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La nonviolenza e' in cammino. 384
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 384
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 14 Oct 2002 09:49:25 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 384 del 14 ottobre 2002 Sommario di questo numero: 1. Contro la guerra e contro la rassegnazione 2. Elsa Morante, sulla soglia deserta 3. Il piano di formazione 2002-2003 degli obiettori di coscienza della Caritas di Viterbo 4. Giulio Einaudi ricorda Ernesto De Martino 5. Roberta Ascarelli ricorda Zvi Kolitz 6. Antonio Gnoli recensisce le memorie di Cesare Cases 7. Corrado Stajano recensisce le memorie di Cesare Cases 8. Benedetto Vecchi intervista Zygmunt Bauman 9. Riletture: Federico Caffe', La solitudine del riformista 10. Riletture: Caterina Fischetti, Innocenza violata 11. Riletture: Simona Forti, Il totalitarismo 12. Riletture: Gadi Luzzatto Voghera, L'antisemitismo 13. Severino Vardacampi, del piacere della lettura 14. La "Carta" del Movimento Nonviolento 15. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. CONTRO LA GUERRA E CONTRO LA RASSEGNAZIONE Diciamo chiare tre cose. La prima: occorre intensificare la mobilitazione dal basso contro la guerra. Nonostante le illusioni, essa si avvicina; lo sciagurato voto del Congresso americano conta molto di piu' del parere del Consiglio di sicurezza di un'Onu che l'amministrazione Usa ha deciso di mettere in mora. Noi che siamo in Italia dobbiamo togliere al governo Bush e al suo sodale goveroo Blair un alleato importante su cui contano molto, l'avallo e la partecipazione italiana. Per questo occorre impegnarsi di piu' e meglio. Non bastano le petizioni on line e neppure gli "stracci di pace" che pure sono cose buone e giuste. Occorre fare di piu' e dell'altro. Ed ecco alcune proposte: a) scrivere individualmente, ognuno di noi, al presidente della Repubblica, al governo, al parlamento, dicendo loro che la guerra e' crimine, strage e golpe, invitandoli quindi a rispettare la legge e la morale, invitandoli ad opporsi alla guerra; b) scrivere esposti alla magistratura contro la guerra e chi la propugna, poiche' la guerra e' proibita dal diritto internazionale e dalla legalita' costituzionale del nostro paese, ergo chi la appoggia si colloca fuori e contro la legge; c) scrivere individualmente, ognuno di noi, a tutti i mezzi d'informazione, contestando la propaganda bellicista e riaffermando la pace come valore, come diritto, come dovere, come necessita'; d) chiedere pronunciamenti per la pace e la legalita' internazionale e costituzionale a enti locali, altre istituzioni, partiti, sindacati, chiese, associazioni, persone, ovunque e da tutti; e) rendere visibile l'opposizione alla guerra con iniziative (serie, oneste, non urlate, non propagandistiche e non faziose) in tutte le nostre citta' e paesi, nei quartieri e nei posti di lavoro e di studio, nei ritrovi e nelle piazze; f) fare la scelta della nonviolenza, accostarsi alla nonviolenza in umilta' e coscienza, senza dogmatismi e senza presunzioni. La nonviolenza e' una risorsa grande, ma richiede impegno, disciplina, lealta', coraggio; g) addestrarsi alla resistenza civile nonviolenta contro la guerra; h) sostenere campagne come quella di obiezione/opzione di coscienza del cittadino; i) studiare i valori e le esperienze storiche della nonviolenza; l) studiare le tecniche deliberative ed operative della nonviolenza; m) prepararsi all'azione diretta nonviolenta contro la guerra e per la legalita'; n) prepararsi alla disobbedienza civile di massa contro la guerra e per la legalita'; o) preparare lo sciopero generale contro la guerra e per la legalita'; p) aiutare in ogni modo le vittime; cercar di salvare il maggior numero di vite umane. * La seconda: per opporci efficacemente alla guerra dobbiamo essere comprensibili e credibili. Per essere comprensibili dobbiamo farla finita con atteggiamenti urtanti, con la colpevolizzazione degli interlocutori, con la tracotanza di chi presume di saperne di piu' e di poter semplificare cose che sono invece terribilmente complesse. Occorre studiare, occorre prendere sul serio i ragionamenti altrui, occorre saper comunicare in modo rispettoso e costruttivo. Capitini insisteva anche, e giustamente, persino sul vestirsi con decoro e sull'igiene personale. Aveva ragione. E quindi dobbiamo saper rinunciare alle nostre bandierine ed idiosincrasie, dobbiamo muovere dal punto di vista di esseri umani tra esseri umani, e non presentarci come spocchiosi agit-prop. Per essere credibili dobbiamo piantarla di contar panzane, di citare dati non verificati (quasi tutti quelli che escono sulla stampa), di fare di tutt'erbe un fascio. Dobbiamo studiare, studiare e studiare. E dobbiamo dialogare, dialogare e dialogare ancora. E dobbiamo esercitarci anche alla comunicazione: non basta sapere le cose, occorre anche saperle dire. Non basta essere convinti di aver ragione, occorre quella ragione saperla esprimere, argomentare, sottoporla al vaglio della critica, senza furbizie, senza disonesta' (un utile repertorio di cio' che non si deve fare e' in Schopenhauer, L'arte di ottenere ragione). Ma il nocciolo della questione e' il seguente: che per essere comprensibili e credibili dobbiamo essere onesti, veritieri, coerenti. Questo significa che per opporci efficacemente alla guerra bisogna essere costruttori di pace; che l'opposizione alla guerra non puo' essere strumentale e dimidiata, ma deve tradursi nella scelta della nonviolenza. E qui torniamo al punto decisivo: la scelta della nonviolenza, senza della quale l'opposizione alla guerra e' destinata al fallimento, alla disfatta. * La terza e ultima cosa: prendiamoci sul serio. Dobbiamo essere consapevoli che possiamo farcela a mettere in difficolta' l'adesione italiana alla guerra, e cosi' possiamo fortemente indebolire il blocco bellicista. Possiamo farcela, dobbiamo volercela fare. Questa possibilita', questa volonta', questo dovere, hanno un nome: nonviolenza. 2. MAESTRE. ELSA MORANTE: SULLA SOGLIA DESERTA [Da Elsa Morante, Il mondo salvato dai ragazzini, p. 6. Elsa Morante (1912-1985) e' stata una delle piu' grandi scrittrici italiane del Novecento. Opere di Elsa Morante: segnaliamo almeno Menzogna e sortilegio (1948), L'isola di Arturo (1957), Il mondo salvato dai ragazzini (1968), La storia (1974), Aracoeli (1982), tutti presso Einaudi. Si veda anche Pro o contro la bomba atomica e altri scritti, Adelphi, Milano 1987; "Piccolo manifesto" e altri scritti, Linea d'ombra, Milano 1988. Un'edizione in due volumi delle Opere e' apparsa presso Mondadori, Milano 1988. Opere su Elsa Morante: segnaliamo almeno Carlo Sgorlon, Invito alla lettura di Elsa Morante, Mursia, Milano 1972; Gianni Venturi, Elsa Morante, La Nuova Italia, Firenze 1977] Poi, la sera, rovescio sulla soglia deserta un carniere di piume insanguinate. 