guerra preventiva



Oggi 29 settembre Scalfari su Repubblica e Barbara Spinelli sulla Stampa scrivono a proposito della "guerra preventiva" cose interessanti, ma arrivano entrambi (se non ho inteso male dalla rassegna di Primapagina, poco fa) ad ammettere una possibilita', sebbene estrema, una volta accertato seriamente il pericolo, di una guerra preventiva degli Usa, data la debolezza dell'Onu. Mi permetto di proporre un passaggio della lezione "La ragione delle ragioni contro la guerra" (ragione che individuavo nel principio primo del "non uccidere" come fondamento di ogni possibile convivenza umana), lezione che fui invitato a tenere all'Universita' di Roma, il 18 aprile scorso, nel quadro dell'iniziativa "Orizzonti di pace", come riflessione etico-politica su una ipotesi analoga a quella che oggi si dibatte riguardo all'Iraq. Sia Scalfari che Spinelli (se non ho inteso male) non dicono che la ragione essenziale della guerra preventiva oggi voluta da Bush non e' il pericolo delle armi irakene (altrimenti dovrebbe far guerra a tanti altri paesi, anche "amici"), ma la conquista di quella terra petrolifera e la posizione strategica in Asia in vista della futura contesa con la Cina per l'egemonia mondiale. Se non si dice questo, si continua a restare imbambolati dalla falsita' della ragion di stato bushiana. Comunque, la riflessione che ripropongo cerca di smontare proprio gli argomenti accampati da quella propaganda di copertura. Un altro momento di riflessione necessaria consistera' nel rivedere e ripensare le alternative alla guerra, che gia' il pensiero della pace aveva indicato di fronte alle guerre del "decennio perduto" (Gorbaciov). Infatti, rifiutare la guerra obbliga a studiare e indicare le alternative ad essa per la trasformazione e soluzione vitale, non mortale, dei conflitti. Quste alternative ci sono!

Enrico Peyretti, Torino

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3 - Certamente puo' essere anche ucciso (se davvero, ma proprio davvero, non c'e' nessun altro mezzo per fermarlo) chi sta in quel momento per uccidere altri. Colui che sta per essere ucciso puo' anche rinunciare ad uccidere per la propria difesa, se sente, come chi e' arrivato alla piu' grande nonviolenza, maggiore ripugnanza ad uccidere che a morire (lo dice Simone Weil, La prima radice, ed. Leonardo 1996, pp.142-143), perche' sa che si nega e si deforma la propria umanita' non nel morire ma nell'uccidere. Ma senza dubbio bisogna difendere altri, anche al costo estremo di uccidere l'omicida potenziale nel momento immediato in cui sta per uccidere. In quel momento, e non dopo, quando non e' piu' in grado di offendere, altrimenti e' vendetta, non e' difesa. E la vendetta non toglie alcun male, ma soltanto e sempre aggiunge male a male.


4 - Se si da' veramente il caso di dover addirittura uccidere chi e' nell'atto di uccidere altri, questo lo puo' giudicare solamente la persona che si trova a potere e dovere agire in quella sciagurata circostanza. Nessun altro puo' decidere sostituendosi alla coscienza personale in un caso talmente grave. Nessuno puo' ordinare ad altri di uccidere. Questo chiaro principio distrugge la possibilita' morale, cioe' la compatibilita' con la decenza umana, di qualunque esercito. Infatti, un esercito riduce gli esseri umani a strumenti per uccidere. Il gen. Carlo Jean, allora presidente del Centro Alti Studi della Difesa, parlando a studenti delle scuole superiori, a Torino, il 29 marzo 1996 (ero presente e prendevo appunti) disse letteralmente: «Nell' esercito e' necessaria la disciplina (...) perche' combattere significa uccidere. Occorre l'esecuzione automatica dell'ordine». Ora, dove c'e' esecuzione automatica, non c'e' piu' un uomo, ma un automatismo, un automa, un uomo svuotato della prima qualita' umana, la responsabilita'. Dove c'e' esercito, cessa l'umanita'. Puo' darsi che sia sciaguratamente necessario uccidere chi sta per uccidere, ma questo non puo' comandarlo nessuno. L' esercito e' l'apparato che comanda di uccidere, persino sotto pena di morte per chi non obbedisce. L'esercito e' moralmente impossibile. E' l'antitesi della morale fondamentale.


