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Le altre Safiya: ogni giorno le africane sono lapidate in Italia.
- Subject: Le altre Safiya: ogni giorno le africane sono lapidate in Italia.
- From: "Savt" <savtvda at netvallee.it> (by way of Carlo Gubitosa <c.gubitosa at peacelink.it>)
- Date: Sat, 16 Mar 2002 11:06:28 +0100
Le altre Safiya: ogni giorno le africane sono lapidate in Italia.In Italia vivono, clandestine e prostitute, migliaia di ragazze nigeriane, sfruttate da un racket che le ha portate in Europa con false promesse e le ha ridotte in stato di vera e propria schiavitù.
L incoscienza di clienti che nemmeno si rendono conto di questo e, quindi, contribuiscono a sfruttarle; il perbenismo di quanti ritengono che il problema può esser risolto solo rispedendole in Africa; il moralismo di quanti non sopportano neppure l idea di dover parlare dei problemi della prostituzione; l indifferenza di quanti vivono solo del loro egoismo; il razzismo sempre e comunque presente e perfino l imperfetto impegno civile di chi esprime solidarietà per Safiya che rischia di essere lapidata in Nigeria, ma non sa far nulla per le tante Safiya che vivono in Italia &. queste sono le pietre con le quali, ogni giorno, le africane sono lapidate in Italia.
A tutte loro dedico un pensiero e queste righe. Amo una giovane africana, ma - in realtà - amo tutte le africane che vivono in Italia; credo che tutti dovrebbero amarne una, come padri, fratelli, amici, compagni, mariti o, più semplicemente, come esseri umani: queste ragazze hanno lasciato l Africa dove si muore di fame e di malattie; dove le loro famiglie sopravvivono negli stenti. Non lapidiamole e liberiamole dalla loro schiavitù.
<mailto:claudio.magnabosco at tiscalinet.it>claudio.magnabosco at tiscalinet.it In allegato la storia di una Safiya italiana. --------------------Alle spalle ho un matrimonio ed una convivenza finiti male; ho creduto in un solo amore "per sempre", ma -Ed ora un amore nuovo, io cinquantenne, lei poco più che ventenne, nigeriana e prostituta. Ci siamo conosciuti in una situazione molto particolare e questa ragazza, quasi analfabeta, clandestina, fiera ma schiava di una situazione per uscire dalla quale deve trovare il denaro per il proprio riscatto e qualcuno che le dia un rifugio sicuro, è entrata nel mio cuore, come se tutto il resto - compresi i miei due figli - l'avessi vissuto sì, mi appartenesse sì, ma riguardasse un'altra vita. Nel darmi la sua mano per camminare insieme, la stringe forte con una sorta di vergogna quando i passanti ci guardano e commentano la mia non più verde età ed il colore della sua pelle, o quando bevendo qualcosa in un locale pubblico, una lacrima appare nei suoi occhi che guardano in che modo vivono gli altri giovani come lei, bianchi però, liberi però, felici però. Così mi sento suo padre, suo fratello, il suo fidanzato, il suo amico, un suo compagno di scuola e molte altre cose, tutte le altre cose che lei non ha avuto e non ha conosciuto, perché la sua vita non è stata quella di una giovane donna, ma quella di una dea predestinata al sacrificio del proprio corpo per sopravvivere e far sopravvivere la propria famiglia.