3. MATERIALI. IL PIANO DI FORMAZIONE 2002-2003 DEGLI OBIETTORI DI COSCIENZA DELLA CARITAS DI VITERBO [Ringraziamo Mario Di Marco (per contatti: mdmsoft at tin.it), responsabile della formazione degli obiettori di coscienza della Caritas di Viterbo, per averci trasmesso il seguente programma formativo. Mario Di Marco e' una delle persone piu' buone che conosciamo] Una circolare emanata nel luglio scorso dall'Ufficio Nazionale per il Servizio Civile (UNSC) applica finalmente uno degli articoli migliori dell'attuale legge sull'obiezione di coscienza: quello sulla formazione (art. 8, comma 2, lettera c della legge 230). Con esso si dispone l'obbligatorieta' della formazione per tutti gli obiettori di coscienza in servizio civile, si fornisce agli enti un contributo, seppur quasi simbolico, per il suo svolgimento, e si rende la capacita' di fornire tale formazione un requisito indispensabile per il proseguimento delle convenzioni al momento attive. Le linee di tale formazione sono delineate in un documento, redatto precedentemente alla circolare, denominato "Patto nazionale per la formazione degli obiettori di coscienza", alla cui stesura hanno contribuito alcuni degli stessi enti convenzionati per il servizio civile. Cio' dovrebbe finalmente favorire la concretizzazione del diritto dell'obiettore di coscienza a crescere come cittadino attivo e come promotore di pace e speriamo anche che alcuni enti smettano di considerare i ragazzi in servizio civile solo come un'integrazione a buon mercato del personale gia' presente. La Caritas diocesana di Viterbo non e' impreparata a questo richiamo in quanto ogni anno, grazie al contributo di educatori e testimoni di pace, interni ed esterni, ha garantito agli obiettori un percorso formativo di ampio respiro. Anche quest'anno e' stato redatto un programma che, tra l'altro, prevede incontri tematici quattordicinali. Essi saranno svolti presso la sede in piazza Dante 2 a Viterbo, con inizio alle 17,30 (per ulteriori informazioni si puo' telefonare allo 0761303171 o scrivere a caritas_oc at libero.it). * Incontri tematici su diritti umani, pace, giustizia, solidarieta' 1. Introduzione all'obiezione di coscienza: cenni storici, principi giuridici e ordinamento vigente. Presentazione del programma di formazione 2002-2003. 2. Diritti umani e democrazia: la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, la Costituzione italiana, l'Onu. 3. Obiezione al sistema militare: i modelli di difesa del 2000, le spese per gli armamenti, la Nato. 4. Nonviolenza e difesa popolare nonviolenta: definizione, storia, principi teorici. 5. Nonviolenza e difesa popolare nonviolenta: le pratiche, la simulazione di casi. 6. Quando l'economia uccide: critica al sistema economico mondiale. 7. Un pianeta allo stremo: l'emergenza ecologica. 8. Lo sviluppo sostenibile: energie rinnovabili, consumo critico, finanza etica. 9. La poverta' nei paesi sviluppati: il rapporto del Censis per l'Italia. 10. Immigrati, profughi e sfollati nel mondo. 11. La condizione degli immigrati in Italia e la legge vigente. 12. Emarginazione, tossicodipendenza, Aids. * Incontri di spiritualita' 1. Obiezione di coscienza: una scelta di vita. 2. Il senso del Natale nella societa consumistica, di cui tu fai parte. 3. Il messaggio del papa per la giornata mondiale della pace 2003. 4. Conflitti, nonviolenza e Vangelo. 5. Pasqua: morte e resurrezione dentro e fuori di te. 6. Rapportarsi con il diverso. * Gli obiettori Caritas dicono no alla guerra in Iraq e comunicano ai mass media la loro adesione all'appello di Pax Christi. 4. MEMORIA. GIULIO EINAUDI RICORDA ERNESTO DE MARTINO [Questo intervento di Giulio Einaudi per il convegno di Napoli su Ernesto De Martino del dicembre 1995 e' apparso su "L'Unita'" del 2 dicembre 1995. Giulio Einaudi e' stato il creatore della casa editrice che porta il suo nome. Ernesto De Martino e' stato uno dei piu' grandi intellettuali del Novecento: nato nel 1908 e scomparso nel 1965, non solo illustre studioso di etnologia, folklore, cultura delle classi subalterne, ma anche uomo fortemente impegnato per il progresso civile e la giustizia sociale. Opere di Ernesto De Martino: da lui edite in volume: Naturalismo e storicismo nellâetnologia, Laterza, ora Argo; Il mondo magico, Boringhieri; Morte e pianto rituale nel mondo antico, Boringhieri; Sud e magia, Feltrinelli; La terra del rimorso, Il Saggiatore; Magia e civilta', Garzanti; Furore Simbolo Valore, Il Saggiatore, poi Feltrinelli; postumo e' apparso il materiale raccolto in La fine del mondo, Einaudi; nellâambito della pubblicazione di tutte le opere edite e inedite di De Martino, la casa editrice Argo ha giˆ pubblicato anche i volumi: Note di campo; L'opera a cui lavoro; Storia e metastoria. Segnaliamo anche due carteggi editi: Cesare Pavese, Ernesto De Martino, La collana viola. Lettere 1945-1950, Bollati Boringhieri, Torino 1991; Riccardo Di Donato (a cura di), Compagni e amici. Lettere di Ernesto De Martino e Pietro Secchia, La Nuova Italia, Firenze 1993. Una raccolta di conversazioni radiofoniche del '53-'54 di e su De Martino e': Panorami e spedizioni, Bollati Boringhieri, Torino 2002] Ricorda Cesare Cases nella sua prefazione all'edizione del 1973 del Mondo magico che, quando si chiedeva a de Martino quale universita' avesse frequentato, egli rispondeva: "Quella di via Trinita' Maggiore". Devozione a Croce, anche quando se ne distacchera', dagli inizi degli anni '40 al 1949, come acutamente osservava l'Angelini nel suo saggio sui rapporti tra Pavese e de Martino, pubblicato da Bollati Boringhieri nel 1991. L'11 maggio '49 infatti de Martino consegnera' ad Einaudi la prefazione de Le origini dei poteri magici di Hubert e Mauss che, come scrive Angelini, "costituisce il primo passo "pubblico" della sconfessione di una tesi del Mondo magico (la storicita' delle categorie): e il cosiddetto ritorno a Croce di de Martino, ritorno a Croce che generalmente si fa risalire al 1951", anno della pubblicazione del libro di Hubert e Mauss. Croce, non Croce, ritorno a Croce, Partito comunista, incontro con Pavese, il poeta del mito, l'uomo di Santo Stefano Belbo e di Torino, l'uomo della campagna ancestrale e della citta' moderna: un incontro esplosivo, che Angelini nel suo libro con pochi tocchi sa rievocare entrando nel vivo dei problemi e delle idee. Un unico appunto gli farei, la' quando dice che la scelta che Calvino ha fatto delle lettere di Pavese a de Martino, nel volume einaudiano del 1966, e' stata "parca". Calvino ha