in Italia, e' un caro amico e una persona meravigliosa, fine intellettuale di profonda cultura, conoscitore minuzioso degli aspetti storici, politici, economici e culturali della situazione nell'area mediorientale, esperto di questioni internazionali, ed anche acuto osservatore della vita italiana; e' figura di grande autorevolezza per rigore intellettuale e morale, ed e' una delle piu' qualificate voci della grande tradizione culturale laica palestinese. Suoi scritti appaiono sovente nel nostro paese sui principali quotidiani democratici e sulle maggiori riviste di cultura e politica] Solo pochi giorni fa, il peggio sembrava senza fine e la situazione si presentava come una cassa ermeticamente chiusa che prometteva soltanto una grande esplosione finale. La scelta di Amram Mitzna come candidato alla guida dei laburisti per le prossime elezioni politiche in Israele sblocca questa situazione e offre alla maggioranza degli israeliani, che di certo desiderano pace e tranquillita', una sponda affidabile e sicura dopo un lungo smarrimento generale. Uno smarrimento dovuto alle scelte sbagliate e irresponsabili operate da Shimon Peres e Benyamin Ben Eliezer, e alla loro partecipazione nel governo di unita' nazionale di Sharon. Oggi la situazione politica israeliana riaquista una sua dinamicita', gli schieramenti politici si presentano piu' chiari e distinti, all'improvviso il tema della pace e della sua costruzione appaiono un'impresa possibile e lineare che impone alle due parti, israeliani e palestinesi, scelte rigorose e responsabili. Non e' retorica. Esistono effettivamente le condizioni per considerare questo sviluppo positivo come un'altra occasione storica, simile alla firma dell'accordo di Oslo. E' compito dei moderati palestinesi e israeliani e della comunita' internazionale cogliere questa occasione, e non farla esaurire nel vuoto desolante che la violenza ha creato, nella confusione generata dai tamburi della guerra. Una guerra - e' sotto agli occhi di tutti - che ha causato solo sofferenze per entrambi i popoli, e ha dimostrato tutta la sua incapacita' strategica nel risolvere i molti drammi che lunghi anni di conflitto hanno prodotto. Il nuovo candidato laburista Amram Mitzna ha dimostrato durante la sua carriera militare e politica di essere un uomo di valori, incline al dialogo e aperto a forme di convivenza pacifica. Soprattutto ha dimostrato di essere un uomo che ha il senso del limite. E' un laico che a Haifa, citta' di cui e' stato sindaco, si e' confrontato con la vita quotidiana di tanti israeliani ma anche di tantissimi arabo-israeliani. Insomma, sa che la storia la fanno le donne, i bambini e gli uomini come persone, non i dogmi e i testi sacri. Questo e' gia' molto in una situazione dove i piu' integralisti - di tutte le religioni - hanno creato ciascuno un proprio dio, cattivo ed esclusivo, a propria immagine e somiglianza. Mitzna era in Cisgiordania nella prima Intifada, e non e' stato leggero. Ma anche da militare, anzi da generale, non ha esitato, rischiando di persona, a denunciare le malefatte di Sharon durante la guerra in Libano nel 1982. Certo la situazione di estrema debolezza e di destabilizzazione dell'Autorita' nazionale palestinese, a causa dei ripetuti attacchi militari del governo Sharon che hanno ormai incrinato la sua credibilta' ed autorevolezza, e la situazione di gravi sofferenze, privazioni e rabbia della popolazione palestinese, rendono i moderati palestinesi l'anello piu' debole in questa situazione intricata, loro che pure sotto la dura occupazione militare hanno tenuto in piedi la possibilita' della trattativa di pace. Ma un clima adatto e' invece indispensabile per il successo del candidato laburista israeliano, ed e' indispendabile per prevenire qualsiasi atto che possa turbare la sua campagna elettorale dando argomenti alla propaganda della destra che presenta la guerra come un fatto inevitabile, e teorizza il fallimento degli strumenti politici per la composizione del conflitto sulla base di quella che chiama, incredibilmente, "legalita' internazionale". Noi palestinesi non possiamo perdere questa occasione, e per nessuno motivo, se non vogliamo che la destra israeliana estremista e religiosa governi Israele per i prossimi dieci anni, con tutte le disastrose conseguenze facilmente immaginabili. Anche la comunita' internazionale, in particolar modo l'Europa - i governi e le forze politiche democratiche - deve cominciare ad assumersi le sue responsabilita' su tutto il Medio Oriente, cominciando col rifiutare la guerra disastrosa contro l'Iraq. Per i Territori occupati palestinesi, l'Europa e' chiamata a dare una possibilita' a questa speranza che si apre, responsabilmente, e attraverso un atteggiamento piu' deciso contro la politica distruttiva del governo di Sharon e dei suoi alleati, chiedendo il rispetto della legalita' e delle convenzioni internazionali e minacciando le giuste sanzioni previste dal diritto internazionale se Israele dovesse continuare una politica che viola ogni forma di diritto conosciuto. Alla societa' israeliana spetta una scelta importante e decisiva, perche' questa mitica e mitizzata democrazia israeliana diventi concretamente condivisione di responsabilita' nel bene e nel male, e dimostri una buona volta di che pasta e' fatta. E io, davvero, se fossi un israeliano, per la mia sopravvivenza non soltanto fisica ma anche etica e morale, voterei senza alcun dubbio per Amram Mitzna. 3. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: VENTUNO NOVEMBRE [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti at tiscalinet.it) per questo suo tempestivo, puntuale, necessario intervento. Enrico Peyretti e' una delle voci piu' autorevoli della nonviolenza in cammino] 21 novembre. Berlusconi tiene ancora in tasca e non vuole commentare (GR1 delle 7 di oggi) la lettera di Bush che intima agli alleati di farsi complici della sua guerra. Bush insiste nel dichiarare e dimostrare la sua volonta' di guerra. Dimostra di essere deciso a far fallire le ispezioni e trovare il casus belli che vuole trovare. Come ho gia' scritto: "Sarebbe la piu' antica delle astuzie statal-belliche. Quando si pensa solo la guerra, la soluzione pacifica e' impossibile. Gli stati, dice Galtung, sono piu' stupidi e malvagi delle persone comuni, perche' piu' di queste pensano e preparano la guerra e non la pace. C'e' chi ha calcolato che, fatta uguale a 1 la massa di risorse di ogni genere destinate dagli stati alla pace, quelle destinate alla guerra sono tra 1.000 e 10.000. Se io compero solo patate, non posso dire che per cena non e' possibile cucinare uova. Infido Saddam. Infido Bush. E questo piu' pericoloso" (ovviamente, dicendo Bush diciamo l'apparato e gli interessi di cui egli e' lo strumento). Saddam dittatore dell'Iraq. Bush dittatore del mondo. Disprezza l'Onu e ricatta la Nato. L'Italia deve negarsi alla guerra, come alla prostituzione. L'Europa, per dire di esistere, deve dissociarsi da questa politica Usa. Dobbiamo esigerlo dal governo e dall'opposizione, a costo di dividere l'Italia in due, quella di pace, quella di guerra; quella costituzionale, quella eversiva. Solo la prima e' la nostra Italia. 