5 - A questo proposito, si puo' fare il caso della lotta armata nella Resistenza al nazifascismo, e di ogni simile lotta. Quello era, se vogliamo, un "esercito" veramente di volontari, non di leva, non di professionisti, non una struttura militare autoritaria stabile. Meglio, la Resistenza fu un movimento soprattutto politico (sia armato sia non armato; e ben piu' ampio e lungo del periodo 1943-45), e non militare: l'uso delle armi era puramente strumentale e non fondativo, come e' nei movimenti militari o militaristici (cfr Lidia Menapace, Alcuni ricordi e riflessioni, in Centro Studi Difesa Civile, La Resistenza non armata, Sinnos editrice, Roma 1995, p. 103; Enrico Peyretti, Studi sulla Resistenza non armata, in Rocca, 1 agosto 1995). Tuttavia, proprio l'esperienza della Resistenza dimostra che, quando si usano le armi, o perche' non si vede alternativa (allora era quasi nulla la cultura della nonviolenza attiva), o non la si crede possibile, quell'uso puo' facilmente indurre ad una progressiva insensibilita' per la vita umana. Pur giusta nei suoi fini e giustificabile nei suoi mezzi, la lotta di Resistenza diede luogo anche ad alcuni episodi non giustificabili (uccisioni gratuite, vendette), ad uno dei quali io assistetti da bambino, come ho raccontato e scritto piu' volte. Cio' dimostra non l'ingiustizia della Resistenza, ma l'abbassamento morale facilmente indotto dalla pratica dell' arma che uccide.


6 - Si puo' forse uccidere in anticipo chi si teme o si sospetta che cerchera' di uccidere altri? E' il caso di chi fa guerra, cioe' vuole uccidere, il potenziale terrorista; e' il caso degli omicidi politici di Israele contro i sospetti di terrorismo. Nessuna legge civile lo permette. Attribuirsi un tale potere sovrastante distrugge ogni convivenza, permette ogni abuso, mette tutti in pericolo. Se lo permettono la "ragion di stato", la "licenza di uccidere" dei vari servizi segreti, il potere militare, ma basta avere un po' di ragione e di pieta' umana per vederne l'orrore e la forza distruttiva di ogni rapporto sociale umano. Questa licenza scatena la gara a chi uccide per primo. Ogni tentativo compiuto dal diritto per addolcire la durezza dei rapporti va perduto. Ogni sicurezza e' diminuita, lungi dall'essere assicurata.


7 - Ma se si sa con certezza che uno sta preparando l'uccisione di altri? Minacciare violenza e' gia' violenza. Preparare effettivamente violenza e' gia' violenza. Allora il potere pubblico deve arrestare chi fa questo, esibendo subito le prove in un processo legale, con tutte le garanzie, ma assolutamente non puo' ucciderlo, pena, oltre l'ingiustizia, quel degrado sociale che abbiamo appena visto.


8 - Ma dove, come nella societa' internazionale di oggi, non c'e' alcun potere pubblico autorizzato e riconosciuto, e dove, contro i patti sottoscritti - la Carta dell'Onu che e' il nuovo diritto internazionale di pace, diritto vigente e violato sistematicamente - regna ancora di fatto l'anarchia e la legge della forza, puo' forse, in questo caso, chi ne ha la forza e i mezzi punire preventivamente, fermare anche con la morte, chi e' accertato che sta preparando omicidi? Il caso e' serio, senza dubbio. E' il caso accampato da chi ha deciso la guerra seguita all'11 settembre. La risposta non e' facile. Direi almeno questo: come un cittadino qualunque, senza essere pubblico ufficiale, puo' arrestare un ladro colto in flagrante, non certo per ucciderlo o farlo linciare, ma solo per consegnarlo alla giustizia per un regolare processo, cosi' ha una legittima competenza ad agire sul piano internazionale, stante quella situazione di anarchia, chi opera per fare evolvere questa situazione selvaggia nella direzione di una organizzazione piu' civile e legale della convivenza tra i popoli, e non mantiene soltanto, a vantaggio della propria maggiore forza, tale situazione di assenza di legge. Se gli Stati Uniti, che sono il 5% dell'intera umanita', lavorassero per l'autorita' dell'Onu, per il tribunale penale internazionale, per la giustizia economica planetaria, per la salvaguardia dell'ambiente naturale di tutta l'umanita' (che essi inquinano piu' di tutti), allora la loro azione di necessita' contro i crimini internazionali sarebbe credibile e scusabile. Ma davvero non e' questa la loro linea. La regola superiore della loro azione e' il loro interesse particolare, economico, energetico, culturale, politico. Non sono degni, neppure nell'emergenza provvisoria, di governare e giudicare il mondo. Indegni come sono, governano e giudicano il mondo.