scelto, e lo dichiara in una nota, le lettere "piu' interessanti, sia dal punto di vista della personalita' di Pavese, sia da quello della cronaca culturale del dopoguerra". E le lettere di Pavese pubblicate da Calvino sono ben 35, su un totale di 51: non "parca" scelta, dunque. Abbiamo un intenso carteggio tra de Martino e Pavese, che documenta le vicende della "Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici", la collana viola della collezione Einaudi. Nel carteggio pubblicato da Angelini compaiono due fasi temporali: una, la prima, di collaborazione con Pavese; la seconda definibile dai contrasti. Contrasti che portano de Martino, morto Pavese nel 1950, a rinnegare l'indirizzo che Pavese aveva dato alla collana "non del tutto di mio gradimento poiche' ad ispirare tale indirizzo reagiva la sua troppa immediata simpatia per certe forme di irrazionalismo, scientificamente errate, politicamente sospette, che attraverso l'idoleggiamento del mondo primitivo, del sacro, del mito, etc. avevano tenuto a battesimo alcuni aspetti dell'involuzione culturale (e politica) della borghesia agonizzante". Era questo il periodo del ritorno a Croce, ma anche dell'adesione di de Martino al Pci. Nel 1948, anno della pubblicazione del Mondo magico, morira' anche Zdanov, tuttavia ancora influente. I "compagni" ignoreranno, nei migliori dei casi, il libro di de Martino, tendendo a vedere in lui un divulgatore di testi irrazionalisti. Un senso di colpa deve averlo colpito, duri sono quegli anni per uno spirito libero, che disperatamente vuole rimanere tale. Nella collana si pubblicano libri che sia Pavese che de Martino avevano approvato, ma nel suo tormento quest'ultimo sente il bisogno di prefare i libri con dure critiche, con vere e proprie messe in guardia per il lettore. E Pavese pur lasciando correre per lo piu', talvolta interviene, chiedendo "una rigorosa e tagliente noticina bio-bibliografica anziche' una predica profilattica", contestando quella che de Martino chiama "introduzione impegnativa che vaccini dai pericoli". In una lettera non datata, ma presumibilmente dell'ottobre 1949, de Martino scrive a Pavese: "Credo che vorrai conoscere la mia opionione sulle critiche degli "ortodossi" alla collana viola, che nel loro petulante giudizio sarebbe addirittura da chiamare "collana nera", cioe' "nazifascista". Naturalmente noi dobbiamo fare muso duro a questi caporali, pero' non dobbiamo commettere errori che giustificano, sia pure parzialmente, tali ingerenze". Che fosse giunto sentore a de Martino di una lettera manoscritta, forse non spedita, di Pavese a Muscetta, esposta per la prima volta in una bacheca illustrativa della Storia della Casa Einaudi, nell'87, e parzialmente pubblicata nella intervista del '91 di Severino Cesari al sottoscritto: "La collezione di cui fa parte il volume da te liquidato (il Cannibalismo di Vohlard), e' apparsa una vera centrale clandestina della controrivoluzione". Qui Pavese adotta un tono sarcastico che conferma il clima evocato da de Martino. Alla morte di Pavese, pur con le riserve espresse innanzi, de Martino continua a collaborare alla collana. Usciranno ancora volumi, progettati con Pavese, ma de Martino non sente piu' la collana come sua, come, sia pur tra i dissensi, l'aveva sentita con Pavese. E i rapporti con de Martino si disperdono, per mancanza di un interlocutore costante. Vediamo lettere indirizzate a me, a Bollati, a Calvino, a Luciano Foa', a Panzieri: tutte contenenti proposte e progetti che per lo piu' non avranno corso. Qui avviene il miracolo. Dopo esperienze deludenti con altri editori, de Martino trova nella Einaudi un interlocutore nuovo, con cui discutere ed intendersi: Renato Solmi, quel Solmi che ebbe con de Martino, nel lontano 1952, una vivace polemica di cui fa cenno Cases nella prefazione del '73 al Mondo magico. Siamo nel gennaio del 1960. Si incomincia a parlare di una nuova collana di studi religiosi, concepita all'inizio unitariamente e poi confluita nell'alveo della "Nuova Biblioteca scientifica Einaudi". Ma a fine '63 Solmi lascia la casa editrice. I rapporti diventano nuovamente saltuari; Bollati informa de Martino che i volumi progettati per la collezione di studi religiosi dovranno confluire "coraggiosamente in una collana unica, suddivisa al suo interno in tante serie quante sono le discipline": la Nuova Biblioteca Scientifica Einaudi. In questa collana uscira' nel 1977, postumo, a cura di Clara Gallini, La fine del mondo, libro incompiuto che sviluppa le tesi del Mondo magico, annunciato come progetto da de Martino nel suo appunto del 1962 per la collezione di studi religiosi. La genesi de La fine del mondo risale al 1962. Ne fa parte questo passo inedito su Pavese, pubblicato dall'Angelini: "Il poeta e l'etnologo, nella apparente casualita' di una iniziativa editoriale: un incontro le cui ragioni inizialmente sfuggirono a me molto piu' che a lui, e che solo dopo la sua morte cominciarono a proporsi in me, dapprima come vago e ritornante ricordo, e quasi come oscuro debito contratto con lui. Giunse poi il giorno - durante le ferie di agosto del 1962, in un villaggio di pescatori della Terra del Rimorso - giunse il giorno in cui rimeditando sul tema della "fine del mondo" e tracciando i primi contorni di un'opera storico-culturale che intendevo scrivere sull'argomento - quel ritorno vago e ritornante prese a crescere in me, e il debito a precisarsi nel modo col quale doveva essere pagato". 5. MEMORIA. ROBERTA ASCARELLI RICORDA ZVI KOLITZ [Questo articolo abbiamo ripreso dal quotidiano "Il manifesto" del 12 ottobre 2002] Uomo di un solo libro e dalle molte avventure, Zvi Kolitz, l'autore di Yossl Rakover si rivolge a Dio, scomparso lunedi' a New York alla vigilia di una Buchmesse dedicata al suo paese, la Lituania, e di un Nobel per la letteratura assegnato a Irme Kertesz, ebreo orientale come lui. Aveva 86 anni, nella sua vita aveva cambiato lingue e paesi, ma mai mutato il rapporto profondo con la tradizione ebraica. Nato nel 1919 in una famiglia dalla profonda religiosita' chassidica ma non insensibile alla cultura "laica", quella almeno dei grandi classici europei tradotti e letti in jiddisch, fugge nel 1936 insieme alla madre e ai fratelli in Italia, dove studia, e poi, nel 1940, in Israele. Qui e' prigioniero degli inglesi, soldato inglese, rappresentante ufficiale del Congresso sionista internazionale e agente segreto dell'Irgun, il movimento radicale guidato da Menachem Begin. Dopo la creazione dello Stato di Israele sceglie ancora una volta l'esilio. Giunto in America, attraversa tutti i mestieri che dalla sonnolenta Europa si possono immaginare per un ebreo orientale approdato a Brodway. Scrive