4. MAESTRE. GIANCARLA CODRIGNANI: PATRIARCATO E FASCISMO [Da AA. VV., Persona, liberta', sessualita': culture a confronto, quaderno monografico di "Donne parlamento societa'" che reca gli atti del convegno tenutosi a Roma il 15 febbraio 1985, p. 50. Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it) e' veramente una delle figure piu' belle della nonviolenza in Italia, ed un'amica preziosa. Tra i suoi libri: L'odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994] Io credo che vada ripetuto (e questa e' la mia conclusione) quel che diceva Virginia Woolf alla vigilia della seconda guerra mondiale, quando incatenava insieme patriarcato e fascismo: dovunque le forme autoritarie insidiano la democrazia, li' la donna ha i maggiori ostacoli ad esprimere non soltanto i suoi diritti o la sua personalita', ma la sua cultura. 5. RIFLESSIONE. PEPPE SINI: SULLA SENTENZA DI PERUGIA Devo fare una premessa: non sono un patito degli atti giudiziari, scritti perlopiu' malissimo e al limite dell'intelligibilita'; potendo scegliere, passerei il mio tempo a leggere i lirici e i tragici greci, con Dante e Cervantes, Leopardi e Kafka, Hannah Arendt e Simone Weil. Ma, come a tutti, anche a me sono capitati da vivere tempi corruschi di armi e di stragi. E qui finisce il prologo. * Avevo letto la motivazione della sentenza di primo grado del processo di Perugia: la mia opinione e' che si poteva arrivare a una condanna di Andreotti. Avevo letto la domanda di autorizzazione a procedere inviata dalla Procura al Senato: la mia opinione e' che si poteva arrivare a una condanna di Andreotti. Ho letto anche i libri sull'argomento della morte di Pecorelli usciti anni fa, lavori giornalistici ma non disprezzabili: la mia opinione e' che si poteva arrivare a una condanna di Andreotti. E ho letto anche la raccolta degli scritti di Pecorelli pubblicati da Franca Mangiavacca in Memoriale Pecorelli dalla Andreotti alla Zeta, due volumoni per piu' di mille pagine: la mia opinione e' che si poteva arrivare a una condanna di Andreotti. Ma ho letto anche i fascicoli originali di intere annate di "OP" (per un colpo di fortuna diversi anni fa ne trovai una copia rilegata grazie a un amico rivenditore di libri usati): la mia opinione e' che si poteva arrivare a una condanna di Andreotti. * Ho letto anche la memoria della Procura di Palermo alla base del processo sui rapporti tra Andreotti e la mafia (e' stata pubblicata, e merito gliene sia reso, dall'editore Pironti, in un volume di quasi mille pagine): la mia opinione e' che si poteva arrivare a una condanna di Andreotti. Ho letto anche diversi dei molti libri, scritti perlopiu' da giornalisti, ma anche da studiosi e personalita' autorevolissime, sulle vicende oggetto del processo di Palermo: la mia opinione e' che si poteva arrivare a una condanna di Andreotti. E ho letto anche le opere - fondamentali - di Umberto Santino e i lavori - fondamentali - della Commissione parlamentare antimafia quando la presiedette Luciano Violante: la mia opinione e' che si poteva arrivare a una condanna di Andreotti. * E fin qui sto parlando di letture. Ma non sono solo un lettore. Sono da molti anni un militante politico impegnato contro i poteri criminali e il regime della corruzione, e vivo in un luogo molto lontano dalla Sicilia, ma contrastare la mafia e i suoi complici e' necessario anche qui nell'alto Lazio. E sono stato per molti anni un pubblico amministratore impegnato contro la mafia, in un luogo molto lontano dalla Sicilia, ma contrastare la mafia e i suoi complici e' necessario anche qui nell'alto Lazio. E sono stato per molti anni uno degli animatori del principale settimanale d'informazione di Viterbo impegnato contro la mafia, in un luogo molto lontano dalla Sicilia, ma contrastare la mafia e i suoi complici e' necessario anche qui nell'alto Lazio. E questa esperienza mi ha condotto ad una convinzione che credo di avere documentato in molti interventi, esposti, pubblicazioni, lungo migliaia di pagine che ho scritto: che il sistema di potere andreottiano ha favorito la penetrazione mafiosa anche nell'alto Lazio. Significhera' pur qualcosa che il boss Pippo Calo' per anni durante la sua latitanza abbia abitato nel viterbese; e che Gaspare Mutolo sia arrestato a Montalto di Castro, in provincia di Viterbo (e non la faccio piu' lunga qui, rinviando al mio "Sistema di potere andreottiano e penetrazione dei poteri criminali a Viterbo" riportato integralmente in questo stesso notiziario qualche giorno fa, nel n. 421 del 20 novembre). Il capo degli andreottiani viterbesi, Rodolfo Gigli, ora deputato di Forza Italia, volle querelare per diffamazione molti anni or sono un mio articolo dal titolo "La mafia a Viterbo", e mal gliene incolse: io venni assolto, nei miei confronti lui usci' duramente sconfitto in tribunale. Fa parte dei paradossi di questo paese che io abbia vinto il processo, che la magistratura mi abbia dato ragione, e che il capo degli andreottiani viterbesi (uno dei massimi capi della DC a livello regionale, all'epoca presidente della Regione Lazio e segretario regionale della DC, e parliamo della regione al cui interno si trova Roma) sconfitto e smascherato in tribunale abbia potuto continuare la sua carriera politica e progredirvi fino al parlamento. * Sono contrario all'istituto del carcere; cosi' come l'umanita' ha saputo superare altre forme penali piu' crudeli, penso che un ulteriore miglioramento della civilta' umana portera' anche al superamento del carcere. Ma sono favorevole al fatto che i delitti siano