la macchina bianca



Cari amici
nuovo giorno nuova storia, niente lieto fine
ciao Fabrizio - Apg xxiii


15.06.02
Nelle strade palestinesi sono molti i rumori e le voci. Ci sono carretti o
macchine che montano un megafono e invitano gli acquirenti che stanno in
strada o in casa a comprare. Ci sono le musichette, Bianco Natale è trasmessa
dal carretto che vende patate dolci sulla spiaggia di Gaza city, la lambada
per le bombole del gas. C'è chi urla: "Pandora, ascharo shekel" (pomodori
dieci schekel), "Patate, Patate". C'è anche il classico gelataio che
diffonde una musichetta indefinita. C'è anche, pero' una macchina
bianca con il megafono sul tetto che tutte le sere, alle otto, percorre una
strada particolare e dice delle cose particolari. La strada è quella che
collega Israele agli insediamenti di Kefar Darom e Gus Qatif, nella striscia
di Gaza. La macchina è quella dell'amministrazione civile israeliana guidata
dall'ufficiale responsabile della sicurezza degli insediamenti. Le parole
che escono dal megafono non possono essere ignorate come gli inviti
all'acquisto sentiti durante la giornata. Sono parole dappirima quasi
formali: "Per la vostra sicurezza da questo momento fino alle sei di domani
mattina tutta la popolazione deve rimanere nelle proprie case, chi esce
rischia la sua sicurezza". Al secondo giro il richiamo si fa più
confidenziale ma forse anche più agghiacciante. "Jalla al beit! Rahua al
beit! (Forza a casa! Andate a casa!)": è il coprifuoco. Siamo una novità per
i bambini che, allontanati dagli adulti, sbirciano di nascosto e ci
salutano. Il coprifuoco è, invece, una novità per noi giovani europei
abituati a vivere di notte fra incidenti e febbri del sabato sera. Ci guardano
i giovani di Al Qararah, qui non è cosi' qui c'è la strada, la jeep,
il coprifuoco. Per un po' stiamo tutti riuniti fuori dalla casa; in questa
parte del villaggio, dove, in circa 15 case ci abita un intero clan
famigliare, circa 250 persone. Dopo dieci minuti dal passaggio della jeep,
pero' tutti sono in casa. Noi siamo ospiti di O., i suoi cinque figli
con sua moglie non ci sono. Sono in visita dai nonni materni che stanno a
dieci minuti a piedi dall'altra parte della strada. I dieci
minuti di due anni fa, perche' sono oggi diventati ore di attesa al
check point di Abu Holi, i pochi chilometri per raggiungere l'unico
punto di passaggio tra il sud e il nord della striscia di Gaza. Nella casa
di O. ci sono pero' alcuni parenti con i quali continuiamo le nostre
chiacchiere. Ci raccontano, per esempio, che il vivere cosi' vicino
alla strada sta rovinando anche la vita sessuale di un cugino e della
moglie, che un giorno, mentre erano in intimità (sono sposati da pochi
mesi), si sono visti sparare sulla loro casa, naturalmente parlare in questo
caso di "coitus inteructus" è un eufemismo. L'ironia palestinese fa si che
dopo il racconto ci sia una grossa risata. Un cugino, A., ora professore di
letteratura araba in una scuola superiore, mi racconta che fino al novantuno
ha lavorato in Israele per una ditta che metteva in opera cucine per le case
dei ricchi israeliani. Il collega e amico era un ebreo ucraino, da poco
immigrato in Israele, che non parlava molto l'ebraico, lingua che invece A.
dice di parlare molto bene. I loro dialoghi devono essere stati un mix di
parole arabe, ebraiche e parolacce in russo. Ci raccontano che qualche tempo
fa i soldati hanno visitato queste case alla ricerca di armi o di
terroristi, O. ci fa vedere il suo vecchio televisore che ha riportato
qualche danno dalla perquisizione. Fuori tutto è tranquillo, o meglio è
normale. E' normale che ci siano due torrette che controllano ogni movimento
delle persone, è normale che, ancora quando il sole era alto, una jeep si
sia fermata sulla strada e un ufficiale abbia guardato col suo binocolo chi
erano quei due stranieri circondati dai palestinesi, è normale che ci sia
una telecamera che spia tutto e tutti, è normale che ogni tanto i soldati si
avvicinino alle case, è normale sentir sparare, è normale sentire i carri
armati muoversi tutta la notte, è normale la jeep bianca, è normale il
coprifuoco, è normale l'occupazione. Tutto è normale ma niente è giusto qui.
Cerchiamo di stare al fianco di questa gente per dare un po' di forza e un
po' di fiducia anche se non siamo molti e forse non facciamo nulla. Ci
ringrazia questa gente, ci ringrazia di condividere la loro atroce normalità
e ci chiede di raccontarla all'estero. Un bambino con il suo inglese da
quarta elementare continua a raccontarci che quando passano gli elicotteri i
bambini piangono, hanno paura che ci sia un attacco. O. dice che stasera non
ci sono problemi perché è iniziato lo shabat, la festa ebraica. E' tardi
tutti dormono anch'io mi addormento sentendo i rumori della normalità qui a
Al Qararah.