in inglese prose e sceneggiature di successo (Hill 24 doesn't answer, un film del 1954, tratto da un suo racconto sulla guerra di indipendenza israeliana, viene premiato a Cannes) e, nella lingua materna, un jiddisch lituano volutamente semplice, quasi infantile, redige articoli per un giornale newyorkese, Der algemayner Shournal. Produce anche musical con il sapore sognante dello shtetl (The Megilla of Itzig Manger; I'm Solomon) o testi scomodi e impegnati come l'edizione americana del Vicario di Rolf Hochhuth nel 1963. Ormai anziano, famoso e rispettato, scopre una vena esegetica. Senza il tormento di Potok o la ribellione di Roth, Zvi ritrova il pensiero chassidico delle sue origini e scrive di maestri e cabbalisti in libri di facile lettura (Confrontation, dedicato all'opera e all'insegnamento di Rabbi Soloveitchik e The Teacher), persuaso che sia ancora possibile un approccio "esistenziale", come lui lo definisce, magico e salvifico, alla religione dei padri. Fin qui una biografia intellettuale tanto caratteristica da sembrare un racconto ispirato a qualche eroe minore della diaspora americana. Eppure, se oggi ricordiamo Zvi Kolitz non e' per una vita da romanzo, ma piuttosto per un racconto di poche pagine, Yossl Rakover si rivolge a Dio, per anni letto come fosse un documento tragico e definitivo dello sterminio del ghetto di Varsavia. All'inizio del testo si legge, a testimonianza della sua veridicita', "In una delle rovine del ghetto di Varsavia, tra cumuli di pietre carbonizzate e ossa umane, sigillato con cura in una piccola bottiglia, fu trovato il seguente testamento, scritto da un ebreo di nome Yossl Rakover nelle ultime ore del ghetto". La "confessione" in prima persona e' preghiera e legato, struggente professione di fede negli uomini e in Dio, imperiosa protesta in nome della dignita' umana: "muoio tranquillo, ma non appagato, colpito, ma non asservito, amareggiato, ma non deluso, credente, ma non supplice". Cosi' scrive Yossel, ma in realta' lo scrittore non e' a Varsavia, ma a Buenos Aires, dove tiene conferenze sioniste per la Comunita' ebraica locale, e qui traccia in una notte la storia delle ultime ore dell'ebreo polacco. Il testo verra' tradotto in israeliano e poi in tedesco senza indicazione dell'autore come fosse realmente una testimonianza smarrita e ritrovata: l'effetto del testo e' grande: "uno scritto estremamente coinvolgente" lo definisce Thomas Mann, e Wolf Biermann lo considerera' "una delle opere migliori della letteratura mondiale". Ma in pochi colgono il suo valore politico, l'adesione militante all'ebraismo, l'impegno sionista che lo sottende, l'orgoglio non domato e mai tracotante di essere dalla parte dell'uomo e, forse (perche' un uomo religioso non puo' affermarlo) dalla parte di Dio, il richiamo comunque alla violenza se giusta. A Levinas non sfugge pero' nel 1963 in un testo dalle molte chiavi, Amare la Torah piu' di Dio, che il presunto documento altro non e' che una storia immaginaria (come appurera' anni dopo Paul Badde), costruita con la finezza interpretativa di chi conosce i sacri testi e ne camuffa la infinita profondita' in una lingua semplice come quella del Baal Shem Tov o di Nachman di Breslavia: "Esso - scrive - testimonia un atteggiamento intellettuale molto piu' illuminante di certe letture di intellettuali (...) questo testo rivela una scienza ebraica, pudicamente dissimulata, ma sicura". Profondo come la tradizione talmudica, vivo come le storie di Rachele e di Giobbe, reso tragico dal confronto con la morte e con la violenza, il testamento di Yossl e' comunque un grande documento, il documento di una volonta' di rinascita dopo lo sterminio. 6. MAESTRI. ANTONIO GNOLI RECENSISCE LE MEMORIE DI CESARE CASES [Questo articolo di Antonio Gnoli, che recensisce le Confessioni di un ottuagenario di Cesare Cases apparse presso Donzelli, e' stato pubblicato sul quotidiano "La repubblica" del 30 ottobre 2000 col titolo "Cesare Cases racconta i suoi ottant'anni di tenere polemiche". Lo abbiamo ripreso dal sito della casa editrice Donzelli (www.donzelli.it)] Ho letto con comprensibile godimento il libretto di memorie di Cesare Cases. Comprensibile perche' chi conosce Cases sa quanto la sua forza si basi oltre che sull'autorevolezza del germanista, anche sullo stile inconfondibile: un misto di ironia, sarcasmo e qualche stilla di tenerezza. Un'arte degli opposti sembra governare queste pagine, sottraendole ad ogni prevedibile definizione. Chi e' Cases? Un polemista e uno studioso? Un ortodosso e un trasgressivo? Un accademico e un militante? A qualunque famiglia egli finga di appartenere, ce ne e' sempre un'altra corrispondente pronta ad adottarlo. Difficile percio' trovargli un abito che gli stia a pennello, difficile ricomprenderlo sotto un unico segno. Cases e' un uomo che per definizione sfugge alla riconoscibilita': per eccesso di interessi, si direbbe, che vanno a volte in direzioni opposte. Lukacs e' stato un suo maestro, ma anche Karl Kraus che poco ha in comune con il filosofo ungherese. Ha letto con interesse Benjamin e Adorno, ma non ha disdegnato di gettare uno sguardo fra le pieghe reazionarie di Ernst Junger, su cui in anni giovanili ha scritto cose di grande intelligenza. Cases compira' ottant'anni a dicembre: ai clamori con cui e' stato accolto l'evento e alla saggezza che per convenzione si attribuisce a questa eta', egli, mi pare, preferisca toni piu' ironici, e meno gridati. Leggetele queste Confessioni, non sono solo il ritratto di un'epoca piuttosto lunga e dei personaggi che l'hanno attraversata: Timpanaro, Einaudi, Calvino, Cantimori, Bollati, Fortini, ne cito alcuni; sono soprattutto un capolavoro di ferocia e di understatement. C'e' passione shakespeariana nel modo in cui a Cases piace "strozzare" i personaggi che incrocia ma anche tenerezza nei loro riguardi, quasi che egli non possa fare a meno di amarli. E soprattutto non fate caso alla scarsa indulgenza con cui a volte egli giudica e soppesa il proprio operato di intellettuale. Semplicemente ha voluto sottrarre alla parola "io" la futilita' che spesso l'avvolge. E' la condizione per ritrovarsi liberi, anche da se stessi. E dai propri pregiudizi. Che un chimico potesse diventare germanista non e' impresa ardua, che un germanista apprendesse la sottile arte della denigrazione, questo e' stato il miracolo. 