denunciati, giudicati, sanzionati. Non sono un perdonatore per conto terzi, e provo ripugnanza per chi si dichiara tale; credo che il perdono sia una prerogativa esclusivamente delle vittime: solo la vittima puo' perdonare, se vuole, il suo carnefice; ma quando le vittime sono state assassinate, gli assassini non possono piu' essere perdonati da alcuno. Per questo chi ha eseguito o promosso o giustificato o contribuito a uccisioni da se stesso si e' privato della possibilita' di poter essere un giorno perdonato. Non sono un giudice, non sta a me emettere sentenze. Ma sono un essere umano, e per avventura un cittadino italiano, e so che la mia parola ha un valore; e la mia opinione e' questa: che la sentenza emessa dalla corte d'appello di Perugia in relazione all'imputato Andreotti vada rispettata. E che quanti in questi giorni si sbracciano in favore di Andreotti, col loro sbracciarsi dimostrano una cosa soltanto: una cosa che non scrivero' qui, poiche' tutti i gentili lettori e le gentili lettrici di queste righe l'hanno gia' pensata da se'. E adesso che cali il sipario. 6. RIFLESSIONE. GIUSEPPE DI LELLO: SULLA SENTENZA DI PERUGIA [Questo intervento e' apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 19 novembre 2002. Giuseppe Di Lello (per contatti: gdilello at europarl.eu.int), nato nel 1940, magistrato, membro con Caponnetto, Falcone, Borsellino e Guarnotta del pool antimafia di Palermo e firmatario con loro dell'ordinanza-sentenza che istrui' il maxiprocesso alla mafia che costitui' un punto di svolta nella lotta contro i poteri criminali in Italia. Attualmente e' parlamentare europeo. Opere di Giuseppe Di Lello: Giudici, Sellerio, Palermo 1994] Si dice sempre che le sentenze si commentano solo dopo aver letto le motivazioni, ma l'urgenza di una riflessione e un po' di senso pratico possono farci azzardare, con il beneficio d'inventario, anche un commento del dispositivo. Giulio Andreotti dunque e' stato condannato quale mandante dell'omicidio di Mino Pecorelli e con lui e' stato condannato il vecchio boss mafioso Tano Badalamenti. I giudici d'appello di Perugia, pero', hanno confermato l'assoluzione di primo grado per tutti gli altri imputati, Vitalone, Calo', La Barbera e Carminati, e cio' rende alquanto problematica la condanna dei due "superstiti". La struttura dell'accusa aveva una sua logica se riusciva ad incastrare tutte le tessere del puzzle Pecorelli, con il senatore a vita ricattato dal giornalista fastidioso, con Vitalone che suggeriva una soluzione definitiva, con Badalamenti e Calo' che si incaricavano del "favore" affidandolo per l'esecuzione a La Barbera e a Carminati e cioe' a Cosa nostra e alla banda della Magliana. Le varie dichiarazioni dei pentiti di mafia e di mala, combinandosi e scombinandosi tra di loro, non erano pero' risultate convincenti in primo grado. Con la condanna di domenica sono ancor meno convincenti proprio perche', come suggerisce il dispositivo, sembrano essersi ridotte essenzialmente alle confidenze fatte da Badalamenti a Buscetta: l'omicidio come favore fatto dalla mafia ad Andreotti. Eliminati sia gli intermediari tra Andreotti e Badalamenti sia quelli tra Badalamenti e gli ignoti esecutori, resta solo la parola di Buscetta: insufficiente per una condanna. E non credo che varrebbe a rinforzarla nemmeno la "regola" mafiosa secondo cui questi criminali, quando parlano tra di loro, hanno l'obbligo di dire la verita'. Le guerre di mafia insegnano che l'inganno, il tradimento, l'agguato favorito sempre con la collaborazione dell'amico piu' caro della vittima, sono essi si' la regola, mentre la sincerita' e' l'eccezione. Non vorremmo insomma poter dire, alla lettura della motivazione, che Buscetta sta ad Andreotti come Marino sta a Sofri, entrambe le accuse essendo sostenute dalla parola di un pentito senza riscontri. Condanna che dunque lascia perplessi, ma e' una perplessita' solo tecnica: come al tempo delle assoluzioni, cosi' ora il nostro giudizio politico su Andreotti rimane immutato. Lo scempio di vite umane e di democrazia consumatosi in Sicilia nel corso di decenni e' stato possibile "grazie" anche al cinismo politico-criminale con il quale la Dc, e la famiglia politica di Andreotti-Lima-Salvo in particolare, hanno accettato la mafia come componente essenziale del loro blocco di potere: non sara' una decisione assolutoria di un organo giudiziario ad indebolire questo giudizio, ne' sara' una condanna a rafforzarlo. Ovviamente Berlusconi si affrettera' (anzi, si e' gia' affrettato) a strumentalizzare questa sentenza per tentare di dare la spallata definitiva all'indipendenza della magistratura. Appare pero' sempre piu' scopertamente fasullo un teorema che reputa "giusti" i giudici che assolvono o scarcerano e "comunisti" quelli che arrestano o condannano, ulteriormente smentito dalla retata dei giudici cosentini a danno dei giovani disubbidienti. Attenzione, perche' anche da destra, e proprio sull'onda dei fatti di Cosenza, qualcuno potrebbe tentare di recuperarci all'interno di una santa alleanza contro la magistratura presentata sempre piu' inaffidabile, dai processi a Berlusconi all'arresto dei no global, passando per la condanna di Andreotti. Ma l'indipendenza della magistratura e' un valore essenziale per la tenuta della democrazia e le nostre critiche delle singole sentenze o dei singoli provvedimenti servono a difenderla e ad accrescerla, senza lasciarsi sconfiggere dal timore di poter cosi' contribuire a delegittimare l'ordine giudiziario. Le critiche della destra servono, invece, solo a ridurla o eliminarla per avere una magistratura ancella del potere e pronta a dare una mano al suo disegno politico-sociale. A Cosenza e' stato fatto un errore di ortografia giudiziaria e per correggerlo il centrodestra potrebbe strumentalmente cercare a sinistra alleati contro l'indipendenza della magistratura. E' piu' probabile, pero', che lo schema cosentino - con meno errori maldestri - venga ritenuto "idoneo" a contrastare il movimento, anche se per attuarlo su larga scala ci vorra' l'aiuto di un pubblico ministero sottoposto all'esecutivo e di una magistratura meno indipendente. Chissa se il vecchio Andreotti non sia capace, con la sua condanna, di offrire un ulteriore contributo alla nobile causa del cavaliere erede del Caf? 7. