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La nonviolenza e' in cammino. 387
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 387
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 17 Oct 2002 01:40:59 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 387 del 17 ottobre 2002 Sommario di questo numero: 1. In una riga e mezza. E una glossa e un ottonario 2. Un'ora di silenzio per la pace 3. Convenzione permanente di Donne contro le guerre: programma di partecipazione al Forum Sociale Europeo di Firenze 4. Alberto L'Abate, dalla prassi alla teoria e dalla teoria alla prassi. Esperienze di vita, di ricerca e di formazione alla nonviolenza 5. Lidia Menapace, una piazza a Bolzano 6. Lavinia Mazzucchetti: con l'evidenza del vero, del bello e del buono 7. Burbanzio Mascaroni, Dante e Catullo al centro sociale 8. Riletture: Enza Biagini, Simone de Beauvoir 9. Riletture: Alessandra Calzi, L'interculturalita' nella scuola elementare 10. Riletture: Mariantonietta Di Capita, L'interculturalita' nella scuola materna 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. IN UNA RIGA E MEZZA. E UNA GLOSSA E UN OTTONARIO Le persone che confezionano questo foglio aderiscono allo sciopero generale del 18 ottobre. In difesa della pace e dei diritti. Innanzitutto dei diritti di quelli che sono minacciati di morte dal terrore, dalla guerra e dalla fame; di quelli che non possono manifestare la loro opinione perche' perseguitati e oppressi, intimiditi e abbrutiti; di quelli che sono la parte piu' grande e piu' sofferente dell'umanita': figura del nostro comune consistere, e appello che ti brucia nelle carni e ti convoca al giudizio, e alla responsabilita', e alla lotta. Che farai, fra Jacopone? 2. INIZIATIVE. UN'ORA DI SILENZIO PER LA PACE A Genova, a Torino, e forse gia' anche in altre citta', si sta diffondendo l'iniziativa di un'ora di silenzio per la pace, promossa da amici della nonviolenza sulle principali piazze un giorno a settimana. Il modello e' ovviamente quello delle iniziative delle Donne in nero. Per contatti a Genova: Norma Bertullacelli (norma.b at libero.it); per contatti a Torino: Paolo Candelari (paolocand at inwind.it). Scrivono gli amici della nonviolenza torinesi: "invitiamo tutti coloro che condividono il nostro amore per la pace e le nostre preoccupazioni per i rumori di guerra che si sentono con sempre piu' insistenza a raccogliersi in un'ora di silenzio per la pace per riflettere sulla necessita' di cercare alternative all'uso della violenza nei conflitti a partire da noi stessi, e per rendere pubblico il nostro no ad ogni guerra, in particolare a quella che si sta preparando contro l'Iraq, nel piu' totale disprezza del diritto internazionale e della nostra Costituzione; e il nostro si' a quelle iniziative che si propongono di cercare una soluzione nonviolenta ai conflitti". 3. INCONTRI. CONVENZIONE PERMANENTE Di DONNE CONTRO LE GUERRE: PROGRAMMA DI PARTECIPAZIONE AL FORUM SOCIALE EUROPEO DI FIRENZE [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it) per averci messo a disposizione il programma della partecipazione al Forum Sociale Europeo di Firenze della Convenzione permanente di donne contro le guerre] La Convenzione permanente di Donne contro le guerre propone per il Social Forum Europeo una sua presenza cosi' definita: * Lidia Menapace sui temi della "neutralita' europea" e dei "diritti sociali in Europa" (su testo elaborato da Imma Barbarossa) prendera' parte a una seduta plenaria in una delle mattinate del Forum (qualsiasi). * Nel pomeriggio del giorno 7 novembre invita a un seminario di approfondimento dei temi prima indicati con interventi programmati che si indicano di seguito: - Imma Barbarossa sui diritti sociali in Europa. - Rosangela Pesenti (Udi): la scuola e il rilievo da dare alla conoscenza dei movimenti nonviolenti nella storia europea. - Sandra Mecozzi (Cgil): il sindacato forza europea nonviolenta. - Giusi di Rienzo (Finanza etica): come "disarmare" le banche armate. - Mercedes Frias (Nosotras): l'Europa neutrale accogliente e multiculturale. - Elettra Deiana (parlamentare Prc, Forum delle Donne): il diritto alla disobbedienza civile. - Nadia Cervone (Donne in nero): la pratica delle Donne in nero in una Europa neutrale. - Nella Ginatempo (Basta guerra, coordinatrice nazionale): una Europa di uomini e donne intesi a costruire una pace vera culturale politica economica. Tutti e tutte le interessate sono cordialmente invitate, sara' data la parola dopo gli interventi programmati e per discutere gli stessi. Lidia Menapace e Imma Barbarossa, portavoce della Convenzione permanente di Donne contro le guerre * A mo' di chiarimento Il concetto di "neutralita' attiva" e' al centro dei lavori del seminario, dato che ha bisogno di definizione ulteriore e di comprensione precisa: appunto per questo si fa un seminario. Dal quale poi prendere l'avvio per campagne, azioni, proposte di movimento e di legge. Chi propone vuole soprattutto farsi capire e non e' affatto aliena dal prendere in considerazione altre parole, purche' non contraddicano la finalita' di costituire per l'Europa una proposta di politica militare che non sia ne' il mantenimento degli eserciti nazionali con ampia autonomia di intervento differenziato; ne' la pura e semplice adesione subalterna alle richieste USA; ne' il rafforzamento della Nato; ne' la costituzione di un esercito europeo unificato: quelle fin qui elencate sono le ipotesi di politica militare sul tappeto. La forma "convenzione" interessa pure le proponenti perche' rispetta le varieta' organizzative, le strade differenziate, il mantenimento della molteplicita' delle sigle e comporta il metodo della ricerca di mete comuni e di intrecci di volonta' decisioni e azione. Il termine neutralita' appartiene alla storia dei movimenti nonviolenti in Europa, soprattutto all'inizio della prima guerra mondiale. A chi propone sembra che la prima guerra mondiale sia da tenere in considerazione come avvio del secolo appena finito, prima grande resa del pensiero e dell'azione di sinistra al richiamo della guerra, della patria e dei confini: quindi un primo grande e mai piu' recuperato passo indietro rispetto alle ipotesi sogni progetti internazionali e internazionalistici. Per questo il richiamo a una posizione che puo' essere datata, serve per datare - appunto - la storia dei movimenti nonviolenti che non sono una invenzione dell'ultima ora. Inoltre la neutralita' attiva - come piace chiamarla - significa non indifferenza per le ragioni degli uni e degli altri, bensi' che si decide di non sostenere militarmente quelle ragioni, perche' il sostegno militare le inquina comunque. Ad esempio, una ipotesi di neutralita' attiva non si "schiera" con Sharon, ovviamente, ma nemmeno con Arafat quando lancia e copre i kamikaze, bensi' con