7. MAESTRI. CORRADO STAJANO RECENSISCE LE MEMORIE DI CESARE CASES [Anche questo articolo recensisce il medesimo libro; ed e' apparso sul "Corriere della sera" del 22 novembre 2000 col titolo "Spendere la vita per la letteratura"; lo abbiamo ripreso dal sito della casa editrice Donzelli (www.donzelli.it). Corrado Stajano e' giornalista e saggista di forte impegno civile] Chissa' se Cesare Cases sospetta di aver scritto un racconto piu' che un'autobiografia con le sue confessioni di un ottuagenario. Uno dei non molti italiani anomali. Germanista, autore di molti saggi importanti sulla letteratura tedesca, sulla cultura del novecento, su Lukacs il suo maestro, su Goethe, Thomas Mann, Musil, Benjamin, professore nelle universita' di Cagliari, Pavia, Torino, troppo spiritoso e beffardo per farsi ingabbiare in una qualsiasi cornice politica, a pagina 143 del libro da' di se stesso questa definizione: ''Sono sempre scisso tra tentazioni estremistiche, di gran lunga prevalenti, perche' non e' chi non veda che il mondo ha bisogno di essere radicalmente riformato, e controspinte conformistiche, quando giudico l'impresa disperata. Non essendo cattolico come lo era a suo modo Brecht, non posso tenere i piedi in entrambe le staffe''. Cases ha compiuto ottant'anni il 24 marzo di quest'anno. Milanese, nato vicino alla casa natale del Manzoni, scolaro alle elementari di via Spiga, liceale al Parini. Il padre avvocato civilista come il nonno, che abitava in via Montenapoleone, con studio in via Sant'Andrea 11, ha tutte le carte in regola per far da figurante nell'Adalgisa di Gadda. La partenza per le vacanze a Lambrugo in Brianza, con la carrozza pubblica, il ''bruum'' pare uscire settant'anni fa da quel mondo. Sulla carrozza diretta alla stazione Nord si stipavano con Cesare la Nora e la Pasqualina, l'Adelina e la Rosina, le donne di servizio di casa e dei nonni, e il brumista quando svoltava a via Manzoni, faceva un gran schioccar di frusta davanti al ''Banco de America e del Rio de la Plata''. Ma le consonanze, se si escludono lo spirito caustico, le villeggiature in Brianza e l'essere entrambi transfughi dalla citta' natale disamata o nascostamente amata, si fermano qui. Di Gadda Cases non ha le nevrosi distruttive, e' indifferente ai dialetti, non ha le furie reazionarie e le manie di ordine. Si direbbe che Cases e' soprattutto fiero del suo tedesco, il resto e' trascurabile. Una lettera di Thomas Mann a Giulio Einaudi muta il suo stato di lavoratore flessibile. L'editore, con una lettera preparata da Cases, aveva proposto a Mann di scrivere la prefazione alle Lettere dei condannati della Resistenza europea e lo scrittore aveva accettato purche' gli si traducessero in tedesco una ventina di Lettere: ''Ci' che dovrebbe riuscirle tanto piu' facile in quanto lei dispone di un collaboratore che padroneggia la lingua tedesca con perfezione umiliante''. Da allora le azioni di Cases, che da Einaudi aveva cominciato da commesso-garzone alla libreria Aldovrandi, salgono vertiginosamente. Viene assunto come consulente di letteratura tedesca e diventa negli anni uno dei cardini della casa editrice, ''testimone secondario'', come ama egli dire, dei fatti della cultura e della politica, dei conflitti intellettuali, delle scelte editoriali, una cosa seria, allora. In Svizzera, dove era approdato anni prima, ai tempi delle leggi razziali, si era iscritto alla Facolta' di Chimica. Correvano i treni per Auschwiz, milioni di uomini morivano nelle camere a gas. Cases non grida ora il suo orrore, come vaccinato dalla banalita' dell'infamia, ma nel corpo di una fase, in un inciso che sembra senza importanza accenna a compagni di scuola morte nei Lager, a intere famiglie sterminate, a uomini e donne impazziti. Le scienze non gli sono benevole e lui passa a studiare le lingue e le letterature romanze e germanistica e filosofia. E' curioso, vorace di carta stampata. E' un agnostico, con tendenze apocalittiche che smentisce. Cattivo? Qualche volta perde al pazienza davanti la cattiveria del mondo e si difende. La sua vita e' costellata di incontri. A cominciare da Theophile Spoerri, professore di letteratura italiana antica e francese moderna, a Lucien Goldmann, filosofo marxista antistalinista. E poi Franco Fortini, che lo inquieta con l'eterna questione della funzione degli intellettuali, al quale restera' sempre legato nonostante le burrasche periodiche di cui sono stati vittime tutti quelli che gli hanno voluto bene; Giulio Einaudi, di cui stima la capacita' di capire il valore degli uomini; Italo Calvino e Renato Solmi, l'ammirato grande amico. Cases ha alternanze di durezza - le sue battute fulminanti, i suoi epigrammi - e di affettivita' quando tira fuori nomi ormai dimenticati, Daniele Ponchiroli, l'italianista di grande prestigio per esempio, ''la creatura piu' amabile e soave che il mondo dell'editoria abbia espresso''. Nel consiglio della casa editrice e nel tavolo ovale delle famose riunioni del mercoledi', Cases era all'estrema sinistra. La sua cultura e le sue onnivore letture facevano sentire a volte ignorantissimi. Ma non saliva mai in cattedra il professore disincantato che non si e' arreso mai all'irrazionale, come ha scritto Claudio Magris. 8. MAESTRI. BENEDETTO VECCHI INTERVISTA ZYGMUNT BAUMAN [Questa intervista all'illustre sociologo e' apparsa sul quotidiano "Il manifesto" del 10 ottobre 2002] Zygmunt Bauman e' uno studioso riservato, che non ama le luci della ribalta. Ogni giorno, passa alcune ore a leggere attentamente i giornali, ma e' restio nel parlare con i giornalisti. Eppure e' proprio dall'analisi di alcuni articoli apparsi su un giornale inglese che prende l'avvio di uno dei suoi libri dedicati alla globalizzazione (Solitudine del cittadino globale, Feltrinelli). Anzi si puo' dire che le "conseguenze della globalizzazione nella vita delle persone" e' diventato il suo rovello al quale ha dedicato gran parte della sua recente produzione teorica, da Dentro la globalizzazione (Laterza) a Voglia di comunita' (Laterza), da La societa' dell'incertezza (Il Mulino) a Le sfide dell'etica (Feltrinelli) a La modernita' liquida (Laterza) a La societa' individualizzata (Il Mulino). Polacco di origine ebraica, ha fatto parte di quel piccolo e innovatore gruppo di intellettuali che nel Sessantotto criticarono aspramente la gestione del potere da parte del partito comunista, schierandosi a fianco del movimento studentesco. Ma dopo la normalizzazione e l'ondata antisemita alimentata dal partito unico al potere, lascio' il paese e comincio' un breve pellegrinaggio, che lo ha portato prima in Israele e poi in Inghilterra, dove tutt'ora vive. Un autore prolifico, dunque. Riuscire ad avere un'intervista e' un'operazione che comporta pazienza, anche perche' Bauman preferisce i tempi lunghi della riflessione per elaborare risposte ai problemi globali che gli stanno a cuore. Cosi' e' accaduto che il primo contatto e' avvenuto a Roma la scorsa primavera. Poi il dialogo e' proseguito via e-mail per tutta l'estate per la sua esitazione a