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: SULLA SENTENZA DI PERUGIA [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it) per questo comunque prezioso intervento, ben degno di meditazione e discussione, rispetto al quale chi scrive queste righe esprime su un punto preciso un dissenso: ho troppo dovuto combattere per decenni il sistema di potere andreottiano per non sapere che esso non e' arretrato dinanzi a nessun crimine, tutto ritenendo lecito, anche il delitto. Ed analogamente: mentre ho sempre visto con terrore alcuni aspetti autoritari e peronisti (e quindi persino protofascisti) dei fans di "Mani pulite" e del fenomeno diciamo cosi' sociologico e politico eponimo, avendo potuto - e sentito il dovere - di leggere migliaia di pagine di carte processuali ritengo di avere ragionevole certezza che quel gruppo di magistrati, ed in quanto magistrati, meritavano e meritano stima e sostegno pieni nel loro lavoro di contrasto al crimine, stima e sostegno che per quanto mi e' stato possibile ho dato e daro'; ed e' chiaro che Lidia ed io non abbiamo dubbi su questo. Lidia Menapace, gia' impegnata nella Resistenza al nazifascismo, voce tra le piu' autorevoli del movimento delle donne, della pace, della dignita' umana, tra quante ne ho conosciute e' una di quelle poche persone - un altro era Primo Levi - che se io penso una cosa e lei il contrario sono portato istintivamente a credere di avere torto, pur essendo - come fra' Diego la Matina - uomo di tenace concetto (Peppe Sini)] Quello che verro' dicendo non e' stato confrontato con una sinossi degli eventi, che quindi non si succederanno in ordine cronologico, ma per somiglianze, cenni, echi: e i filoni di pensiero che ripercorrero' hanno una loro coerenza, almeno per me, anche se non saprei connetterli se non per quel che a me pare il loro intrinseco nesso. Molte cose restano indimostrate e non provate, ma per l'appunto sto facendo una riflessione, non una dimostrazione matematica o un esperimento scientifico; una espressione di pensiero politico, non un processo. Basta quella che vien chiamata certezza morale, una delle forme della certezza umana. * Parto da: "sto facendo una espressione di pensiero politico, non un processo". Uno dei punti di maggior dissenso con l'opinione diffusa a sinistra negli scorsi anni e' che a me l'insieme di eventi denominato sbrigativamente "Mani pulite" non e' mai piaciuta e l'ho considerata una operazione di dubbio senso. Nella politica italiana (e non solo in quella del resto) i reati, il malaffare e persino il delitto sono certo presenti: gli stati sono dotati addirittura di strumenti detti "servizi segreti" autorizzati a compiere azioni criminali: vi e' nella forma dello stato tale violenza e machiavellismo intersecati che fino a quando non troveremo un'altra forma di azione politica organizzata, e avvieremo il deperimento dello stato, non se ne potra' fare a meno. Quando parlo di stato sociale e di stato militarista e dico che sono antagonisti o almeno incompatibili, mi riferisco appunto al fatto che se c'e' lo stato sociale quello militarista langue e si debbono fare delle politiche di mediazione internazionale; se lo stato e' militarista lo stato sociale va a farsi benedire (come vediamo ogni giorno) e il segreto di stato dilaga e la democrazia ammala. Una forma speciale di stato violento e' quella governata dai magistrati: il governo dei magistrati e' uno dei peggiori perche' intrinsecamente conservatore, dato che i magistrati per professionalita' debbono applicare le leggi vigenti e non spetta loro modificarle. Scrissi- mi ricordo - su "Avvenimenti" che "Mani pulite" avrebbe screditato la politica e la magistratura perche' anche i magistrati sbagliano e si sarebbe messo sotto accusa anche cio' che non puo' essere passato in tribunale, cioe' un assetto politico. La supplenza della magistratura rispetto alla politica non e' meno scorretta della supplenza economica o religiosa. * Cio' premesso (che ora non commento), ho d'altra parte sempre sperato che Andreotti fosse innocente dei sospetti e accuse che lo mescolano con fatti di sangue come l'omicidio Pecorelli e l'altro strano suicidio di un ingegnere dell'Eni, mi par di ricordare, avvenuto subito dopo una visita fatta a lui. A me Andreotti e' sempre parso un machiavellico puro di tipo cattolico, quello cioe' nella versione dei gesuiti che introducono la "ragion di stato" come giustificazione di azioni inique: a differenza di altri, come gli attuali reggitori, che mi sembrano piuttosto guicciardiniani, cioe' intenti al loro particulare. Inoltre sarebbe davvero un abisso di iniquita' quello che dovremmo leggere nella vita di Andreotti, un uomo la cui pratica religiosa, sia pure non ostentata, e' pero' nota tenace e continua. In piu' pensare che uno, stato presidente del Consiglio, ministro di quasi tutti i ministeri, sottosegretario di De Gasperi a 25 anni, sia uno che commissiona esecuzioni, mi ripugna davvero. Credo che il tribunale di Perugia abbia emesso un verdetto strampalato (un omicidio del quale sono condannati i mandanti e non gli esecutori), perche' i magistrati non sono riusciti a convincere la giuria, che - come dice lo stesso Andreotti - non conosce altri climi politici. Per questo scrivera' un dispositivo di sentenza, che la Cassazione possa cancellare. Sarebbe in tono con tutto il machiavellismo della vicenda, ma darebbe un sostegno a mutare lo stato, a cominciare a farlo deperire, non invece uno spunto al disprezzo per la politica e una spinta alla disperazione passiva, tanto piu' pericolosa e incubatrice di avventure reazionarie. Lo spero. 