il popolo israeliano e con quello palestinese; non appoggia ne' Bush ovviamente, ma nemmeno Saddam, e non tratta la nomina di un governatore esterno per l'Irak; ne' con la Nato ne' con il Kossovo, non con Bush, ne' con Milosevic, ma con le voci antimilitariste del popolo americano kossovaro serbo irakeno: mantiene distanze analitiche ed etiche dalle varie ben differenziate responsabilita' dei signori della guerra da qualsiasi parte stiano. Forse qualcuno preferirebbe il termine "non allineato": ci abbiamo pensato pure noi, ma questo e' davvero improponibile. Dal momento che il mondo non e' piu' bipolare, non allinearsi significa dunque per l'appunto soltanto essere neutrale. Tutti i paesi che praticano la neutralita' non l'hanno dichiarata in relazione al sistema bipolare: ne' Svizzera ne' Austria ne' Svezia, bensi' in proprio e secondo logiche anche molto differenti. La novita' e' quella di avanzare l'ipotesi di una neutralita' attiva come forma della politica militare europea: l'Europa pratica il disarmo unilaterale, vieta progettazione fabbricazione commercio delle armi, esclude banche che finanziano progettazione fabbricazione e commercio di armi; colloca sul proprio territorio una rete di protezione civile a tutela degli equilibri idrogeologici, contro gli inquinamenti, le minacce alla salute e alla salubrita' dell'aria terra e alimenti ecc. ecc.; si dota di una rete di servizio civile per la solidarieta' che non puo' essere assolta individualmente. Afferma l'esercizio di un addestramento alla difesa popolare nonviolenta. La novita' di questo progetto e' nella enormita' e importanza del soggetto che la pratica, cioe' il continente europeo. Questo squilibra l'imperialismo ormai senza confronti del governo USA e cambia i rapporti internazionali nel loro complesso. 4. MAESTRI. ALBERTO L'ABATE: DALLA PRASSI ALLA TEORIA E DALLA TEORIA ALLA PRASSI. ESPERIENZE DI VITA, DI RICERCA E DI FORMAZIONE ALLA NONVIOLENZA [Riportiamo l'intervento di apertura del festeggiato al convegno di studi in onore di Alberto L'Abate sul tema "La nonviolenza nella ricerca, nell'educazione, nell'azione. La ricerca per la pace in Italia e nel mondo" svoltosi a Torino l'11-12 febbraio 2001. Abbiamo ripreso il testo dall'eccellente sito del Centro Studi Sereno Regis (per contatti: e-mail: regis at arpnet.it; sito: www.arpnet.it/regis/). Alberto L'Abate (per contatti: labate at unifi.it) e' nato a Brindisi nel 1931, docente universitario, amico di Aldo Capitini, impegnato nei movimenti nonviolenti, nella Peace Research, nell'attivita' di addestramento alla nonviolenza, nelle attivita' della diplomazia non ufficiale per prevenire i conflitti. Ha collaborato alle iniziative di Danilo Dolci e preso parte a numerose iniziative nonviolente. Come ricercatore e programmatore socio-sanitario e' stato anche un esperto dell'Onu, del Consiglio dâEuropa e dell'Organizzazione Mondiale della Sanita'. Ha promosso e condotto l'esperienza dell'ambasciata di pace a Pristina, ed e' impegnato nella "Campagna Kossovo per la nonviolenza e la riconciliazione". E' portavoce dei "Berretti bianchi". Tra le opere di Alberto L'Abate segnaliamo almeno Addestramento alla nonviolenza, Satyagraha, Torino 1985; Consenso, conflitto e mutamento sociale, Angeli, Milano 1990; Prevenire la guerra nel Kossovo, La Meridiana, Molfetta 1997; Kossovo: una guerra annunciata, La Meridiana, Molfetta 1999; Giovani e pace, Pangea, Torino 2001] Un breve premessa Quando gli amici torinesi mi hanno accennato che volevano organizzare questo convegno in occasione dei miei settanta anni mi e' sembrato un onore eccessivo nei riguardi dei miei tutto sommato modesti contributi alla pace ed alla ricerca per la pace. Ma poi ho accettato perche' tutte le occasioni sono buone per fare il punto e riflettere su cio' che stiamo facendo e su dove stiamo andando, e per vedere se la strada intrapresa e' giusta o merita e necessita di qualche raddrizzata. Ma ho rifiutato il titolo inizialmente propostomi molto piu' impegnativo sull'analisi delle lotte nonviolente nel nostro paese sul quale spero che altri, piu' preparati di me, possano portare un contributo, preferendo invece cogliere l'occasione dei 70 anni per fare un riflessione sulla mia vita, e sui percorsi da me portati avanti in questa ricerca che ho definito appunto "dalla prassi alla teoria e dalla teoria alla prassi", per sottolineare l'interconnessione e la reciproca vivificazione tra questi due momenti della ricerca. La preferenza verso questo approccio autobiografico e' anche determinata dal fatto che ormai da vari anni. sono impegnato con i miei allievi in una ricerca, secondo il metodo maieutico promosso da Danilo Dolci, sulle autobiografie e le storie di vita giovanili. Il metodo prevede quattro fasi: 1) l'autoanalisi individuale, attraverso la riflessione su di se' e la stesura, o narrazione, della propria autobiografia; 2) l'autoanalisi di gruppo, attraverso un confronto tra pari sui reciproci percorsi biografici; 3) l'analisi dei condizionamenti esterni, sia negativi che positivi, che hanno influito su questi percorsi e sui nostri successi o insuccessi; 4) la messa a punto di iniziative e programmi per superare i condizionamenti negativi ed incrementare invece quelli positivi. Questo convegno e' per me una occasione per sentirmi anche io, anche se settantenne, giovane come i miei allievi, e per tentare di fare insieme a voi una riflessione critica, che spero porti ad un processo maieutico comune, sui nostri rispettivi percorsi biografici e su cosa possiamo fare per aumentare in concretezza ed efficacia, e ridurre un po' di quell'alone utopistico che spesso aleggia nei nostri progetti. * Teoria/Prassi, Prassi/Teoria 1) Il primo di questi percorsi e' quello dalla teoria alla prassi. L'inizio di questo percorso si puo' far risalire al mio interesse per la figura di Gandhi quando ero ancora uno studente della Facolta' di Scienze Sociali e Politiche dell'Universita' di Firenze. Tanto che per laurearmi feci una tesina su come Gandhi aveva interpretato il pensiero di Mazzini. Mi ero appassionato di Gandhi non solo leggendo i suoi scritti ma anche la sua biografia, allora solo in inglese, scritta da L. Fisher. Siccome avevo sentito Capitini in una conferenza pubblica gli scrissi chiedendogli se poteva aiutarmi a trovare un editore che pubblicasse la traduzione italiana di quel libro che avrei volentieri fatta io stesso. Mi rispose subito dandomi un appuntamento per conoscerci reciprocamente durante un suo viaggio a Firenze, ed effettivamente scrisse alla Nuova Italia Editrice di Firenze suggerendo la traduzione e la pubblicazione di quel libro, che conosceva ed apprezzava anche lui, e proponendomi come traduttore del libro. I risultati di quella lettera non furono molto efficienti. Mentre in quel periodo