misurarsi con gli spazi, limitati, di una pagina di giornale e per cio' che accadeva nel mondo. I venti di guerra, la crisi della globalizzazione, il silenzio degli intellettuali: tutti elementi che Bauman sente come manifestazione di un Disagio della postmodernita', come recita il titolo di un suo libro uscito in questi giorni in Italia e pubblicato da Bruno Mondadori. (Nelle prossime settimane Raffaello Cortina ne mandera' un altro alle stampe con il titolo Societa', etica e politica). Dai rischi di guerra prende l'avvio l'intervista. - Benedetto Vecchi: La guerra contro l'Iraq sembra inevitabile. L'Europa non riesce ad affermare una posizione unitaria e autonoma dagli Stati Uniti. Se sara' cosi', sara' difficile parlare di Europa nel prossimo futuro, perche' se sara' guerra ridisegnera' il mondo dove gli Usa detteranno legge. Lei che ne pensa? - Zygmunt Bauman: Come Martin Woollacott ha giustamente osservato su The Guardian "il dibattito sull'Iraq e' pleonastico - la decisone e' stata presa", e "discutere se la guerra sia giusta o sbagliata non influenzera' gli americani". Possono ascoltare, se l'etichetta della diplomazia lo richiede, ma non terreanno in gran conto qualunque cosa dira' l'Europa. Credo che la scelta reale non sia quella, ampiamente urlata e strombazzata, tra l'unirsi alla frenesia del "Dio benedica l'America" o assumere un atteggiamento anti-americano. Ritengo che il vero dilemma - un dilemma vitale - che tutti noi abbiamo di fronte e dovremmo affrontare sia quello tra "Dio benedica l'America" e "Dio benedica l'umanita'". - B. V.: Negli ultimi anni, i problemi posti dalla globalizzazione sono entrati nell'agenda politica mondiale grazie alle mobilitazioni di un variegato movimento sociale globale, il quale ha denunciato che esiste una redistribuzione feroce delle ricchezze. In sintesi, nella societa' individualizzata i rapporti di potere tra le classi, i gruppi sociali e tra il nord e il sud del mondo sono basati sulle diseguaglianze. E' d'accordo? - Z. B.: Io stesso non saprei dirlo meglio. Il mondo pero' e' diventato pieno, ma non e' uno. Il nuovo mescolarsi di culture e forme di vita e' un'altra illusione, frutto di generalizzazioni basate sull'esperienza della elite globale e forse anche funzionale alla sua esigenza di autostima e di comfort spirituale. In realta', insieme al celebrato cosmopolitismo e all'ibridazione della elite affaristica e del sapere, che e' planetaria e sempre piu' extraterritoriale, anche il nuovo pugnace tribalismo - che si traduce in un feroce territorialismo - e' il prodotto principale di una globalizzazione priva di vincoli politici. - B. V.: Recentemente, lei ha affermato che viviamo in una "modernita' liquida", dove la "rivoluzione" di consuetudini, modi di essere, e' la regola dominante: un mutamente incessante, senza soste, che non consente di consolidare nuove istituzioni. Tutto cio' provoca, sempre per usare un suo termine, un disagio individuale e collettivo che agisce anch'esso come un caterpillar che tutto distrugge. Siamo quindi in una situazione dove e' impossibile un'analisi della societa'? - Z. B.: Si', al giorno d'oggi il cambiamento e' una condizione permanente del pianeta, dei contesti locali, degli individui. I cambiamenti si susseguono e non possono piu' tendere a "soluzioni finali" o essere organizzati in serie coerenti. Inoltre, sono impossibili da prevedere, fortuiti. Cosi' come e' impossibile prevedere le loro conseguenze, per non parlare della possibilita' di controllarle. Oggi questa e' pero' una osservazione scontata. Cio' che non si comprende a sufficienza e' che ogni sviluppo "creativo" porta con se' necessariamente una distruzione. Noi assomigliamo sempre di piu' agli abitanti di Leonia, una delle citta' invisibili di Italo Calvino, i quali se qualcuno glielo chiedesse direbbero che la loro passione e' "il godere delle cose nuove e diverse". Per la verita', ogni mattina la popolazione "indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal piu' perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall'ultimo modello d'apparecchio". Ma ogni mattina "i resti della Leonia di ieri aspettano il carro dello spazzatura" e qualcuno, guardando dall'esterno, si chiederebbe se la vera passione dei suoi abitanti non sia piuttosto "l'espellere, l'allontanare da se', il mondarsi d'una ricorrente impurita'". Dato che gli abitanti di Leonia eccellono nella loro caccia alle novita', "una fortezza di rimasugli indistruttibili che circonda Leonia, la sovrasta da ogni lato come un acrocoro di montagne". Mi chiedo se la moderna situazione non passera' alla storia, in primo luogo, come un gigantesco aumento della produzione di rifiuti. Parliamo infatti spesso di "spazzatura", degli scarti materiali che sporcano e avvelenano il nostro "ambiente". Ma la piu' prolifica e dolorosa delle innovazioni moderne sta emergendo dalla continua crescita di scarti umani. La produzione di scarti umani e' stata particolarmente copiosa in due settori (ancora pienamente operativi e che lavorano a pieno regime) dell'industria moderna. Il primo settore riguarda la produzione e la riproduzione dell'ordine sociale. Qualunque modello di ordine sociale e' selettivo, e richiede che si tagli via, si spunti, si segreghi, si separi o si asporti quelle parti della materia prima umana che sono inadatte al nuovo ordine. Il secondo settore dell'industria moderna noto per aver prodotto continuamente grandi scarti umani e' il progresso economico, che richiede a sua volta lo smantellamento e l'annichilimento di un certo numero di modi e mezzi di integrare l'esistenza umana che non soddisfano standard predefiniti di produttivita' e redditivita'. Chi pratica forme di vita "svalutate" non puo', di regola, essere inserito en masse nei nuovi modelli di attivita' economica. Questa produzione di "scarti" umani e' stata comunque, per gran parte della storia moderna, depotenziata, neutralizzata o almeno mitigata grazie a un'altra moderna innovazione: l'industria dello smaltimento dei rifiuti. Questa industria ha prosperato grazie alla trasformazione di ampie parti del globo in immondezzai in cui confluiva tutto il "surplus" di umanita'. La produzione di rifiuti umani procede quindi senza sosta, fino ai picchi dei nostri giorni dovuti ai processi della globalizzazione, ma e' l'industria dello smaltimento dei rifiuti che si e' trovata in gravi difficolta' a causa dell'impraticabilita' dei modi di trattare gli scarti umani finora inventati. A mio parere, dietro la confusione attuale c'e' la crisi dell'industria dello smaltimento degli scarti umani. Lo rivela la disperata, sebbene largamente irrazionale e sbagliata, gestione della crisi scatenata dallo