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la macchina bianca
- Subject: la macchina bianca
- From: Francesca <francesca at peacelink.it>
- Date: Mon, 17 Jun 2002 13:46:08 +0200
Cari amici nuovo giorno nuova storia, niente lieto fine ciao Fabrizio - Apg xxiii 15.06.02 Nelle strade palestinesi sono molti i rumori e le voci. Ci sono carretti o macchine che montano un megafono e invitano gli acquirenti che stanno in strada o in casa a comprare. Ci sono le musichette, Bianco Natale è trasmessa dal carretto che vende patate dolci sulla spiaggia di Gaza city, la lambada per le bombole del gas. C'è chi urla: "Pandora, ascharo shekel" (pomodori dieci schekel), "Patate, Patate". C'è anche il classico gelataio che diffonde una musichetta indefinita. C'è anche, pero' una macchina bianca con il megafono sul tetto che tutte le sere, alle otto, percorre una strada particolare e dice delle cose particolari. La strada è quella che collega Israele agli insediamenti di Kefar Darom e Gus Qatif, nella striscia di Gaza. La macchina è quella dell'amministrazione civile israeliana guidata dall'ufficiale responsabile della sicurezza degli insediamenti. Le parole che escono dal megafono non possono essere ignorate come gli inviti all'acquisto sentiti durante la giornata. Sono parole dappirima quasi formali: "Per la vostra sicurezza da questo momento fino alle sei di domani mattina tutta la popolazione deve rimanere nelle proprie case, chi esce rischia la sua sicurezza". Al secondo giro il richiamo si fa più confidenziale ma forse anche più agghiacciante. "Jalla al beit! Rahua al beit! (Forza a casa! Andate a casa!)": è il coprifuoco. Siamo una novità per i bambini che, allontanati dagli adulti, sbirciano di nascosto e ci salutano. Il coprifuoco è, invece, una novità per noi giovani europei abituati a vivere di notte fra incidenti e febbri del sabato sera. Ci guardano i giovani di Al Qararah, qui non è cosi' qui c'è la strada, la jeep, il coprifuoco. Per un po' stiamo tutti riuniti fuori dalla casa; in questa parte del villaggio, dove, in circa 15 case ci abita un intero clan famigliare, circa 250 persone. Dopo dieci minuti dal passaggio della jeep, pero' tutti sono in casa. Noi siamo ospiti di O., i suoi cinque figli con sua moglie non ci sono. Sono in visita dai nonni materni che stanno a dieci minuti a piedi dall'altra parte della strada. I dieci minuti di due anni fa, perche' sono oggi diventati ore di attesa al check point di Abu Holi, i pochi chilometri per raggiungere l'unico punto di passaggio tra il sud e il nord della striscia di Gaza. Nella casa di O. ci sono pero' alcuni parenti con i quali continuiamo le nostre chiacchiere. Ci raccontano, per esempio, che il vivere cosi' vicino alla strada sta rovinando anche la vita sessuale di un cugino e della moglie, che un giorno, mentre erano in intimità (sono sposati da pochi mesi), si sono visti sparare sulla loro casa, naturalmente parlare in questo caso di "coitus inteructus" è un eufemismo. L'ironia palestinese fa si che dopo il racconto ci sia una grossa risata. Un cugino, A., ora professore di letteratura araba in una scuola superiore, mi racconta che fino al novantuno ha lavorato in Israele per una ditta che metteva in opera cucine per le case dei ricchi israeliani. Il collega e amico era un ebreo ucraino, da poco immigrato in Israele, che non parlava molto l'ebraico, lingua che invece A. dice di parlare molto bene. I loro dialoghi devono essere stati un mix di parole arabe, ebraiche e parolacce in russo. Ci raccontano che qualche tempo fa i soldati hanno visitato queste case alla ricerca di armi o di terroristi, O. ci fa vedere il suo vecchio televisore che ha riportato qualche danno dalla perquisizione. Fuori tutto è tranquillo, o meglio è normale. E' normale che ci siano due torrette che controllano ogni movimento delle persone, è normale che, ancora quando il sole era alto, una jeep si sia fermata sulla strada e un ufficiale abbia guardato col suo binocolo chi erano quei due stranieri circondati dai palestinesi, è normale che ci sia una telecamera che spia tutto e tutti, è normale che ogni tanto i soldati si avvicinino alle case, è normale sentir sparare, è normale sentire i carri armati muoversi tutta la notte, è normale la jeep bianca, è normale il coprifuoco, è normale l'occupazione. Tutto è normale ma niente è giusto qui. Cerchiamo di stare al fianco di questa gente per dare un po' di forza e un po' di fiducia anche se non siamo molti e forse non facciamo nulla. Ci ringrazia questa gente, ci ringrazia di condividere la loro atroce normalità e ci chiede di raccontarla all'estero. Un bambino con il suo inglese da quarta elementare continua a raccontarci che quando passano gli elicotteri i bambini piangono, hanno paura che ci sia un attacco. O. dice che stasera non ci sono problemi perché è iniziato lo shabat, la festa ebraica. E' tardi tutti dormono anch'io mi addormento sentendo i rumori della normalità qui a Al Qararah.
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