mancavano quasi del tutto biografie di Gandhi e questa sarebbe stata una notevole novita' editoriale, quando poi la Nuova Italia ha pubblicato il libro di Fisher - ma senza avermene richiesta la traduzione - quasi vent'anni dopo la nostra lettera di proposta, ne erano gia' state pubblicate varie e questo libro e' probabilmente caduto nel vuoto della concorrenza (dubito che ne siano state vendute molte copie, probabilmente mandando le restanti al macero, o nelle rivendite dei libri al 50% del prezzo di copertina). Ma era cominciata l'amicizia con Capitini che ho curato negli anni successivi prendendo tutte le occasioni possibili per andare a trovarlo a Perugia, tanto da considerarlo, come ho anche scritto, "un maestro di vita". Da lui ho imparato l'importanza non solo di studiare la nonviolenza ma anche quella di metterla in pratica, di sperimentarla, di attuarla nella vita di ogni giorno, ed anche di cercare di mostrarne l'efficacia. Dopo un certo tempo dal primo incontro con Capitini andai da Danilo Dolci, prima solo per una estate, per partecipare alla ricerca che portera' alla pubblicazione del libro Inchiesta a Palermo. Poi pero', colpito dalla miseria e dallo stato di completo abbandono degli abitanti di uno dei peggiori quartieri di Palermo, Cortile Cascino, scrissi a Danilo offrendomi come volontario per andare a lavorare in quel quartiere, e partecipai con lui, e con altri amici, divisi in varie zone di Palermo, ad un digiuno di otto giorni, per denunciare lo stato di abbandono dei quartieri di tuguri palermitani e per stimolare un loro risanamento. Dopo, con l'aiuto di Danilo ed anche di Lucio Lombardo Radice, docente di matematica all'Universita' di Palermo, prendemmo in affitto un tugurio proprio in mezzo al Cortile Cascino, che prima era utilizzato come magazzino di stracci vecchi, che venivano raccolti dai cascinari e poi rivenduti a Prato, e li' mi insediai insieme a Goffredo Fofi che aveva deciso di affiancarmi nella mia avventura palermitana. Era il periodo del processo a Palermo a Danilo per lo sciopero alla rovescia nelle trazzere, cui hanno partecipato come difensori alcuni notissimi avvocati (tra cui Piero Calamandrei), della concessione a Danilo del premio Lenin per la pace, e del convegno da lui organizzato sulla piena occupazione con la presenza di studiosi di grande fama italiani e stranieri (tra gli italiani Paolo Sylos Labini, tra gli stranieri Gunnar Myrdal). Ma oltre a partecipare, come spettatori e come collaboratori volontari, a queste iniziative, io e Goffredo cominciammo a lavorare nel cortile aprendo, nella stessa stanza dove vivevamo, un doposcuola per bambini ed una scuola serale per adulti. Del primo si occupava principalmente Goffredo, della seconda io. Ma la metodologia di approccio era la stessa, i bimbi e gli adulti che erano piu' avanti negli studi ci aiutavano ad insegnare a quelli che erano piu' indietro, mettendo in pratica una pedagogia in cui tutti erano maestri e tutti allievi. Infatti nella scuola serale avevo dichiarato ai miei allievi che stavo preparando una tesi di laurea, alla Facolta' di Firenze in cui ero iscritto, sul problema del risanamento del Cortile Cascino stesso e che avevo bisogno, per questa tesi, del loro aiuto. Si era stabilito cosi' un rapporto molto paritetico tra di noi, per cui io insegnavo loro cio' che sapevo, e loro insegnavano a me quello che sapevano loro. Percio' dopo una lezione di italiano decidemmo di scrivere una lettera a tutte le autorita' politiche e religiose del nostro paese denunciando lo stato di abbandono del cortile e chiedendo un aiuto per il suo risanamento. Le lettera scritte dai ragazzi, e mandate al Capo del Governo, al Presidente della Repubblica ed al Papa saranno pubblicate, su suggerimento di Lucio Lombardo Radice, sulla rivista fiorentina "Il ponte", allora diretta da Piero Calamandrei. Ma per il risanamento, con l'aiuto dell'associazione pittori palermitani, organizzammo anche una mostra di pittura su Cortile Cascino che fece scandalo perche' in uno dei quadri si vedeva una stanza di cortile dove vivevano in dodici persone, con i genitori che facevano all'amore di fronte ai loro figli addormentati, ma con sullo sfondo le cupole dorate della Cattedrale di Palermo. La curia ci accuso' di vilipendio alla religione, ma la mostra, e la polemica intorno a questa, servi' a far conoscere la situazione di questa area non solo a Palermo ma in tutto il mondo. Questa ed altre iniziative hanno infatti creato un forte interesse su Cortile Cascino tanto che giornalisti e studiosi di tutto il mondo venivano a visitarlo ed a scriverne. E sono stati fatti anche due film-documentari su di esso. Questo ha costretto l'amministrazione comunale ad affrontare il problema della sua distruzione e del suo risanamento, che avverra' qualche anno piu' tardi. Ma per tornare alla nostra scuole serale, altri temi dati ai ragazzi erano invece sul lavoro che essi svolgevano, o su altri aspetti della loro vita, oppure, quando si parlava di matematica, sui loro bilanci familiari, quanti in famiglia lavoravano, quanto guadagnavano, quanto pagavano per quegli orrendi tuguri in cui abitavano, ecc. ecc. Tutto materiale prezioso per conoscere i problemi del quartiere e per mettere a punto la mia tesi, ma che serviva anche ai ragazzi della scuola per imparare a leggere ed a scrivere o a far di conto. Ma ogni tanto, per completare la nostra conoscenza del quartiere, ed anche per organizzare iniziative concrete come feste per i bambini, oppure forme di aiuto alle famiglie piu' bisognose, con l'aiuto anche di alcuni giovani della Chiesa Evangelica di Palermo, che venivano a darci una mano per il doposcuola e per la scuola serale, e degli stessi studenti della scuola, facevamo delle ricerche a tappeto su tutti gli abitanti del cortile, dei veri e propri censimenti. E mettemmo in pratica quella che poi, in un mio lavoro metodologico, chiamero' la pratica del doppio osservatore, uno interno ed uno esterno. Quello interno, lo studente della scuola serale, era indispensabile per essere accettati ed accolti dalle famiglie e non essere considerati ne' poliziotti ne' persone addette alle tasse; ma quello esterno (lo studente insegnante della scuola) era anche indispensabile per dare serieta' alla ricerca che rischiava altrimenti di essere considerata una fonte di pettegolezzi interni tra famiglie del cortile stesso. Questa prima esperienza, e questa prima lotta urbana sostanzialmente di successo, ci ha confermato sull'efficacia della lotta nonviolenta e ci ha incoraggiato nei percorsi di vita che ognuno di noi, lasciato Danilo, proseguira' in zone e situazioni diverse. Ma a questo punto a qualcuno di voi potrebbe venire il dubbio: ma cosa c'entra tutto questo con il percorso "dalla teoria alla prassi"? In realta' c'entra perche' queste