spettacolo dell'11 settembre. - B. V.: Lei e' stato spesso accostato a Georg Simmel per la sua capacita' di partire dall'analisi del manifestarsi di alcune abitudini e mentalita' per fornire una lettura "generale" dei conflitti nella modernita'. E' stato cosi' per il fitness, e' stato cosi' per il turismo di massa. Uno degli approdi del suo lavoro di studioso e' di cogliere la solitudine individuale in un mondo unificato, dove non c'e' riparo alcuno. Ma e' pur sempre una solitudine che si manifesta in aggressivita' verso l'"altro". Ricordo alcune sue pagine, molto belle, in cui racconta di mobilitazioni contro presunti pedofili in una piccola citta' inglese. Un'isteria che accompagna anche il razzismo strisciante che vediamo manifestarsi in molti paesi europei? - Z. B.: Sono lusingato del suo paragone della mia opera a quella di Georg Simmel. Io cerco solo, sebbene con risultati alterni, di collegare le ansie popolari "localizzate" circa il "nemico alla porta" - che si tratti di un pedofilo, di un malintenzionato, di un molestatore, di mendicanti, di "stranieri" (con il terrorista come ultima aggiunta, particolarmente negli Usa) - alla marea crescente dei sentimenti razzisti, o piu' correttamente xenofobi, in Europa. Per parafrasare una nota frase, si puo' dire che uno spettro si aggira sul pianeta: lo spettro della xenofobia. Astio e sospetti tribali vecchi e nuovi, mai estinti o scongelati di fresco e riscaldati, si sono mescolati e saldati alla paura, tutta nuova, per la sicurezza distillata da incertezze e insicurezze vecchie e nuove dell'esistenza moderna. Le persone spaventate a morte da una misteriosa, inesplicabile precarieta' dei loro destini e dalle nebbie globali che nascondono alla vista la loro prospettiva, cercano disperatamente i colpevoli delle tribolazioni e delle prove cui sono sottoposte. Le trovano, non sorprende, sotto il lampione piu' vicino, nel solo punto obbligatoriamente illuminato dalle forze della legge e dell'ordine: "sono i criminali a renderci insicuri, e sono gli estranei che causano il crimine"; e cosi' "e' con le retate, il carcere e la deportazione degli estranei che sara' ripristinata la sicurezza perduta o rubata". - B. V.: Lei considera il welfare state come una delle migliori "trovate" del capitalismo moderno. Sicurezza collettiva versus esplosione violenta della societa'; garanzie sociali come unico rimedio agli effetti distruttivi della mano invisibile del mercato. Ma anche questo sembra un retaggio del passato. Ulrick Beck parla di societa' del rischio. Seguendo il suo percorso intellettuale, si potrebbe parlare di una societa' del rischio altamente individualizzato. E' d'accordo? - Z. B.: Lei ha di nuovo ragione. Penso che non ci sono, e non possono esserci, soluzioni individuali a problemi prodotti socialmente, cosi' come non ci sono e non ci possono essere soluzioni locali a problemi creati globalmente. Una piccola digressione. Il capitale nomadico in cerca di mercati redditizi e di soste confortevoli, e le popolazioni sradicate, prive di territorio e vagabonde in cerca di lavoro, pane, acqua da bere o pace, sono solo due dei "problemi creati globalmente" che nessun potere locale ha le risorse per affrontare da solo, sebbene tali poteri debbano misurarsi con le loro conseguenze. La mobilita' senza precedenti e virtualmente inarrestabile dei beni e delle finanze mondiali li pongono oltre la portata di qualunque potere locale - non solo municipale, ma anche nazionale. I poteri locali non possono fare molto per arrestare la distruzione di mezzi di sostentamento e la dilagante polarizzazione delle condizioni di vita, che mettono intere popolazioni in movimento e aggiungono sempre piu' vigore alle pressioni dei migranti; o per rallentare, per non dire interrompere, lo sfruttamento delle risorse naturali, l'inquinamento dell'aria e delle riserve idriche, gli effetti climatici legati ai gas dell'effetto serra o un consistente indebolimento dei legami umani, la crescente fragilita' dei mezzi di sussistenza e la distruzione dei posti di lavoro. Quando gli amministratori di una citta' si sforzano in tutti i modi di rendere potabile l'acqua del rubinetto, vivibili le aree residenziali, di mettere scuole, ospedali e servizi sociali locali in grado di accogliere e assimilare i nuovi arrivati nella citta' e nel paese, di trovare lavoro ai disoccupati, placare l'irritazione crescente e l'ansia dei residenti della citta', essi cercano (invano) di trovare soluzioni locali a problemi nati globalmente. Non potendo intervenire sull'incertezza in modo sostanziale, essi cercano di indirizzare la paura e la rabbia conseguenti verso oggetti che sono in grado di gestire, e che possono mostrare di poter gestire: fastidi come le minacce alla sicurezza delle persone e delle loro proprieta' che vengono dai rapinatori, dai ladri di automobili, dai mendicanti, da chi compie reati sessuali, da stranieri, da "stranieri tra noi". Poco importa se queste minacce siano genuine o presunte, esse sono sovraccariche emozionalmente: dalla loro soluzione ci si aspetta piu' di quanto non siano in grado di dare. Allarmi antifurto, televisioni a circuito chiuso, piu' poliziotti in servizio, pene piu' dure e politiche di immigrazione piu' severe lasceranno le vere fonti di incertezza intatte, non dissiperanno le paure e non vinceranno l'ansieta'. E cosi', qualunque cosa si faccia, la domanda di proteggere la sicurezza dei residenti urbani crescera' senza sosta, e gli amministratori della citta', impossibilitati a fare molto altro, saranno disposti alla compiacenza... - B. V.: Un'altra parola chiave dei suoi studi e': precarieta'. Si e' precari nel rapporto di lavoro, nelle relazioni sentimentali, nelle forme di socialita'. Prendiamo ad esempio la precarieta' nei rapporti di lavoro. Si e' precari alla luce di una richiesta sempre piu' pressante di mettere idee, inventiva, capacita' relazionale nella propria mansione. Siamo cosi' condannati a vivere una condizione paradossale: precari, ma creativi. E' questa la logica del "capitalismo flessibile"? - Z. B.: La asimmetria di potere tra capitale e lavoro ha acquisito nella nostra epoca una dimensione completamente nuova. Nell'epoca "solida moderna" i boss delle imprese e i lavoratori potevano avere un controllo profondamente diverso sulla propria capacita' di azione effettiva, ma entrambi erano "legati al terreno", erano cioe' dipendenti dalla collaborazione con l'altra parte; nessuna delle due parti poteva semplicemente fare le valige e andarsene. Entrambi gli attori sapevano di essere destinati, in un modo o nell'altro, a restare in compagnia gli uni degli altri, a incontrarsi ancora il giorno dopo, il giorno dopo ancora, l'anno