Un anno fa è stata accoltellata, roba da poco in una situazione del genere, perché vivendo quella vita è stata esposta a tutto. La storia di molte sue connazionali è ben più drammatica, segnata da ogni genere di violenza e spesso anche dalla morte. Lei stessa l’ha di nuovo rischiata pochi giorni or sono quando due energumeni per rapinarla delle sue poche e piccole cose o per punirla del suo tentativo di cambiar vita, l’hanno massacrata di botte. Vorrei che chi ascolta questo mio appello provasse ad aiutare le tante sue connazionali che vivono una quotidianità nella quale il pane è incerto (i loro "guadagni" sono considerevoli, ma finiscono in mano a protettori e maman senza scrupoli) e il resto è attesa; e vorrei che, avvicinandosi a queste ragazze di colore che si vendono ai bordi delle strade, i clienti s'interrogassero sulle loro responsabilità in queste storie di fame e sfruttamento, di povertà e disperazione nascoste dietro ai gesti di tutte loro, perfino di quelle apparentemente più spudorate, perfino di quelle che non conoscono più il confine tra la bugia e la verità, ma conoscono solo la paura che impedisce loro di rivolgersi a quelle autorità ed a quei centri che potrebbero aiutarle.
Potrei sposarla, offrirle una vita "normale", ma mi chiedo se non finisco col farle del male proprio perché l'amo e le parlo di una vita diversa che forse non potrò darle davvero, poiché i problemi sono gravi e le differenze tra noi sono molte; meglio sarebbe che neppure ne intravedesse la possibilità, perché la speranza può diventare sofferenza, mentre la rassegnazione è una medicina che rende la vita sulla strada, ai margini di un paese opulento, comunque più sopportabile della lenta morte per inedia in un lontano villaggio.
Di certo aiutando questa ragazza aiuto me stesso, spezzo le mie catene: non si può conoscere la schiavitù altrui senza condividerla almeno un po’ ed io mi sento, sono schiavo delle ingiustizie alle quali non so porre rimedio. Ma non sono forse un'ingiustizia anche la mia arroganza di ritenere che posso "aiutarla", perché - se non altro per una questione sociale - diversamente da lei io vivo in modo "regolare" (ma regolare per chi, per le convenzioni sociali, per i moralisti, per i benpensanti?) e la mia presunzione di "salvarla" che nasce da un malcelato senso di superiorità, quasi come se i piccoli segni che lei porta tatuati sul viso ed indicano la sua identità e la sua provenienza tribale, fossero una lettera scarlatta, il marchio di una condizione inferiore? E il mio desiderio di lei non ha, forse, le componenti di un razzismo rovesciato, visto che mi attraggano la sua bellezza, la sua giovane età e proprio il colore della sua pelle sulla quale vivo un'avventura ricca di mistero?
Lei mi dà amore con semplicità, senza chiedermi nulla, né di essere più giovane, né di essere più bello o più ricco, ma semplicemente di essere presente e di continuare ad essere l'uomo capace di parlarle solo perché è un essere umano, di "amarla" solo perché lei è lei. Senza porle troppe domande, in parte perché forse si vergogna delle risposte che dovrebbe darmi, in parte perché ancora ha paura che la verità sia dolorosa e pericolosa. E’ questo l'amore per sempre che cercavo? Avrò il coraggio di vivere con lei, di avere dei figli e presentarli ai due figli - "bianchi" - che ho già e che adoro?
Ma che amore cerca, invece, questa giovane donna che alla mia proposta di vivere insieme e, quindi, anche di affrontare insieme i pericoli del suo sottrarsi al giro che controlla le ragazze come lei, non ha risposto di no, ma si è chiesta se sarà "per sempre" o se, invece, le offro soltanto una vacanza, una momentanea evasione dal suo inferno, se non sarò spietato nel liberarmi di lei quando la nostra storia si rivelasse, per mille ragioni, meno poetica e meno drammaticamente romantica di ora, rendendole insopportabile tornare a lavorare sulla strada, dopo aver toccato con mano la possibilità di vivere in modo diverso e migliore?
Può esistere un amore "per sempre" se non si è liberi non solo di scegliersi, ma neppure di vivere? Non ho risposte, so soltanto che quando la sua mano scorre tra i miei capelli, non ho 50 anni, ma ho la sua stessa età - e sono nero anch'io.
-------- Claudio Magnabosco - Aosta claudio.magnabosco at tiscalinet.it
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