esperienze e quelle successive, sono tutte legate al desiderio di "sperimentare", da buon docente di metodologia della ricerca sociale che crede nel costruttivismo proposto da Galtung (una metodologia che inserisce i propri valori nella ricerca ma li sottopone ad una verifica sperimentale), la forza della nonviolenza non solo in situazioni cosiddette "normali" ma anche in conflitti acuti. Da li' i miei impegni e gli interventi in situazioni varie di conflitto. Ma non sarei mai intervenuto in tali conflitti se non avessi prima studiato la nonviolenza, sia leggendo e studiando, sia partecipando a dei trainings organizzati a Perugia da Aldo Capitini con la War Resisters International, sia andando a molte delle assemblee di questa organizzazione che erano sempre un crogiolo di incontri, laboratori, seminari di lavoro, raccolta di materiale illustrativo di azioni di tutte le varie sezioni del mondo. Ma anche andando a studiare la nonviolenza direttamente da Gene Sharp, ad Harvard negli USA, ad esempio, presso il quale ho passato, in due occasioni, circa 4 mesi, o organizzando e partecipando, presso la Scuola estiva organizzata dalla mia famiglia presso la "Casa per la Pace" di San Gimignano, a seminari e training animati da alcuni dei piu' importanti esperti di nonviolenza, di lotta nonviolenta, di mediazione e risoluzione nonviolenta dei conflitti del mondo. Senza questa scuola non mi sarei mai sognato di intervenire, con i "Volontari di Pace in Medio Oriente", nel conflitto iracheno, cercando di lavorare per trovare soluzioni che permettessero di non arrivare al conflitto armato; oppure con i "Beati i Costruttori di Pace", per collaborare alla marcia Mir Sada nella ex-Jugoslavia con l'intento di dare una mano ad una ricerca di soluzioni non armate al conflitto in atto, oppure, con la Campagna Kossovo, che inizialmente si chiamava Campagna per una soluzione nonviolenta nel Kossovo, per collaborare all'apertura ed ai lavori, a Pristina, grazie anche ai finanziamenti della Campagna Italiana per l'Obiezione di Coscienza alle Spese Militari, di una Ambasciata di Pace che avesse come principale obiettivo proprio quello della prevenzione dell'esplosione di un conflitto armato. Dai risultati ottenuti, dato che in tutti questi casi si e' arrivati alla guerra oppure questa e' continuata ad andare avanti, si potrebbe dire che questi interventi sono stati inutili ed improduttivi. Ed effettivamente penso spesso a me stesso come ad un epigono di don Chisciotte della Mancia, il cavaliere che crede di lottare contro i nemici ma che si trova invece a combattere contro mulini a vento, che e' il piu' perfetto simbolo di illuso che la letteratura mondiale conosca. Percio' spesso penso a me stesso come ad una persona non bene piantata in questa terra, che sopravvaluta le sue potenzialita' e si coinvolge in imprese che sono al di sopra delle sue forze e delle sue capacita', come qualche amico, forse giustamente, ha sostenuto. Ma da buono scienziato ritengo che gli esperimenti sono importanti anche quando falliscono perche' permettono di vedere con piu' precisione i limiti della nostra azione e di studiare tipi e possibilita' di intervento piu' validi da mettere in atto in altre situazioni piu' o meno simili, che possano, forse (il dubitativo e' d'obbligo in questo campo, soprattutto per uno scienziato), portare a risultati diversi e piu' efficaci. Da questo punto di vista credo che gli interventi succitati siano serviti a capire con molta precisione come si sarebbero potuti prevenire i conflitti armati, e perche' non si e' potuto, o voluto, farlo: quali sono state le mancanze, o i passi falsi, che hanno fatto si' che la guerra alla fine "dovesse" esplodere. E tutto questo, se si lavora bene ed in modo congiunto, aiutandosi l'uno con l'altro, puo' essere indispensabile per capire meglio il problema ed accumulare delle conoscenze che possano portare, in futuro, ad evitare altre guerre, o almeno a ridurne la frequenza. Il che sarebbe un risultato di non poco conto. * 2) Il secondo percorso e' invece quello inverso dalla prassi alla teoria. Questo percorso mi ha fatto capire l'importanza dell'imparare facendo, e di come spesso prima si agisca e poi si rifletta sulle ragioni dell'azione e si costruisca un bagaglio di conoscenze sopra a questa. Forse i momenti piu' importanti di questo percorso, quelli che nelle presentazioni reciproche dei training vengono chiamati i "punti di svolta", sono stati i vari processi (3) e le condanne comminatemi (2) che mi hanno dato due grandi insegnamenti che in qualche modo cambieranno la mia vita. La prima e' la condanna a sei mesi per vilipendio alle forze armate per una azione fatta durante il 4 novembre di molti anni fa. Nel volantino distribuito da un gruppo fiorentino, di membri di vari gruppetti che si richiamavano in generale all'antimilitarismo, c'era una frase che suonava cosi': "Basta con le farse ed i miti patriottici". Personalmente ero contrario alla parola "farse" che mi sembrava offensiva per le persone che avevano creduto e che erano anche morte per la difesa della loro "patria". Avevo tentato di farla togliere ma il gruppo decise che avremmo votato e deciso a maggioranza e minoranza. La mia proposta di eliminazione della parola fu messa in minoranza e cosi' il testo risulto' stampato con quella parola. Ma devo confessare che non sentivo mio quel volantino ed invece di distribuirlo direttamente alle persone per la strada guardandole negli occhi, come faccio di solito quando distribuisco un testo in cui credo fermamente, lo mettevo sui cruscotti delle macchine o nelle buche delle lettere, cercando di evitare il contatto diretto con le persone. Ma ad un certo momento fui avvisato che i compagni che stavano distribuendo il volantino in altre parti della citta' (ci eravamo distribuiti il territorio in modo da coprirlo tutto) erano stati arrestati. Subentro' in me il senso della solidarieta' con gli amici arrestati e cominciai cosi' a distribuire i volantini che mi restavano direttamente alle persone che mi passavano accanto, e dato che mi trovavo vicino alla sede della Questura, andai addirittura a distribuirlo sotto di questa finche' non fui arrestato anche io. L'intervento dell'accusa al processo, e la sentenza successiva, furono il trionfo del piu' bieco nazionalismo, con grandi frase fatte di "amore per la patria", di "oltraggio alle gloriose forze armate", eccetera eccetera, e fummo condannati a sei mesi di carcere, naturalmente con la condizionale dato che eravamo tutti incensurati. Per fortuna i nostri avvocati difensori, per reazione alla sentenza di condanna, si dettero da fare stimolando la propria categoria ed organizzando vari incontri nei quali decisero di portare avanti una campagna per l'eliminazione dal codice del vilipendio dalle forze