8. RIFLESSIONE. LUCIANO BENINI: SULLA SENTENZA DI PERUGIA [Ringraziamo Luciano Benini (per contatti: lucben at libero.it) per questo intervento. Luciano Benini e' una delle persone piu' prestigiose dei movimenti nonviolenti in Italia] Dopo essere stato il protagonista assoluto, per 50 anni, della politica italiana, Andreotti e' stato accusato in due distinti procedimenti giudiziari di essere in rapporti con la mafia (il famoso bacio a Toto' Riina ne simboleggerebbe - se dimostrato - il legame col potere mafioso) e di essere il mandante dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli, allora direttore della rivista "OP". Nella sentenza di primo grado del processo di Palermo e' scritto che sono stati dimostrati, al di la' di ogni dubbio, gli stretti legami fra Andreotti e la mafia, ma non essendo stato possibile dimostrare specifici fatti di rilevanza penale Andreotti e' stato assolto: una sentenza dunque di assoluzione sul piano penale ma di totale condanna sul piano politico. Nel processo per l'omicidio Pecorelli Andreotti, dopo essere stato assolto in primo grado, ora e' stato condannato a 24 anni di carcere. Quasi l'intera prima Repubblica, ma anche spezzoni consistenti della seconda (ammesso che ci sia una seconda Repubblica, visto che il cosiddetto "Polo delle liberta'" ha assunto l'eredita' della parte peggiore della prima, e che anche buona parte del centro sinistra e' figlio di quel periodo) si sono subito lanciati in dichiarazioni di stupore, incredulita' e indignazione per la sentenza di condanna, esprimendo piena solidarieta' al senatore. E' chiaro il perche' di tante unanimi dichiarazioni: se Andreotti e' davvero colpevole, che figura politica ci fanno tutti coloro che per decenni con Andreotti hanno strettamente collaborato o, dall'opposizione, lo hanno comunque considerato un interlocutore credibile e un abile e valido politico? * Io non so se davvero Andreotti e' il mandante dell'omicidio Pecorelli, e se e' stato il principale referente politico della mafia. Ma per certo molto potere ha avuto e quindi molte altre cose ha commesso come principale politico italiano per 50 anni. Si dira' che la responsabilita' penale e quella politica sono cose ben diverse: e' vero, ma anche un giudizio politico e morale su cinquant'anni di potere in Italia puo' esere dato e va dato. Vi raccontero' un fatto di cui sono stato testimone diretto a meta' degli anni '80. Erano gli anni in cui, con la responsabilita' primaria di Andreotti Presidente del Consiglio, Ministro della Difesa o Ministro degli Esteri, l'Italia vendeva sistemi d'arma contemporaneamente ad Iraq ed Iran in guerra fra loro: una guerra costata piu' di due milioni di morti. Per aver accusato i governi italiani di questi immondi traffici, padre Alex Zanotelli fu cacciato dalla direzione di "Nigrizia", la prestigiosa rivista dei comboniani, che comunque hanno continuato a denunciare il ruolo dell'Italia nelle guerre di mezzo mondo. A quel tempo andai al convegno annuale di Mani Tese, a Firenze. Mani Tese era, ed e', una delle piu' importanti e significative associazioni impegnata nella cooperazione coi paesi impoveriti del Sud del mondo. Al convegno era stato invitato Andreotti, all'epoca non ricordo se presidente del consiglio o ministro degli esteri. Qui occorre una precisazione: nel 1976 Mani Tese aveva subito una scissione "a sinistra": una parte dei suoi aderenti se ne era uscita accusando l'associazione di essere troppo sbilanciata sul versante degli aiuti e poco "politica", poco impegnata, cioe', nella lotta alle cause del sottosviluppo. Probabilmente Andreotti si aspettava di trovarsi di fronte alla solita platea di cattolici addomesticati, ai quali raccontare qualche storiella e cavarsela con battute piu' o meno intelligenti. Le cose andarono molto diversamente. Piu' di mille persone, rappresentanti di decine e decine di associazioni di volontariato del mondo cattolico, lo accolsero srotolando uno striscione che chiedeva di fermare il commercio delle armi e proponeva l'obiezione di coscienza al militare. Quando inizio' il dibattito, ricordo gli interventi del carissimo Graziano Zoni, allora presidente di Mani Tese e oggi presidente mondiale di Emmaus, di Gigi Bobba, oggi presidente nazionale delle Acli, di Tonino Drago e altri che gli contestarono puntigliosamente la vergognosa politica estera italiana che affamava i piu' poveri uccidendo milioni di persone nel Sud del mondo, la vendita di armi ai paesi in guerra (pochi sanno che la guerra del Biafra degli anni '60 fu combattuta principalmente con armi italiane esportate con l'autorizzazione dal governo italiano, nel quale c'era gia' Andreotti), il sostegno a dittatori di mezzo mondo fra i quali, in particolare, Saddam Hussein. Andreotti non si aspettava accuse cosi' precise e circostanziate, avanzate proprio dall'associazionismo cattolico: sbianco' in volto, balbetto', ingenuamente nego'. Io ero nelle prime file: vidi allora quel volto sgomento e incredulo che gli italiani non avevano mai visto e che per la prima volta videro solo dieci anni dopo, al momento delle accuse ad Andreotti di essere in rapporti con la mafia. Per uscire da quella situazione Andreotti, negando tutto, affermo' che avrebbe portato le prove di cio' che diceva: cosa che ovviamente non poteva fare e infatti non fece. Anzi. La controprova si e' avuta nel 1991 quando nonostante i ripetuti appelli del Papa contro una soluzione militare nella crisi del Golfo, il Parlamento italiano ha approvato la partecipazione italiana ai bombardamenti sull'Iraq chiesta proprio dal governo presieduto da Andreotti. Una guerra che e' costata subito la morte di decine di migliaia di bambini iracheni e un milione di morti poi, col successivo embargo. Non e' un caso se Don Giuseppe Dossetti ruppe un silenzio durato decenni affermando con forza proprio il rifiuto di qualunque guerra e la difesa e la valorizzazione della Costituzione. Fra Andreotti e De Gasperi da una parte, Dossetti e La Pira dall'altra, ci sono due concezioni di cristiani in politica antitetiche e incompatibili. Come per Priebke, come per Pinochet, mi auguro che Andreotti non faccia un solo giorno di carcere: ma la storia, e i giovani, devono sapere quale e' stata la vera vicenda politica che si e' snodata in Italia dal dopoguerra ad oggi. Perche' i giorni che ci si parano innanzi sembrano totalmente dimentichi di questi avvenimenti, e preparano nuove guerre e nuovi lutti. 