dopo. Quel "mutuo confinamento" generava ovviamente conflitto, ma produceva anche uno sforzo a negoziare un modus vivendi soddisfacente che rendeva la vita, magari una noiosa routine, ma prevedibile, suscettibile di una programmazione a lungo termine. Questo adesso e' tutto finito. Inoltre, la asimmetria di potere tra capitale e lavoro non si manifesta soltanto nella ricchezza di pochi e nella poverta' dei molti, ma anche tra liberta' di movimento e l'essere confinati in un posto. Il capitale e' libero di abbandonare una localita' non abbastanza obbediente e servile, ma la grande maggioranza dei suoi dipendenti sono costretti a restare dove sono, non essendo i benvenuti in nessun altro posto. Non la meticolosa e odiosa supervisione e il controllo di ora in ora, ma la minaccia di andare via senza preavviso al primo segno di disobbedienza e' oggi il fondamento della dominazione del capitale e il mezzo principale per ottenere la disciplina. La sicurezza del capitale si basa semplicemente sulla precarieta' del lavoro. In queste circostanze, la "sussidiarieta'" e' diventata, accanto alla "flessibilita'", l'espediente per fare del "buon management". I manager non hanno bisogno, ne' hanno voglia, di gestire. Ora sta agli uomini e alle donne che essi assumono dimostrare di meritare l'assunzione, farsi notare dal capo, farsi avanti con idee che riempiano le tasche degli azionisti, facciano vendere piu' prodotti, seducano un maggior numero di clienti e, allo stesso tempo, dimostrare la propria superiorita' rispetto ad altri candidati per la stessa mansione. La "flessibilita'" e' un termine ingannevole: significa inflessibilita' del capitale a negoziare e a fare compromessi. - B. V.: Di fronte a una descrizione senza appello della globalizzazione, lei sostiene che comunque una via d'uscita c'e'. In sintesi, lei ripropone una riedizione, per quanto necessariamente aggiornata, del New Deal o del welfare state. Non le sembra che sia troppo poco rispetto alla diagnosi che lei stesso fa della "societa' individualizzata"? - Z. B.: Non ci sono soluzioni locali per problemi generati globalmente. Se lei mi chiede come possiamo cambiare questo sviluppo, la mia risposta e': solo affrontando di petto la sfida principale del nostro tempo - ossia, il bisogno urgente di sottoporre gli attuali sfrenati, erratici, capricciosi processi di globalizzazione al controllo politico e alla legge. L'unica soluzione realistica, anche se lunga, consiste nello sviluppo di politiche planetarie e di un potere planetario in grado di regolare le forze economiche e di affrontare efficacemente i problemi planetari che tali forze, finche' resteranno prive di regolamentazione, creeranno tutti i giorni. Gli stati-nazione erano le cornici istituzionali per la sicurezza collettiva contro la sventura individuale. Ma i loro governi, spogliati di una gran parte della loro passata sovranita', non riescono piu' a far quadrare i conti, ne' possono dissociarsi dalla mischia globale in cui devono essere attori obbedienti, col rischio altrimenti di "scoraggiare gli investitori" e di fronteggiare una bancarotta. La polarizzazione dilagante della nostra epoca ha le sue radici nel divorzio tra il potere e la politica; essa puo' essere arrestata o almeno alleviata a condizione di un nuovo matrimonio... 9. RILETTURE. FEDERICO CAFFE': LA SOLITUDINE DEL RIFORMISTA Federico Caffe', La solitudine del riformista, Bollati Boringhieri, Torino 1990, pp. XVIII + 260, lire 24.000. Una raccolta di articoli del grande economista, maestro di impegno scientifico come impegno civile. 10. RILETTURE. CATERINA FISCHETTI: INNOCENZA VIOLATA Caterina Fischetti, Innocenza violata, Editori Riuniti, Roma 1996, pp. 128, lire 5.000. Uno studio ed alcune proposte per contrastare la violenza sui minori. 11. RILETTURE. SIMONA FORTI: IL TOTALITARISMO Simona Forti, Il totalitarismo, Laterza, Roma-Bari 2001, pp. X + 144, euro 9,30. Un'agile monografia introduttiva, che raccomandiamo vivamente. 12. RILETTURE. GADI LUZZATTO VOGHERA: L'ANTISEMITISMO Gadi Luzzatto Voghera, L'antisemitismo, Feltrinelli, Milano 1994, pp. 158, lire 10.000. Uno studio introduttivo utile a fini didattici per un impegno antirazzista nelle scuole. 13. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: DEL PIACERE DELLA LETTURA [Severino Vardacampi e' un vecchio collaboratore del Centro di ricerca per la pace di Viterbo] Agli amici che dicono di non aver tempo per leggere, "Oh, voi infelici" rispondo. E la mia compassione e' autentica. Ma non mi nascondo che vi e' anche in me un sentimento di delusione, e un pensiero di critica non occultabile. Leggere e' necessario. E' il modo migliore per dialogare con altri e con noi stessi ad un tempo. E penso che non sia un buon militante quello che non dedica qualche ora al giorno alla meditazione silenziosa, e leggere e' il piu' efficiente fomite a provocarla. Devo gia' sopportare la ciancia di tanti che pretendono appassionarmi a sciocchezze come il pallone e le automobili, devo gia' per dovere sorbirmi una caterva di ciarlatani che ripetono e vieppiu' degradano quel che hanno letto stamani sui quotidiani o sentito in tv, avro' ben diritto di partecipare al colloquio terribile e magnifico di Otello con l'onesto Jago, di accostarmi al castello con Kafka, di conoscere l'amore con Saffo e Saba, di indagare la societa' e la psiche con Freud e Marx, di apprendere l'orrore del mondo e la dignita' umana con Primo Levi e Franco Basaglia, di interrogarmi sui nostri doveri con Dietrich Bonhoeffer e Vandana Shiva. A questo convito tutti sono invitati. Che peccato che pochi vi prendano parte. E quanto questa ignavia danneggia il nostro impegno. E cosi' ai nostri interlocutori vogliamo dirlo chiaro e forte: meno volantini e piu' Shakespeare, meno riunioni e piu' Moliere, meno comunicati stampa e piu' Leopardi, meno fretta e piu' gioia. 14. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dellâambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dellâuomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 15. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: http://www.nonviolenti.org; per contatti, la e-mail e': azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: http://www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben at libero.it; angelaebeppe at libero.it; mir at peacelink.it, sudest at iol.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: http://www.peacelink.it. Per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutti gli amici della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio con richiesta di rimozione a: nbawac at tin.it Numero 384 del 14 ottobre 2002
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