armate, che era un articolo ancora dei tempi del fascismo. E con un lavoro di qualche anno sono riusciti a vincere la loro battaglia. Ma quella condanna mi ha portato un grande insegnamento che segnera' altri momenti della mia vita successiva, e cioe' mi ha fatto comprendere l'assurdita' di prendere delle decisioni che possono portare ad una condanna attraverso il processo decisionale maggioritario, senza cioe' una reale connessione tra la propria accettazione del rischio e l'azione stessa compiuta. Da li' il mio interesse e la mia passione per il metodo decisionale del consenso, quando nella marcia Catania-Comiso organizzata da Pietro Pinna e dal Movimento Nonviolento per conto della War Resisters International, ci e' stato insegnato questo metodo. Ed ho cominciato a credere che non si possa decidere a maggioranza se fare una azione illegale o meno. Ognuno ha un proprio livello di rischio accettabile. Percio' e' giusto che misuri la propria azione al livello di rischio che e' disposto ad accettare. Con il metodo del consenso questo e' possibile. Si fanno addirittura gruppi di affinita' basati sul rischio. Alla marcia Catania-Comiso, ad esempio, il giorno prima dell'azione sull'aeroporto, si erano creati tre grossi gruppi, formati a loro volta di gruppi di affinita' molto piu' piccoli: uno, di circa un centinaio di persone, era formato di persone che non volevano rischiare, ed anche molti stranieri che non ritenevano giusto fare una azione considerata illegale in un paese che li ospitava, che decisero percio' di limitarsi ad andare a distribuire un volantino nella citta' di Comiso per fare capire alla popolazione le ragioni della nostra azione; un altro, molto piu' piccolo, di poco piu' di dieci persone, che aveva deciso di fare l'invasione e che si era preparato a questo andando a dormire in una casa vicino alla base che si prestava a questa azione; un terzo gruppo, di qualche centinaio di persone, che accettava un rischio intermedio, ed aveva deciso di bloccare l'entrata della base e chiedere di essere ricevuti dal comandante della base per portargli un documento con le rivendicazioni della marcia. Se non fosse stato risposto a questa richiesta entro le 9 di mattina si sarebbe dato il via al gruppo degli "invasori". E cosi' successe, tanto che alle 9,15 si senti' una voce ad un altoparlante dire: "Abbiamo invaso la base con scritte 'Zona denuclearizzata'". Capimmo percio' che, attraverso il metodo del consenso, non era necessario fare tutti la stessa cosa, ma che era importante che ciascuno facesse quello che si sentiva di fare, purche' inserito in un quadro strategico comune che puntasse allo stesso obiettivo. E l'organizzazione per gruppi di affinita' e l'apprendimento del metodo decisionale del consenso e' diventato uno dei punti forti di tutta l'attivita' di formazione fatta da me in seguito, nelle attivita' di formazione a San Gimignano, o nei riguardi del movimento della "Pantera", e nella formazione per l'intervento in Jugoslavia ai tempi di Mir-Sada o per l'iniziativa nel Kossovo di I care. Ma il secondo processo e la seconda condanna, anche questi ad altri sei mesi, sempre con la condizionale, e' stato anni per i blocchi ferroviari di Capalbio, contro la costruzione di una centrale nucleare. Non staro' qui a parlare di questo processo, cui ho dedicato uno scritto apposito, ma solo ad accennare gli insegnamenti che ne ho tratto. Io non mi sentivo tanto di fare il blocco, non mi era preparato a questo, ma quando ho visto la popolazione della zona entrare nella ferrovia e sedersi sui binari dei treni li ho seguiti ed ho partecipato anche io al blocco. E quando ho saputo che alcuni di loro erano sotto processo per questa azione mi sono offerto come testimone, come ha pure fatto don Sirio Politi che era con noi in quella giornata. Ma durante il processo - che si e' tenuto a Grosseto - Sirio ed io fummo scandalizzati dal comportamento generale degli imputati (in particolare degli organizzatori della manifestazione e di qualche membro del Partito Radicale) che, dietro suggerimento dei loro avvocati, invece di sostenere le proprie ragioni cercavano scappatoie (io non c'ero; sono stato trascinato dalla folla, non volevo bloccare, ero andato solo per vedere un amico, ecc. ecc.). Cosi' sia io che don Sirio, quando siamo stati chiamati a testimoniare, abbiamo dichiarato di aver partecipato all'azione e siamo all'istante passati da testimoni ad imputati. I primi imputati sono stati assolti per insufficienza di prove, ed e' iniziato invece il processo a noi due, cui dopo si sono aggiunte altre sette persone, tra cui mia moglie Anna Luisa e Giannozzo Pucci. Il nostro processo e' andato avanti per le lunghe dato che ogni volta qualche altra persona si autoincriminava con noi ed il processo veniva rimandato per unificare i procedimenti. E la sera prima di ogni processo organizzavamo un contro-processo in cui si invitavano noti esperti (Mattioli, Tiezzi, Scalia, Nebbia, e tanti altri) a parlare dei rischi per la salute della popolazione della zona circostante le centrali nucleari. E questi esperti, il giorno dopo, partecipavano come testimoni a favore anche al processo confermando con molta documentazione i rischi succitati. I giornali locali ne parlarono molto, tanto che l'opinione locale a poco a poco aveva capito le ragioni della nostra azione, ed era diventata molto favorevole a noi. Tanto che il giorno del processo definitivo gli allievi di molte scuole locali scioperarono per venire a portarci la loro solidarieta' ed assistere al processo. Che si concluse con una sentenza storica, di cui parlo' anche la radio nazionale per la sua novita', e cioe' con l'assoluzione per "aver agito in stato di necessita'". Il giornale radio la sera spiego' che era la prima volta che, in un giudizio nel nostro paese, lo stato di necessita' veniva utilizzato, non per la difesa personale di un imputato, ma per la difesa di un bene collettivo come la salute della cittadinanza. Ma in quel periodo la scelta della strada nucleare da parte del nostro governo era decisa, e la nostra sentenza veniva considerata pericolosa e dava noia, cosi' si arrivo' in tempi rapidissimi (in nemmeno sei mesi) - incredibile data la usuale lentezza del nostro sistema giudiziario - al processo di appello contro di noi, che si e' tenuto invece a Firenze. In questo i giudici non hanno accettato testimonianze ed hanno rovesciato la sentenza di primo grado condannandoci a sei mesi. E dopo vari anni il processo, in Cassazione, a Roma, confermera' questa sentenza. Ma questa esperienza ci ha fatto capire (a me, a mia moglie, ma anche ai miei figli che avevano seguito da vicino tutti i processi) l'importanza, per poter portare avanti azioni nonviolente, della preparazione delle persone: e cioe' di conoscere sia i metodi di azione, sia le