9. MATERIALI. LUCIANO VIOLANTE: DODICI TESI SULLE MAFIE ITALIANE [Riproponiamo questo utile testo. Le "dodici tesi" seguenti sono estratte da Luciano Violante, Non e' la piovra. Dodici tesi sulle mafie italiane, Einaudi, Torino 1994. Un libro di notevole qualita' didattica per chiarezza e precisione espositiva, la cui lettura caldamente raccomandiamo. In esso Violante sintetizza efficacemente alcune basilari cognizioni ed alcune proposte interpretative e d'intervento, mettendo a frutto le sue esperienze ed i suoi studi, e particolarmente l'esperienza fatta come presidente della Commissione parlamentare antimafia (come e' noto, e' stato sotto la sua presidenza e per suo decisivo impegno che la Commissione produsse tra l'altro la fondamentale relazione su "mafia e politica" approvata il 6 aprile 1993, e quella su "camorra e politica" approvata il 21 dicembre 1993). Luciano Violante (per contatti: violante_l at canera.it), magistrato, attualmente parlamentare, gia' presidente della commissione parlamentare antimafia (che sotto la sua presidenza diede un contributo notevole alla lotta contro i poteri criminali), e gia' presidente della Camera dei Deputati. Tra le opere di Luciano Violante: La mafia dell'eroina, Editori Riuniti, Roma 1987; sua e' la relazione della Commissione parlamentare antimafia su Mafia e politica, Laterza, Roma-Bari 1993; I corleonesi, L'Unita', Roma 1993; Non e' la piovra, Einaudi, Torino 1994; ha curato per l 'editore Laterza tre rapporti annuali sulla mafia: Mafia e antimafia. Rapporto '96; Mafia e societa' italiana. Rapporto '97; I soldi della mafia. Rapporto '98; sua la cura del ponderoso volume su La criminalita', volume 12 degli Annali della Storia d'Italia, Einaudi, Torino 1997; recentemente ha pubblicato Il ciclo mafioso, Laterza, Roma-Bari 2002] Tesi 1. La mafia non e' una piovra, ne' un cancro. Non e' ne' misteriosa ne' invincibile. Per combatterla efficacemente e per vincerla occorrono analisi razionali. E' fatta di uomini, danaro, armi, relazioni politiche e relazioni finanziarie. E' costituita essenzialmente da tre grandi organizzazioni criminali, Cosa Nostra, 'ndrangheta e camorra, e da un'organizzazione minore, la Sacra Corona Unita, che e' radicata in Puglia. Queste organizzazioni hanno in comune il controllo del territorio, i rapporti con la politica e l'internazionalizzazione. Questo le differenzia dalle comuni forme di criminalità organizzata. * Tesi 2. La principale organizzazione mafiosa e' Cosa Nostra, con circa 5.000 affiliati. Ha un esteso radicamento sociale, un'organizzazione paramilitare, illimitate disponibilita' finanziarie. Controlla minuziosamente il territorio sul quale opera. La sua forza e' determinata dal rapporto con la politica. La regola fondamentale e' l'utilitarismo. La strategia e' costituita dall'espansione illimitata. Cosa Nostra e' uno Stato nello Stato e agisce come una componente eversiva armata. * Tesi 3. La camorra agisce prevalentemente in Campania; e' costituita da centinaia di bande, con quasi 7.000 affiliati, che si compongono e si scompongono con grande facilita', a volte pacificamente, altre volte con scontri sanguinosi. La camorra ha una storia antichissima e un carattere prevalentemente mercenario. Ha manifestato una grande capacita' di condizionamento dell'economia e delle amministrazioni locali. * Tesi 4. La mafia calabrese si chiama 'ndrangheta. Essa ha caratteristiche proprie che la fanno apparire anomala tanto rispetto a Cosa Nostra quanto rispetto alla camorra. Mantiene aspetti arcaici insieme a innovazioni di straordinaria modernita'. Ha il quasi monopolio del traffico d'armi, conta circa 5.600 affiliati, sul proprio territorio riesce a mantenere livelli di impunita' elevatissimi, superiori a quelli di Cosa Nostra. E' l'organizzazione mafiosa piu' presente nel nord del Paese. * Tesi 5. La Puglia e' il "cortile di casa" delle tre mafie principali. Vi operano diverse forme di criminalita' organizzata di tipo mafioso; la piu' importante e' la Sacra Corona Unita. Essa trae origine dal mutamento strutturale di organizzazioni malavitose locali venute a contatto, agli inizi degli anni Ottanta, con la Nuova Camorra Organizzata di Cutolo e, grazie al soggiorno obbligato, con esponenti di Cosa Nostra. E' un tipico esempio di crescita incontrastata di un'organizzazione mafiosa che avrebbe potuto essere bloccata con una ordinaria e tempestiva azione giudiziaria e di polizia. Il fenomeno, nonostante le reiterate denunce della Commissione antimafia, a partire dalla prima meta' degli anni Ottanta, ha potuto espandersi senza ostacoli sino a raggiungere una pericolosita' considerevole. * Tesi 6. Il carcere costituisce per le organizzazioni mafiose il prolungamento del loro territorio. Non 'e' alcuna possibilita' di sconfitta della mafia se non si attua una rigida separazione tra mafiosi detenuti e mafiosi in liberta'. Percio' e' necessario mantenere l'efficacia dell'articolo 41 bis dell'ordinamento penitenziario, che stabilisce particolari controlli sui detenuti pericolosi. * Tesi 7. Il potere delle mafie moderne nasce essenzialmente da alcune grandi decisioni pubbliche. Ci sono, al di la' della storia specifica di Cosa Nostra e del suo ruolo ai tempi dello sbarco alleato in Sicilia, scelte pubbliche di natura politica o economica, che hanno schiacciato il Mezzogiorno, hanno premiato classi politiche dirigenti locali fragili e delegittimate e sono state attuate con la tolleranza dei ceti imprenditoriali. Questo fenomeno ha prodotto l'integrazione della mafia nel sistema economico e politico e ha dato luogo ad estese pratiche corruttive. La corruzione, nel processo espansivo della mafia, si e' rivelata piu' importante del ricorso alla violenza. * Tesi 8. Logge massoniche "deviate" costituiscono il tramite piu' frequente e piu' sicuro nei rapporti tra mafia e istituzioni. Per mezzo di queste logge, in particolare, la mafia cerca di "aggiustare" i processi che la riguardano. Esponenti delle logge massoniche, a loro volta, hanno chiesto in diverse occasioni la partecipazione di Cosa Nostra a vicende criminali ed eversive. Il terreno d'incontro tra la mafia e queste logge e' costituito dai comuni interessi antidemocratici. * Tesi 9. Le leggi contro la mafia ci sono. E' necessario apportare alcune correzioni; ma in questa fase non servono altre leggi. Serve invece un forte indirizzo politico per ottenerne dagli apparati dello Stato la piu' puntuale osservanza. E' grave piuttosto che le leggi contro la mafia siano state approvate solo dopo grandi omicidi, come se la classe politica dirigente dovesse essere costretta dagli avvenimenti a fare queste leggi e non avesse mai avuto una propria autonoma strategia antimafia. Tra le diverse leggi, una delle piu' efficaci e' quella che stabilisce forti riduzioni di pena per i cosiddetti "pentiti" inducendo i mafiosi a rompere l'omerta' e a collaborare con lo Stato contro le organizzazioni di appartenenza. * Tesi 10. La Federazione Russa costituisce oggi, per la crisi economica, per la fragilita' politica e per la difficolta' a darsi regole e farle osservare, un nuovo terreno di