conseguenze delle proprie azioni, e di accettarle. Per questo, con tutta la famiglia, in occasione di una eredita', abbiamo deciso di acquistare una casa in campagna a San Gimignano e di trasformarla in una "Casa per la Pace" per farne una scuola estiva di nonviolenza. Questa ha funzionato per circa 15 anni, fino al momento in cui il mio impegno in Kossovo mi ha impedito di portarne avanti le attivita', ed ha formato alla nonviolenza centinaia di giovani e non piu' giovani di tutte le parti d'Italia, ed ha anche stimolato la nascita di varie case per la pace e scuole di nonviolenza in altre zone del territorio nazionale. * 3) La terza fase, quella dell'interconnessione tra i due percorsi. Per un lungo periodo di tempo questi due percorsi sono stati paralleli ed autonomi l'uno nei riguardi dell'altro, e non si intersecavano reciprocamente. All'Universita' facevo, con i miei allievi, ricerche sulla pace e sulla guerra, sui rapporti tra atteggiamento, conoscenza e comportamento rispetto a questi temi, e studiavo piu' a fondo l'atteggiamento assertivo (visto come una terza via, distinta dall'aggressivita', da una parte, e dalla passivita', dall'altra), cercando di formare a questo i miei allievi e gli allievi dei miei allievi (che erano spesso insegnanti di scuole di vari livelli). Contemporaneamente al mio impegno di insegnante universitario portavo avanti anche un lavoro, a tempo pieno, alla Regione Toscana, in cui mi occupavo di ricerca e di formazione per la programmazione socio-sanitaria. Nei fine settimana, o nelle vacanze, partecipavo (anche qui sarebbe piu' giusto parlare al plurale dato che spesso sia mia moglie che almeno le figlie piu' grandi partecipavano anche loro) ad azioni nonviolente (Capalbio, Comiso, Iraq, Pristina), a viaggi studio o conferenze internazionali (Italia, Danimarca, Inghilterra, India, Kossovo, ecc.) oppure organizzavo la formazione in questi settori (San Gimignano, Ghilarza, ecc.). Parlare percio' di doppio lavoro e' un eufemismo dato che i lavori erano almeno tre: quello professionale, prima presso la Provincia di Firenze poi alla Regione Toscana, l'insegnamento universitario, l'impegno nel movimento. Tanto che mio fratello, un noto psicologo familiare che vive da moltissimi anni negli Usa, mi definisce un "workoholic", che e' difficile tradurre in italiano, ma che invece che dipendente dall'alcol, o dalla droga, le forme piu' note e diffuse di dipendenza, mi rende dipendente dal lavoro. Ma vorrei fare qui un inciso, che fa capire meglio l'interconnessione tra teoria e pratica nella mia vita. Questo sovraccarico di lavoro ed eccessivo impegno mi ha arrecato vari disturbi e malattie. Ma in particolare uno, e cioe' la sindrome di Menier, e cioe' la tendenza, in certi momenti, a non tenere l'equilibrio e cadere per terra. Io la chiamo la malattia ecologica, perche' dopo i primi giorni in cui non si riesce nemmeno ad alzarsi dal letto perche' tutto gira intorno a noi, una specie di mal di mare perenne, appena si sta un po' meglio si riacquistano tutte le varie facolta', ma non si puo' andare in macchina ne' prendere un autobus. Cosi' ero costretto a lunghi periodo di riposo, talvolta anche di un mese, in cui non potevo andare a lavorare ma ero lucido e sano, purche' mi limitassi a fare passeggiatine a piedi nei vicinati della casa. Ed io approfittavo di questi periodi per scrivere i miei libri: quasi tutti nati in periodi di questo tipo, grazie alle mie malattie. Ma un'altra cosa curiosa, ed illuminante e' anche il fatto che "l'equilibrio instabile", che era appunto la mia malattia, e' diventata anche la principale teoria sociologica da me utilizzata per il superamento del distacco tra i "modelli di societa' consensuali" e quelli "conflittuali"; teoria che mi e' servita per dare un sostegno scientifico allo studio della nonviolenza che richiede, appunto, il superamento di una di queste due visioni viste come antagoniste l'una con l'altra. Ma tornando al racconto della nascita di questa terza fase, che e' servita a superare la schizofrenia della mia vita, e questa divisione tra mondi diversi, il momento piu' importante di questo superamento e' stato il 1991 e l'impegno con il movimento studentesco della Pantera. C'e' da dire comunque che qualche anno prima l'idoneita' ad un concorso nazionale di insegnamento universitario e l'entrata in ruolo in questo impegno mi aveva costretto a lasciare il lavoro alla Regione e mi aveva liberato percio' da almeno uno dei miei tre impegni di lavoro. Ma per tornare alla Pantera: gli studenti di molte universita' italiane, compresa quella di Firenze, in cui mi ero trasferito dopo un lungo periodo di insegnamento all'Universita' di Ferrara, per opporsi ad una riforma che sentivano privatistica, avevano occupato moltissime delle facolta' italiane. Questo impediva ai professori di portare avanti le proprie lezioni. Ma mentre i miei colleghi stavano a casa liberi da impegni di insegnamento io, e Lorenzo Porta che aveva collaborato con me alle attivita' di San Gimignano, venimmo al centro degli interessi degli studenti fiorentini che erano interessati ad imparare i modi e le strategie della lotta nonviolenta. Cosi', su loro richiesta, facemmo un primo training di formazione per formatori alla nonviolenza per studenti delle varie facolta' fiorentine, seguito poi da una seconda sessione avanzata. Poi i partecipanti avevano l'incarico di aiutarci ad organizzare altri training nelle rispettive Facolta'. Cosi' facemmo e ci siamo trovati ad insegnare la nonviolenza nelle Facolta' di Magistero (la mia), di Lettere e Filosofia, di Scienze Politiche, di Agraria, di Scienze Naturali, e nella Scuola di Servizio Sociale. Ho scritto gia' su questo e non mi dilunghero' a parlare di questa esperienza. Ma questo e' servito a rompere la separatezza tra questi mondi diversi e ad invogliarmi ad usare spesso i training nel mio normale insegnamento, utilizzando spesso, ad esempio, i giochi di posizione o le tempeste di idee per discutere su problemi metodologici o epistemologici, ad insegnare ai miei allievi l'importanza, per la ricerca, del metodo deduttivo e di quello induttivo, e del ciclo conoscitivo che unisce ambedue questi metodi facendo passare dalla teoria alla prassi ma anche dalla prassi alla teoria. Oppure ad insegnare ai miei allievi l'importanza della conoscenza "empatica", di quella cioe' che viene dal mettersi nei panni degli altri (come nei giochi di ruolo), e non solo di quella "razionale" che ci permette talvolta di "capire" ma non di "comprendere". E ad insegnare l'importanza di una "scienza con coscienza" che rompe il tradizionale approccio cosiddetto neutralistico (che in realta' non e' tale perche' tende ad accettare il sistema cosi' com'e', ed a lasciare la scelta dei valori ai detentori del potere) per insegnare il