insediamento delle grandi mafie dei diversi Paesi, comprese le mafie italiane. Questi insediamenti possono arrecare danni particolarmente gravi e inediti perche' la Russia e' una potenza nucleare e perche' senza una radicale azione di contrasto, concertata tra tutti i Paesi interessati, quel territorio potrebbe diventare una sorta di colossale "citta' aperta" alle mafie di tutto il mondo. * Tesi 11. La mafia, grazie ad un volume di affari che si aggira attorno ai 69.000 miliardi l'anno, puo' distruggere il mercato sostituendo con i propri imprenditori gli imprenditori onesti, rapinando le ricchezze nazionali, inquinando irrimediabilmente il sistema bancario e finanziario. La difesa del mercato dalle organizzazioni mafiose ha per la democrazia un valore analogo alla difesa delle istituzioni dello Stato. * Tesi 12. Risultati definitivi nella lotta contro la mafia possono ottenersi soltanto se all'azione repressiva contro le organizzazioni mafiose si accompagnano interventi sociali per garantire i diritti fondamentali dei cittadini. Sinora la lotta contro la mafia ha avuto un andamento pendolare proprio perche' la repressione non e' stata affiancata da un'azione di risanamento. I nostri successi saranno definitivi se sapremo rompere tutti i rapporti tra mafia e politica e realizzare le riforme sociali. Accanto all'antimafia dei delitti deve affermarsi l'antimafia dei diritti, fondata sulla costruzione di condizioni economiche e sociali dignitose per tutti. La mafia e' il nostro principale fattore di arretratezza. 10. DIRITTI UMANI. GIULIANA SGRENA: TORTURATI I TESTIMONI DELLE STRAGI DI MAZAR-I-SHARIF? [Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 novembre 2002 riportiamo questo articolo. Giuliana Sgrena e' un'autorevolissima saggista impegnata per la pace e i diritti umani] La notizia - rivelata da una fonte anonima delle Nazioni Unite all'agenzia Reuters - di minacce e torture usate per cercare di mettere a tacere i testimoni dei massacri e delle fosse comuni di Mazar-i-Sharif - 1.000 o forse 2.000 taleban arresisi a Kunduz morti soffocati nei container che li trasportavano nel carcere di Shebargan, o, se sopravvissuti, finiti sul posto - e' inquietante. Per diversi motivi. In un paese dove continuano a dettare legge i signori della guerra non puo' meravigliare piu' di tanto - purtroppo - che uno di loro chiamato direttamente in causa, il sanguinario generale uzbeko Rashid Dostum, usi i metodi che gli sono piu' congeniali per eliminare le prove. A mettere in guardia su tale pericolo era stato il rappresentante speciale delle Nazioni Unite, Lakhdar Brahimi, alla fine di agosto, rispondendo alle pressanti richieste di una indagine internazionale. Il presidente Karzai, evidentemente conscio della propria impotenza, gli aveva fatto eco sostenendo che per il momento l'inchiesta era impossibile. Comunque l'Unama - la missione Onu per l'Afghanistan - ci ha riprovato (aveva gia' inviato una delegazione in maggio). Una missione a Mazar ce l'aveva preannunciata l'incaricato per i diritti umani, Goran Fejic, da noi incontrato a Kabul a meta' ottobre. E' meglio partire senza molto clamore, aveva suggerito Sima Samar, presidente della Commissione indipendente per i diritti umani dell'Afghanistan, certa che Dostum avrebbe agito di conseguenza. E infatti molti testimoni - secondo quanto riferito dalla fonte dell'Onu - sono stati imprigionati e torturati, mentre altri sono fuggiti a Kabul. Si e' parlato anche dell'uccisione di due dei testimoni apparsi nel documentario girato dal regista irlandese Jamie Doran proprio a Mazar-i-Sharif e Shebargan, ma Dostum ha smentito, ufficialmente. Oltre ai tentativi di mettere a tacere i testimoni, ad inquietare e' anche - almeno stando alle notizie finora trapelate - la possibilita' che scaricando tutte le responsabilita' sul generale Dostum si scagioni il suo potente alleato, gli Stati Uniti. E che agenti americani fossero sul posto, nel dicembre del 2001, quando i prigionieri di Kunduz - taleban e di al Qaeda - furono portati nella fortezza di Qala-i-Janghi a Mazar-i-Sharif - dove durante la repressione di una rivolta ne morirono circa 500 - e anche a Shebargan dove hanno interrogato - anche, si dice, con torture - i prigionieri, molti dei quali sono stati portati a Guantanamo, ce lo hanno riferito alcuni testimoni del luogo che abbiamo incontrato lo scorso giugno. Gli Stati Uniti hanno sempre scaricato la responsabilita' su Dostum, peraltro confinato a Shebargan dopo che il controllo di Mazar e' finito nelle mani del suo rivale tagiko Ustad Atta Mohammad. La questione di Mazar e' imbarazzante per Karzai: entrambi i contendenti sono sostenitori del presidente che sta tentando di garantire una tregua, se non la pace, tra i due che si erano combattuti anche in passato e poi si erano trovati dalla stessa parte della barricata contro i taleban. 11. RIFLESSIONE. TAVOLA DELLA PACE: FORTE PREOCCUPAZIONE [Riceviamo e diffondiamo questo intervento della Tavola della pace, il piu' ampio e piu' noto network delle associazioni e delle istituzioni impegnate per la pace in Italia. Per contatti: ufficio stampa, tel. 0755734830, 0755736890, 3288347853, 3479117177, fax: 0755739337, e-mail : stampa at perlapace.it. Del testo che riportiamo ci pare sconcertante quella formula anodina - e che interpretiamo come un "lapsus calami" - dell'ultima frase, quel "sappiano mostrare la loro forza", che non riusciamo a capire cosa voglia dire e che ci pare francamente ambigua e infelicissima; non ci e' mai piaciuto che si inviti qualcuno a "mostrare la forza", soprattutto in relazione a procedimenti giudiziari in corso. una brutta caduta in un buon comunicato. Come e' una caduta quella formula "giustizia giusta" che nella storia d'Italia degli scorsi decenni e' stata utilizzata come bandiera soprattutto da chi aggrediva la magistratura] In relazione ai provvedimenti recentemente assunti dalla Procura di Cosenza nei confronti di alcuni militanti cosiddetti "no global", la Tavola della pace esprime forti perplessita' nel merito e preoccupazione per le conseguenze che questi atti possono determinare. Non si vuole con cio' delegittimare l'operato della Magistratura ma evitare che un clima di sospetto e di pregiudizio distolga l'attenzione dalla domanda di cambiamento che viene da Firenze e renda impossibile un dialogo con movimenti largamente