costruttivismo di Johan Galtung ed il suo approccio alla scienza trilaterale, basata sui dati, le teorie ed i valori, e che vede confermare questi ultimi tramite la sperimentazione stessa e la valutazione dei risultati ottenuti. Ed a sostenere, nel processo di apprendimento, l'importanza del "conoscere operando" ed "operare conoscendo" superando il comtiano "conoscere per operare" che sottovaluta del tutto la conoscenza che proviene dalla stessa azione. Questo approccio rovescia il rapporto tra questi due termini mettendo al primo posto l'azione, come del resto ci ha insegnato anche la scuola dell'apprendimento sociale ed uno dei suoi piu' noti sostenitori, e cioe' Dewey. Questo mi ha portato a sostenere la necessita' di passare da una sociologia puramente analitica, che cerca solo di spiegare i fenomeni che studia senza cercare di modificarli, ad una sperimentale, che interviene per modificare la realta' e per costruire quel mondo che Galtung ha definito del "possibile e desiderabile", ed infine ad una sociologia applicata, che estende i risultati della sperimentazione una volta che si siano dimostrati coerenti con gli obiettivi ricercati. L'importanza della sperimentazione e' stato il leit motiv della mia vita, sia nel mio lavoro alla Regione, dove ho cercato di sperimentare nuovi modelli organizzativi attraverso l'organizzazione dei Consorzi Sociosanitari come prefigurazione delle Unita' Locali dei Servizi, oppure l'applicazione della programmazione circolare (che unisce quella dal basso e quella dall'alto) alla trasformazione e pianificazione dei servizi socio-sanitari; o nella mia ricerca universitaria, dove ho cercato di sperimentare i giochi cooperativi come strumento di educazione all'assertivita' ed alla pace per i bambini delle scuole materne ed elementari, sia infine anche nel mio impegno sia di studioso che di nonviolento, attraverso lo studio delle possibili cause della guerra in Kossovo e dell'individuazione dei percorsi che avrebbero potuto prevenirla ed evitarla. Questa fusione completa tra questi diversi mondi mi ha portato a preconizzare e poi a lavorare, con varie delle persone qui presenti, come Tonino Drago, Nanni Salio, ed altri amici dell'area nonviolenta (di Pax Christi Italia o della Comunita' di Sant'Egidio), all'apertura dell'Universita' alla ricerca ed alla formazione per la pace e la nonviolenza. Grazie ad un incontro al CUN su questo argomento questo sta diventando una realta' non solo nella mia Universita' di Firenze ma anche in altre. A Firenze, ad esempio, l'anno prossimo apriremo un corso triennale in "operatori per la pace". Non e' stato facile farlo passare, abbiamo dovuto superare molte difficolta' ed altre ancora stanno sorgendo giorno per giorno. Ma l'iniziativa in complesso sta andando avanti e l'anno prossimo dovremo "sperimentare" - dico questa parola con convinzione dato il carattere abbastanza provvisorio e sperimentale che avra' questo corso l'anno prossimo - questo inserimento e questo nuovo corso. Questo mi comportera' un grosso sacrificio. Avendo infatti raggiunto i 70 anni potrei bellamente andare in pensione e dedicarmi solamente ai miei studi ed alle attivita' per la pace. Ma se lo facessi mi sentirei un vigliacco ed un traditore. Per questo ho chiesto di insegnare ancora due anni, come mi permette la legge attuale, in modo di aver tempo per superare questa fase sperimentale e dare al nuovo corso un carattere stabile e continuativo. Ma lo faccio con gioia anche perche' mi piace insegnare. L'insegnamento mi arricchisce molto dato che uso quello che definisco l'insegnamento bidirezionale, in cui allievi ed insegnanti svolgono tutti e due i ruoli, e cerco di specializzarmi in quello che e' stato definito l'insegnamento con le "domande legittime", quelle cioe' cui l'insegnante non sa rispondere e su cui cerca le risposte insieme con gli allievi, che e' l'unico tipo di insegnamento che puo' realmente educare alla nonviolenza, alla pace, ed alla convivenza tra gruppi, etnie, religioni, e nazioni diverse. * Ora vi ringrazio di nuovo per questa bella iniziativa e per l'invito e l'onore fattomi, sperando che il dibattito ed il prosieguo del convegno confermino l'opportunita' di una riflessione collettiva su come e dove stiamo andando come nonviolenti, e su eventuali correzioni o almeno integrazioni da fare, e che permetta di portare avanti quel processo maieutico di cui ho parlato all'inizio. 5. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: UNA PIAZZA A BOLZANO [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: menapace at tin.it) per averci messo a disposizione questo suo intervento sulla vicenda della denominazione della piazza di Bolzano su cui si e' tenuto due settimane fa un referendum. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto". E' tra le voci piu' significative della cultura delle donne, della sinistra critica, dei movimenti. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000] La premessa e' che a Bolzano tra il 1927 e il '28 fu eretto un enorme monumento alla vittoria, su progetto dell'architetto di regime Piacentini, carico di fasci littori e con una scritta in cima molto offensiva per gli abitanti di lingua tedesca della zona. Il monumento e' sempre stato usato dal fascismo e poi dal Msi e oggi da An come segno del diritto dell'Italia a considerare i sudtirolesi di lingua tedesca popolazione coloniale e non minoranza tutelata e l'"italianita'" ad essere rappresentata dal monumento e dal nazionalismo. Il 4 novembre e' stato celebrato con "grandiose" sfilate militari anche molto dopo che nel resto della Repubblica la data era passata in sottordine: attraverso una tenace opera di resistenza poco a poco la sfilata militare non c'e' stata piu', nemmeno i discorsi davanti al monumento, nemmeno le messe solo per alcuni e oggi si usa fare una messa in duomo per i caduti di tutte le guerre e di tutte le lingue. Resta il monumento davvero politicamente insopportabile: ma poiche' - come e' ovvio- nessuno si sogna di tirarlo giu', almeno - si e' pensato - cambiamo nome alla piazza che si chiama della Vittoria e intitoliamola alla Pace. Il consiglio comunale ha approvato a maggioranza un progetto che intitola la piazza alla Pace, lascia il monumento, usandone la cripta per narrare le vicende che lo hanno messo in piedi e aggiunge una piccola mostra sulla guerra 1915-'18 e le sue rovine. An raccoglie subito le firme per un referendum abrogativo, dopo aver gia' fatto fuoco e fiamme per ottenere - in barba a federalismo autonomia e devolution - che Roma metta il becco su questioni urbanistiche del comune di Bolzano: vince clamorosamente. Bisognera' indagare bene che cosa cio' significhi, a mio parere la gravita' e' stata sottovalutata ad esempio dal settimanale cattolico in lingua italiana di Bolzano, dalle forze politiche di centrosinistra e anche da chi ha comunque pensato che convenisse una campagna soft, sottovoce, come se non si potesse gia' vedere che oggi il nuovo passa di misura, se chi lo sostiene e' netto nelle proposte (il no alla guerra dei socialdemocratici e verdi tedeschi, il programma avanzato della sinistra in Svezia ecc.), perde alla grande se cerca di non disturbare, di stare in disparte, di non prendere posizione ecc. Mentre si discute a Bolzano che cosa seguira' al referendum vinto dalla destra, si viene a sapere che un senatore di An aveva gia' presentato molto prima un testo di decreto-legge per ottenere la tutela e la conservazione di tutte le memorie i monumenti i nomi di battaglie della prima guerra mondiale dati a strade piazze scuole ecc. e che anche nei libri di storia per le scuole, non la Resistenza sia riconosciuta come fondamento della Repubblica, bensi' la prima guerra mondiale. Se si pensa alle difficolta' che stanno passando tutti gli Istituti di storia della Resistenza, si puo' capire che di una operazione politica studiata si tratta. E' una operazione molto pericolosa: anche la marcia su Roma fu preceduta nel 1922 da una marcia su Bolzano che fece anche un morto tra i sudtirolesi: questa citta' segnala le intolleranze di tipo "nazionale" ed "etnico" con una sensibilita' spesso esasperata. Una delle prime manifestazioni degli studenti nel 1968 quassu' fu un sit-in a piazza delle Erbe contro la sfilata militare del 4 novembre: ne era anima tra gli altri anche Alex Langer e fu una delle prime manifestazioni a cui prese parte sia la scuola di lingua italiana che quella di lingua tedesca. Tira una brutta aria, un vento di destra cui bisogna opporsi subito nettamente: ricordiamo che persino "l'ascesa di Arturo Ui" era "resistibile", ma non fu resistita e questo porto' lutti senza fine. 6. MAESTRE. LAVINIA MAZZUCCHETTI: CON L'EVIDENZA DEL VERO, DEL BELLO E DEL BUONO [Da Lavinia Mazzucchetti, Cronache e saggi, Il Saggiatore, Milano 1966, p. 248. Lavinia Mazzucchetti, nata a Milano nel 1889, docente universitaria di letteratura tedesca, nel 1929 ebbe "il doloroso onore" di essere esclusa dallâinsegnamento universitario perche' antifascista. Svolse una straordinaria attivita' di giornalismo culturale e di promozione della cultura, editoriale e di traduttrice, di studiosa e di persona impegnata in difesa della civilta' e della dignitˆ umana; curo' lâedizione di Goethe per Sansoni e quella delle opere complete di Thomas Mann per Mondadori. E' scomparsa nel 1965. Tra le sue opere piu' significative segnaliamo Schiller in Italia (1913); A. W. Schlegel und die italienische Literatur (1917); Il nuovo secolo della poesia tedesca (1926); La vita di Goethe seguita sullâEpistolario (1932, 1949); L'Italia e la Svizzera (1943); Novecento in Germania (1959); Die andere Achse. Italienische Resistenza und geistiges Deutschland (1964, in collaborazione con E. Castellani, L. Rognoni, G. C. Argan, R. Cantoni); Cronache e saggi (1966)] Lessing ha sempre prediletta la difesa del debole, le cause della giustizia morale, pero' in lui non troviamo mai un grano di fanatismo o un peccato di retorica, mai un eccesso di roseo entusiasmo. Vuole vincere con la logica, con la evidenza del vero, del bello e del buono: non vuole sorprendere e superare l'avversario commovendolo. Forse per tale limpidita' della sua battaglia, egli fu cosi' a fondo amareggiato dalla calunnia di coloro che lo proclamavano "empio". 7. ESPERIENZE. BURBANZIO MASCARONI: DANTE E CATULLO AL CENTRO SOCIALE [Con questo articolo il buon Burbanzio Mascaroni esordisce sulle nostre pagine] Tra le esperienze condotte nel corso del tempo presso il centro sociale occupato autogestito "Valle Faul" di Viterbo vi e' stata la lettura integrale e approfonditi lo studio e la discussione di tutto l'Inferno dantesco, protrattisi per molti mesi, e la lettura integrale dei Carmina di Catullo (ma questi in traduzione italiana, sebbene confrontando il testo latino a fronte e cercando insieme altre soluzioni di traduzione oltre quelle che leggevamo - abbiamo usato quelle di Salvatore Quasimodo, di Enzio Cetrangolo, di Mario Ramous, e di altri ancora). Ci si chiedera': Dante al centro sociale occupato? Certo, e dove se no? Un uomo condannato a morte, di tenace concetto, che conobbe "come sa di sale/ lo pane altrui, e come e' duro calle/ lo scendere e 'l salir per l'altrui scale", e' un uomo che trova costi' i suoi interlocutori ben piu' che nelle scuole di ogni ordine e grado. Ma Catullo? Gia', Catullo. Che e' certo personaggio imbarazzante, con la sua impronunciabile pornografia, gli insulti peggio che ripugnanti, e poi anche quei poemetti d'argomento diciamo cosi' mitologico scritti come veri tour de force nel repertorio piu' snob che neppure l'insopportabile Gabriele D'Annunzio. Eppure. Eppure anche qui c'e' da imparare (e non solo un armamentario di ingiurie e grossezze): ad esempio che la civilta' latina non era solo quella processione di statue di marmo, di cinici azzeccagarbugli, di sfruttatori molli e crudeli, e di killer di massa; ma soprattutto che nella fenomenologia dei sentimenti infinite sono le variazioni ed innumerevoli i paradossi, e sulla compresenza dell'odio e dell'amore molto e' da dire, e molto e' da soffrire. Quando penso al mio ideale di comunita' solidale penso a questa esperienza nei suoi momenti piu' alti: un gruppo di amici accogliente, che offre un piatto di minestra e un tetto sotto cui dormire a chiunque lo chieda; una lotta senza requie contro ogni forma di oppressione, e un tenace lavoro su se stessi; che studia e pratica la nonviolenza fino ad affrontare - e per alcune ore sconfiggere - la macchina bellica piu' potente del mondo; e che insieme sa leggere Dante e Catullo, e godere della poesia. 8. RILETTURE. ENZA BIAGINI: SIMONE DE BEAUVOIR Enza Biagini, Simone de Beauvoir, La Nuova Italia, Firenze 1982, pp. 192. Un'attenta, sensibile monografia sulla grande intellettuale e militante francese. 9. RILETTURE. ALESSANDRA CALZI: L'INTERCULTURALITA' NELLA SCUOLA ELEMENTARE Alessandra Calzi, L'interculturalita' nella scuola elementare, Emi, Bologna 1999, pp. 128. Nella bella collana dei "Quaderni dell'interculturalita'", un agile strumento di lavoro. 10. RILETTURE. MARIANTONIETTA DI CAPITA: L'INTERCULTURALITA' NELLA SCUOLA MATERNA Mariantonietta Di Capita, L'interculturalita' nella scuola materna, Emi, Bologna 1999, pp. 96. Anche questo e' un utile volumetto della collana dei "Quaderni dell'interculturalita'" promossa dal Cem (Centro educazione alla mondialita'). 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dellâambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dellâuomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 387 del 17 ottobre 2002
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