presenti nella societa' italiana. Siamo perplessi sulle caratteristiche dei reati evocati, sulla genericita' delle accuse, sulla gravita' dei provvedimenti di restrizione assunti. Se ci sono addebiti specifici questi vanno contestati e rapidamente provati. Altrimenti c'e' il rischio di provocare un ritorno ad esasperazioni e conflittualita' senza sbocchi che possono produrre danni alla democrazia e alimentare la frustrazione delle aspirazioni di cambiamento di tanti cittadini e di tanti giovani. La Tavola della Pace ha affermato in ogni sede l'assunzione del valore e della pratica della nonviolenza come precondizione di partecipazione a qualsiasi mobilitazione o iniziativa pubblica. Questo ci consente di dire che non si possono lanciare accuse generalizzate e colpire, attraverso alcuni singoli, una vasta mobilitazione proprio nel momento in cui Firenze ha dimostrato ancora una volta che si puo' discutere e mobilitarsi per temi importanti come la pace, la giustizia sociale e la democrazia senza dover ogni volta prefigurare scenari di minacce alle istituzioni o all'ordine pubblico. Il nostro auspicio e' che anche sabato prossimo e nei prossimi giorni a Cosenza e in tutta Italia le iniziative programmate sappiano mostrare la loro forza, con maturita' e responsabilita', e che questo possa contribuire a ottenere in tempi brevi una giustizia giusta e un clima di maggiore serenita' nel Paese. 12. MAESTRE. EDOARDA MASI: SENZA [Da Edoarda Masi, Lu Xun, in AA. VV., La cultura del Novecento, Mondadori, Milano 1981 (da un progetto della Gulliver Edizioni), volume terzo, p. 263. Edoarda Masi e' nata a Roma nel 1927, bibliotecaria nelle biblioteche nazionali di Firenze, Roma e Milano, ha insegnato letteratura cinese nell'Istituto Universitario Orientale di Napoli; ha vissuto a Pechino e a Shangai, dove ha insegnato lingua italiana all'Istituto Universitario di Lingue Straniere. Ha collaborato a numerose riviste, italiane e straniere, tra cui "Quaderni rossi", "Quaderni piacentini", "Kursbuch", "Les temps modernes". Intellettuale della sinistra critica, di straordinaria lucidita'. Opere di Edoarda Masi: La contestazione cinese, Torino 1968; Per la Cina, Milano 1978; Breve storia della Cina contemporanea, Bari 1979; Il libro da nascondere, Casale Monferrato 1985; Cento trame di capolavori della letteratura cinese, Milano 1991. Tra le sue traduzioni dal cinese in italiano: una raccolta di saggi di Lu Xun, La falsa liberta', Torino; e Confucio, I dialoghi, Milano] Il sacrificio, l'oppressione e il sangue versato sono senza recupero e senza perdono. 13. MAESTRE. GLORIA GAZZERI: NELL'IPOCRISIA [Dall'ampia introduzione di Gloria Gazzeri a Leone Tolstoi, Il regno di Dio e' in voi, Publiprint-Manca, Trento-Genova 1988, p. XVIII. Gloria Gazzeri, nitida amica della nonviolenza, e' l'animatrice dell'associazione degli "Amici di Tolstoi" che ha pubblicato vari utili libri di e su Tolstoj e per la nonviolenza; per contatti: via Casole d'Elsa 13, 00139 Roma, tel. 068125697] Tolstoi vide nell'ipocrisia il male maggiore del mondo moderno. Previde l'avvicinarsi della catastrofe. Allora non fu ascoltato. 14. LUTTI. LA SCOMPARSA DI ALBERTO CARACCIOLO [Riportiamo questa triste notizia dal quotidiano "Il manifesto" del 22 novembre 2002] Lo storico Alberto Caracciolo e' morto, a Roma, dopo una lunga malattia. Aveva settantasei anni. Allievo di Federico Chabod, aveva iniziato la sua attivita' accademica presso l'universita' di Macerata per poi trasferirsi a Perugia e, infine, approdare alla Sapienza a Roma dove e' stato titolare della cattedra di storia moderna. Per molti anni ha diretto la Fondazione Lelio Basso di Roma. Nel 1966 ha fondato la rivista quadrimestrale "Quaderni storici delle Marche" poi trasformatasi, solo due anni dopo, nei "Quaderni storici": un periodico d'avanguardia e di innovazione storiografico - di cui Caracciolo e' stato anche direttore - sensibile ai temi piu' propri della storia economica e sociale e della microstoria. Una impresa alla quale lo storico livornese era particolarmente legato e per la realizzazione della quale si era avvalso - sin dall'inizio - della collaborazione di studiosi italiani e stranieri. Tra i tanti, Maurice Aymard, Carlo Ginzburg, Giovanni Levi, Peter Burke, Pasquale Villani e Christiane Klapisch. Numerose le ricerche che Caracciolo ha dedicato alla questione dell'industrializzazione: nel 1969, il suo volume La formazione dell'Italia industriale (edito da Laterza) suscito' un acceso dibattito che vide contrapposte tesi discordanti sulla nascita dell'industrializzazione ottocentesca in Italia, dibattito cui parteciparono - tra gli altri - Rosario Romeo e Denis Mack Smith. Altro tema caro allo studioso, e' stato quello relativo alla formazione di Roma come capitale del Regno d'Italia e allo Stato pontificio in eta' ottocentesca. Tra i libri pubblicati a riguardo, Roma capitale. Dal Risorgimento alla crisi dello Stato liberale (Editori Riuniti, 1993) e Lo Stato pontificio da Martino V a Pio IX, volume - quest'ultimo - comparso nella Storia d'Italia della Utet (1978) e scritto insieme a Mario Caravale. L'attenzione per le storie locali, lo porto' a curare il volume sul Lazio per la serie "Le Regioni" pubblicata da Einaudi come appendice alla Storia d'Italia. E sempre nel catalogo Einaudi, comparve uno dei suoi saggi piu' significativi, Stato e societa' civile. Tra i suoi testi piu' noti, L'inchiesta agraria di Stefano Jacini (Einaudi), Ambiente come storia (Il Mulino), La Banca d'Italia tra l'autarchia e la guerra 1936-1945 (Laterza). 15. RILETTURE. RACHEL CARSON: PRIMAVERA SILENZIOSA Rachel Carson, Primavera silenziosa, Feltrinelli, Milano 1963, 1979, pp. 320. Un classico della riflessione ecologista. 16. RILETTURE. MARY KALDOR: LE NUOVE GUERRE Mary Kaldor, Le nuove guerre, Carocci, Roma 1999, 2001, pp. 186, euro 8,26. Una utile monografia della prestigiosa studiosa. 17. RILETTURE. CARLA RAVAIOLI: IL PIANETA DEGLI ECONOMISTI Carla Ravaioli, Il pianeta degli economisti, Isedi, Torino 1992, pp. X + 230, lire 28.000. Con rigore e acutezza Carla Ravaioli intervista e discute con quattordici tra i piu' noti economisti del mondo su economia e ambiente. 18. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 19. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 423 del 22 novembre 2002
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